La Responsabilità dei Burattini

“[…] tra giusto ed equo pur essendo entrambi buoni, è l’equo che ha più valore. 

Ciò che produce l’aporia è il fatto che l’equo è sì giusto, ma non è il giusto secondo la legge, bensì un correttivo del giusto legale. 

Il motivo è che la legge è sempre una norma universale, mentre di alcuni casi singoli non è possibile trattare correttamente in universale. […] l’errore non sta nella legge né nel legislatore, ma nella natura della cosa, giacché la materia delle azioni ha proprio questa intrinseca caratteristica. 

Quando, dunque, la legge parla in universale ed in seguito avviene qualcosa che non rientra nella norma universale, allora è legittimo, laddove il legislatore ha trascurato qualcosa e non ha colto nel segno, per avere parlato in generale, correggere l’omissione, e considerare prescritto ciò che il legislatore stesso direbbe se fosse presente, e che avrebbe incluso nella legge se avesse potuto conoscere il caso in questione. 

Perciò l’equo è giusto, anzi migliore di un certo tipo di giusto, assoluto, bensì del giusto che è approssimativo per il fatto di essere universale. Ed è questa la natura dell’equo: un correttivo della legge, laddove è difettosa a causa della sua universalità. 

Questo, infatti, è il motivo per cui non tutto può essere definito dalla legge […]. Come il regolo di piombo usato nella costruzione di Lesbo: il regolo si adatta alla configurazione della pietra e non rimane rigido, come l’equo si adatta ai fatti […]”. 

Aristotele, Etica a Nicomaco, cap V,14 – 1137b

L’Istituto IIS Spinelli di Sesto San Giovanni ha ospitato gli autori dello Strappo: quattro chiacchiere sul crimine, per condividere con gli studenti al quinto anno, una delle tante riflessioni possibili sul tema Cittadinanza e Costituzione, che sarà oggetto di colloquio in sede d’esame di maturità a partire da quest’anno.

Tra gli altri, sono intervenuti alcuni detenuti che fanno parte del Gruppo della Trasgressione, una realtà che opera da 22 anni nelle carceri milanesi con l’obiettivo di promuovere l’evoluzione dei condannati e il loro possibile reinserimento sociale dopo il fine pena.

Dalle parole dei detenuti del Gruppo della Trasgressione è emerso che all’epoca in cui commettevano reati la vittima per loro non esisteva, non esisteva il suo dolore, non esistevano le conseguenze dell’azione che stavano compiendo così come non esisteva la possibilità di scegliere di agire altrimenti.

A dire di chi ha commesso reati, nel momento in cui il fatto avviene il suo esecutore ha in mente solo l’azione da compiere e tutto il resto non esiste, nel senso che non viene neanche preso in considerazione. 

Oggi i detenuti che negli anni si sono allenati a riflettere dicono che in passato sono stati come burattini che eseguivano ordini di qualcun altro o di una parte di se stessi con la quale non erano capaci di dialogare per proporre alternative alle azioni che erano determinati a compiere.

Da qui è stata sollevata la domanda: “Se i responsabili del reato oggi considerano che ai tempi in cui lo hanno commesso erano burattini, come si può giudicare la loro responsabilità nel momento in cui bisogna decidere di comminare loro una pena?”.

Hanno provato a rispondere studenti, docenti, magistrati e psicologi.

Uno studente ha detto: “Prima che le persone commettessero reato non era possibile aiutarle, quindi bisognerebbe provare a farlo dopo”.

Il magistrato seduto al tavolo della discussione ha chiarito che per la legge esiste il soggetto e la sua responsabilità che è sempre individuale: lo dichiara la Costituzione al primo comma dell’art 27, quello stesso articolo che poco più sotto dice che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato.

Lo psicologo che coordina le attività del Gruppo della Trasgressione ha fatto presente che prima del reato esiste l’ambiente in cui il reato si produce e che, quasi sempre, commette reato chi vive nel degrado. Pertanto la società che vuole tener conto della Costituzione deve interrogarsi sul rapporto che c’è tra il degrado in cui si cresce e il degrado che si appropria della mente delle persone che commettono reato. Questo non per sollevarle dalla responsabiltà delle loro azioni ma per non rinunciare alla complessità che la domanda sulla responsabilità dischiude.

Nel tentativo di mettere in ordine le suggestioni raccolte per cercare di dare il mio contributo alla costruzione del pensiero, mi chiedo: 

Ammesso che le persone che hanno commesso i reati fossero responsabili al momento dell’azione, quanto di fatto erano libere? Ovvero quanto erano libere di avere sentimenti diversi da quelli che le hanno indotte a scegliere di fare quello che hanno fatto? 

Se è vero che la responsabilità dell’atto criminale non può che essere imputata all’individuo che lo ha compiuto, chi è responsabile dei condizionamenti che hanno contribuito a costruire il degrado nella mente di chi all’epoca dei reati non era capace di fare una scelta diversa da quella criminosa?”. 

A partire da queste domande propongo due considerazioni.

