REPARTO LA CHIAMATA
“Investire su un sistema di negazioni e di divieti non ha senso; lavorare sulla qualità della vita in carcere, sui limiti e i punti di forza della persona, sul recupero di una progettualità per il futuro, ne può avere moltissimo” – Giacinto Siciliano
Durante questi anni di collaborazione con il Gruppo della Trasgressione ho avuto modo di comprendere l’importanza del dialogo, della comunicazione, del confronto tra persona detenuta e società esterna e della creazione di progetti di vita per contrastare il rischio di recidiva.
Il confronto attivo e la riflessione sul proprio vissuto, con la presa di consapevolezza dei propri agiti e una conseguente assunzione di responsabilità, permettono di giungere al Cittadino che, una volta uscito dal carcere, potrà effettivamente contribuire al benessere della società. Per contro, la detenzione, priva di stimoli e di opportunità di confronto e contatto con la società, è fine a sé stessa e non assolve alla funzione rieducativa della pena prevista dalla Costituzione Italiana.
Il cambiamento nelle persone è possibile, se vengono loro offerti gli strumenti adatti per una presa di consapevolezza e una attiva responsabilizzazione: “La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione” – Giorgio Gaber
La libertà di mente, come la chiamiamo al Gruppo, il vero indice di cambiamento, viene raggiunta solo attraverso un lungo percorso che inizia all’interno del carcere per poi continuare all’esterno, un confronto attivo tra detenuti e società, fatto di comunicazione, scambio di riflessioni, introspezione, riconoscimento delle proprie azioni devianti e delle proprie e altrui fragilità.
“L’uomo è una meraviglia che ha bisogno di fiducia, di sentirla, di meritarla, magari anche di perderla, sapendo che in quella scommessa diventa protagonista del proprio destino” – Giacinto Siciliano
Il Gruppo, come sua prassi quotidiana, fa in modo che il detenuto si interroghi su sé stesso, aiuta studenti e detenuti a comprendere che esiste qualcosa in comune in tutte le esperienze, che sia la devianza o anche le difficoltà, le conflittualità ed i sintomi che si sviluppano in risposta al disagio, poiché questi non sono esclusivi dell’esperienza di chi delinque ma anche di quella degli studenti. Il confronto costante tra studenti e detenuti porta a un arricchimento reciproco, alla riscoperta di una vicinanza di vissuti ed emozioni che difficilmente si sarebbe potuta immaginare prima.
Il lavoro del Gruppo consiste nell’andare in cerca della coscienza che era stata messa da parte durante i primi anni di vita e con l’adolescenza, quando i conflitti e le sofferenze portavano spesso la persona a sviluppare un’immagine di sé compatibile con il reato.
Il carcere, purtroppo, per come è strutturato, è un ostacolo alla comunicazione. La persona detenuta non deve perdere invece il contatto con la società esterna, di cui fa parte e dove tornerà a essere cittadino una volta uscito. Come scriveva Beccaria, “Non c’è libertà finché le leggi permettono che, in certe condizioni, una persona cessi di essere persona e diventi un oggetto”. L’esperienza detentiva, infatti, molto spesso porta all’alienazione e all’incapacità di riadattarsi al mondo esterno dopo il rilascio.
Occorre abbandonare l’ipotesi che condizioni estreme di disagio dei detenuti possano fare da deterrente a futuri comportamenti antisociali, perché la violenza genera violenza, e il degrado fisico e ambientale contribuiscono ad aumentare o creare il degrado morale. La pena scontata interamente in carcere, senza stimoli né contatti con il mondo esterno, è disfunzionale: rinchiudere una persona, già in partenza portatrice di rabbia e rancori, in una cella senza alcuno stimolo e senza la possibilità di confrontarsi con la società, non la potrà portare a riflettere e prendere coscienza del proprio percorso. Anzi, vivrà come ingiusta l’istituzione, maturando ancora più rabbia nei confronti dell’Autorità.
