Siamo tutti fratelli Karamazov

Le parole del dottor Cajani mi hanno dato modo di riflettere. Condivido con lui la sorpresa nell’osservare lo stile di guida del dottor Aparo. Uno stile unico, direi quasi sincopato, a volte apparentemente disordinato, ma che alla fine ti porta con piacevole sorpresa dove sapevi o almeno intuivi di dovere andare, ma non sapevi di starlo facendo, ancora.

Sarà forse il callo della professione, ma c’è un incredibile invito alla ricerca di significato nel percorso guidato che stiamo compiendo insieme.
La ricerca di senso è sempre stata per me il rifugio sicuro di ogni esperienza ed anche in questo progetto sento oggi di aver intravisto la strada, maieutica, verso questo locus amoenus.

Mi sono chiesto, allora, perché. Il perché della domanda ‘chi è il protagonista de I fratelli Karamazov?’. La domanda è semplice, la risposta è complessa, lo scopo porta ad affacciarsi sul contesto dialogico della nostra ricerca.
Nella critica letteraria le risposte alla domanda si avvicendano. E non senza ragione. Molte sono già state date e molte ancora, probabilmente, verranno.
Sarebbe forse corretto parlare del carattere polifonico del romanzo che esplorando le diverse prospettive dei fratelli e del padre, Fedor Pavlovic, racconta la complessità dell’esperienza umana in ogni aspetto che ognuno dei personaggi rappresenta. Ed è tenendo questo bene a mente che suggerisco una diversa risposta.

I protagonisti del ‘nostro’ I fratelli Karamazov siamo proprio noi, nelle nostre complessità, nelle nostre esperienze, nelle nostre diversità.
In questa risposta inizio a rivedere le tappe del nostro tragitto.
Ci vedo il credito che ognuno potrebbe vantare verso gli altri, il modo di affrontarlo, infinitamente diversificato da individuo ad individuo, declinato in una serie di aspetti ed esperienze che colorano la crescita di ciascuno.
Ci vedo tutte le soggettive letture del mondo, degli errori, e del modo di affrontarli.
Ci vedo la necessità di ricomporre tutte le pagine strappate, per leggere il libro nell’insieme, di ascoltare le voci di chi ha fatto e di chi ha subito, per iniziare a capire e per non sbagliare più.

Dostoevskij ha bisogno dei suoi personaggi principali per raccontare la complessità della società russa, dei temi della morale, della religione, della libertà, della ricerca del senso della vita esattamente come noi tutti siamo i necessari protagonisti del nostro racconto.
Il tutto di cui siamo parte si scopre soprattutto nell’altro. La difficile presa di coscienza della comunità di destino di cui siamo i pezzi è il percorso per riscoprire una diversa composizione dei conflitti, che parta e sia fondata sul riconoscimento dell’altrui dignità e sullo sperimentare un’Esperienza contraddistinta dalla fiducia.

Siamo tutti fratelli Karamazov, tutti insieme protagonisti della Nostra storia.

Vincenzo Caragnano

I Conflitti della famiglia Karamazov

Uno specchio

Ho pensato subito che fosse un oggetto scelto magistralmente in quanto molto scenografico e simbolico nella nostra analisi de I fratelli Karamazov; uno specchio in cui due fratelli, che stavano rispettivamente ai lati opposti del nostro quadrato, si potessero rivedere l’uno nell’altro, in un incontro nuovo.

Seduta in un angolo del quadrato, come chi timidamente si affaccia ad un’esperienza intensa ma che vuole con tutte le sue forze vivere, vedevo inizialmente riflesso – secondo leggi della fisica che, come quasi tutti gli studenti di giurisprudenza, non comprendo – il volto di chi mi stava di fronte.

Poco dopo l’inizio dell’incontro, tuttavia, ho iniziato a scorgere qualcos’altro: un viso familiare ma dai confini sfumati, che, per quanto mi concentrassi, non riuscivo a tracciare in maniera definita.