Prima considerazione:

Personalmente credo che la responsabilità delle condizioni di scarsa libertà in cui gli esecutori dei crimini hanno agito sia in parte di ciò che la Costituzione all’art. 3, comma 2, chiama la Repubblica:

“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Mi piace pensare che nella mente dei padri costituenti, quando hanno scritto il terzo comma dell’art. 27 che dice che la “la pena deve tendere alla rieducazione del condannato”, ci fosse la consapevolezza che la Repubblica può fallire il compito che le affida il terzo articolo della stessa Costituzione ovvero “eliminare gli ostacoli che limitano la libertà delle persone e l’uguaglianza dei cittadini”. 

Se questo avviene, se la Repubblica fallisce il dettato dell’art 3, la ri-educazione di cui parla l’art. 27 non è altro che la seconda possibilità che la Costituzione si dà, e dà a tutta la società civile, per non rinunciare a perseguire il suo obiettivo: ovvero promuovere la formazione di cittadini come persone libere e quindi individui pienamente responsabili delle proprie azioni.

Perché per la Costituzione l’obiettivo collettivo da perseguire è più importante dell’errore individuale da stigmatizzare.

Seconda considerazione:

Se i giudici che in Tribunale comminano le pene devono per forza fare riferimento al valore della Giustizia intesa come fedele applicazione della legge e quindi devono considerare responsabile delle sue azioni chi ne è di fatto l’esecutore; la Repubblica di cui parla la Costituzione e che mi piace considerare nel senso alto della Politeia platonica che letteralmente significa “cittadinanza” ovvero “insieme di tutti i cittadini”, ha bisogno di fare riferimento al valore dell’Equità così come è descritta da Aristotele nel libro V della sua Etica a Nicomaco.

Per Aristotele la Giustizia è la più alta delle virtù etiche, tuttavia non è un concetto assoluto e monolitico. Il filosofo distingue tra Giustizia ed Equità, sostenendo che la seconda sia un correttivo della prima, che ha per sua natura la necessità di fare riferimento a principi universali, intatti e perfetti incapaci di tenere conto di realtà individuali imperfette e multiformi.

Aristotele sostiene che chi in ogni occasione pretenda di decidere appellandosi a un principio di giustizia considerato saldo e inflessibile si comporta come l’architetto che tenti di usare una riga dritta per misurare le complesse curve di una colonna scanalata. 

La Repubblica/Cittadinanza di cui parla la Costituzione non sta solo nei Tribunali, pertanto dopo che la pena è stata comminata dal giudice sulla base del principio legale della Giustizia, la Repubblica depone il metro rigido e si sforza di costruirne uno sufficientemente equo per compensare lo scarto tra il principio universale a cui si deve fare riferimento e la realtà, troppo complessa, fuggevole e imperfetta per poter essere ricercata, compresa e misurata col metro della perfetta giustizia.

[l’immagine è stata presa dal sito karatedomagazine.com]

 

Relazione di tirocinio

TIROCINIO PRE LAUREA PRESSO “ASSOCIAZIONE TRASGRESSIONE.NET”

Lucia Brizzi, Matricola:  822087
Corso di studio: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE
Tipo di attività: Stage  esterno
Periodo: dal 09/1/2018 al 02/01/2019

 


Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

Il gruppo della trasgressione è un’associazione che opera all’interno degli istituti penitenziari milanesi di Milano Opera, Bollate e San Vittore.

Il gruppo è guidato dal Dott. Angelo Aparo, psicologo e psicoterapeuta che lavora da anni all’interno degli istituti. L’obiettivo, grazie alla collaborazione fra detenuti, volontari e studenti universitari, è di sviluppare una sinergia interna e un dialogo costruttivo per l’individuo attraverso tematiche che portino all’introspezione e a indagare sul passato. I detenuti, gli studenti e i volontari si scontrano con la propria emotività, con le debolezze, con la rabbia e l’orgoglio: la riflessione è faticosa, ma è una sfida con se stessi.

Inoltre, grazie a tale dialogo, che prende forma a partire dagli incontri settimanali che si svolgono all’interno degli Istituti, si sviluppano le diverse attività proposte dal gruppo mediante convegni, seminari, concerti e rappresentazioni teatrali che spesso coinvolgono gli studenti delle scuole medie e superiori.

Grazie al gruppo, il detenuto è spinto a reinserirsi nella società, non più come un soggetto deviante, bensì come membro effettivo in grado di dare un contributo utile grazie alla consapevolezza e alla responsabilizzazione maturate nel corso degli anni. Quello che una volta era considerato un membro “deviante” della società diventa così un membro “operante”.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

In quanto tirocinante ho partecipato agli incontri fissi del gruppo, ad alcuni incontri con gli studenti e ad eventi come il mercatino organizzato all’interno della casa di reclusione di Bollate.

Il mio ruolo consisteva nell’osservare criticamente le dinamiche del gruppo e gli interventi dello psicologo/coordinatore, oltre che nel partecipare attivamente con riflessioni e pensieri personali sulle tematiche discusse.

