Cosa mi porto da “Il diritto al rancore”

Penso che più che altro, questo convegno mi abbia lasciato tanta umanità, tanta voglia di cambiamento e, nonostante tutto, tanto amore per la vita.

Il gruppo della trasgressione ha portato i detenuti a riflettere su alcuni aspetti del loro passato, in particolare sul rancore che essi nutrivano nei confronti dell’autorità, un’autorità detestata, ma detestata per dei motivi ben precisi: perché sentita distante e passiva.

L’immagine dell’autorità però può cambiare, può cambiare se si accoglie l’autorità e non la si attacca; essa però deve potersi far accogliere.

Si fa accogliere attraverso persone speciali, come il magistrato  Cossia o il direttore Di Gregorio, si fa accogliere se cerca di capire e comprendere il detenuto, anziché punirlo senza educarlo.

Ed è da questo rapporto che il rancore può sfumare, per lasciare spazio al buono, un buono non buonista, ma educativo e riabilitativo, un buono che, oltre ad abbracci, è capace di dare schiaffi, ma amando e costruendo il futuro dei detenuti insieme a loro.

Educare significa soprattutto responsabilizzare, e sentirsi responsabili fa crescere. I detenuti hanno il desiderio di sentirsi responsabili per dare un segnale al mondo, per ripicca nei confronti della loro vita passata, per sentirsi di nuovo vivi.

Per fare tutto ciò e per mettere in piedi una straordinaria macchina come quella che abbiamo visto ieri ci vuole umanità, e avere umanità significa avere empatia, e avere empatia, in queste cose, significa avere coraggio, ma tanto coraggio, dimostrando che ogni singolo detenuto ha il diritto di avere rancore, e l’autorità ha il dovere di riconoscerlo e il dovere di offrire una nuova strada di vita.

Giole Tofuri

Il diritto al rancore e il paradosso della mente ubriaca

Il mio rancore, guardando il soffitto

Ogni tanto, durante la giornata, mi fisso a guardare il soffitto disteso sulla branda, e spesso ripercorro le fasi della mia vita, partendo da quando ero piccolo e dal mio rancore, un sentimento acceso da situazioni che hanno spiazzato tutte le mie aspettative. Come per tutti i figli, anche per me i veri idoli e punti di riferimento erano i miei genitori, ed io, come tutti, cercavo la loro attenzione. Eravamo papà, mamma, io e Massimiliano, il mio fratellino.

Durante la settimana, da lunedì a venerdì, mio padre, stando a quello che ci diceva mamma, lavorava in trasferta, mentre mamma Angelina faceva 2 o 3 lavori per non farci mancare nulla. Noi, dopo una mattinata, chi all’asilo chi a scuola, facevamo il nostro piccolo dovere; di pomeriggio ci appoggiavamo un po’ a destra e un po’ a manca, da zii o da vicini di casa. Tutto questo fino all’età di 9 anni io e 5 anni Massi.

Col passare del tempo, piano piano ho iniziato a vedere mio padre sotto un altro aspetto, questo dovuto ai loro primi litigi (in presenza mia), anche cercati da mamma, perché aveva scoperto, e lo dichiarava davanti a noi, che aveva un’altra donna.

A un certo punto, ci siamo trovati catapultati in collegio dalle suore a Vigevano. E qui il mio malanimo si è aggravato ancora di più e mi ha portato a chiudermi con gli altri. A rafforzare il mio disagio vanno anche aggiunti i sabati e le domeniche, passati alla finestra ad aspettare: un weekend veniva a trovarci mamma, sempre puntuale, mentre dell’altro weekend non dimentico ad oggi le scuse che  dovevo inventare per cercare di sdrammatizzare con mio fratello piccolo: gli dovevo fare da padre, irrequieto com’era, mentre vedeva gli altri collegiali andare via uno alla volta.

Così potete anche immaginare come lievitavano i miei rancori, erano sempre più forti, anche se poi non li manifestavo. Era cresciuto un risentimento nascosto, che mi ha seguito molto durante il percorso della vita; forse anche per la mia impotenza di non poter sistemare le cose.

Dopo due anni, siamo tornati anche a vedere i miei adorati nonni, sia paterni che materni, e lì filava tutto liscio, ma poi sono riapparse le crepe in casa. E da lì, quando sono diventato un po’ più grande, per sentirmi bene, dovevo scappare fino alla fine della tempesta. E così, andando in strada, mi sono trovato con dei miei coetanei che avevano disagi simili ai miei.

In effetti, c’era chi aveva i genitori come me, chi il padre o i fratelli in galera, le stesse problematiche che hanno reso facile mischiarmi con i miei simili e prendere strade sbagliate.

Qui il rancore si è fuso con un improvviso delirio, che a quell’età mi ha portato ad esplodere in azioni incontrollate. Volevo fare il medico, curarmi da solo senza una laurea.