Non era solo il fatto che fosse uno specchio giocattolo: non riuscivo a riconoscere quel volto. Continuando a seguire il discorso che dipanava la matassa intorno a me e intorno ai capitoli del romanzo, l’immagine si è via via definita, fino a restituirmi il mio stesso viso.

Non è facile ricomporre il volto di se stessi, analizzare quello che siamo, venire a patti con il proprio vissuto e con come si è vissuto, accettare chi siamo diventati e perché.

Per Dimitrij è accettare di essere più simile al padre di quanto desidererebbe; per Alesa il rassegnarsi al fatto che il suo conforto e compagno di vita è un Dio intangibile; per Ivan il cercare qualcosa che non c’è mai, e che se c’è non sembra volersi affiancare a lui; per Smerdjakov capire di essere diverso dai fratelli.

L’immagine nello specchio sorride con una punta di ironia, pensando al fatto che anche io e i miei fratelli – io, quarta di quattro, per la precisione – potremmo essere i fratelli descritti da Dostoevskij: complessi, con un vissuto comune ma che è stato elaborato in modi totalmente differenti e ci ha portato a costruire quattro identità che si incontrano e scontrano con un ritmo costante e in qualche modo, a dispetto invece dei fratelli del romanzo, armonico. Ognuno con il proprio carattere che certamente, una volta plasmato, contribuisce alla reazione agli eventi e alle sfide della vita; ognuno con il proprio mondo che, se in parte per i fratelli di sangue sembra coincidere nel periodo dell’infanzia, inizia poi a differenziarsi sempre più, soprattutto nel periodo in cui poi, come ci insegnano anche i detenuti del carcere di Bollate che abbiamo ascoltato, spesso si verificano gli eventi da cui siamo segnati e che tentiamo di elaborare, se siamo fortunati e dotati degli strumenti giusti, o da cui, nella maggior parte dei casi, tendiamo a scappare.

Alla fine del nostro incontro in carcere, nello specchio vedo con più chiarezza una me diversa: per me il “trucco” ha funzionato, e il dialogo con Marisa, Lilian, Stefano, Sebastiano e con tutti coloro che sono intervenuti mi ha regalato una visione di me più profonda e complessa.

Sono giunta quindi alla ferma conclusione che sì, Alesa è certamente figlio di suo padre: il trauma non viene infatti cancellato per come si reagisce ad esso: Fabio si sarebbe sentito ugualmente privato delle attenzioni dei genitori e abbandonato, anche se non avesse scelto di delinquere per sfogare la sofferenza.

Mi viene in mente l’esame di penale che ho appena dato: la nostra Professoressa ci teneva molto che noi imparassimo a fare l’analisi della fattispecie che troviamo nel codice sulla base di alcune voci (reato di danno/pericolo, comune/proprio e via dicendo). Un criterio dell’analisi era “indicazione della vittima del reato”, e la maggior parte dei delitti aveva una “vittima non visibile, cioè la collettività”.

Ecco, Alesa è una vittima meno visibile, ma non per questo inesistente. E allora la domanda per me più difficile che ci siamo posti è stata cosa cambiasse tra Smerdjakov e Alesa, tra me e Fabio: cosa dirotta il nostro comportamento tra male e bene, lecito e illecito?

La risposta che mi sento di dare è profondamente intrisa delle parole che ho ascoltato nei nostri primi due incontri: la solitudine.

Marisa aveva quella voce nella testa, Alesa ha un Dio che non lo lascia solo. La banale ma decisiva differenza è quell’amare e lasciarsi amare di cui parlava Don Gianluigi.

Alesa è figlio di Fedor, ma è un figlio che non è stato lasciato solo, o meglio, non si è abbandonato alla solitudine, che non le ha permesso di identificarsi con le cellule morte del suo cuore ma l’ha aperto all’incontro con l’altro.