Inoltre, dal punto di vista logistico, ho aiutato nell’organizzazione di alcuni convegni che prevedevano la partecipazione di persone esterne agli istituti carcerari e mi sono occupata della creazione di alcuni eventi sulla pagina Facebook dell’associazione, al fine di divulgare le attività svolte dal gruppo.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

L’associazione propone numerose attività volte a rendere i detenuti consapevoli e in grado di dare un contributo alla società. Le attività settimanali consistono nel discutere tematiche differenti facendo emergere i diversi punti di vista dei partecipanti al gruppo con riflessioni autocritiche.

Ogni mese sono portati avanti vari progetti nelle scuole con lo scopo di aiutare i detenuti ad entrare in contatto con i ragazzi, in modo da dar loro la possibilità di raccontare le proprie esperienze rendendole strumento di prevenzione per le devianze giovanili. Questi incontri danno la possibilità di un’interazione curiosa e insolita tra adolescenti e detenuti, con spunti di riflessione da e per entrambe le parti in gioco: i detenuti si interfacciano con le nuove generazioni e gli studenti hanno la possibilità di conoscere una realtà che non sempre è realmente distante da loro.

Inoltre, da poco è stato avviato un progetto rivoluzionario che ha consentito ad alcuni detenuti ergastolani con la semi libertà (reclusi al carcere di Opera) di poter entrare a San Vittore come cittadini liberi grazie all’articolo 17. Il progetto permette di mettere in contatto persone detenute da anni e con un percorso rieducativo alle spalle con dei giovani detenuti ponendosi due obiettivi: responsabilizzare e rendere utili alla società i primi ed educare i secondi.

Tra le proposte rivolte al pubblico vi è la rappresentazione del mito di Sisifo a cui partecipano i componenti del gruppo (detenuti, studenti e volontari). Ciò permette a tutti di mettersi in gioco in prima persona, con uno scopo didattico sia per gli “attori” sia per gli spettatori. Un elemento importante di tali rappresentazioni è l’improvvisazione: gli attori si preparano sulle tematiche, le studiano e le elaborano per poterle trasmettere con maggior intensità possibile, ogni volta con parole e gestualità diverse.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Il coordinatore era presente a tutti gli incontri e a tutti gli eventi organizzati e aveva un rapporto diretto con tutti i tirocinanti. Egli cercava di farci sviluppare un pensiero critico e uno sguardo curioso verso la realtà carceraria. In quanto tirocinante dovevo mantenermi aggiornata sui diversi eventi organizzati dal gruppo e prendere appunti sui temi trattati e sulle eventuali organizzazioni degli eventi.

 

Conoscenze e abilità acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Tale esperienza mi ha portato ad acquisire conoscenze di diverso tipo.

Ho imparato a conoscere, seppur superficialmente, il mondo carcerario da un punto vista burocratico (richieste d’ingresso in carcere, richieste per fare uscire i detenuti), organizzativo (come si organizzano gli eventi che prevedono la partecipazione di persone detenute), ma soprattutto umano (il rapporto tra detenuti, detenuti-assistenti e detenuti-educatori).

Ho approfondito le dinamiche interne al gruppo, apprendendo concetti studiati precedentemente solo attraverso corsi universitari, e osservando come si possano sviluppare delle discussioni a partire da spunti filosofici, politici, sociali come dalle dinamiche quotidiane, apparentemente lontane dagli argomenti che verranno trattati.

Inoltre, ho esperito personalmente quanto l’ascolto e la condivisione possano essere difficili, ma anche come una coesistenza di essi possa portare a una crescita importante, capace di facilitare la comprensione dell’altro.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Grazie al tirocinio sono riuscita, parzialmente, a combattere qualche mia insicurezza e timidezza nel parlare di fronte agli estranei. Questa esperienza mi ha spinta a superare i miei limiti: ho dovuto parlare di fronte a un centinaio di studenti (in un momento inaspettato), sono stata mandata come “rappresentante” del gruppo in alcuni eventi. In questi casi, sono stata caricata di una responsabilità che mi ha aiutato ad avere fiducia nelle mie capacità espressive.

Ero una componente effettiva del gruppo, dovevo mettermi in gioco non solo come osservatrice, e ciò mi ha portato a sviluppare maggiori capacità nell’analizzare criticamente la realtà.

Il gruppo della trasgressione mi ha fatto riflettere molto su me stessa, su chi sono, chi voglio diventare. Il confronto con una realtà che vedevo come distante anni luce, mi ha portato a capire l’importanza di progettare il mio futuro e cominciare da subito a costruirne le basi.

 

Altre eventuali considerazioni personali

Più volte, al gruppo e nei momenti di incontro con gli studenti, si è parlato di progettualità. Si è detto che il progetto è ciò che ti porta a vivere con criterio e che ti guida nelle scelte. Per molti detenuti tale progetto non si è delineato o è stato cancellato e questo, insieme ad altri motivi contingenti, li ha portati a un disorientamento che li ha successivamente condotti alla reclusione.

Il disorientamento è ciò che, a parer mio, avvicina il mondo dei giovani di oggi e dei detenuti. Nella società odierna la maggior parte dei giovani non ha un progetto. Ciò potrebbe essere imputabile a una mancanza di prospettive o anche solo alla superficialità e al disinteressamento degli stessi.