Oggi però, mi sento meno ansioso, anche perché alla lunga ho capito che è inutile fare la guerra contro chi doveva essere il mio supereroe (mio padre), perché ciò porterà solo distruzione.

Anche vero che portare rancore a volte non è solo utile ma addirittura necessario, con un dosaggio controllato, perché ad oggi questo mi ha spinto a ragionare, pensare, migliorare, come sto facendo ora. L’importante è capire quando è utile e quando può essere dannoso.

Tocco questi argomenti con il gruppo perché mi rivedo nei ragazzi di oggi. Tanti di questi rimangono senza che nessuno li ascolta, o si ritrovano a interpretare ruoli non propri, prendono decisioni affrettate, senza esperienza e senza consultarsi con nessuno. In fondo, se non hai una guida, è difficile orientarsi per la strada giusta.

Ora è meglio che mi stacchi dal soffitto, altrimenti, non finisco più con questo scritto.

Percorsi della devianza
Il diritto al rancore e il paradosso della mente ubriaca

Nunzio Galeotta

Il bivio

D’un tratto il mio viso arrossì
Il cuore a dismisura colpiva lo sterno
Dove il battito tambureggiava
Un’ansia preoccupante

Scelsi il facile
Lasciando il difficile
E mi ritrovai prigioniero
Di una vita non mia

Dopo decenni mi accorsi
Che la fatica della scelta
Avrebbe più premiato il difficile

Come un viaggio a ritroso
Donerei l’anima per ritrovarmi
In piedi, paonazzo
Al posto del cuore un tamburo
Davanti alla scelta
Due strade
Due destini

Piango
Ma con decisione sceglierei
Il difficile modo di vivere

Oggi mi ritrovo
Colpito dalle corde di una chitarra
Che suona
La melodia della rivalsa

Marcello Cicconi

Percorsi della devianzaPoesie

Un gruppo per rielaborare e partecipare

Durante il mio tirocinio col Gruppo della Trasgressione ho avuto l’opportunità di acquisire competenze e conoscenze che vanno ben oltre quanto immaginavo. Ho imparato a comprendere più a fondo la complessità dell’animo umano, in particolare attraverso l’ascolto e l’osservazione delle dinamiche che emergono nel confronto tra persone con vissuti diversi. Lavorando a fianco di chi ha commesso reati, delle loro vittime e di professionisti, ho appreso quanto sia importante affrontare il passato per rielaborarlo in un’ottica di crescita personale e collettiva.

Ho imparato a riconoscere l’importanza della comunicazione autentica, che si manifesta nel saper ascoltare, nel valorizzare le storie degli altri e nell’individuare punti di incontro anche tra prospettive apparentemente differenti. Ho capito che il cambiamento, personale e sociale richiede tempo, pazienza e un lavoro costante, ma è possibile quando esiste un dialogo sincero e costruttivo.

Nel corso del tirocinio ho percepito il gruppo non solo come un insieme di persone che collaborano verso un obbiettivo comune, ma come una vera e propria famiglia. La fiducia reciproca, il rispetto e il sostegno sono stati i pilastri che hanno reso ogni incontro un momento significativo e arricchente. In questa famiglia ognuno ha un ruolo unico e al servizio degli altri: chi porta il peso del proprio passato trova spazio per rielaborarlo; chi ascolta impara a mettersi nei panni dell’altro; chi facilita il dialogo offre strumenti per la costruzione di una nuova consapevolezza.

Mi sono sentita accolta, nonostante le diverse esperienze e prospettive. Questo senso di appartenenza mi ha insegnato quanto sia fondamentale sentirsi parte di qualcosa di più grande per crescere come individui.

Sul piano personale, questo tirocinio mi ha aiutata a sviluppare una maggiore empatia e una profonda sensibilità verso le storie di vita degli altri. Ho imparato a guardare oltre i pregiudizi, a riconoscere la complessità delle scelte e delle circostanze che modellano il comportamento umano. Questi strumenti mi hanno reso più consapevole di me stessa e delle mie emozioni, favorendo un percorso di crescita personale che porterò con me anche al di fuori del contesto lavorativo.

Dal punto di vista professionale, il Gruppo della Trasgressione mi ha dato l’opportunità di acquisire competenze fondamentali per il mio futuro. Ho potuto osservare come il lavoro di gruppo possa essere un potente strumento di cambiamento e riabilitazione. L’esperienza mi ha permesso di rafforzare le mie abilità nel lavorare in team e di comprendere l’importanza di un approccio interdisciplinare nella risoluzione di problemi complessi.

Questo tirocinio non è stato solo un’opportunità di formazione, ma un’esperienza di vita che ha lasciato un segno profondo. Il Gruppo della Trasgressione mi ha insegnato che il cambiamento è possibile attraverso il confronto, la riflessione e l’impegno condiviso.

Porterò con me tutto ciò che ho appreso, con gratitudine verso chi mi ha guidata e ispirata in questo percorso.

Erika Rosavalle

Relazioni di tirocinio