Dimitrij chiude il cuore, operazione ben più facile e immediata, lo fa diventare di pietra. Ricordo che in una preghiera della messa, quando eravamo piccoli, Dio diceva “Vi toglierò il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne”: è necessario un qualcosa di sovrannaturale, di straordinario, di diverso da noi, per rendere il nostro cuore sensibile all’altro. Questo, che la Bibbia chiama Dio, nella mia visione è invece qualunque cosa, persona o esperienza che sia in grado di scuoterci dentro, di smuoverci, di identificare le cellule di vita del nostro cuore come una TAC e di permettere loro di procreare.

Se invece siamo nelle condizioni di Fabio, di Stefano, di Alberto, risulta quasi facile – e che impressione dire che risulti facile, in una concezione del reato così polarizzata come è la nostra opinione comune – come abbiano dirottato, cambiato la rotta, verso il comportamento criminoso.

E, tenendo presente che come si diceva il gruppo della trasgressione comprende detenuti “modello”, non ho potuto fare a meno di notare e di sorprendermi quando Stefano ha condiviso come la sua rinascita sia iniziata con la sua prima carcerazione: una mano tesa. Nulla di più, è quello che è servito a Stefano per diventare l’uomo che avrebbe sempre voluto essere.

Il protagonista del romanzo per me è il padre: o meglio, è la sofferenza che il padre ha causato e che ciascuno dei figli, e ciascuno di noi figli, ha affrontato nella propria vita; quella sofferenza che farebbe venire la voglia di chiudere, indurire ulteriormente un cuore che già tende ad essere di pietra, perché essere vulnerabili è scomodo e ci tocca nelle corde profonde della nostra emotività; la sofferenza che fa maturare un credito nei confronti della vita, che consiste in amore, protezione, affetto, e che è possibile riscuotere solo con amore, protezione e affetto, rinvenibili dentro di noi e attraverso di noi ma, secondo me, solo grazie all’incontro con Altro: un amico, l’amore, Dio, un libro, la musica ecc. (Mi viene da pensare qui alle parole di Marisa, nel nostro primo incontro, al modo in cui lei sente di riscuotere il suo credito).

È Lei dunque la protagonista del romanzo, la Sofferenza che non lascia spazio per svilupparsi pienamente come persone umane ma agisce intrecciandosi con il carattere di coloro che colpisce.

Una protagonista ingombrante, che esce dalle pagine del libro per riflettersi in quello specchio in cui, giovedì, mi sono rivista anch’io, figlia e sorella che ha vissuto.

Siamo tutti persone umane.

Angelica Brizzi

I Conflitti della famiglia Karamazov

Protagonista è la famiglia

Dimitrij, tra i quattro fratelli Karamazov, è quello che più fatica a trovare un minimo di stabilità, vivendo costantemente in balia delle proprie emozioni che non riesce a dominare. Egli, a differenza dei suoi fratelli, non riesce a trovare un punto di equilibrio:  Alëša ha trovato pace nella fede lasciandosi guidare dal proprio padre spirituale del quale si fida cecamente; Ivan si rifugia nella ragione, negando l’esistenza di un Dio che non trova ed incolpa; Smerdjakov, taciturno ed ostile verso gli altri, dedica la propria esistenza a servire il padre.

Dimitrij, invece, è inquieto, prova collera verso il padre, sentimento che emerge tanto chiaramente da portare il lettore a credere che sarà lui il parricida nel romanzo. Il credito che Dimitrij ritiene di vantare nei confronti della figura paterna è un peso troppo grande ch’egli fatica a gestire, vivendo una vita superficiale, frivola e che lo rende quanto mai simile al padre tanto disprezzato.