Eppure, non tutti i ragazzi diventano dei delinquenti, non tutti commettono reati, non tutti si ritrovano a dover vivere reclusi. Perché? Chiunque può contribuire e dare la propria opinione per poter arrivare a delle conclusioni.

Questo è il genere di riflessioni che emergono al gruppo: riflessioni universali e che toccano ciascuno indistintamente, a prescindere dall’età, dalla nazionalità e dalla “residenza”.

L’esperienza al gruppo della trasgressione mi ha fatto toccare con mano una realtà che fino a poco tempo fa mi sembrava appartenere solo ai film d’azione e alle serie tv. Mi ha fatto comprendere come la detenzione possa essere utile se con essa è previsto un accompagnamento e se si è costretti a una riflessione quotidiana che porta a consapevolezza e responsabilità.
Grazie al tirocinio e alle riflessioni che ne sono emerse credo che le persone che commettono gravi errori possano affrontare il cambiamento solo se riescono a recuperare un legame con la società da cui hanno deviato. Per fare questo ci deve essere un accompagnamento da parte di quelle stesse istituzioni che il deviante ha tanto odiato nel suo passato.

La figura dello psicologo è centrale nel recupero del detenuto, ma senza la collaborazione delle istituzioni e della società stessa è difficile che il recupero sia completo.

Personalmente, credo che la riabilitazione del detenuto possa essere efficace, ma la società stessa deve essere rieducata a liberarsi dai pregiudizi che la legano a una visione ristretta e stigmatizzata della realtà carceraria. Il Gruppo della Trasgressione sta cercando di rivoluzionare il sistema, ma ha bisogno che la comunità impari a sostenere tali sforzi.

Torna all’indice della sezione

Un fardello con cui lavorare

Un fardello con cui lavorare
Roberto Canavò

 
Mi sono sentito veramente colpevole
quando ho trovato chi mi ha fatto capire
che anche io ero stato vittima

Pasquetta 2019, Piazza del Duomo Milano,
Lidia Brischetto al clarinetto: Only you

Ognuno di noi possiede una sorgente di purezza dal valore inestimabile. Quando, per varie ragioni, tra cui l’ignoranza, l’insicurezza e la mancanza di una guida, non riesci ad attingervi, cadi nell’oscurità, poiché la mente ti inganna, lasciando terreno fertile alla profondità del male.

Nel mio caso, quando commettevo atti indegni e irreparabili, avvertivo prima, durante e dopo, quel campanellino d’allarme di cui è dotata la coscienza, ma nello stesso tempo, cercavo di attutirne il suono attraverso la pseudo gratificazione che mi trasmetteva il mio gruppo di appartenenza. Spesso, guardandomi allo specchio, non mi riconoscevo nell’immagine che vedevo, eppure ero io a commettere i reati che portavo a termine con la massima determinazione. Dopo avere a lungo riflettuto sul mio passato, credo semplicemente che, quando commettevo reati, non concedevo alla mia coscienza l’opportunità di consigliarmi.

Il mio arresto, che poi è stato il male minore, visto che altrimenti sarei stato ucciso, mi ha condotto, dopo un decennio di tentennamenti, ad ascoltare finalmente la mia coscienza, che altro non è che quella fonte di purezza insita in ognuno di noi. Dal profondo ho fatto emergere pian piano la mia vera identità, quella che oggi mi sta permettendo di trasformare l’uomo che ero (libero col corpo, ma prigioniero di mente) in un uomo diversamente libero; oggi posso dire di aver conquistato la libertà mentale, pur essendo prigioniero o, come è più corretto dire, detenuto.

Il mio cammino è stato favorito anche dalla Direzione dell’Istituto di Opera (MI), che mi ha dato l’opportunità di partecipare al Progetto Sicomoro, una esperienza forte basata su incontri settimanali tra parenti delle vittime di mafia e i loro carnefici. Durante gli incontri ho avuto più volte la sensazione di non essere all’altezza di quei confronti, di non essere stato attento quanto avrei dovuto con le vittime. Tuttavia, dopo il primo incontro, il più importante, il più emozionante, non conoscendo l’effetto di ciò che avrebbe sortito psicologicamente in ognuno di noi, vittime e carnefici, ho iniziato, pian piano, a prendere contatto con realtà che mai avrei pensato di poter capire o di vivere così positivamente. In quella realtà ho sentito il bisogno di esternare cose molto riservate che difficilmente avrei detto in un contesto diverso. Ho sentito e vissuto, attimo dopo attimo durante gli incontri, i dolori, le paure, la rabbia, la voglia di giustizia, ma soprattutto la necessità delle vittime di capire le ragioni e le “motivazioni” per le quali “gente” come me aveva potuto commettere fatti gravissimi come uccidere. Attraverso i loro racconti, le loro fragilità emotive, mi sono reso conto di quanto dolore ho provocato ai familiari, agli amici, ai passanti, all’intera società e a me stesso, e di quanta fragilità avevo io, nascosta da scelte scellerate, dominante dal delirio di onnipotenza.

