La complessa opera di Delitto e Castigo fornisce molti spunti di riflessione su cui è possibile confrontarsi. Primariamente il protagonista del romanzo, a seguito di un conflitto interiore, decide di uccidere una vecchia usuraia.
Questo fatto centrale, già di per sé, avvicina i detenuti all’opera, in quanto alcuni di essi hanno commesso la stessa azione e, in generale, il protagonista si discosta dalla via del lecito compiendo un atto di trasgressione in cui i carcerati si possono riconoscere.
Nel corso degli incontri ci si è chiesti se potesse essere utile per i detenuti affrontare un’iniziativa su quest’opera. Il protagonista del romanzo, infatti, vive la decisione dell’omicidio in modo diverso rispetto a quanto accaduto per molti di loro.
Nonostante ciò, i detenuti che frequentano il Gruppo della Trasgressione, hanno imparato ad affrontare quello stesso conflitto, soltanto che sono stati in grado di viverlo a seguito dei loro reati.
Inoltre, a mio avviso, l’iniziativa è utile in quanto Dostoevskij è in grado di rivelare la complessità del mondo interiore dei protagonisti e questa caratteristica avvicina e apre la prospettiva di tutti i lettori. Portare questo romanzo in carcere, inoltre, dimostra a tutti noi quanto si possa ricavare dalla lettura: la bellezza di immergersi in un mondo, di ritrovarsi in certe azioni, caratteristiche e stati d’animo.
Personalmente non ho potuto vivere l’esperienza dei cinque incontri all’interno del carcere di Opera, ma ho “soltanto” ascoltato e condiviso le riflessioni che sono state svolte durante gli incontri con gli esterni. Eppure, nonostante questi incontri fissi non fossero obbligatoriamente centrati su Delitto e Castigo, ho notato come diversi detenuti abbiano messo il romanzo al centro delle riflessioni che condividevano, intrecciando le loro impressioni riguardo all’opera con ciò che hanno vissuto durante la loro vita, soprattutto relativamente alle esperienze vissute prima della detenzione.
In tali riflessioni alcuni di essi si ritrovavano nel personaggio di Raskol’nikov, in quanto vedevano loro stessi come dei pidocchi che hanno tentato di entrare nella categoria degli eletti commettendo degli abusi, proprio come ha fatto il protagonista del romanzo.
Ma la teoria dei pidocchi e degli eletti, in fondo, non è applicabile anche alla quotidianità di tutti noi? Non è frequente ogni tanto sentirsi persone ordinarie, e altre, invece, qualcuno con qualcosa da dare al mondo?
E ancora, a volte non ci impegniamo a fondo nelle cose per dimostrare a noi stessi di valere, proprio come ha fatto Raskol’kov nel suo tentativo di sentirsi un eletto?
Elisa Parravicini