Cari tutti, permettetemi di aggiungere qualche riflessione a quelle che sono emerse in questi giorni sulla scia del film L’insulto.
Per la prima volta da quando è stato avviato il cineforum c’è stato una ripresa dei temi sollevati dal film, che ha stimolato diversi contributi, che non avevano trovato spazio in precedenza.
Penso innanzitutto che il gruppo sia importante come crogiuolo in cui vanno a fondersi i diversi punti di vista, ma che al tempo stesso il ruolo principale sia quello di accogliere tutti coloro che su quel palcoscenico mettono in gioco i loro vissuti, con i loro contributi personali, oltre a partecipare all’analisi teorica del film e della trama. Questo è ciò che penso di capire dal richiamo di Juri alla partecipazione di ognuno di noi.
Quanto al film: il ruolo svolto dalle istanze sociali ha dimostrato i suoi limiti, non riuscendo a far progredire, a smuovere oltre la situazione congelata, il cui sblocco può avvenire solo a partire da un cambiamento interiore, dalla rinuncia allo stereotipo, dalla rottura delle convenzioni, degli automatismi, della riproposizione coatta di schemi comportamentali.
Solo nel momento in cui avviene la rinuncia alla reazione attesa, umanamente comprensibile, ma paralizzante e sterile benché immediatamente allettante e gratificante, solo allora si crea il presupposto per un cambiamento fruttuoso, generatore di crescita.
Uscire dagli schemi è tutt’altro che facile perché essi sono molto seduttivi. Costano poca fatica, sono “naturali”, condivisi, riconosciuti, attesi, “umani”. Per giungere al punto di rottura, alla rinuncia, allo “scongelamento” occorre coraggio e la voglia di provare strade nuove, impervie, dove il senso di colpa del “tradimento” della tua carne ti attende dietro ogni curva.
Credo che la scintilla fondamentale stia nel non riuscire più a vivere schiacciati dalle convenzioni, nella solitudine di un dolore che comunque non si placa. Nella coscienza che la formalità retorica non aggiunge nulla alla tua solitudine, non scalda né scioglie il gelo interiore. Da qui nasce il coraggio di percorrere strade nuove. Da un bisogno impellente di provare a cambiare, dalla consapevolezza di non poter reggere oltre il ruolo, dalla necessità di stare meglio, dalla voglia di sfidare la sorte, poiché non hai più null’altro da perdere. E spesso d’istinto.
Riconoscere l’altro al di là degli schemi, riconoscere l’uomo che è in ognuno di noi, tendere una mano a quel coagulo indistinto che intravedi, offrire una possibilità a te stesso prima ancora che all’altro, per uscire dal tuo dolore, per allontanarti dal buio che ti circonda, per cacciare i tuoi fantasmi: è un brivido, qualcosa che rischia di precipitarti di nuovo nella disperazione, ma è l’unica possibilità che ti rimane per crescere, per allontanarti dall’abisso, per salire a rivedere le stelle.
Riconoscere il ruolo, la funzione, la semplice esistenza dell’altro è l’innesco. Scintille capaci di incendiare praterie sconfinate. Faticosamente, passo dopo passo, ti rendi conto che un altro modo di essere e di vivere è possibile, comprendi che altri si muovono specularmente, che può cominciare un dialogo innanzitutto con te stesso, poi col tuo doppio, che il tuo dolore è simile al suo, in quanto frutto di una presa di coscienza, e che la rilettura critica del passato può essere altrettanto dolorosa, figlia di un’ascesa faticosa dal fondo di un baratro e della difficile ricucitura di brandelli di coscienza…
che rispecchiano anni di solitudine, di disperazione e di dolore spesso autoreferenziale, ma che possono aiutare ad innalzarsi fino ad abbracciare l’orizzonte più ampio della comunità violentata e delle vittime.
Paolo Setti Carraro
Una grande disamina, letta d’un fiato,formulata da un grande uomo.
La mia gratitudine alla vita e al gruppo per avermi donato questa conoscenza.
Elisabetta