Sì, sono colpevole d’avere sgretolato il vero senso della vita, sono altresì consapevole, una volta riemerso dalle macerie causate dalle mie nefandezze, che la mia vita ha ancora ragione di esistere e di essere messa al servizio di azioni giuste. Oggi, grazie alle possibilità che mi ha concesso l’Istituto di Opera, ho l’onore di andare nelle scuole dove porto la mia negativa esperienza di vita affinché i giovani comprendano il più possibile come si può giungere al punto dove sono arrivato io e i danni che ne derivano per tutti. Faccio questo nella consapevolezza che nessuno può cancellare il mio passato, un fardello che, insieme al mio gruppo, cerco di trasformare giorno per giorno in strumento utile alla prevenzione della devianza in generale.

Purtroppo le scelte che si fanno quando si è adolescenti sono figlie di altre scelte, il cui senso rimane difficile comprendere fino a quando non si instaura un rapporto d’ascolto con il nostro Io. Le scelte sono sempre dettate dagli stati d’animo e gli stati d’animo sono, senza che ce ne rendiamo conto, il terreno in cui si definisce la direzione della nostra vita. Una volta presa consapevolezza di ciò, si può superare quella piattaforma costruita da stati d’animo fragili per cominciare a costruirne una più solida, basata su scelte maturate attraverso lo scambio con gli altri e il contatto con noi stessi. Per questo credo oggi che l’ascolto, il dialogo, soprattutto tra genitori e figli, sono importantissimi, sono la base per un continuato d’identità e per una buona relazione con la società. Le giustificazioni, gli alibi, per andare contro le leggi e la morale, sono solo delle scorciatoie che arrecano dolore a se stessi e agli altri.

Queste cose mi sono state impresse nella mente da persone degne di valore e da veri rappresentanti della legalità. Oggi, con orgoglio, le faccio mie perché ne sono intimamente convinto. Contribuire alla rinascita e alla evoluzione di chi ha deviato è, dal mio punto di vista, un valore inestimabile. L’essere stato riconosciuto dalla società mi ha permesso di acquisire quell’autostima necessaria per mantenermi in equilibrio nei consensi e nei dissensi e per comunicare con gli altri.

Torna all’indice della sezione

 

 

 

 

 

 

 

 

Campagna per Furgone a metano

Gentili Signore e Signori,

siamo un gruppo di detenuti ed ex detenuti degli Istituti di pena milanesi (Bollate, Opera e San Vittore), che mirano a portare in seno alla società – soprattutto ai giovani – la riflessione di chi in passato ha violato principi morali e legalità, inseguendo falsi ideali quali denaro e potere: scelte scellerate che hanno offeso drammaticamente la società civile e che ci hanno portato in carcere!

A tal fine, e in accordo con le istituzioni, portiamo il nostro messaggio nelle Scuole e nelle Università, dove raccontiamo ai giovani che si affacciano alla vita il nostro passato buio fatto di disvalori e di violenza affinché gli adolescenti possano evitare di cadere nella rete di quel degrado che un tempo noi stessi avevamo alimentato.

In questo cammino di rinascita interiore e di costruzione di un rapporto sano con la collettività, ci gioviamo degli strumenti del “Gruppo della Trasgressione” ideato e coordinato dal Dottor Angelo Aparo, psicologo e psicoterapeuta che da 40 anni opera nelle tre carceri milanesi. Il gruppo si avvale inoltre della collaborazione con professionisti, studenti universitari che fanno tirocinio con la nostra associazione e volontari che ci affiancano nelle varie attività intramurarie ed esterne.

Unitamente a quanto sopra descritto e poiché crediamo che il pieno recupero e la piena consapevolezza dell’uomo passino obbligatoriamente attraverso il lavoro, è stata fondata una cooperativa sociale che costituisce il “braccio operativo” del gruppo. Con la cooperativa Trasgressisone.net abbiamo una bancarella con la quale vendiamo frutta e verdura nei mercati milanesi e facciamo consegne a bar e ristoranti; ci occupiamo inoltre di traslochi, tinteggiature di appartamenti e negozi e di piccoli lavori di muratura. Questo è il lavoro con cui recuperiamo la dignità persa nei nostri anni di devianza.

In questo momento ci troviamo in grandi difficoltà poiché il nostro vecchio camioncino telonato, indispensabile per le nostre attività, non può più circolare a seguito delle restrizioni antinquinamento. Vi chiediamo perciò un aiuto, una donazione alla nostra Onlus (donazione deducibile ai fine fiscali) per poterci sostenere nell’acquisto di un nuovo mezzo conforme alle norme vigenti. Anche una donazione di modesta entità può concorrere al raggiungimento dell’obiettivo; sappiamo che di tante piccole gocce è composto l’oceano!

Un altro modo di sostenerci consiste nell’aiutarci a lavorare di più, allargando la rete dei clienti (ristoranti e bar) cui consegnamo frutta e verdura.

