“L’esperienza con i boyscout è alle nostre spalle, ma sento che gran parte del suo valore lo ritroveremo e lo spenderemo nel tempo che abbiamo davanti”
Questo pomeriggio dentro il carcere di Opera sentirò raccontare delle storie, ma una storia ne ha sempre un’altra che la contiene…
CAPITOLO PRIMO
Per quanto mi riguarda, il “c’era una volta” parte dal febbraio del 2002 quando – per i misteri della vita – mi sono ritrovato ad accompagnare una scolaresca in visita alla redazione de “Il due” nel carcere di San Vittore. Ricordo ancora perfettamente 40 minuti fitti fitti a sentire parlare, tra le altre cose, di uno psicologo che aveva fondato un Gruppo detto addirittura “della Trasgressione” e ad un certo punto, seduto fino a quel momento in silenzio intorno al tavolo, una voce che soddisfa la mia curiosità: “il dott. Aparo sarei io”. E’ capitato a molti di scambiare Juri per un detenuto, e così è capitato a me fino a quando l’ho sentito prendere la parola. E non è stato amore a prima vista, si badi bene….. questo lo ricordo sempre perché a quell’incontro ne seguì un altro, nei mesi successivi in un bar vicino al carcere, che suggellò quello che in altre occasioni ho definito “un patto tra macellai”. Nella mia incoscienza educativa proposi uno scambio di prigionieri: carne giovane di giovani scout in cerca d’autore vs. carne meno giovane ma ugualmente interessante. I primi prigionieri dei preconcetti tipici dei loro 19/20 anni, i secondi prigionieri di mura troppo strette. Entrambi però desiderosi di evasione, e – sia pure in quella prima fase inconsapevolmente – di mettersi a nudo fino al punto di farsi tagliare a piccoli pezzi da questa prospettiva di cambiamento interiore. In questa trattativa la frase più “gentile” che Juri mi attribuì fù la seguente: “tu puzzi troppo di cristiano”. Falso… e comunque, nel corso degli anni, le parti si sono invertite anche su questo tema. Nonostante queste premesse e la circostanza che poi superai anche il concorso per magistratura, l’idea (nostra, perché in fondo in fondo so per certo che lui non aspettava altro per il Gruppo) risultò vincente: partimmo nel marzo dell’anno dopo (2003) con il primo incontro in carcere, e da quel momento non abbiamo mai smesso. Il nostro workshop scout sull’educazione alla legalità, dopo una prima esperienza nel 2001 completamente diversa ma ugualmente significativa, partiva proprio ponendo l’incontro con il Gruppo della Trasgressione al centro dei temi da affrontare insieme, anche grazie al prezioso supporto dell’Associazione Carcere Aperto di Monza, portata in dote a Milano da Silvia Consonni (compagna di clan prima e di studi universitari dopo, oggi Avvocato penalista) che in quei primi anni ebbe l’intuizione di utilizzare il tema carcere come “esca educativa”. Il sabato pomeriggio, usciti dal carcere di San Vittore dopo quel primo incontro con il Gruppo, le emozioni di tutti i ragazzi partecipanti erano palpabili: passammo l’intera serata intorno a un grande cerchio, ciascuno raccontando di sé attraverso una canzone. Arrivò a sorpresa anche Juri con una chitarra, e cantò De Andrè (prove per i primi concerti della Trsg.band) per 4 volte di seguito (la capacità di sintesi del personaggio è nota). E io, ovviamente, De Gregori… ma, per me, bastava solo “La storia siamo noi”. Nonostante questa ulteriore frattura (musicale), anno dopo anno, incontro dopo incontro, da Juri arrivò anche un complimento … meritato, perché rivolto (non certo a me ma) ai partecipanti dei primi quattro anni: “in carcere è entrato un fiume vitale, capace di moltiplicare le possibili combinazioni del desiderio di riconoscersi”. Questo fiume vitale condusse, quale dono della moltiplicazione, all’approdo del Gruppo della Trasgressione in molti istituti scolastici. Ed impagabile fu per me il piacere di constatare che un gruppo di criminali riusciva ad incidere sull’indole di adolescenti, in 3 ore di “lezione” nelle classi, molto più di quanto gli insegnanti in un triennio. Ma nonostante questa nuova forza (e, con essa, una sempre maggiore “dispersione positiva di energie”), con il Gruppo continuammo a progettare insieme nuove possibili combinazioni, financo