“La pena è utile quando il tempo in carcere viene impiegato in modo proficuo partecipando attivamente alle attività e agli incontri proposti, sfruttando le offerte formative e scolastiche e imparando un lavoro. Così i detenuti possono ricevere mille stimoli e scoprire di possedere abilità diverse da quelle che li hanno portati dove si trovano. Una pena utile non si può scontare in un carcere che non sia adeguato. […] sovraffollati, vecchi, fatiscenti, hanno troppe mura, troppe sbarre, pochi spazi per le attività responsabili. È compatibile tutto ciò con l’irrogazione di una pena utile e dignitosa? […] la dignità di un uomo rimane un valore intoccabile anche in cella” – Giacinto Siciliano
Il confronto con la collettività porta ad arricchimento e crescita personale, in quanto stimola la riflessione sul proprio vissuto, sulle proprie fragilità e permette, attraverso l’ascolto, il riconoscimento dell’altro in quanto essere umano da rispettare. In questo modo viene riconosciuta l’identità della persona, il suo pensiero, la sua scrittura, la sua creatività, ma soprattutto il suo valore, tutti aspetti che il detenuto nel corso della sua carriera criminale ha spesso sotterrato, dimenticato e nascosto perfino a sé stesso.
Il contatto con il mondo esterno al carcere permette a detenuti e membri della società esterna di interagire e collaborare per obiettivi comuni e favorisce nel detenuto (e non solo) il senso di autoefficacia e di autostima personale attraverso il riconoscimento da parte della collettività della propria funzione all’interno della società.
“Lo Stato forte è quello che dà fiducia e ha il coraggio di investire nelle persone, lo Stato forte non è quello che dice sempre no, perché essere chiusi non stimola il cambiamento. Se non c’è cambiamento, non ci sarà neppure testimonianza del cambiamento e la gente fuori avrà sempre paura e non avrà motivi per investire, per accogliere, per aiutare a sua volta a completare un percorso” – Giacinto Siciliano
È estremamente importante che l’Istituzione promuova uno scambio tra società e detenuti e vigili su di esso, così come risulta necessario un dialogo tra detenuto ed Istituzione. In questo senso, “promuovere” significa favorire la produzione di materiale che fa crescere la coscienza nel detenuto e ne previene la recidiva. Per evitare che un soggetto, una volta uscito, torni a delinquere, occorre responsabilizzarlo e dargli una funzione attiva.
Non tutte le persone “stanno in piedi” con la stessa facilità e l’investimento per mantenere le persone più in difficoltà con una funzione produttiva, sulla distanza, restituisce alla società maggior benessere rispetto al fatto che quella persona venga lasciata a se stessa. Le iniziative che possono contribuire all’evoluzione e al consolidamento della coscienza del detenuto non dovrebbero essere un epifenomeno del carcere ma parte integrante dello stesso, in nome della funzione rieducativa della pena. Infatti, il carcere è parte della società e nei confronti di questa non può non avere una responsabilità.
Il momento dell’ingresso in carcere è un evento traumatico per tutto ciò che ne consegue: la rottura dei rapporti con il mondo esterno, le fragilità e le problematiche individuali, la precarietà dei rapporti affettivi.
Il carcere è anche terreno fertile per l’insorgere di patologie psichiatriche durante tutto il periodo detentivo e nella fase prossima alla scarcerazione, legate all’ansia del reinserimento sociale.
Il Reparto La Chiamata ha come obiettivo centrale che la persona venga accompagnata durante la sua detenzione in un percorso di recupero della coscienza, che può solo avvenire attraverso un costante confronto con la società esterna, con gli studenti, i volontari, gli psicologi, l’Istituzione.
Nel reparto è necessario che la persona detenuta ricostruisca la fiducia nell’Istituzione e nella società di cui fa parte, ricucia lo strappo che si è creato tra lui e la collettività, sentendo di ricoprire una funzione valida e riconosciuta da quest’ultima. È fondamentale che chi si trova in carcere riacquisti fiducia e stima in sé stesso e nelle proprie potenzialità, svolgendo attività (formative, lavorative, gruppi di riflessione) volte alla costruzione di progetti futuri e non più compatibili con il reato.
Risulta inoltre centrale che il detenuto possa coltivare il rapporto con la sua famiglia e con i suoi figli, riacquistando autorevolezza e credibilità agli occhi di questi ultimi e prevenendo quindi la possibile devianza di seconda generazione.
Da tutti questi interventi trarrebbero giovamento sicuramente le persone detenute, ma anche le loro famiglie, i loro figli e, non ultimo, la società intera, perché una carcerazione che non contempla adeguati percorsi di reinserimento sociale e di responsabilizzazione è in netta contrapposizione alla sicurezza sociale e alla funzione rieducativa della pena prevista dalla Costituzione italiana.
Nota: Tutte le citazioni del dott. Giacinto Siciliano provengono da “Di cuore e di coraggio”, edito da Rizzoli, 2020.
Arianna Picco