Come organizzare un reparto per far capire ai giovani che la vita è una sola…e non va sprecata?
Sono Salvatore Luci, faccio parte del Gruppo della Trasgressione, diretto dal dott. Aparo, che ci tiene partecipi al progetto del reparto.
Quello che dovrebbe cambiare per primo è l’impatto che si ha entrando in carcere, dove la dignità, non della persona che ha commesso un reato, ma dell’essere umano, viene calpestata: ti fanno spogliare e rimanere nudo davanti a tutti gli agenti presenti, imponendoti di fare flessioni sulle gambe quando invece potrebbero far fare una visita medica completa dai dirigenti sanitari, facendo passare una perquisizione come una normale visita medica, senza causare stress traumatico ad una persona condotta in carcere per la prima volta.
Entrando poi in reparto, si deve avere l’impressione di un luogo familiare, tranquillo, non di punizione. Scegliendo delle persone che facciano da tutor, spiegando al nuovo arrivato il funzionamento del reparto, indicandogli le opportunità e tutti i corsi che potrà scegliere, dallo sport, al volontariato, allo studio.
Sono corsi ed attività che la direzione dovrebbe imporre, non lasciando i detenuti ad oziare sui piani e, così facendo, si potrà anche entrare in graduatoria per un lavoro, in modo da non gravare sulla famiglia.
A proposito di famiglia: chi gestisce un Istituto deve capire che il Giudice ha tolto solo la libertà, non gli affetti familiari, per cui non deve mancare mai la presenza della famiglia, aumentando i giorni e gli orari dei colloqui e dare la possibilità alla famiglia del detenuto che durante la settimana sia impegnato con il lavoro ad aprire i colloqui di domenica.
Il detenuto, e parlo io stesso da detenuto, più ha contatto con la famiglia e meno gli vengono in mente gesti sbagliati sino alla idea di suicidio, per cui, ripeto, servono più incontri con la famiglia.
Al mio impatto in Istituto, mi è sembrato di tornare indietro nel tempo, quando non esisteva alcuna tecnologia, tipo gli anni 60-70. A mio parere chi gestisce gli Istituti dovrebbe iniziare a cambiare totalmente, evolversi anche con la tecnologia: mentre fuori dal carcere si continua a parlare anche di ecologia e rispetto dell’ambiente, qui per ottenere un semplice colloquio con un ispettore di reparto si deve usare il cartaceo, la famosa domandina 393.
Per i detenuti più giovani, ci vorrebbe uno spazio comune dove inserire tramite consenso degli stessi e dei familiari una bacheca dove apporre le foto della propria famiglia, poter portare dentro dei giochi che si usavano da bambini, come macchinine, mattoncini Lego ecc. E questo per far tornare la persona indietro nel tempo in cui era bambino, per fargli ritrovare quella spensieratezza che si aveva a quella età e per iniziare a scalfire l’armatura che ci si è cucita addosso, facendo riapparire il nostro io vero.
I ragazzi con problemi di tossicodipendenze dovrebbero essere davvero aiutati a disintossicarsi invece che aiutarli a usare droghe sintetiche come antidepressivi e il famigerato metadone, che li fa diventare come zombi tenendoli tranquilli.
In questo progetto ci vorrebbero più psicologi, il detenuto soprattutto il neo-detenuto ha bisogno di essere ascoltato, di sfogare verbalmente la sua rabbia accumulata nel tempo e chi lo può fare? Solo uno psicologo!
Salvatore Luci
Il progetto la Chiamata potrebbe essere nello scenario delle carceri italiane, e non solo, un proposito utopico che diventa realtà concreta e strutturata. Se al sottoscritto Rocco Panetta, membro del gruppo trasgressione, in qualità di conoscitore empirico delle patrie galere, venisse chiesto un parere sulla fattibilità del reparto a San Vittore risponderei di sì, perché se si incontrano i talenti di un direttore illuminato capace di aver reso gli istituti amministrati durante il suo mandato un luogo migliore e diverso da quello che erano in precedenza, con la genialità di un conduttore rivoluzionario di un gruppo storico qual é il gruppo trasgressione, dove tanti componenti, me compreso, sono rinati cittadini, estraendo l’uomo dal detenuto proprio come si fa con la matrioska, facendo emergere il buono che c’è in ogni essere umano, lasciando a digiuno, fino ad annientarlo, il mostro malefico, la risposta non può che essere sì. Possono e possiamo farcela. Come la città Ideale di Tommaso Campanella, questo progetto ha bisogno di urbanistica, governo e tutto il necessario per vedere la luce. Le carceri attuali sono figlie di un modello settecentesco, dal Settecento però la società civile ha fatto passi da gigante, sono state fatte rivoluzioni che ne hanno cambiato il corso. L’istituzione carceraria, nostro malgrado, non è stata al passo, per cui nell’immaginario collettivo il carcere è una discarica sociale e chi sta dentro deve marcire. Però il populismo penale non fa i conti con il fatto che, tranne pochissimi (meno di mille che non sto a riportare i motivi), i restanti quasi sessantamila, scontata la pena, torneranno in quella società che tanto li detesta. Se usciranno più incazzati e cattivi di quando sono entrati, non bisogna essere un genio per capire che la società non otterrà grande giovamento da ciò. Dunque urge la necessità di avvicinare il carcere alla città perché solo nell’incontro, nell’immedesimazione dell’uno nell’altro si abbattono quei muri altrimenti insormontabili. La proposta è che si costituiscano dei tavoli permanenti multifunzione, dove venga favorita la responsabilizzazione e dove il detenuto possa acquisire la consapevolezza del male fatto. Nella mia esperienza carceraria, spesse volte ho incontrato persone che non hanno contezza di dove inizia e poi finisce una legge. Per cui è necessaria l’educazione civica. A sua volta i cittadini capiscano che in carcere ci sono esseri umani pieni di fragilità. Si può inoltre pensare all’incontro di realtà economiche prossime al carcere che favoriscono, una volta che il detenuto rientra nei termini di legge, una richiesta di lavoro. Potrebbe crearsi una cittadella dei mestieri dove somministrare corsi altamente professionalizzanti. I tavoli, a parer mio, devono essere centrali nel proposito ed essere un work in progress. Il personale impiegato nel reparto ovviamente non può essere quello consueto che fa servizio in altri reparti, ma formato ad hoc. In ultima istanza, come emerso nell’incontro di martedì 20 c.m., il reparto può assumere anche un ruolo proprio di organismo di osservazione scientifica privilegiato, perché attraverso l’osservazione partecipante, la raccolta e l’elaborazione dei dati degli ospitati in esecuzione penale (interna ed esterna) si può determinare il benessere del detenuto relativamente alla qualità della vita detentiva, la tutela e/o il ripristino dei diritti, la possibilità del reinserimento sociale e il tasso di recidiva. Dulcis in fundo, vista la premessa iniziale di rendere realtà l’astrattezza, mi candido ufficialmente a redigere questo nostro proposito in un progetto europeo finanziabile da fondi europei per l’inclusione sociale. Rocco Panetta.