Un negozio in via Sant’Abbondio

Lo scorso 11 marzo il Municipio 5 ha riunito le commissioni Politiche sociali e Cultura in via Sant’Abbondio 53/A, nella sede della Cooperativa Sociale Trasgressione.net.
Lo spazio è un minimarket che vende specialità siciliane e prodotti, oltre che un luogo in cui il gruppo della Trasgressione, fondato dal professore e psicologo della Devianza Angelo Yuri Aparo 27 anni fa, svolge le sue attività e le sue riunioni. Alla commissione era presenti, oltre ai consiglieri, anche il professore Aparo con alcuni ex detenuti che continuano a far parte del gruppo e a seguire le attività sociali e divulgative, il presidente Natale Carapellese, la fotografa Margherita Lazzati e la professoressa dell’Istituto Torricelli Pieranna D’Alberti.

Matteo Marucco

Il Sud di MIlano

 

Il nostro Daimon

Ero sorpreso ieri mattina: pochi minuti dopo che la lettera di Samuele ai propri figli era arrivata via e-mail a tutti noi padri, Juri Aparo l’aveva già messa online e mi aveva inoltrato il link su Telegram…. una velocità singolare, per chi lo conosce un poco come me e sa che in questo periodo non ha tempo – come gran parte di noi, immagino – neppure per respirare. Eppure qualcosa doveva averlo interessato, ritenendola  utile – alla stregua del suo lavoro in carcere e per quello che ha in mente per il prosieguo del nostro progetto dentro il Reparto La Chiamata – di una maggiore diffusione.
Poi nel tardo pomeriggio riunione nella redazione di Caterpillar, e ancora Juri che prende la parola e cita a tutti i presenti il passaggio concettuale – in quella lettera – su “Le radici che non ho scelto“.
Non ricordo se nel frattempo mi guardava, quasi a chiedere cosa ne pensassi io. Troppo stanchezza, ieri, la mia. E troppe cose fatte di fretta, anche se tutte andate molto bene (ad iniziare dalla udienza delle 9.30 finita miracolosamente presto, per poter poi andare a San Vittore e poi ritornare ancora a Palazzo di Giustizia; per continuare con la notizia che alcuni giovani adulti detenuti hanno ottenuto dai rispettivi Giudici il permesso per essere presenti mercoledì 19 marzo, unita a quella che sì, ci sarà anche Giuseppe, “papà molto appassionato” a detta di sua sorella Carla e figlio di Guido Galli).
Alla fine ho trovato il tempo solo stasera per leggerla, con la calma che meritano tutte queste cose belle e preziose che ci stiamo scrivendo via e-mail all’interno del gruppo dei padri partecipanti al progetto.
Da uomo adulto, il tema delle “radici che non ho scelto” ha sempre trovato anche me concorde. Fino a quando mi sono chiesto, come forse tanti altri – ma era sicuramente un barlume di una domanda precedente, racchiusa velocemente in un cassetto emotivo della mia adolescenza – se fosse possibile invece sceglierseli i propri genitori.
Nell’approssimarsi dei miei 50 anni, leggendo Hillmann (“La forza del carattere”) in aiuto a riflettere sul tempo che avanza, mi ero ritrovato catturato da una impostazione che appare contraria al tema indicato da Samuele.
E’ sempre di Hillmann, nel suo (più famoso) libro “Il codice dell’anima”: uno spunto per la buonanotte, che riporto qui sotto. E grazie anche a Samuele, in attesa di capire il mio amico Juri cosa dirà anche di questo.

Il paradigma oggi dominante per interpretare le vite umane individuali, e cioè il gioco reciproco tra genetica e ambiente, omette una cosa essenziale: quella particolarità che dentro di noi chiamiamo “me”. Se accetto l’idea di essere l’effetto di un impercettibile palleggio fra forze ereditarie e forze sociali, io mi riduco a mero risultato. Quanto più la mia vita viene spiegata sulla base di qualcosa che è già nei miei cromosomi, di qualcosa che i miei genitori hanno fatto o hanno omesso di fare e alla luce dei miei primi anni di vita ormai lontani, tanto più la mia biografia sarà la storia di una vittima. La vita che io vivo sarà una sceneggiatura scritta dal mio codice genetico, dall’eredità ancestrale, da accadimenti traumatici, da comportamenti inconsapevoli dei miei genitori, da incidenti sociali.

Più in profondità, tuttavia, noi siamo vittime della psicologia accademica, della psicologia scientistica, financo della psicologia terapeutica, i cui paradigmi non spiegano e non affrontano in maniera soddisfacente – che è come dire ignorano – il senso della vocazione, quel mistero fondamentale che sta al centro di ogni vita umana, il destino, il carattere, l’immagine innata: le cose che, insieme, sostanziano la “teoria della ghianda”, l’idea, cioè, che ciascuna persona sia portatrice di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta.

[…]

Ciascuna persona viene al mondo perché è chiamata. L’idea viene da Platone, dal mito di Er che egli pone alla fine della sua opera più nota, la Repubblica. In breve, l’idea è la seguente:

Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine o disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, dimentichiamo tutto questo e crediamo di esserci venuti vuoti. È il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino.

Secondo Plotino (205-270 d.C.), il maggiore dei filosofi neoplatonici, noi ci siamo scelti il corpo, i genitori, il luogo e la situazione di vita adatti all’anima e corrispondenti, come racconta il mito, alla sua necessità. Come a dire che la mia situazione di vita, compresi il mio corpo e i miei genitori che magari adesso vorrei ripudiare, è stata scelta deliberatamente dalla mia anima, e se ora la scelta mi sembra incomprensibile, è perché ho dimenticato“.

Radici, Alberi, Innesti