Disprezzato da tutti e isolato, Smerdjakov, viceversa, ha differenti legami e conosce a sufficienza le persone che lo circondano.
Smerdjakov mi fa una certa simpatia.
Non perché ha ammazzato il padre o perché da piccolo impiccava gatti crudelmente. Questo meriterebbe una riflessione a parte.
No, lo immagino, come in un teatro, dietro le quinte, che conosce a menadito, diciamo così, le parti dei vari attori in scena.
Del padre, Fedor, che pure lo disprezza e lo umilia in continuazione, conosce praticamente tutto: la sua lascivia e voracità e le sue inclinazioni nascoste. Smerdjakov è l’unico a cui è permesso di entrare nella sua stanza. Fedor chiede addirittura la sua complicità su come avvertirlo segretamente quando la desiderata Grusenka si fosse fatta viva, cosa che aspetta con ansia e passione.
Con Alioscia, il seminarista devoto e guidato dal santo starec, Smerdjakov usa l’arma dell’ironia e del sarcasmo.
Il dissoluto, irascibile e passionale Dimitri, invece, gli fa paura e lo tiene a bada.
Solo Ivan ha la sua ammirazione: ha belle idee, le espone in modo razionalmente appropriato e lo ascolta incantato e questo basta a renderglielo accettabile, anche quando ne riceve maltrattamenti aggressivi.
Insomma, Smerdjakov conosce bene…i suoi polli, ma ne riceve oltraggio e rifiuto. Anzi, direi proprio che egli possa plasticamente rappresentare il rifiuto, il negativo, in fin dei conti l’ombra.
L’ombra.
Ora, non c’è dubbio, tutti, più o meno consapevolmente, hanno quel lato umbratile che non vorrebbero, che rimuovono bellamente o che proiettano sugli altri, ma di cui non è possibile liberarsi impunemente.
A meno che, con faticoso lavoro, non ci si abbassi a fare i conti con lei e non se ne veda la reale e inevitabile portata.
Non ci resta, allora, che guardare a Smerdjakov-ombra con occhi diversi e venirne a patti. Sperabilmente, per una maggiore propria completezza.
Piero Invidia