Milano, Bollate: il carcere riprogettato da futuri architetti e detenuti
Carcere Bollate, 23-01-2018, ore 9:30
Un progetto che coinvolge studenti, chi sconta una pena e i poliziotti penitenziari per ripensare gli spazi comuni nella casa di reclusione di Milano-Bollate – Corriere della Sera, lunedì 8-01-2018
di Francesca Bonazzoli
Prima c’è stata l’invasione di 65 studenti di architettura nel carcere di Bollate, poi i detenuti hanno restituito la visita al Politecnico di Milano. Non è stata una gita, ma uno scambio nell’ambito del progetto «Una traccia di libertà», partito lo scorso ottobre con l’obiettivo ambizioso di ripensare i luoghi in condivisione del carcere e con l’idea che progettare un’architettura stimoli a strutturare da protagonisti anche lo spazio della mente e della vita.
«Sono stati tantissimi gli studenti del laboratorio di progettazione architettonica che hanno fatto richiesta di partecipare», spiega Andrea Di Franco, il docente che coordina la ricerca con i colleghi Chiara Merlini, Michele Moreno e Lorenzo Consalez. E prosegue: «Alla fine abbiamo dovuto selezionarne solo 65, tutti con una media superiore al 29, a causa del limite di ingressi a Bollate dove insieme al direttore Massimo Parisi abbiamo fatto cinque giornate di incontri fra studenti, detenuti e agenti di polizia penitenziaria per capire le esigenze e i problemi di chi vive recluso».
Un sostegno fondamentale è venuto da Angelo Aparo, fondatore del «Gruppo della trasgressione», che ha coinvolto carcerati e agenti. Il lavoro si è svolto in tredici gruppi, ognuno dei quali si è occupato di un tema specifico come affettività, culto, scuola, detenzione femminile o sport. L’ultimo incontro è previsto per il 23 gennaio alla presenza delle alte cariche di Politecnico, Amministrazione penitenziaria, Comune e Regione. «I giovani sono idealisti, ma amano le cose concrete. In questa ricerca hanno visto la possibilità di cambiare in meglio la società — continua Di Franco —. Da chi vive nel carcere sono venuti i consigli per ricondurre sulla terra le idee degli studenti ma spesso anche per osare e pensare ancora più in grande».
“Ho scelto di partecipare proprio perché è un tema aperto a visioni utopiche”, racconta Cristiano Gerardi, 23 anni, la cui sorpresa più grande è stata scoprire la maturità dei carcerati. “Ho capito che riflettono molto. Esprimono pensieri profondi che non si sentono al bar o per strada. Uno di loro mi ha detto che in carcere la giornata è piena di azioni ma priva di accadimenti e ad ogni visita dei parenti si accorge che la vita fuori è andata avanti. Il nostro progetto mira appunto a creare un senso di urbanità e di città dentro il carcere”.
Anche Stefania Rasile, 22 anni, ha visto in questo laboratorio una sfida: “Noi architetti siamo abituati a progettare gli spazi agendo liberamente. Mentre nel carcere ci sono grandi limiti e la sfida è trovare il modo di cambiare la qualità della vita rispettandoli. Il mio gruppo si è concentrato nell’ambito dell’affettività perché non solo la sessualità, ma anche gli affetti e gli incontri famigliari rimangono ancora un tabù”.
«Se vogliamo che il carcere si trasformi da problema a struttura di servizi utili per il quartiere e in uno strumento di responsabilizzazione del detenuto, allora non basta abbattere una parete per creare un luogo di culto o riadattare i reparti maschili in femminili — aggiunge Andrea Di Franco —. Il carcere non va rammendato, ma scucito completamente e ripensato». Un cambiamento si vedrà subito.
Andrea Di Franco a Radio Popolare
Il laboratorio vuole lasciare un segno concreto e punta a costruire un piccolo luogo destinato ai colloqui: una struttura leggera in legno, una «Traccia di libertà», che sta cercando un finanziatore nella convinzione che ogni volta che si mette l’uomo nella possibilità di fare un progetto, gli si restituisce la libertà.
Angelo Aparo, intervista di Sanja Lucic a Radio Popolare