Sinteticamente, sono queste le ragioni per le quali alla domanda “chi è il protagonista dei fratelli Karamazov” ho risposto, di getto, Dimitrij. Ad una riflessione più ponderata, però, sono giunta a ritenere che in realtà tutti e quattro i fratelli sono i protagonisti del romanzo. O forse, ancora meglio, è l’intera famiglia Karamazov ad essere protagonista: lo stesso Fëdor – senza il quale la famiglia Karamazov non esisterebbe così come non esisterebbero i complessi e sfaccettati rapporti tra il padre e i quattro figli – insieme a Dimitrij, Alëša, Ivan e Smerdjakov, sono coessenziali al romanzo, ognuno con i propri tratti caratteriali e con le proprie fragilità.

Approfitto dell’occasione per condividere con il gruppo l’obbiettivo della mia ricerca, così sintetizzabile: imparare ascoltando l’altro e mettendosi in discussione. Ognuno di noi porta con sé le proprie esperienze, le proprie convinzioni, la propria sensibilità… in sintesi, il proprio vissuto.  Tutti noi dobbiamo esserne consapevoli nel momento in cui prendiamo posto nel teatro del carcere di Bollate in occasione dei nostri incontri settimanali e ci mettiamo all’ascolto.

“Bisogna aver visto”, è il j’accuse di Piero Calamandrei in uno dei suoi primi interventi parlamentari del 1948. Richiamando le sue parole, io aggiungo che oltre ad avere visto, occorre avere ascoltato e compreso, tenendo viva la luce della ragione e della solidarietà umana e rammentando che prima di essere detenuti, vittime, studenti, avvocati, magistrati… siamo tutti uomini che condividono la stessa dignità.

Margherita Viglione

I Conflitti della famiglia Karamazov

Dalla corruzione all’ascesi

Secondo me il protagonista dei Fratelli Karamazov è l’autore stesso e i fratelli, con le loro indoli. I loro pregi e difetti altro non sono che sfaccettature della sua anima. Certo alcuni tratti sono più riconoscibili nella realtà, altri sono più espressione di un’aspirazione verso quel modo di essere.

L’edonismo e il vitalismo smodato di Mitia gli appartengono, il tormento interiore alla ricerca dell’esistenza di Dio con relativo apparato di argomentazioni filosofiche di Ivan gli appartiene, l’aspirazione all’armonia e all’accoglienza di Alesa gli appartiene, la rabbia per l’ingiustizia di una posizione sociale determinata da un destino di origini illegittime di Smerdjakov gli appartiene.

Si chiama Fedor, come il padre dei fratelli, e non è un caso perché riconosce in lui suo padre e, come si sa, non è possibile costruire la propria esistenza se non accettando l’origine da cui si proviene e, solo da qui, nell’odio o nel perdono, è permesso tracciare il proprio percorso.

Allargando il discorso si potrebbe pensare che il protagonista del romanzo è il bisogno di conoscere l’animo umano, senza censure, esplorandolo dalle bassezze della corruzione fino all’altezza dell’ascesi e della santità. Per questo concordo con la critica quando sostiene che quando in Russia esce il romanzo, in Europa la forma romanzesca realistica aveva cominciato ad incrinarsi dunque più che figlio del secolo (come D. si definiva) D. ne è il genitore, è uno dei pilastri della crisi all’origine della coscienza moderna.

Dostoevskij dà conto dei pensieri e di come si susseguono nella testa dei personaggi e di come si influenzano, di come si concatenano secondo nessi logici ma anche di come spuntano subitanei per intuizione e come si impongono anche se illogici con una forza incoercibile.

Molti di questi pensieri riguardano il desiderio sessuale e la sua soddisfazione. Non a caso un’intera sezione è intitolata “I lussuriosi”o “I voluttuosi” a seconda della traduzione.

