Una giornata in montagna

Quando in carcere, alle ore 6:00 del mattino, si accendono le luci della stanza, di solito è per recarsi in tribunale o per qualche visita ospedaliera. Proprio la mia stanza era tutta accesa, tra gioia e, non lo nascondo, anche ansia. Ma l’attesa era ricca di felicità. Ero già pronto dietro alla porta, ma dovevo aspettare perché la chiave non è attaccata.

Appena aperto, esco subito per recarmi al blocco dell’uscita; alle 7:00 mi aspettava la nostra dottoressa Boccaccio, per noi Carlotta. Anche lei fa parte del gruppo della trasgressione e ha un ruolo per i detenuti del gruppo molto importante: è lei che si prende la responsabilità di accompagnarci agli eventi, come oggi che ci porterà in montagna. L’appuntamento, per detenuti e non, era sotto casa del Dott. Aparo per poi partire tutti insieme.

Anche mia figlia Martina, quando può, viene agli eventi che organizziamo con il gruppo, oggi infatti c’è anche lei. È arrivata sola da casa, con la sua macchina e mentre cercava di parcheggiare io ero lì che la guardavo preoccupato e curioso; era la prima volta che la vedevo con una macchina. Quando mi hanno arrestato Martina aveva 12 anni, oggi ne ha 22 e io mi sono perso tutti gli anni più belli della vita dei miei figli (e anche come lei ha imparato a guidare una macchina). A vedere tutto questo iniziavo a pensare che oggi sono un uomo e un padre fortunato. Avere ottenuto questa autorizzazione dal magistrato è proprio un vero miracolo e non posso tradire la sua fiducia.

Appena Martina esce dalla macchina ci abbracciamo e solo il fatto di sentirmi chiamare papà mi rende libero e mi dà sicurezza, mi fa emozionare perché quel distacco e quella lontananza dati dalla mia carcerazione mi fanno un grande male e sento di essere stato uno stronzo.

Salgo in macchina con lei e partiamo. Ero sbalordito a sentire il rumore delle macchine, era 10 anni che non prendevo la Milano-Lecco. Vedere la Brianza mi sembrava un sogno, si vedevano da lontano le montagne, il verde. Questa strada che ci porta in Valsassina a Barzio la conosco bene, l’ho fatta per anni e ho anche una casetta dove andavamo tutti i sabati a portare i bambini a sciare.

Arrivati a Barzio ci attendevano delle persone con due grandi Jeep per portarci al rifugio per la nostra camminata. Siamo saliti così in alto che la temperatura è scesa. Martina mi aveva portato un maglioncino, uno zainetto con dei panini e una borraccia, ha pensato pure a questo. Mi sentivo rinato, tutta cosi premurosa, cosi dolce, sentivo le scosse al cuore. Questi gesti, questa libertà, lo starmi attaccato, erano emozioni che non provavo da anni.

Si parte per una lunga camminata, il Dott. Aparo andava come un treno, Matteo e Carlotta ridevano, credevano che io non sarei arrivato alla meta, dove c’era il lago Sasso. A un certo punto della strada mi giro a guardare, uno shock! Vedere tutta quella bellezza, sentire quel profumo di verde, i colori delle pietre, questi sentieri cosi strani, avevo voglia di urlare. Sentivo nella mente che la sera tutto questo sarebbe finito e che dovevo tornare in carcere, ma mia figlia Martina è la mia cura, insieme a lei sparisce tutto. Una giornata così bella e cosi emozionante non c’è mai stata, il piacere era alle stelle.

Volevo arrivare in cima, era una sfida! Il Dott. Aparo sì e io no? Martina chiedeva aiuto al suo papà per attraversare i ruscelli da un sasso all’altro, quella mano che mi chiedeva aiuto era così pronta e rimaneva attaccata alla mia, era la prima volta che le sentivo dire: “papà stai attento che cadi!”. Il suo preoccuparsi mi dava una carica per stare sempre più vicino e mi faceva rendere conto che posso ancora riprendere la mia vita e costruire un futuro con i miei figli.

Più si saliva più si sudava, ma il pensiero di essere oggi libero con Martina e con il gruppo mi fa crescere dentro un desiderio di responsabilità, di una vita senza sbarre, senza muri, ma con la consapevolezza che devo pagare questo mio debito per gustarmi i valori che la vita offre.

Giunti al rifugio eravamo stanchi, Martina che si lamentava, ma è valsa la pena per vedere quel paradiso terrestre. Erano quasi le 15:00 e dovevamo pranzare. Ad un certo punto mi sento chiamare, una grande sorpresa: era mio figlio Mattia. La gioia si era completata, mi mancava anche lui ed essere tutti insieme con loro mi dà la speranza di poter tornare ad essere un papà migliore. Martina si emoziona a vedere me con suo fratello, anche perché è stata proprio lei a stargli vicino in questi duri anni, insieme alla loro mamma.

Sanno che ho sbagliato e che tutto questo è solo colpa mia, ma loro fanno tanto per me. Oggi l’essere venuti a camminare qua ci unisce e rinforza il nostro rapporto e il nostro amore. Questo nuovo confronto tra padre e figli, la possibilità di essere in questa giornata fuori dal carcere dà una speranza a chi non crede più e ricarica quei figli che avevano perso le speranze di rivedere il loro papà a casa fra loro. Mi sento fortunato e anche meritevole di aver ottenuto questo beneficio, ma c’è un angolino dentro di me che mi fa sentire triste, perché penso a quei carcerati che non possono avere questa occasione come me, quella di passare una giornata cosi bella con i propri figli e da padre che si sente libero.

Per finire, voglio dire la cosa più importante di questa giornata, anche se avrei potuto dirne tantissime indimenticabili: il rientro in carcere, la consapevolezza di tornare fiero e stanco in cella, di aver lasciato Mattia e Martina felici che presto il loro papà potrà tornare a godersi piccoli spazi di libertà e il grande lavoro del gruppo, che si fa con serietà e fatica. I progetti da portare avanti sono molti e anche questo mi fa tornare felice in carcere, perché dietro di me ci sono persone che mi aiutano e mi danno la loro fiducia.

Anche questo percorso fa parte della mia carcerazione, percorso che desidero portare avanti anche quando potrò essere un cittadino e un uomo libero. Devo molto al gruppo della trasgressione, sono fiero di farne parte e sto vivendo momenti di vere riflessioni, emozioni e anche di riconoscimento. Rispettare le regole significa rispettare se stessi, i propri figli e la società.

Sento il mio cambiamento dentro al carcere e fuori dalle mura. Se oggi riesco a comprendere tutti i miei errori è grazie a tutte quelle persone che hanno lavorato e dato fiducia a me, come il dott. Di Gregorio e l’ispettore che mi hanno permesso di lavorare in carcere, la dottoressa Cossia, che ha concesso di potermi recare nelle scuole, al Beccaria, a San Vittore e anche in questa bellissima giornata e il dott. Aparo per il lavoro che porta avanti con il gruppo. Spero che queste occasioni vengano concesse anche ad altri detenuti come me.

Ignazio Marrone

Il diritto al rancore e il paradosso della mente ubriaca

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