Silvio Di Gregorio – Intervista sulla creatività
Silvio Di Gregorio è il direttore della Casa di Reclusione di Milano Opera e, come previsto dal ruolo che ricopre, si occupa di esecuzione della pena e di reinserimento sociale dei condannati. Quest’ultimo aspetto, quello relativo al reinserimento sociale, gli è molto caro. Secondo il suo punto di vista, il carcere non deve essere concepito come un mero luogo di contenimento di chi ha sbagliato. Al contrario, deve essere uno spazio di crescita e di evoluzione costante in cui cercare e creare le possibilità per far sì che le persone decidano consapevolmente di cambiare il proprio modo di vivere.
Su Wikipedia si può leggere che all’interno del Carcere di Opera esistono molteplici attività creative messe a disposizione dei condannati: Leggere libera-mente, progetto di lettura e di poesia; Opera Liquida, compagnia teatrale che lavora all’interno del carcere; Il Gruppo della Trasgressione, composto da detenuti, ex detenuti, studenti e liberi cittadini che svolgono svariati progetti, tra cui il Progetto Scuole, in cui i detenuti diventano agenti di prevenzione del bullismo e della tossicodipendenza nelle scuole milanesi, la rappresentazione del Mito di Sisifo, i concerti della Trsg.band e la bancarella di Frutta & Cultura.
Anita: che cos’è per lei la creatività?
Silvio Di Gregorio: la creatività si sviluppa nel momento in cui si mette in campo tutto ciò che può essere utile per il raggiungimento di un obiettivo attraverso strade non consuete e prestabilite a priori. È importante notare come nella creatività non si debbano necessariamente rispettare schemi rigidi, altrimenti si parlerebbe di adattamento alla realtà che ci circonda. Se ci si riferisce alla creatività, invece, si deve mettere in conto che tutto ciò che appartiene al mondo circostante può essere utilizzato per raggiungere un obiettivo.
All’interno del ruolo che ricopro, credo che la creatività trovi ampio respiro poiché devo sempre reinventare un modo nuovo per permettere a chi ha sbagliato di evolversi. Se infatti partiamo dal presupposto che ogni persona è a sé stante ed ha personalità, potenzialità e vissuti diversi dagli altri, comprendiamo che le possibilità di cambiamento che il carcere offre devono essere diverse per ogni detenuto. Ogni giorno vanno inventati modi diversi per toccare le corde giuste del detenuto e per permettergli di trovare la volontà di riscatto personale e la voglia di produrre pensieri e comportamenti che siano in linea con il vivere civile.
Elisabetta: cosa fa scattare, come si sviluppa la creatività e in quali condizioni?
Silvio Di Gregorio: credo che la creatività nasca dalla volontà di stupire gli altri e di stupirsi. Prende avvio da un desiderio di ricerca di una strada nuova, non ancora esplorata e che consente di realizzarsi in maniera più gratificante rispetto alla soddisfazione che deriva dal rispetto di stereotipi. La condizione da cui prende avvio la creatività probabilmente è la volontà di superamento di un limite, il quale però viene inserito all’interno di un orizzonte molto più ampio a cui il soggetto aspira.
Anita: quali immagini possono ben rappresentare l’atto creativo?
Silvio Di Gregorio: questa domanda mi permette di parlare di un progetto che abbiamo svolto di recente qui nel carcere di Opera. Da più di un anno e mezzo, tutto il pianeta subisce le conseguenze negative dovute alla pandemia e il mondo carcerario, esattamente come ogni altra organizzazione ed istituzione della nostra società, è stato messo a dura prova. In questi ultimi mesi io, i miei collaboratori e i detenuti abbiamo visto crollare tutte le nostre poche certezze. È mutato il modo di vivere e di sperimentare le relazioni, ancor di più all’interno di un carcere in cui, per un lungo periodo, non è stato più possibile far entrare nessuna figura educativa né tantomeno i famigliari dei reclusi.
Il progetto nasce dal bisogno di trovare un nuovo punto di riferimento che ci potesse guidare, una specie di faro nella notte, il quale ci potesse dare la forza per non abbatterci e perseguire per la realizzazione della nostra missione. In linea con questa idea, abbiamo cercato un’opera d’arte che potesse sostenerci nel raggiungimento dei nostri obiettivi e questo prodotto creativo è l’Ultima Cena di Leonardo Da Vinci, appesa all’ingresso della direzione.