Se ne avrete piacere, concorderemo come evidenziare sul telone del nostro futuro furgone il logo della Vostra azienda. Sarebbe per noi motivo d’orgoglio avere la vostra partecipazione a qualcuno dei nostri eventi, sia all’interno che all’esterno del carcere, anche per farvi toccare con mano quanto sia importante il nostro progetto. Qualora decidiate di aiutarci o anche solo di sostenerci moralmente, potrete contattare le persone indicate di seguito per avere tutte le indicazioni necessarie:

  • Elisabetta Cipollone: relazioni con l’esterno – 370 3070 608 – elisabetta.cipollone@gmail.com;
  • Adriano Sannino: acquisti e consegne frutta e verdura – 389 121 9992 – adrianosannino72@gmail.com
  • Angelo Aparo, presidente cooperativa: 339 442 1542; aparo@trasgressione.net

Vi invitiamo anche a visionare i nostri siti (www.vocidalponte.it e www.trasgressione.net) dove troverete testi e immagini che permettono di toccare da vicino il nostro percorso e quello che facciamo. Sperando di ricevere un vostro riscontro e ringraziandovi per l’attenzione dedicataci, porgiamo cordiali saluti.

Cooperativa Sociale Trasgressione.net
IBAN: IT62G 05696 01600 0000 22933X74

Opera, detenuti in cerca di riscatto: fuori dal carcere c’è l’impresa
di Andrea Gianni, da Il Giorno

Kintsu-gi

Kintsu-Gi
Centro di svago e di ricerca creativa
Gruppo della Trasgressione

CARATTERISTICHE E FUNZIONI DELLA SEDE

  • Un centro culturale aperto (Rashomon e il Kintsugi), dove gli adolescenti e i giovani adulti di Peschiera possano portare i loro prodotti creativi (nel campo della pittura, fotografia, video, musica, scrittura) e dove si possa preparare una manifestazione In teatro nella quale, una o due volte l’anno, i diversi contributi possano essere presentati e valorizzati. A tale riguardo si prevede la collaborazione con aziende sponsor locali e non, che partecipino al finanziamento dell’iniziativa, mentre pubblicizzano se stesse.
  • Un locale per la produzione del materiale per Bio-Optica. Circa 50 mq, dove sia possibile installare le macchine necessarie per il lavoro con un’azienda produttrice di vetrini per esami istologici e, in genere, di prodotti per esami medici. Con Bio-optica abbiamo una collaborazione molto bene avviata.
  • Un mini ambiente per una cella frigorifera utile alla nostra attività con la Bancarella di Frutta & Cultura e per la distribuzione di frutta e verdura ai nostri clienti (ristoranti, bar, centri sociali, gruppi di acquisto solidale);
  • Spazi all’interno e all’esterno adibiti a ristorazione e a intrattenimento con
    • 1) frequenti incontri mirati a valorizzare la produzione artistica dei giovani del posto e dintorni e con periodiche presenze di artisti esterni di un certo rilievo;
    • 2) incontri periodici su “I protagonisti dell’avventura”.

OBIETTIVI

  • Prevenzione del degrado e, in particolare, prevenzione di comportamenti devianti, di ricorso alle droghe, all’alcol, al gioco d’azzardo (vedi La squadra anti-degrado);
  • inclusione del condannato in misura alternativa e di chi ha finito da poco di scontare la pena;
  • integrazione di immigrati residenti in situazioni di disagio e/o di emarginazione;
  • formazione di studenti universitari e di neolaureati sulla prevenzione e sul trattamento delle dipendenze da droga, alcol, videogiochi;
  • formazione e impiego di Peer support e valorizzazione del percorso grazie al quale i principali testimonial dell’iniziativa sono passati dallo stile di vita di chi alimenta e diffonde il degrado a quello di chi lo contrasta mentre promuove fra gli adolescenti un rapporto fattivo con le proprie risorse, con l’ambiente e con le istituzioni.

Torna all’indice della sezione

 

“Cosa fai stasera?” [The blood of the Lazarus heart]

Oggi ha guardato sotto la sua camicia
e c’era una ferita nella carne, così profonda e larga
Dalla ferita un fiore splendido cresceva
da qualche posto in profondità
Si voltò a fronteggiare la madre
a mostrarle quella ferita

che nel petto gli bruciava come un marchio a fuoco
Ma la spada che lo aveva squarciato
stava nelle mani di sua madre.
[…] Anche se la spada era la sua difesa
era la ferita stessa a dargli forza
La forza di riplasmarsi nell’ora più buia
<La ferita ti darà coraggio e dolore> lei disse
<Quel dolore che non puoi nascondere>
E dalla ferita un fiore splendido cresceva
da qualche posto in profondità”

Sting – The Lazarus heart, 1987

Cosa fai stasera?”: la più semplice delle domande racchiude, nascosta dietro una pietra rotonda, un incontro con sé stesso. O con un-altro-da-te che, ben prima di te, ha dovuto affrontare la Vita e ha fatto delle scelte.

Per questo sabato scorso un gruppo di giovani scout, dopo aver “girovagato” per la città di Milano avendo come unica bussola alcuni pezzi di un racconto reale (“cosa faresti tu, al suo posto?”), hanno potuto trarre beneficio da un incontro straordinario.

