L’arroganza è presente in ognuno di noi, in qualche modo rende possibile affermare la nostra identità, permettendoci di vivere con gli altri. Una giusta dose è quindi necessaria alla convivenza con gli altri, è come una spinta che permette di credere in sé stessi, nelle proprie facoltà e capacità di agire in un mondo sempre più mutevole e incerto.
Ma è possibile stabilire un limite entro il quale contenere un’arroganza sana, “normale” e quindi adattativa? Quando si può parlare invece di un’arroganza non socialmente accettabile, in questo senso quindi non addomesticata?
Credo che il confine fra le due tipologie di arroganza venga oltrepassato quando un soggetto viola la libertà altrui, provocando nell’altro un malessere, sia esso psicologico o fisico. In questo caso, infatti, l’arroganza non è più motivata dal desiderio di essere riconosciuto come soggetto o di affermare le proprie istanze, ma diviene un metodo per attuare un sopruso. È adoperata per dominare l’altro, imporre le proprie idee e la propria volontà, sfruttando l’altro come un mezzo per raggiungere i propri fini e senza riconoscergli la dignità di persona.
Durante il periodo dell’adolescenza è una problematica che diventa centrale, infatti l’adolescente, in quanto essere in divenire, prova un grande bisogno di affermare la propria identità. Per far questo spesso può assumere un atteggiamento arrogante nei confronti dei genitori, degli insegnanti e dell’autorità in genere. Queste manifestazioni di arroganza possono in alcuni casi anche sfociare in atti di violenza e di aggressione qualora questa autorità venga percepita come respingente o ingiusta.
È possibile, inoltre, riconoscere nel fenomeno del bullismo, una delle manifestazioni di arroganza più comune fra i ragazzi. In questi casi, ci si nasconde dietro una maschera per celare la propria reale fragilità e insicurezza.
In questo senso vorrei far riferimento al mito di Icaro, il quale riceve le ali con penne di uccello, sigillate alla schiena con la cera da Dedalo. Il padre gli fa una raccomandazione, quella di non allontanarsi troppo da lui e di non avvicinarsi troppo al sole, per evitare che si sciolga la cera delle ali. Icaro però, affascinato dal sole, si dimentica dell’ammonizione del padre e precipita in mare. Egli ha voluto volare più in alto, pensando che niente potesse arrestarlo e questo atteggiamento diventa la causa della sua rovina. Pensava di essere più saggio di suo padre e di essere invincibile, ma così facendo porta danno a sé stesso e a coloro che lo circondano.
La sua vicenda conferma che la sensazione di potere inebria fino a illudere di essere portatori di qualità superiori e che nessuno può eguagliare.
Per sviluppare la tematica in un’altra direzione, vorrei anche esaminare il rapporto fra suddito e tiranno, dove si vede l’ambiguità dell’arroganza e la sua difficile categorizzazione. Per parlare di ciò, farò riferimento alla storia di Alexandros Panagulis, politico, rivoluzionario e poeta greco da cui è tratto il libro “Un Uomo”.
Egli nel 1968, nel periodo in cui la Grecia cadde sotto la dittatura di Papadopulos, decise di opporsi attentando alla vita del tiranno a capo del regime. Il tentativo però fallì e venne condannato a morte, successivamente ricevette un’amnistia e venne incarcerato per svariati anni. Durante questo periodo fu sottoposto a torture indicibili, negli ultimi anni addirittura gli fu assegnata una cella a forma di tomba per evitare ulteriori tentativi di fuga e per punirlo per le sue continue ribellioni. Egli, infatti, durante il periodo di carcerazione continuò a sfidare il potere costituito, servendosi del suo grande intuito e della sua capacità di infastidire coloro che lo seviziavano. Continuò a lottare per guadagnarsi la libertà, motivato ad affermarsi come individuo in una società fondata sul principio del sopruso e della sopraffazione. Per farlo si servì quindi della violenza, però ciò che lo muovevano erano gli ideali di libertà e di lotta contro un potere ingiusto.
In questa storia possiamo osservare due tipi di arroganza, quella di Aleksandros e quella dei carcerieri e del tiranno. La prima è però un’arroganza mossa da alti ideali, il suo fine ultimo era quello di liberare il popolo greco dal giogo del tiranno. Dall’altro lato abbiamo un sistema creato appositamente per dominare il popolo servendosi del potere militare praticando la violenza verso qualsiasi suddito provi a sfidarlo. Questi sudditi sono quindi agli occhi del potere uomini senza volto e senza dignità.
Possiamo quindi notare che l’arroganza è un tema complesso, che vale la pena studiare da svariate angolazioni, senza dare per scontato che essa riguardi solo chi è malato, asociale e tale da dovere essere punito senza ulteriori domande.
Gaia Mariani