Signor Presidente

Caro Signor Presidente,
scrivendole, la penso accerchiato da problemi e da mille richieste che pretendono rapide risposte; la pazienza lo sappiamo non è la dote più diffusa tra i cittadini. Le do subito una buona notizia: io avrò pazienza, se non altro perché i prossimi tre anni li trascorrerò in carcere. Quindi nessuna premura, nessuna urgenza, le mie sono domande che possono aspettare.

Ecco la prima: la società, una volta tornato in libertà, mi permetterà di realizzare i tanti progetti che ho avuto il tempo di elaborare in questi anni di detenzione? Avrà il coraggio, l’intraprendenza e la volontà di accettare un ex detenuto come risorsa? Certo, camminare per le strade della città come risorsa invece che come pericolo pubblico non sarebbe guadagno da poco. Ma come fare?

Don Chisciotte, Honoré Daumier
Don Chisciotte, Honoré Daumier
A questo riguardo, signor Presidente, voglio segnalarle che esiste chi, fra i normali cittadini, combatte da anni contro i mulini a vento. Si tratta di un certo Angelo Aparo, che da anni, cavalcando il suo Ronzinante, si presenta nelle carceri di Opera, San Vittore e Bollate per continuare la sua battaglia. Le sue armi sono la testardaggine e il Gruppo della Trasgressione, i suoi nemici i luoghi comuni e la burocrazia delle istituzioni.

Egli si prefigge di entrare nelle storie sbagliate per conoscere l’immagine che ogni reo ha di sé e promuoverne l’evoluzione attraverso la comunicazione con la società esterna. È un metodo che verte principalmente sul recupero critico delle proprie esperienze e delle proprie emozioni e si serve di argomenti eterogenei come le microscelte, il rapporto con la legge, il superamento dei limiti, il divenire dell’identità del cittadino.

Questo anacronistico Don Chisciotte dice che il rapporto tra carcere e società è un impegno doveroso perché solo una buona combinazione fra pena e progetti con la città permette reali opportunità di riscatto per il detenuto e migliori condizioni di vita per i cittadini. Egli sostiene anche che una società cresce e si salva nel suo insieme, non in virtù di qualche istituzione particolarmente forte. E non è finita! A volte arriva a dire che la condizione carceraria è una vergogna morale e uno spreco sociale, anche perché non onora e non scommette sulla indicazione costituzionale del recupero del reo.

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Uno dei nostri convegni
Forte della sua esperienza o forse del suo delirio, ha creato un esercito di detenuti che, incontrandosi all’interno delle carceri e delle scuole, si relazionano con studenti e universitari e, parlando delle loro esperienze, distribuiscono il “virus della curiosità”, come lui ama chiamare l’esplorazione delle proprie “nicchie” nascoste. In questo modo, continua a fare guerra agli stereotipi e alla cattiva informazione.

Io, sig. Presidente, sono prigioniero di questo dittatore del pensiero, ma ne respiro le parole come aria di libertà e il metodo come la sola strada che conosco per arrivare a un’analisi interiore, cercando per il mio futuro un senso diverso rispetto al mio passato.

Detto questo, Egregio Presidente, Lei si trova a un bivio: o lo lascia definitivamente impazzire fra i suoi mulini a vento o si allea con lui, riconoscendo l’utilità del suo lavoro, che altro non è che la messa in pratica di un principio centrale dell’istituzione che lei rappresenta, cioè più sicurezza per la Sua e la mia società.

Franco Garaffoni

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Una giornata con Sisifo

Una giornata con Sisifo, Alberto Marcheselli

Mi sono assunto l’impegno di raccontare l’incontro avvenuto tra gli studenti di una scuola media di Buccinasco e il Gruppo della Trasgressione, incontro durante il quale i membri del gruppo hanno inscenato il Mito di Sisifo.

Il Mito, io credo, è un modo per rappresentare i vizi dell’uomo, le sue debolezze e i suoi difetti. Metterli in scena è uno strumento attraverso cui la tragedia da sempre svolge il compito di esorcizzare e di metabolizzare le carenze e la caducità dell’umana condizione, un rito che consente all’uomo di interrogarsi sull’uomo. Fino a qui, tutto difficile ma nulla di rivoluzionario.

L’insolito è mettere in scena il Mito con attori che non sono attori e che di miti greci ci capiscono assai poco (o niente) davanti a un pubblico di studenti, che poi sono poco più di ragazzini e che di miti greci ne sanno poco di più. Farlo, poi, senza copione, affidandosi all’istinto, all’intuito, al vissuto, è rasentare l’incoscienza.