Marisa Fiorani e Giorgio Bazzega: due storie, le loro e quelle dei loro cari uccisi, così diverse ma – a risentirle nel mezzo di un corridoio che confina con due stanze separate – per molti versi così simili.

 

Eppure quello che mi sorprende, alla fine di questa loro ennesima utile fatica nel rendere testimonianza ad una morte così assurda, è sentire rivolgere loro delle domande che sembrano un inno alla vita…. “Marisa, cosa ti rimane di bello di tua figlia?”  “Giorgio, che significato hanno quei tatuaggi sul tuo braccio?”

Ed ecco allora, in una ennesima resurrezione, arrivare Marcella: “adesso, dopo tanti anni di sofferenze, non la sogno più con solo metà corpo fuori … ora la vedo dalla testa ai piedi, danzare leggera sopra la sua tomba”. Eccola, accompagnata dal Maresciallo di Pubblica Sicurezza Sergio Bazzega: “questo teschio rappresenta mio papà, raffigurato come in quella usanza messicana della festa del giorno dei morti”.

Avevo 16 anni – più o meno l’età di quelle ragazze e ragazzi che guardo con una certa ammirazione– e una vita ancora tutta davanti quando mi innamorai di quella canzone di Sting, attratto soprattutto dalla musica non comprendendo ancora appieno il significato delle parole… allora non c’erano ancora cartoni animati come Coco in grado di restituire con efficacia, anche ad un bambino di 5 anni, il messaggio che una persona cara muore davvero solo quando non viene più ricordata.

Ebbene, cosa fai stasera? Che scelte hai deciso di mettere al centro della tua vita dopo aver raccolto il fiore splendido che continua a crescere dalle ferite di Marisa e Giorgio?

Tra i tanti pensieri che mi frullano per la testa non trovo – per il momento – altro di meglio che ripetere ad alta voce quella frase di Luigi Ciotti che, altri scout come loro, hanno trascritto su quel cartello che ha sfilato davanti a me lungo le strade di Padova lo scorso 21 marzo:

 

Dare un senso a tutto quel sangue versato forse è il “miracolo di ogni giorno” al quale Gordon Matthew Thomas Sumner fa riferimento quando scrive, dopo aver perso la madre: “sarei il sangue del cuore di Lazzaro”.

Muovere tutto sè stesso, come in una trasfusione vitale, per regalare la vita anche agli altri; per non far morire Marcella e Sergio, insieme a tanti altri.

Torna all’indice della sezione

Il Gruppo della Trasgressione

di Jacopo Galasso e Angelo Aparo

L’Associazione Trasgressione.net, fondata più di vent’anni fa dal dottor Angelo Aparo, è formata da persone con alle spalle storie di vita diverse, ma accomunate da un unico obiettivo: studiare l’essere umano, con una attenzione particolare verso colui che, arrivando dal degrado, semina nel suo percorso altrettanto degrado, abuso e morte. Lo studio è rivolto anche al tempo che queste persone spendono all’interno del carcere e al come potranno impiegare questo tempo una volta che le porte della società si apriranno.

Questo obiettivo viene perseguito attraverso una sinergia tra psicologi, detenuti e studenti; ma anche familiari di vittime, giuristi, medici e comuni cittadini, i quali settimanalmente si riuniscono negli istituti penitenziari di Opera, Bollate e San Vittore.

Il lavoro svolto all’interno del Gruppo non va inteso nel senso del classico sostegno psicologico rivolto al detenuto ma come studio delle condizioni emotive e ambientali che spingono l’uomo alla voracità di potere e al successivo cambiamento. 

In merito al concetto di potere va ricordato il convegno del 21 novembre 2018 tenuto all’interno della Casa di Reclusione di Opera (Percorsi e derive del potere), dove il Gruppo ha potuto confrontarsi con personaggi illustri, quali Paolo Finzi (direttore della rivista anarchica “A”), Lella Costa, Dori Ghezzi, Amerigo Fusco e Roberto Cornelli (docente di criminologia dell’Università Milano Bicocca).  

Questo lavoro non resta isolato all’interno degli istituti di pena ma si diffonde e si concretizza anche all’esterno del carcere, dove i detenuti del Gruppo testimoniano il loro percorso, promuovono la legalità e la sensibilizzazione; prevengono le dipendenze e il bullismo; il tutto attraverso una serie di eventi con cornici diverse.

Il 26 novembre presso il Teatro De Sica di Peschiera Borromeo sono state interpretate dalla band del gruppo, la Trsg.band, diverse canzoni di Fabrizio De André. Le canzoni erano intervallate da considerazioni da parte di detenuti del carcere di Opera, ex detenuti e figure istituzionali su alcuni dei temi che uniscono il mondo di Fabrizio De André con quello del Gruppo della Trasgressione: l’abuso, il potere, il riconoscimento dell’Altro, il rapporto con l’autorità e le microscelte che portano l’individuo ad operare sul mondo ciò che si è seminato.