L’ultima cena, Leonardo da Vinci
Ecco credo che quest’opera possa essere ben rappresentativa anche del concetto d creatività. Il quadro raffigura un tavolo intorno al quale ci sono già dei commensali. Le persone sedute al tavolo non rispondono agli stereotipi della collettività dell’epoca a cui il quadro si riferisce, ovvero 2000 anni fa. Ci si aspetterebbe di vedere personaggi prestigiosi; al contrario, qui sono rappresentate persone comuni, che per di più stanno programmando e realizzando un progetto religioso e di vita veramente inusuale, basato su una visione nuova del mondo che, a distanza di 2000 anni, risulta essere ancora ben radicata nel pensiero collettivo.
Oltre che su questo aspetto rivoluzionario, ci siamo concentrati anche sul fatto che solo i posti al di là del tavolo sono occupati, ma potenzialmente si potrebbero aggiungere altre sedie per fare sedere più persone. Io, i miei collaboratori e i detenuti ci sentiamo tutti rappresentati dai commensali già seduti, ma siamo ben felici di accogliere la collettività esterna e di farla sedere con noi al tavolo della creatività.
Sedersi ad un tavolo e cibarsi è una delle azioni più naturali dell’essere umano, durante la quale egli, spinto dal clima di convivialità, gratificazione e piacere, è libero di esprimere la sua personalità e di comportarsi in maniera spontanea. Quindi, far sedere allo stesso tavolo collaboratori, detenuti e collettività esterna, implica la creazione di uno spazio in cui ognuno, proprio in funzione del fatto che si comporta in maniera naturale, crea un legame profondo con gli altri commensali.
Questo incontro profondo di anime e di pensieri permette di conoscere, laddove ci fossero, le reali intenzioni di cambiamento del detenuto, e crea la condizione necessaria per fare in modo che gli vengano offerte delle possibilità di evoluzione concrete. È necessario far sedere a questo tavolo anche la collettività esterna in quanto, la volontà del detenuto di intraprendere un percorso di introspezione e di rielaborazione di tutti i suoi vissuti, è sicuramente una condizione necessaria, ma non sufficiente nel caso in cui la società non sia grado di accettare un cittadino nuovo.
Quindi, dal nostro punto di vista, quest’opera d’arte rappresenta bene la creatività poiché tutti, detenuti, amministrazione e comunità esterna si siedono al tavolo, portano il loro contributo e, dall’incontro delle nostre idee e competenze, nasce un progetto nuovo, talvolta rivoluzionario ed inevitabilmente creativo.
Elisabetta: che conseguenze ha l’atto creativo nel rapporto con se stessi e con gli altri?
Silvio Di Gregorio: l’atto creativo stravolge l’immagine della propria persona, sia nel rapporto con se stessi sia con gli altri. Nel rapporto con se stessi permette un arricchimento di carattere personale, consolida la propria autostima, fornisce una percezione di utilità della propria vita e afferma l’immagine di sé. Anche nel rapporto con gli altri la creatività costituisce una possibilità di evoluzione e di crescita personale. Questo perché, quando noi entriamo in relazione con un altro essere umano che è creativo, innovativo e portatore di una ricchezza, veniamo messi nella condizione di potere arricchire anche la nostra persona e lo stesso rapporto con l’Altro.
Anita: quanto è importante il riconoscimento degli altri per l’artista?
Silvio Di Gregorio: l’artista ha una responsabilità molto importante in quanto, proprio perché opera ed agisce nell’area di tutto ciò che viene considerato esteticamente bello, è destinato a toccare le corde più delicate dell’essere umano, gli anfratti più profondi che fanno vibrare l’anima delle persone. Quindi l’artista non deve solamente realizzare un prodotto accettabile e comprensibile, ma ha anche la responsabilità di dare vita a qualcosa che sia in grado di colpire nel profondo lo spettatore. Quando il creativo riesce a portare a termine questo compito e a suscitare nel pubblico una reazione di stupore, vive egli stesso una sensazione di appagamento che nutre la sua creatività e gli permette di iniziare un altro progetto creativo.
Elisabetta: Esiste un modo ideale di fruire del prodotto creativo e chi sono i suoi principali fruitori?
