A volte di fronte a un gesto di apertura, a uno scambio coraggioso proviamo commozione. Ci inteneriscono e ci conquistano i bambini, gli animali protagonisti di questo genere di eventi… che noi guardiamo con il sorriso benevolo dell’adulto e un po’ col desiderio di trovarci al loro posto.
L’improvvisa vicinanza, la sintonia fra soggetti, che a prima vista sembrano tanto distanti da non poter comunicare, ci cattura come se quella nuova e inattesa prossimità fosse la meta dei nostri desideri più antichi.
In questi giorni attorno a Natale girano tanti video che raccontano del bisogno nato con noi stessi, quello di trovare una risposta protettiva alla nostra fragilità, una esigenza così arcaica che non si lascia zittire nonostante le dimenticanze di cui siamo tutti più o meno responsabili, nonostante i ripetuti tentativi di surrogare il nostro primo bisogno dell’altro con pratiche mirate a dominare il bisogno e l’altro in quanto tale.
Mi fa piacere riportarne qualcuno dei video visti in questi giorni e di fronte ai quali mi sono sentito come un bambino che, tornando a casa dopo avere a lungo giocato, trova ad attenderlo il pane caldo preparato dalla nonna. E, a proposito di pane caldo, credo che quello che ognuno di noi prova di fronte al risveglio del desiderio antico possa e debba essere usato con i più giovani e… con le persone più distratte come fanno il panettiere o la vecchia nonna con il lievito madre: lo usano per dar vita al pane fresco e dall’impasto del nuovo pane ricavano quello che sarà il lievito per il prossimo giro.
Va nella stessa direzione dei video il dialogo a distanza pubblicato da Paolo Foschini sul CORRIERE DELLA SERA del 24/12/2018.
Mentre leggevo, ho associato subito il lievito madre al fatto che siamo tutti figli dello stesso seme, un altro dei tanti temi di cui parliamo al Gruppo della Trasgressione.
Oggi credo che l’uomo ha delle spinte emozionali tali da immedesimarsi nella storia dell’altro fino a viverla con la stessa intensità… anche quando, a volte, sente questa prossimità dopo essere stato violento verso gli altri. A volte associo tutto questo al delirio di onnipotenza e alla brama d’infinito di cui l’uomo è vittima.
Da ragazzo, nel mio delirio, cercavo di controbilanciare la portata delle mie azioni criminali, facendo il prodigo con le persone del mio quartiere; le aiutavo a garantirsi la spesa quotidiana e, quando potevo, a trovare un lavoro.
Anni fa lo raccontai al Gruppo e il dottor Aparo fece un discorso, oggi dico prezioso, analizzando e associando il tutto, appunto, al delirio di onnipotenza.
In sostanza, l’uomo vuole essere sempre protagonista nel bene e nel male, dissociandosi dalla coscienza dell’altro e della propria fragilità che, invece, hanno nella nostra vita il ruolo irrinunciabile del lievito madre.
Roberto Cannavò.