“Più che difetti gravi, furono dunque le mie aspirazioni eccessive a fare di me quello che sono stato, e a separare in me più radicalmente che negli altri, quelle due province del bene e del male che dividono e compongono la duplice natura dell’uomo… Per duplice che fossi, non sono mai stato quello che si dice un ipocrita. I due lati del mio carattere erano ugualmente affermati: quando mi abbandonavo senza ritegno ai miei piaceri vergognosi, ero altrettanto me stesso di quando, alla luce del giorno, mi affaticavo per il progresso della scienza e per il bene del prossimo… E’ stato dal lato morale, e sulla mia stessa persona, che io ho imparato a riconoscere la fondamentale e originaria dualità dell’uomo… Molto presto appresi a indugiare con piacere sul pensiero di una separazione delle due nature. Se queste, mi dicevo, potessero incarnarsi in due identità separate, la vita diventerebbe più sopportabile. L’ingiusto se ne andrebbe per la sua strada, libero dalle aspirazioni e dai rimorsi del suo più austero gemello; e il giusto potrebbe continuare sicuro e volenteroso sul retto cammino di cui si compiace, senza più doversi caricare di vergogne e di rimorsi per colpa del suo malvagio associato.”
Queste le riflessioni su se stesso del dottor Jekill stimato professionista, benestante, membro della buona società, e uomo di scienza.
Che tra gli uomini ci siano i buoni e i cattivi lo si sa dai tempi di Caino e Abele. Che un uomo buono possa però, in certi momenti, diventare totalmente cattivo, è un fenomeno noto e spiegato di volta in volta dalla possessione demoniaca, dall’alcool, dalla irruzione repentina della follia.
Ma il dottor Jekyll non beve, non è pazzo, non è posseduto dal demonio. È uno scienziato che, riconosciuta l’esistenza della sua dualità, infastidito dal disagio che ne consegue, desideroso di poter vivere appieno i suoi vergognosi piaceri, si lascia tentare da un “esperimento” che asseconda la sua arroganza. L’esperimento ha successo ed egli si lascia ingolosire dal ripeterlo, ancora e ancora, dando libero sfogo ai suoi istinti più animali e brutali. L’esperimento messo in pratica grazie alle sue conoscenze e abilità sfugge al suo controllo. La sostanza miracolosa che lo liberava e di cui credeva di avere il controllo in realtà controlla lui e lo porterà alla morte.
“Guardai il liquido che ribolliva e fumava nel bicchiere, aspettai che terminasse l’effervescenza, poi mi feci coraggio e bevvi. Subito dopo fui assalito da spasmi atroci: un senso di frantumazione delle ossa, una nausea mortale, e un orrore, una repulsione dello spirito. Ma presto queste torture cessarono, e riprendendo i sensi mi ritrovai come uscito da una grave malattia. C’era qualcosa di strano nelle mie sensazioni, qualcosa di indicibilmente nuovo e gradevole. Mi sentii più giovane, più leggero, più felice fisicamente, mentre nel morale ero conscio di altre trasformazioni: una caparbia temerarietà, una rapida e tumultuosa corrente di immagini sensuali, uno scioglimento dai freni dell’obbligo, un’ignota libertà dell’anima”
E ditemi che tutto questo non vi ricorda le testimonianze dei tossicodipendenti che cominciano a raccontare delle loro angosce e dei loro disagi, delle loro ansie e delle loro paure, dei carichi di lavoro divenuti intollerabili e affrontabili solo grazie alla sostanza. Tutto questo è straordinariamente simile. Sono simili gli effetti di leggerezza, di liberazione, è simile la sicurezza del “mi fermo quando voglio”. Ma sono tutte manifestazioni dell’arroganza che interessa individui molto diversi, che interessa anche gli scienziati, se pensano che i percorsi e gli obiettivi della scienza non debbano avere limiti.
Tutte le manifestazioni di onnipotenza sono dei deliri. Talvolta nemmeno gli scienziati ne sono immuni. E non ne sono immuni nemmeno alcuni personaggi della letteratura, cui gli scrittori attribuiscono un’arroganza volta ad analizzare le varie manifestazioni dello spirito umano.
Nuccia Pessina