Ogni uomo nasce, ma non decide dove, quando e da chi nascere. Ogni uomo sa di dover morire, ma non sa quando e come.
Una rappresentazione grafica per esprimere queste affermazioni può essere quella di due punti nello spazio e una linea che li congiunge. I due punti, la nascita e la morte, sono espressione di uno stato di necessità; la linea che si snoda tra di essi, l’esistenza, è espressione di una continuità di momenti aperti alla condizione di libertà.
Tali momenti danno forma alla linea. Qual è la forma possibile? Quale la sua lunghezza? Entrambe varie La linea può essere retta, spezzata, sinuosa, mista. A determinare in larga parte la forma della vita e la sua lunghezza sono le scelte che si compiono.
Le scelte sono libere? Relativamente! Le scelte dipendono da condizionamenti inevitabili derivanti da indole, ma anche da impulsi, educazione, esperienze, frequentazioni, relazioni personali, casualità, solo in parte frutto di libere scelte. Poi c’è la componente della volontà, una volontà che va allenata se si vuole che compia scelte libere e giuste.
Forse per questo l’esistenza può essere paragonata a un agone dove si confrontano continuamente due avversari tenaci: lo stato di necessità e la condizione di libertà. Poiché non è del tutto stabilita a priori la forza dei due avversari, ognuno deve lottare per togliere campo allo stato di necessità e conquistarlo alla propria libertà.
E’ una lotta continua; può essere estenuante ma anche entusiasmante, dipende da noi. Soprattutto richiede allenamento. E tanta attenzione. Bisogna dare attenzione alle situazioni, alle persone. Bisogna fare attenzione a ciò che si legge, si ascolta, si guarda, a chi si frequenta, a chi si ama, a come ci si diverte, alle persone con le quali si condivide il proprio tempo. Faticoso? Sicuramente ma interessante. Tale allenamento riguarda da vicino ogni essere umano, perché le scelte che si compiono costruiscono o distruggono l’esistenza. Le scelte hanno, sempre, delle conseguenze e ognuno ne deve rispondere.
Riflettendo al riguardo, ho ricordato come presso i Greci antichi sia andata cambiando la cultura: da una concezione che attribuisce agli Dei la responsabilità di moti dell’animo e conseguenti azioni non in linea con le aspettative morali e sociali, a una concezione in cui tali moti si originano nell’interiorità a seguito di carattere, indole, sensibilità individuale. Anche se in entrambe le fasi non si toglie all’individuo la responsabilità del gesto compiuto, l’azione viene percepita in modo diverso.
Nell’Iliade nessuno accusa Elena per la guerra di Troia, ma la colpa viene attribuita alle dee (addirittura gli anziani che la incontrano sulle mura non possono non ammirarne la bellezza), mentre ne “Le troiane” di Euripide, Ecuba, madre di Ettore e Paride, rivolgendosi a Elena le dice “Non fare le dee così stolte, per abbellire la tua colpa… Mio figlio era di una bellezza straordinaria e, contemplandolo, il tuo desiderio diventò Cipride!”
Mi chiedo: ai nostri giorni qual è l’atteggiamento prevalente? Soprattutto negli ambiti preposti all’educazione c’è attenzione alla responsabilità che consegue al compimento di un’azione? Tale attenzione è sufficiente, è adeguata?