a coinvolgere in questa esperienza di incontro – per ben due anni nel 2011 e 2013 – anche educatori scout provenienti da tutta Italia. Fino ad allargare quel “desiderio di riconoscersi” alle vittime di reato… CAPITOLO SECONDO Ma questa storia non avrebbe senso se non riconoscessi, anche qui, quello che mi sono portato a casa io. Molte cose necessariamente dovranno rimanere, anche dopo 15 anni, ancora custodite in me: sono quelle storie (non mie) che alcuni ragazzi e ragazze hanno voluto affidarmi, adottandomi spesso come un fratello maggiore. Altre le ho risistemate, in queste settimane, mettendole ad una ad una in fila in una bacheca elettronica e pescandole – per lo più – da alcuni miei appunti che poi hanno preso la forma di pensieri (spero) più strutturati ma soprattutto dai vecchi resoconti ancora online sulle pagine di trasgressione.net. Di questi ultimi, alcune riflessioni finali dei partecipanti hanno avuto la forza di cambiare – insieme a me – anche il peso specifico del workshop stesso: penso, tra le tante, alle parole di Valeria e di Sofia… due visioni contrapposte che nel tempo hanno trovato una loro, oserei dire, mediazione. Già… perché in tutto questo c’è anche un’altra data di questa storia: 30 giugno 2005. E’ proprio a quell’incontro sugli “obiettivi della punizione”, organizzato dal Gruppo della Trasgressione, che conobbi Walter Vannini e Guido Bertagna, entrambi amici di Juri. Guido “incastrò” me l’anno dopo nell’organizzazione di una giornata con alcuni ragazzi sul tema delle vittime di reato, e io – che non sapevo poi come continuare da solo su questi temi ma che percepivo essere importanti (perché effettivamente “siamo più probabilmente vittime che probabilmente criminali”) – a mia volta “incastrai”, anche professionalmente, Walter. A questo punto il passo verso il Centro per la giustizia riparativa e la mediazione del Comune di Milano è stato breve, fino a quella silenziosa lettura dei nomi delle vittime innocenti della mafia lo scorso 21 marzo all’interno del carcere di Opera. E così, partendo da quella feconda idea di carcere come “esca educativa” per i ragazzi, siamo col tempo finalmente riusciti a regalare – in tre giorni dell’anno, tra febbraio ed aprile – occhiali per una visione prospettica su quello che succede quando viene commesso un reato: uno strappo nel tessuto sociale. Uno strappo di cui, molto spesso, gli stessi ragazzi partecipanti sono stati vittime. E sono venuti al nostro workshop per iniziare ad afffontrare la fatica del ricucire, del rimettere insieme pezzi di carne. Anche se si sono ritrovati “dalla parte sbagliata”. Non sempre però tutto è andato secondo le previsioni: ed anzi un incontro pubblico (durante il quale prese la parola anche un detenuto in permesso e in quel periodo ospite dell’Associazione Il Girasole) riuscì a mettere a dura prova le mie piccole capacità di uomo…. ma anche qui Juri è stato, come sempre, protettivo. Protettivo nel senso di marcare sempre il campo di gioco per un confronto costruttivo…. ho recuperato gli appunti di quella domenica mattina e ho trovato anche la domanda di Juri a chi aveva appena concluso l’intervento: “se lei è un cristiano, come dice di essere, la vittima per definizione è suo parente… non le sembra quindi strano che lei non sappia come rivolgersi a quella persona che è morta, se non dirle che non si sente responsabile per quello che è successo? Perché è solo quando l’uomo cerca la sua responsabilità che diventa libero”. Protettivo anche nei miei confronti, nel senso di togliere la parola ai detenuti quando tentavano di barattare l’immagine di me in carcere (cittadino come tutti gli altri, che si vuole porre delle domande di senso) con quella di una Autorità assente (che io non ho mai inteso, peraltro, difendere). E poi ci sono stati anche gli spari in Tribunale a Milano, la mia Polizia Giudiziaria nei corridoi con le pistole di ordinanza in pugno e la mia amica Caterina, incinta e chiusa in una stanza insieme ad altre 40 persone. E la mia (seconda) fatica di passare oltre durante il workshop dell’anno successivo… Ma tutti poi ci siamo rimessi in cammino, grazie a quella forza accumulata (come una piccola riserva interiore) durante gli anni precedenti, workshop dopo workshop. CAPITOLO TERZO Certo … fin dal 2003 parte essenziale in tutto questo camminare l’hanno fatta anche persone straordinarie come Luigi Pagano, Gloria Manzelli e Giacinto Siciliano che negli anni hanno voluto, anche loro, mettersi in gioco con noi. Ad essi si aggiungono tutti coloro che, con spirito di servizio, hanno condiviso le fatiche organizzative e supportato/sopportato il tutto (sottoscritto compreso). Carlo Sbona in primis, che mi ha regalato il pallone per iniziare a giocare. Offrendomi così l’occasione concreta per rimettermi in cammino e senza del quale dunque – mi piace pensare anche oggi – io sarei rimasto vittima delle mie idee astratte (e, come tali, campate per aria). Perché “una idea, un concetto, una idea fin che resta una idea è soltanto un’ astrazione”…. ed effettivamente, Gaber docet, siamo davvero riusciti a “mangiarci” questa idea, metabolizzandola e facendola camminare con le gambe di tutti i capi scout della staff organizzativa che, negli anni, hanno poi aggiunto idee su idee. Grazie anche a sensibilità diverse dovute a professioni diverse e a traiettorie esistenziali non pienamente sovrapponibili a quelle di un Pubblico Ministero e/o di un Avvocato penalista. E, tra queste idee, è pure fiorito Il Girasole che è diventata una realtà associativa all’avanguardia – a due passi dal carcere di San Vittore – anche nell’accogliere i familiari dei detenuti, familiari che scontano una analoga pena senza aver commesso il reato. Ed, infine, parte ugualmente essenziale sono stati tutti quei professionisti che abbiamo scomodato, spesso al freddo ed in week end improponibili, per aiutare – con la loro presenza attiva durante tutte le varie fasi del workshop – i ragazzi (ma, prima ancora, noi della staff). E tutti i Familiari che hanno voluto regalarci un pezzo della loro fatica nel rendere testimonianza ai loro cari uccisi. Si capisce dunque che siamo oggi di fronte ad un “noi” molto numeroso, non più limitato a detenuti da una parte e ragazzi dall’altro. In mezzo a questo “noi” ci sono (e ci sono sempre stato) anche io… e l’esercizio di rimettere tutto in ordine in quella bacheca, in uno con alcuni messaggi pervenuti per la festa di compleanno di domani, mi ha dato l’occasione di voltarmi per vedere limpidamente tutta la strada percorsa. E ho riscoperto il tesoro di questi 15 anni insieme, perché – altro tema ricorrente del coach Aparo e che ho riscritto sul mio taccuino di strada anche il 7 settembre scorso nel carcere di Opera con Marisa – “la riflessione è un lusso che non sempre l’essere umano si vuole concedere”. Da buon macellaio che volevo essere, il primo che si è “fatto tagliare a pezzetti” da tutta questa storia sono stato io. Perché il Gruppo della Tragressione è stata una palestra vitale anche per il mio essere Pubblico Ministero, e di questo esercizio porto ancora con me il peso della maggior fatica nell’affrontare il mio ruolo istituzionale ogni giorno. Ma, come contrappeso, l’impagabile senso di una ritrovata profondità d’animo. E allora grazie a tutti per questa storia, che finalmente posso qui raccontare anche ai miei due piccoli tesori in carne ed ossa, anche se stasera li ritroverò già addormentati al mio ritorno a casa. THE END “And in the end/the love you take/is equal to/the love you make”…. Forse Juri, questo pomeriggio, mi ricorderà pubblicamente che anche questa strofa puzza di cristiano, ma è sempre un altro evergreen della mia colonna sonora. E poi su una cosa anche sir. Paul sbaglia: dall’esperienza del Gruppo della Trasgressione io ho ricevuto più di quanto possa essere riuscito a dare! Grazie quindi anche a te, caro Angelo detto Juri per motivi ancora a me non del tutto chiari (al di là di quanto tu sei solito professare): nonostante le incommensurabili distanze nel nostro apparire e al netto di questo mio resoconto storico strampalato, tu sai quanto sia stato per me importante tutto questo nostro incontrarsi, “dentro e fuori” dal carcere. E, last but not least, grazie a tutti noi per questo bel regalo di compleanno che ci siamo fatti, in tutti questi 15 anni. |