Del mio primo giorno di carcere ricordo nitidamente una cosa, quella che io in galera ci dovevo andare a tutti i costi. Avevo 17 anni, di giorno ero un ragazzo perfetto, con un lavoro perfetto per gli altri, ma poi nel tempo libero facevo parte di una banda di ragazzi dedita a piccoli furti, tutti con un sogno per il futuro: quello di diventare dei banditi temuti e rispettati.
Così avvenne! Al mio primo arresto per il furto di una grossa moto, dopo una giornata passata in una caserma dei carabinieri venni portato al vecchio carcere di Bergamo, in città alta, che si chiamava Sant’Agata.
Ci stetti solo 2 giorni perché ero ancora minorenne e all’epoca poco importava. Quel battesimo galeotto spalancò per me le porte della criminalità dei primi anni ottanta.
Mi ricordo che era quasi notte quando varcai il portone del carcere con un altro ragazzo mio complice nel furto; fummo messi, diciamo pure, sbattuti, in una grande cella con più di 10 persone, con letti a castello con quattro file di altezza.
Dopo le domande per sapere di che valle e paese eravamo e per quali reati fossimo stati arrestati, ci fecero un piatto di spaghetti aglio ed olio, consuetudine di quegli anni in galera. Avevo una fame che tutti mi guardavano come mangiavo e mi riempivano sempre il piatto. Io non ero abituato all’aglio ma feci il duro e mangiai tutto. Qualcuno giocava a carte, qualcuno fumava, uno arrampicato alle brande, urlava alla finestra, una vecchia bocca di lupo (eliminate solo negli anni 90) da cui si vedeva solo il cielo e quando c’era… la luna, e gridava a qualcuno che era in strada, cosa in uso nelle vecchie carceri di città, e questo a tutte le ore del giorno e della notte sino all’arrivo di una volante della polizia.
In quei due giorni venni coccolato dai vecchi criminali e tutti mi dicevano che non potevo stare lì data l’età, ma a me andava bene, anche perché non avevo nessuno che si preoccupasse di dove ero finito. L’unica cosa che mi diede un poco da pensare fu al mattino quando le persone della cella mi diedero tutto quello che mi serviva per andare in doccia con un cambio di biancheria nuovo; ebbi la sensazione di essere entrato in un posto in cui sarei tornato tante volte.
Nonostante avessi desiderato di andare in galera, quel giorno ebbi forse un po’ di paura, capivo che la mia vita non sarebbe più stata quella di un ragazzo normale. Avevo comunque trovato il mio rifugio.
Giuseppe Di Matteo
Racconti: Il mio primo giorno in carcere – Percorsi della devianza