Ma l’effetto è stato incredibile (lo è ogni volta). Gli attori o meglio i non attori hanno portato sul palco pezzi di vita, scorci del loro passato, sguardi sul futuro con la conseguenza che anche questa volta è avvenuto l’incontro tra due mondi, il confronto tra esperienze agli antipodi su un terreno fatto di comprensione e di attenzione, con momenti in cui Sisifo/Ivano si diverte e diverte come un giullare, trovando a ogni svolta della vicenda nuovi spunti, con un’originalità e una genialità che sembra quasi abbia studiato tutta la vita, alternati alla fatica di Nicola e a quella di Rosario che fanno i consiglieri e diventano rossi davanti ai ragazzini.

Un turbinare di emozioni, che si succedono e s’intrecciano, un’atmosfera gestibile solo attraverso una profonda conoscenza dell’uomo. Non ho ancora ben capito come il dott. Aparo riesca a “liberare” le persone, a far sì che si mostrino come sono o come vorrebbero essere.

Nel dibattito subito dopo la rappresentazione, il detenuto diventa padre, lo studente figlio; il figlio/studente diventa rimpianto per il passato e spunto per il futuro; e poi la guida, l’insegnante, le assenze e le lacrime (qualche volta). Un amalgama di passioni, quella della guida, quella del dottore e la dedizione di qualcuno di noi (detenuti).

Insomma, c’è una domanda che spesso viene fatta al Gruppo della Trasgressione e cioè “cosa facciamo al gruppo? Lo so, lo vedo, lo sento, lo vivo: creiamo pensiero, costruiamo passione!

Qualche gruppo fa il dott. Aparo “ha fatto un pezzo” (così io l’ho sentito) di estremo valore su come i colori della mente diventino pensieri e poi prendano forma attraverso le parole e su come le parole possono essere usate per liberare o imprigionare gli uomini. Un grande potere quello delle parole!

Ecco io credo che tutte le volte che ci confrontiamo, tra di noi e con i ragazzi delle scuole, trasformiamo i nostri colori in pensieri, diamo alle nostre parole il potere di renderci liberi. Questo riusciamo a farlo perché il dottore ha messo la sua intelligenza a nostro servizio e per questo io gli dico grazie e mi ritengo fortunato perché non è facile incontrare qualcuno capace di dare alle parole tanta forza.

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Tossicodipendenza: quale malattia?

Che la tossicodipendenza sia una scelta potrei anche escluderlo.

C’è un sistema sanitario che la considera e tratta quale malattia e un sistema giudiziario che fa lo stesso, anche intersecandosi con il primo e molto più di quanto non accada per altre malattie. Ad esempio, si ritiene opportuno e si legittima (in almeno due leggi) un trattamento extramurario, spesso come priorità rispetto alla custodialità per colpevolezza. Questo non accade con altre malattie (al più trattate nei centri clinici o infermerie degli istituti). Perché???

Sempre nel sistema giudiziario (mi aiuta tenerlo come riferimento) la tossicodipendenza è riconosciuta come malattia, ma non di quelle che incidono sulla capacità di intendere e volere (per le quali c’è l’opg o l’impunibilità), nemmeno parzialmente. Il tossicodipendente è imputabile e dunque responsabile.

Allora se il tossicodipendente è malato ma imputabile, cioè la sua malattia è incistata in qualcosa e può avere quale conseguenza anche i reati, questi si scelgono. Questi non sono parte della malattia, nemmeno sono sintomi. Il tossicodipendente, anche se delinquente, non ha la malattia di commettere i reati e non è quella che si cura.

Se la tossicodipendenza è malattia allora non si sceglie di averla, tuttavia si  possono scegliere stili di vita e/o abitudini e consuetudini che sono agenti favorenti la tossicodipendenza. Ma questo è vero anche per l’infarto, il cancro, le malattie respiratorie ecc. ecc. Però se la tossicodipendenza non incide sulla capacità di intendere e volere allora si può curare e si può scegliere di curarla. Nemmeno altre malattie si scelgono, ma si curano. O forse la differenza sta proprio in questo? Nella possibilità di volere la cura? Di rinunciare alla sostanza? La tossicodipendenza  lede la volontà, l’autonomia? Non lede la capacità di intendere, ma lede la capacità di volere? Oppure coglie chi ha un difetto della volontà?

