Il mito di Sisifo nasce da un’idea del nostro coordinatore, il dottor Aparo, il quale ha messo in evidenza l’intreccio tra la nostra rappresentazione del mito e le vicende personali di noi detenuti del gruppo della Trasgressione.
Sisifo, re di Corinto, pressato dal suo popolo che è rimasto senza il bene prezioso dell’acqua (anche a causa di una serie di sprechi), chiede aiuto al dio delle acque fluviali, Asopo. Quest’ultimo, inizialmente, non ha alcuna considerazione per il re e, dall’alto della sua superiorità, rifiuta anche il mero contatto fisico.
Ma Asopo si troverà costretto, suo malgrado, a sottostare alla richiesta del re di Corinto, essendo Sisifo l’unico che può fornirgli informazioni su sua figlia Egina. La ragazza, infatti, dopo un brutto scontro col padre, era scappata di casa, arrabbiata contro Asopo, che si disinteressa del suo lavoro e ha verso la figlia un atteggiamento autoritario e superficiale, senza rendersi conto che quei comportamenti hanno azzerato la sua credibilità e la fiducia di Egina nei suoi confronti.
La ragazza, in preda a un distruttivo sentimento di rivalsa e di contestazione nei confronti del padre, vada per il bosco di Corinto, dove viene avvicinata da Giove, re dell’Olimpo, che la invita a partecipare ad uno dei tanti “festini” organizzati apposta per soddisfare la sua smania di potere.
Sisifo, venuto a conoscenza di ciò, sfrutta la cosa a suo vantaggio, mettendo però in atto la stessa arroganza, la stessa sete di potere che aveva a sua volta subito. Nonostante abbia già ottenuto da Asopo acqua in abbondanza in cambio delle informazioini sulla figlia, Sisifo umilia il dio dell’acqua, costringendolo a inginocchiarsi e riservandogli lo stesso trattamento che egli aveva subito fino a poco prima.
Tutto ciò, non può essere accettato da Giove, il quale non accetta che un comune mortale metta in atto tali comportamenti. Il re dell’Olimpo chiama il fratello Ade e gli ordina di mandare il Dio della morte a catturare Sisifo per farlo giustiziare.
Sisifo però riesce a farsi beffe anche di Thanatos, che, in preda ad una crisi di coscienza, non vuole più accettare il ruolo di killer. Sisifo ne approfitta, lo ubriaca, lo lega e fugge.
Giove, di fronte a questo ennesimo oltraggio alla autorità degli dei, condanna Sisifo, non più alla morte, bensì alla vita eterna, imponendogli come punizione che egli spinga perennemente un grande masso su per una montagna per il resto della sua esistenza.
Lo sforzo è immane, ma con il tempo Sisifo si renderà conto che quel masso non è altro che la sua coscienza non ascoltata, la quale adesso si manifesta con insistenza. Sisifo capisce che mentre ascolta il masso e ne intende le ragioni il suo fardello diventa meno opprimente.
L’arroganza di Sisifo, mi fa pensare alla stessa arroganza che ha condizionato la mia vita “esterna”: il sottrarmi volontariamente alle regole e il delirio di onnipotenza mi hanno fatto sentire in diritto di decidere anche della vita delle persone con una evidente inumanità.
Grazie al gruppo della trasgressione, oggi ho una discreta capacità di analisi che mi permette di avere una revisione critica nei riguardi dei comportamenti scellerati da me adottati anche dopo il mio arresto.
Fortunatamente per me, ma anche per la società che tanto ho contribuito a degradare, il masso ha iniziato a farsi sentire.
Antonio Antonucci