Poesie › Forum › Radici, alberi, innesti › Il nostro Daimon
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Francesco Cajani.
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Francesco Cajani
Amministratore del forumEro sorpreso ieri mattina: pochi minuti dopo che questa lettera era arrivata via mail a tutti noi, Juri Aparo l’aveva già messa online e mi aveva inoltrato il link su Telegram…. una velocità singolare, per chi lo conosce un poco come me e sa che in questo periodo non ha tempo – come gran parte di noi, immagino – neppure per respirare. Eppure qualcosa doveva averlo interessato, ritenendola utile – alla stregua del suo lavoro in carcere e per quello che ha in mente per il prosieguo del nostro progetto – di una maggiore diffusione.
Poi nel pomeriggio, riunione nella redazione di Caterpillar per confrontarci sulla scaletta di mercoledì, e ancora Juri che prende la parola e cita a tutti i presenti il passaggio concettuale – in quella lettera – su “Le radici che non ho scelto”.
Non ricordo se nel frattempo mi guardava, quasi a chiedere cosa ne pensassi io. Troppo stanchezza, ieri, la mia. E troppe cose fatte di fretta, anche se tutte andate molto bene (ad iniziare dalla udienza delle 9.30 finita miracolosamente in fretta, per poter poi andare in aula bunker per le prove tecniche e poi ritornare ancora in Tribunale; per continuare con la notizia che alcuni giovani adulti detenuti hanno ottenuto dai Giudici il permesso per essere presenti mercoledì, unita a quella che sì, ci sarà anche Giuseppe, “papà molto appassionato” a detta di sua sorella Carla e figlio di Guido Galli).
Alla fine ho trovato il tempo per leggerla, con la calma che meritano tutte queste cose belle e preziose che ci stiamo scrivendo in questo gruppo google.
Da uomo adulto, il tema delle “radici che non ho scelto” ha sempre trovato anche me concorde. Fino a quando mi sono chiesto, come forse tanti altri – ma era sicuramente frutto un barlume di una domanda precedente, racchiusa velocemente in un cassetto emotivo della mia adolescenza – se fosse possibile invece sceglierseli i propri genitori.
Nell’approssimarsi dei miei 50 anni, leggendo Hillmann (“La forza del carattere”) in aiuto a riflettere sul tempo che avanza, mi sono ritrovato catturato da una impostazione che appare contraria al tema indicato da Samuele.
E’ sempre Hillmann, nel suo (più famoso) libro “Il codice dell’anima”: uno spunto per la buonanotte, che riporto qui sotto. E grazie anche a Samuele, in attesa di capire il mio amico Juri cosa dirà anche di questo.
“Il paradigma oggi dominante per interpretare le vite umane individuali, e cioè il gioco reciproco tra genetica e ambiente, omette una cosa essenziale: quella particolarità che dentro di noi chiamiamo “me”. Se accetto l’idea di essere l’effetto di un impercettibile palleggio fra forze ereditarie e forze sociali, io mi riduco a mero risultato. Quanto più la mia vita viene spiegata sulla base di qualcosa che è già nei miei cromosomi, di qualcosa che i miei genitori hanno fatto o hanno omesso di fare e alla luce dei miei primi anni di vita ormai lontani, tanto più la mia biografia sarà la storia di una vittima. La vita che io vivo sarà una sceneggiatura scritta dal mio codice genetico, dall’eredità ancestrale, da accadimenti traumatici, da comportamenti inconsapevoli dei miei genitori, da incidenti sociali.
Più in profondità, tuttavia, noi siamo vittime della psicologia accademica, della psicologia scientistica, financo della psicologia terapeutica, i cui paradigmi non spiegano e non affrontano in maniera soddisfacente – che è come dire ignorano – il senso della vocazione, quel mistero fondamentale che sta al centro di ogni vita umana, il destino, il carattere, l’immagine innata: le cose che, insieme, sostanziano la “teoria della ghianda”, l’idea, cioè, che ciascuna persona sia portatrice di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta.
[…]
Ciascuna persona viene al mondo perché è chiamata. L’idea viene da Platone, dal mito di Er che egli pone alla fine della sua opera più nota, la Repubblica. In breve, l’idea è la seguente:
Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine o disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, dimentichiamo tutto questo e crediamo di esserci venuti vuoti. È il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino.
Secondo Plotino (205-270 d.C.), il maggiore dei filosofi neoplatonici, noi ci siamo scelti il corpo, i genitori, il luogo e la situazione di vita adatti all’anima e corrispondenti, come racconta il mito, alla sua necessità. Come a dire che la mia situazione di vita, compresi il mio corpo e i miei genitori che magari adesso vorrei ripudiare, è stata scelta deliberatamente dalla mia anima, e se ora la scelta mi sembra incomprensibile, è perché ho dimenticato”.
Francesco Cajani
Radici, Alberi, Innesti
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