Nessuno si salva, nemmeno Alesa, che per sua stessa ammissione dichiara: “anch’io non ne sono esente; mi trovo sul primo gradino della scala, più in basso di voi, ma la scala è la stessa.” Tutti i personaggi ne sono contaminati, è un male trasversale. E anche la sezione successiva “Torture”o “I tormenti” è strettamente collegata alla lussuria. Il desiderio sessuale, più o meno esplicito, più o meno soddisfatto, più o meno riconosciuto, informa le azioni e le reazioni dei personaggi, determinandone l’intensità e le sfumature che poi si fanno complicazioni. Nel caso di Lise il comportamento si fa isterico. Nel caso di Katerina si fa contraddittorio, irragionevole, ingenuo e supponente. In ogni modo le relazioni tra i personaggi sono improntate, o comunque non sono mai esenti, da un esercizio del potere di sottomissione, mi verrebbe da dire improntati a un’alternanza di sadismo e masochismo.

A proposito di Fedor Karamazov ci sono alcuni tratti della sua personalità e della sua storia che forse meriterebbero un approfondimento. Condivido alcune riflessioni su di essi che non so interpretare.

Fedor fugge con la prima moglie Adelaida Ivanovna non per vero amore, dice la voce narrante, ma per interesse. Dissipa la di lei dote di 25000 rubli in un baleno, litiga con lei continuamente arrivando alle percosse, non date bensì subite (e qui ho avuto il primo moto di sorpresa). Adelaida lo abbandona cambiando città,  lui impianta una sorta di harem in cui avvengono gozzoviglie di ogni genere. Quando la rintraccia a Pietroburgo col seminarista con cui viveva, Fedor fa di tutto per raggiungerla ma viene a sapere della sua morte. Inneggia alla propria liberazione ma anche piange tutte le sue lacrime (secondo moto di sorpresa)

E’ fuori luogo pensare che l’uscita dalla sua vita di Adelaida, qualunque fosse il ruolo che ella aveva nella sua mente e nel suo cuore, lo turba al punto di perderlo?

Un’altra riflessione a margine, cui non so quale spazio e significato dare, è che nel romanzo, pur con tanti personaggi femminili, non è presente una figura significativa di madre, se non si considera la madre di Lise, che però definirei troppo marginale.

I Conflitti della famiglia Karamazov

Fëdor Michajlovič Dostoevskij

Ti ho cercato subito, giovedì appena uscito dal carcere di Bollate alle sei del pomeriggio.

Avevo qualcosa di nuovo da chiederti.

[continua qui]

I Conflitti della famiglia Karamazov

Qualcosa capisco, dove non capisco…

Alla domanda “qual è l’obiettivo che io mi pongo in questa ricerca”, dopo alcuni giorni di riflessione per cercare di trovare il mio vero motivo, scavando più a fondo, ho capito di voler provare a guardare oltre le sbarre, di ferro, del cuore e della mente, per scoprire cosa c’è dietro, ma soprattutto cosa c’è dentro.

Ho sempre amato andare oltre le apparenze e l’immagine, cercando di non cogliere solo il bianco o il nero, il bene o il male, il giusto o lo sbagliato, ma provando a lasciarmi stupire da tutte le sfumature che stanno nel mezzo e che sono il collegamento tra estremità di qualsiasi genere, il ponte che unisce, superando un concetto di dualità.

Ci sono alcuni punti che più di altri mi hanno colpito e che mi sono rimasti dentro. E forse questo è un altro dei motivi per cui ho scelto di essere qui: assorbire il più possibile, come una spugna, non soltanto ciò che viene detto, ma soprattutto ciò che viene trasmesso da sguardi, gesti, sorrisi, pianti e tutto ciò che le parole non sempre possono esprimere.

Il primo riferimento che vorrei fare è alla speranza, che dal mio punto di vista è strettamente connessa alla forza e al coraggio. Questa capacità è ciò che permette di andare avanti, lottare e vedere con gli occhi del cuore e della mente qualcosa che ancora non c’è. È crederci prima di chiunque altro o al di là di chiunque altro e avere fede, in se stessi, negli altri, nella vita.