Un’altra serie di incontri che ha coinvolto il Gruppo prendono il nome de “Lo Strappo”, fra i più recenti quelli a Piacenza (29 gennaio) e a Novara (25 febbraio). Lo Strappo è un progetto nato dall’incontro di persone diverse ma complementari per le finalità e rivolto soprattutto alle scuole medie di secondo grado. Obiettivo principale è l’educazione alla complessità e alla cittadinanza, partendo da una domanda precisa: cosa succede a tutti i soggetti coinvolti quando viene commesso un reato? Le figure professionali che partecipano al progetto gravitano attorno al mondo della giustizia: magistrati, avvocati, giudici, psicologi, educatori, giornalisti, polizia penitenziaria, amministrazione carceraria. Tuttavia, le riflessioni più illuminanti sembrano venir fuori proprio dall’incontro paritetico dei protagonisti più coinvolti: i familiari di vittime e i rei, i quali dopo un lungo lavoro di conoscenza, introspezione, superamento del giudizio e del rancore, accettazione, apertura verso l’Altro e il suo dolore, recupero della coscienza esiliata e obnubilata, costruiscono una parentela, una prossimità. Un mutuo soccorso che può abbattere i muri più alti, quelli della mente.

Infine il Gruppo della Trasgressione tenta di consegnare i propri approfondimenti sulla legalità e la responsabilità agli adolescenti nelle scuole superiori: luoghi dove non sono rari atti di bullismo e dipendenze. Gli ultimi incontri di quest’anno, svolti presso l’Istituto Piamarta di Milano, sono stati decisamente proficui. Infatti hanno permesso ai detenuti del carcere di Opera di ascoltare e confrontarsi con gli studenti e di aiutarli a riflettere criticamente sulle loro fragilità, interne ed esterne all’ambiente scolastico.

Uno strumento importante di cui il gruppo si serve è il mito di Sisifo che, costruito anno dopo anno al tavolo del Gruppo della Trasgressione, consente ai detenuti di rappresentare, attraverso i dialoghi fra i vari personaggi, temi quali: l’arroganza, la seduzione, il rapporto difficle con l’autorità e quindi il rapporto genitori-figli; insomma i nodi problematici che vivono gli individui più a rischio.

Gli incontri in carcere e a scuola con i detenuti hanno consentito agli studenti di analizzare e comprendere meglio le storie dei detenuti del Gruppo e ogni singolo personaggio del mito, così da poterli riprodurre a loro volta. Infatti, la giornata conclusiva all’Istituto scolastico Piamarta, ha visto questa volta gli studenti nei panni dei personaggi del mito di Sisifo. 

In conclusione va anche evidenziato che l’Associazione viene affiancata dalla Cooperativa Trasgressione.net il cui obiettivo è il reinserimento socio-lavorativo del detenuto. Grazie al Lavoro esterno (art. 21), i detenuti hanno la possibilità di uscire dal carcere per svolgere attività lavorative oppure frequentare corsi di formazione professionale. Le difficoltà che queste persone incontrano durante o dopo avere scontato la pena non sono poche. Per questo motivo la Cooperativa le affianca permettendo loro di svolgere una serie di lavori, quali la consegna di frutta e verdura a bar, ristoranti e a gruppi di consumatori associati, bancarelle rionali con gli stessi prodotti (mercato di viale Papiniano, di Peschiera Borromeo), il restauro di beni artistici, lavori di manutenzione e di piccola ristrutturazione.

Progettare e lavorare con chi ha commesso reati giova al bene collettivo e alla conoscenza dei percorsi devianti più della pena che il condannato sconta in carcere. (A. Aparo)

Tornai a casa

Tornai a casa
Giovan Battista della Chiave

Tornai a casa,
trovai mio padre.
Il suo sguardo domandava,
io risposi che non era giornata,
di lasciarmi perdere,
ma insisteva,
mi diceva di fare qualcosa.
Io chiudevo la porta alle mie spalle,
non ascoltavo e non mi ascoltavo.
Giravo l’angolo e al primo pusher
comperavo la mia dose.
Lui era anche spiritoso e mi gridava:
la uno, la due o la tre?
Prendevo la prima e scappavo via.

Tornai a casa e
ad aspettarmi c’era mio padre,
mi guardava con la tristezza di un padre.
Il mio sguardo non riusciva a incrociare il suo,
mi allungò una carezza,
per un attimo mi scaldò il cuore
mi lavò la mente,
l’unica cosa che riuscii a chiedere
furono dieci euro.
Poi la fuga, il solito tran tran,
giravo per le vie, i locali,
ma niente, nessuna pace.
Volevo uscire,
scappare dal mio girovagare
non ho trovato la forza.

Tornai a casa
non trovai nessuno ad aspettare
il divano era vuoto e
sul tavolo un biglietto:
siamo in ospedale,
papà sta male.
Con calma mi sedetti al tavolo,
misi la mano nella tasca
e consumai l’ultima busta.
Poi mi recai in ospedale,
ma ormai era tardi
il pendolo aveva battuto la fine.

Tornai a casa e
non c’era più nessuno,
nessuno che mi potesse aspettare.