Il pilota della Wizz-air era malato, ma non incapace di intendere e volere (per come è stato premeditato, organizzato, eseguito l’atto credo che lui intendesse e volesse, e difficilmente, seppur malato, sempre secondo me, sarebbe rimasto impunito per vizio di mente). Egli voleva morire e voleva uccidere, il tossicodipendente (non il consumatore, non l’abusatore bensì il dipendente, il malato) vuole drogarsi?

Detto questo, il mio tormento è: che malattia è la tossicodipendenza? Si può definire? Si può concettualizzare con tutti gli elementi del concetto di malattia? E se sì, che definizione ne esce?

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Fra miserie e cose serie

Fra miserie e cose serie, Roberto Cannavò

Se al dolore hai risposto con la negazione
Guardaci dentro, non farne una prigione
Prova a viverlo per la costruzione
Vedrai che rivoluzione…

Il corpo, non è uno scherzo, è intrappolato
Ma il tuo passato non è del tutto frantumato
È la tua storia che va rivisitata
lavora sui cocci e vedrai il risultato…

L’evoluzione è in agguato
Lasciale spazio
E avrai il risultato di chi
Guardando indietro potrà dire:
Erano macerie, erano miserie,
Oggi sono cose serie

Mi è bastata una semplice considerazione
per dare un senso a questa mia condizione…
il detenuto non è un mattone
non è parte delle mura della sua prigione

E allora ripartiamo dalle macerie
per costruire cose serie
in tasca mi porto la semplicità
la moneta della mia rivoluzione

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Sulla rotta del peluche

Sulla rotta del Peluche, Cisky

Papà: Adesso andiamo a fare la nanna, che papà ha da fare.

Bambino: Ma io non ho sonno papà… guarda sono sveglio! Perché non possiamo giocare un po’? Io voglio giocare con te!

P: Perché adesso non si può e perché devi dormire… domani giochiamo! Promesso, però soltanto se adesso chiudi gli occhi e dormi.

B: Allora raccontami una storia… una storia, una storia, dai una storia, ti prego, una storia.

P: Ti ho detto che non ho tempo! Mi ascolti quando ti parlo?! E ora dormi, che devo andare.

B: Uffaaa, ma perché devi sempre andare via? Tu non dormi?

P: No! Tu devi dormire! lo devo uscire per pensare a te e alla mamma, così non vi mancherà mai niente.

B: Però tu non ci sarai, papà!

P: Cerca di chiudere gli occhi, non farmi arrabbiare.

B: Ma perché devo dormire per forza?

P: Perché te lo dico io!

B: Io devo fare tutto quello che mi dici perché sei grande?

P: Sì, è proprio così, e tu devi solo ubbidire.

B: allora voglio essere grande per comandare anch’io!

P: Guarda che mi stai facendo perdere la pazienza, tra un po’ le prendi se non mi dai retta… forza cerca di dormire.

B: Papà perché non mi abbracci mai?! Perché non mi dici mai ti voglio bene?! Perché non capisci quello che voglio?!

P: Ti avevo avvisato (prende il bastone), adesso basta, te le suono!

Il bambino blocca il colpo afferrando il bastone e togliendolo poi di mano al padre

B: No papà! lo sono grande, adesso mi “arrabbio” io!

Il bambino lancia contro il padre il peluche che abbracciava, sostituendolo con il bastone… e stringendo al petto il nuovo feticcio si addormenta

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Inaspettatamente

Inaspettatamente, Bruno Turci

Appartengono alla memoria più antica
Mondi di cui si è scordata l’esistenza

Vite lacerate
Consumate fra gli angoli più oscuri
Ove la coscienza non sa entrare…

Vite che poi tornano
comandate da una magia
che le restituisce al mondo

Inaspettatamente
Fioriscono splendide energie

 

Abbinamenti con: La città vecchia

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Sogni miei

Sogni miei, Ernesto Bernardi

Sogni miei, belli come il sole che sorge
Luminosi come stelle nel manto della notte
Buffi come cartoon che mi sorridono

Sogni miei, sussurrati dal mattino
Abbandonati quando non è ancora sera
Sogni miei, che ancora tornate
A scuotermi dalle mie paure

Sogni miei, vi raccoglierò nel mio sacco
Rattoppato col filo della speranza
Vi porterò con me sulla nave
E vi svuoterò sul ponte

Per cucire ancora una rete
Con i sogni, i nodi e le mani
Dei miei compagni di mare

Abbinamento con: A Cimma, Ho visto Nina volare, Anime Salve

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