L’ho ritrovata nella lettera di Stefano indirizzata a se stesso, così come ho percepito un grande impegno nel cercare di perdonarsi e di perdonare.
Anche nel caso del perdono penso che tutto parta dalla propria persona, dal fatto di riuscire a perdonarsi prima di poter perdonare qualcun altro. Mi chiedo infatti come sarebbe possibile riuscire a perdonare qualcuno senza essere prima riusciti a perdonare se stessi e se ci siano casi in cui questo sia invece accaduto.

Il secondo riferimento riguarda l’empatia. Tra le varie domande ci è stato chiesto quali, secondo noi, potrebbero essere degli strumenti utili ed efficaci per mettere in atto una vera e propria trasformazione. La mia risposta a questa domanda ha a che fare con programmi di educazione/rieducazione emotiva, all’empatia, alla comprensione degli stati d’animo altrui. Mostrare in modo concreto quali possono essere le conseguenze delle proprie azioni, cercando di vestire i panni di chi si ha di fronte, sia concretamente (laddove possibile) sia usando il grande potere che hanno gli esercizi immaginativi.

Penso che anche empatizzare sia qualcosa che si possa imparare a fare, con l’aiuto di una guida, tanta pratica e una corretta psicoeducazione sull’argomento. Il tutto affiancato a programmi di regolazione delle emozioni, per imparare a gestirle ed esprimerle nel modo più adatto ed efficace a sé, ma senza ledere qualcun altro.

Ci sono infine due frasi che mi piacerebbe condividere e che mi è capitato di sentire nel corso degli anni, dal momento che sono state di grande aiuto per me nei momenti di difficoltà. La prima è questa: “Pensa ai tuoi genitori e a come avresti voluto che fossero stati con te, come avresti voluto che si fossero comportarti con te, le parole che avresti voluto sentirti dire, i gesti che avresti voluto ricevere e poi diventa quel genitore. Prima per te stesso e, dopo, per tutti gli altri”.

La seconda, invece, è questa: “Qualcosa capisco. Dove non capisco, arrivo con l’amore”.

Ognuno può scegliere di usarle e adattarle a sé, di interpretarle come meglio crede e di lasciarsi trasportare dal loro significato in totale libertà. Sono doni che mi sono stati fatti e che oggi vorrei donare a voi.

Ruben Corbellini

I Conflitti della famiglia Karamazov

Il Credito e la Speranza di Dmitrij

Una parola, tanti significati, un <credito> che può essere variamente interpretato, a cui si può dare risposte diverse e da cui possono derivare conseguenze altamente diseguali. Fondamentale dinanzi ad un bivio è riuscire a percorrere il sentiero della bontà e della giustizia, quello del bene, come ha fatto Marisa.

Essenziale nel percorso è trovare un sano e credibile punto di riferimento che possa dare una svolta positiva alla propria vita e ritengo che, per rispondere alla domanda, questo sia l’obiettivo della mia ricerca: poter essere Speranza per chi quel credito ha pensato di riscuoterlo violando le regole di una sana convivenza, poter far loro capire che c’è chi li guarda con occhi diversi, che prova del bene, che è pronto a tender loro la mano per una sana rinascita e una corretta espiazione della pena, affinché sia la più consapevole ed educativa possibile. Cosa meglio di un dialogo che nasce per volere e non per dovere?

Nella vita non è mai troppo tardi per riscoprirsi, per scriversi una lettera di incoraggiamento come ha fatto Stefano, non è mai troppo tardi per scegliere il bene e l’onestà; nella vita non è mai troppo tardi per chiedere aiuto e allora io vorrò essere in questi incontri, e perché no, anche dopo, quel qualcuno che questo aiuto è felice di darlo, con un sorriso, con una parola, con la presenza, con un libro. 

Mi piace pensare che, nell’incontro di ieri, chi era lì detenuto ci abbia visti come ragazzi aperti, accoglienti e non escludenti, intenzionati a dare coraggio a chi sta riflettendo sui propri errori per non commetterne più.. credo che tutto questo sia Speranza!

Martina Bianchi

I Conflitti della famiglia Karamazov