Bollate, 11/02/2016 – Verbale dell’incontro, Manuela Matrascia
La riflessione sulla tossicodipendenza prende avvio da una domanda: La tossicodipendenza è una malattia? Sicuramente la questione è complessa: nella tossicodipendenza vi è un incrocio tra libertà e schiavitù, fra libera scelta e bisogno dell’organismo indotto dall’assuefazione. Il modo di interagire con il tossicodipendente cambia in base a come si intende la cosa: per la malattia, la risposta prevista è la cura; per la libera scelta, no.
Questo tema è stato discusso all’incontro del Gruppo a Bollate, dove i detenuti hanno cercato di rispondere a tre precise domande:
- Cos’è la tossicodipendenza?
- Qual è la risposta opportuna alla tossicodipendenza?
- I reati connessi alla malattia vanno considerati parte integrante della malattia?
Di seguito, una parte delle risposte della giornata alle domande formulate dal dott. Aparo.
“E’ importante riconoscere la malattia e intraprendere un percorso, essendone convinti e facendolo per se stessi. La tossicodipendenza è un problema al quale vanno date delle risposte; ma queste risposte non sono le stesse che si danno a una comune malattia (i farmaci); la tossicodipendenza va curata con esperienze positive e obiettivi.”
“La tossicodipendenza è una malattia a livello mentale. Perché provo piacere”
Dott. Aparo: riteniamo che fare uso di droghe sia una scelta, un’espressione della nostra libera volontà o il risultato di una malattia che riduce i nostri margini di scelta? O riteniamo si tratti di una condizione alla quale non ci si può sottrarre e nella quale i nostri margini di scelta sono azzerati? Il tossicodipendente è un individuo che ha perso la propria libertà o è una persona che ha la facoltà di guidare la propria vita?
“La tossicodipendenza è un disagio mentale che nasce in determinate situazioni. Si può intervenire stimolando il cervello di una persona”
“La tossicodipendenza è una malattia SCELTA dalla persona, si può curare con la volontà!”
“Dire che siamo malati è brutto, quindi diciamo che è una scelta, ma in questo modo non riusciamo nemmeno a riconoscere la necessità della cura”
“Quando ho chiesto aiuto in galera mi sono sentito libero, perché la droga ti svuota, ti senti vuoto dentro”
“La tossicodipendenza non ti lascia uguale a come eri, ti svuota e ti toglie sempre più le risorse; quindi l’intervento da effettuare è sempre più importante”
“Le persone iniziano a drogarsi perché hanno un vuoto dentro, ma considerarla una malattia vorrebbe dire potermi arrogare dei diritti per il fatto di essere malato, la userei come scusante”
Aparo: si è parlato dell’importanza di nutrirsi di altro, di trovare dell’altro che riesca ad appagare il soggetto più della droga, ma è stato anche osservato che occupare il tempo per scacciare il pensiero non basta…
“Lavoravo dodici ore al giorno ma pensavo solo alla droga, è necessario scavare dentro se stessi e scoprire nuove parti di sé.”
“Non accettiamo la parola “tossico” e quindi non riconosciamo la malattia, quando riconosci di essere tossico, capisci che è una malattia. Quando sei tossico non vedi più la luce, quindi per garantirti la droga o vai a rubare o ti prostituisci. Poi cresci, arrivi in carcere, ma ancora non lo accetti e non ti fai aiutare. Con la maturità e quando riconosci la tua condizione, incontri le persone giuste che ti indirizzano a non vergognarti. Se scelgo di farlo per qualcuno non funziona, funziona quando inizi a farlo per te stesso”
Aparo: che ci voglia la volontà del soggetto è sicuro, ma basta la volontà? In ogni caso, malattia o no, i reati che si commettono per provvedere alla dipendenza, li consideriamo parte integrante della malattia?
“Per fabbisogno, per riempire la mancanza, se non hai sostegno economico, devi trovare i soldi delinquendo, spacciando, così hai anche la droga per te.”
“Ci sono dei miei amici che rapinano senza drogarsi, è malattia o no? Rubano anche quando non hanno esigenze di soldi.”
Aparo: comunque s’intenda la questione, sappiamo che la dipendenza genera una mancanza alla quale il soggetto cerca di provvedere con la sostanza. Ma quali sono i confini di questa mancanza o di questa malattia? E inoltre, in un progetto terapeutico, che ruolo ci sembra possa avere la persona portatrice di questa mancanza? Che ruolo diamo a chi risponde alla sua mancanza con delle azioni che ledono gli altri e portano in galera? Che ruolo diamo al malato per tirarlo fuori da questa malattia?
“E’ l’influenza di chi è più grande di te”, “E’ il vuoto che provi dentro”, “E’ che sei arrabbiato”.
“Ma lei, dott. Aparo, cosa ne pensa?”
Aparo: per il momento, preferisco lasciare a voi e porre a me stesso una serie di domande:
- Acquisito che il reato con cui si cerca di procurarsi ciò che manca è un danno per il soggetto e per la collettività, quali strumenti ho per rispondere a questo danno?
- E quale ruolo dovrebbe avere il tossicodipendente nella risoluzione del problema?
- Se, come diverse persone hanno detto, è necessario che il soggetto abbia un alleato, come deve essere questo alleato?
- Come deve essere quest’alleanza, questa relazione fra alleati? Perché l’alleanza fallisce così spesso?
- E’ utile per il tossicodipendente essere considerato una persona che ruba non perché ha deciso di farlo ma perché costretto da una mancanza? Dobbiamo considerarlo il burattino della sua mancanza? Un burattino pilotato da una mancanza che però ha preso corpo quando non si era ancora burattini e magari ci si sentiva o si sperava di diventare burattinai
- Fra burattini vinti e burattinai di cui si sono perse le tracce, con chi dobbiamo provare a formulare un’alleanza utile? A chi chiederlo se non a voi che conoscete sia l’uno che l’altro?