Silvio Di Gregorio: Io non penso che ci sia un modo ideale da seguire per interpretare un atto creativo. Se un prodotto è creativo e deve stimolare la fantasia delle persone non è possibile spiegare le funzioni della creatività come se fossero istruzioni per l’uso. La creatività è destinata a toccare ogni singola persona in modo diverso, un po’ come un trattamento: l’artista ci mette il suo ma anche chi si accosta all’opera d’arte deve metterci la volontà di lasciarsi stupire e coinvolgere. Di conseguenza credo che chiunque possa essere destinatario dell’atto creativo.
Anita: La creatività ha o può avere una funzione sociale e, se sì, quale?
Silvio Di Gregorio: Certamente, la creatività ha il compito di ispirare le azioni umane e di spronare le persone ad emulare ciò che è stato visto. La creatività, soprattutto nel campo dell’arte, stimola le persone a spingersi oltre i limiti di quelle che sono le proprie conoscenze ed è un modo per spostare l’asticella sempre più lontano, sia nell’arte che nella cultura generale.
Elisabetta: Parliamo dell’atto creativo nelle diverse età. Cosa è per il bambino, per l’adolescente, per la persona adulta?
Silvio Di Gregorio: Io credo che l’elemento che accomuna tutte e tre le fasi sia lo stupore, che è molto evidente nel bambino e meno nell’adulto. Probabilmente se anche l’adulto riuscisse a mantenere vivo il bambino che è in lui e quindi a utilizzare la voglia di scoperta del bambino durante le sue fasi di crescita, potrebbe riuscire a mantenere alta la capacità di stupirsi e di inventare.
Anita: e in che modo può incidere nelle relazioni sociali del soggetto?
Silvio Di Gregorio: Approcciarsi a ogni relazione con lo stupore e con la voglia di conoscere, di apprendere è un atteggiamento molto positivo e denota apertura nella relazione con l’altro. Sottolineerei che lo stupore e la voglia di apertura permettono un approccio migliore nel relazionarsi con gli altri e l’arricchimento della relazione stessa.
Elisabetta: La creatività è un dono naturale privilegio di pochi o si tratta di una competenza accessibile a tutti e che può essere allenata?
Silvio Di Gregorio: Credo che la creatività sia qualcosa che appartiene a tutti, ma necessita di essere allenata come tutte le altre doti e virtù umane. Nell’adulto forse questo senso innato deve essere riscoperto perché molto spesso lascia il posto ad altri tipi di filtro che possono essere la ragione, l’esperienza, la delusione e via discorrendo. La creatività è una dote che ognuno di noi ha e che può essere coltivata e accresciuta attraverso l’allenamento.
Anita: A scuola che ruolo e quali effetti potrebbero avere delle ore dedicate alla creatività?
Silvio Di Gregorio: La scuola offre momenti di creatività, soprattutto nei confronti dei più giovani, arricchendo la cultura generale e permettendo di ampliare i propri orizzonti. Non penso che debbano essere dati periodi di tempo aggiuntivi, piuttosto la scuola dev’essere in grado di far percepire agli allievi che attraverso i processi di apprendimento è possibile aumentare la propria creatività. Lo studio deve essere un momento che arricchisce perché offre degli spunti di riflessione che ognuno ha poi il compito di rielaborare.
Elisabetta: Pensa che la creatività possa avere un ruolo utile nelle attività di recupero del condannato?
Silvio Di Gregorio: Sicuramente, senza creatività non si va da nessuna parte. Sarebbe riduttivo pensare di poter catalogare una persona attraverso caratteristiche fisiche o comportamentali. Attraverso la creatività, infatti, l’uomo si scopre continuamente e ha la possibilità di interrogarsi su se stesso. Non si può definire un’attività più creativa di un’altra, ogni cosa che si fa è creativa. La vita offre in ogni occasione opportunità di crescita e di miglioramento personale continuo: se una persona affrontasse la propria esistenza nell’ottica di migliorarsi probabilmente si arricchirebbe ogni giorno.
Intervista ed elaborazione di
Anita Saccani ed Elisabetta Vanzini
Il progetto all’interno della realtà carceraria, correlato ad un’opera d’arte di grande spessore, quale è “L’Ultima Cena”, esemplifica quanto sia necessario per innescare una dinamica di riscoperta e rinnovamento interiore, nutrirsi della relazione e del dialogo con l’altro in una comunione di intenti.
A questo rivoluzionario banchetto, avvengono scambi costruttivi, arricchimenti vicendevoli tra tutti i commensali con l’instaurazione di un’ALLEANZA sociale in cui, qualora ve ne siano, si sbriciolano barriere e giudizi.