Nel processo a Dmitrj si coglie che l’accusa tenta in tutti i modi di convogliare i sentimenti, le idee e i fatti che hanno portato all’omicidio del padre in un imbuto che cancella l’ambiente e si concentra sulle responsabilità dell’imputato.
Al di là dell’errore di persona sul presunto omicida, in generale, mi sembra che concentrarsi sulle dinamiche dell’imputato scorporandole dal resto comporti il rischio che la pubblica accusa e il giornalista di cronaca nera possano dar luogo a qualcosa di molto simile alla pratica medievale di esiliare sull’eretico di turno la complessità della realtà, delle contraddizioni e dei conflitti sociali.
In altre parole, mi pare che la funzione del Pubblico Ministero e, non di meno, del giornalista siano esposte strutturalmente al rischio di venire asservite al bisogno collettivo di confinare il male dentro il colpevole, il quale diventa in questo modo una specie di buco nero capace di risucchiare su di sé e cancellare tutto quello che gli sta attorno.
Dostoevskij, verso la fine del 19° secolo dimostra chiaramente di sentire questo rischio; noi oggi possiamo chiederci se esistono sistemi per ridurlo?