Alla ricerca del padre – day 1

Cari tutti,

vogliamo ringraziarvi di cuore per la vostra partecipazione al primo incontro del nostro progetto “alla ricerca del padre”. Siamo onorati di aver dato forma ad un gruppo subito attivo, che ha saputo garantire un ascolto così attento, costante e caldo. Grazie per le parole, i silenzi, i disegni e i cannoli siciliani che hanno allietato il finale.

Ci vediamo martedì prossimo!

🎹 Peter Gabriel – Father, Son (2000)

[un percorso di riflessione è iniziato, in parallelo, dentro il carcere di San Vittore e all’istituto penale Beccaria grazie all’impegno del Gruppo della Trasgressione]

Alla ricerca del padre

Eccoci, alla ricerca del padre

Carissimi Alessandro, Andrea, Antonio, Davide, Dino, Fabio, Francesco, Francesco, Giorgio, Giuseppe, Ivano, Lorenzo, Luca, Ludovico, Paolo, Riccardo, Samuele e Stefano.

Ci aspettano una serie di incontri nei quali l’attenzione sarà maggiormente rivolta all’ascolto di sé stessi grazie alle risonanze di alcune sollecitazioni esterne, che potranno anche scaturire dalla condivisione di reciproche esperienze di genitorialità.

Abbiamo costituito un gruppo, di poco più numeroso rispetto all’idea iniziale, di 18 padri tutti con (almeno) un figlio/a tra i 13 e i 18 anni.

Siamo grati di aver ricevuto oltre 20 candidature e ringraziamo tutti per aver ritenuto il nostro progetto meritevole di una vostra partecipazione attiva, con motivazioni che ci sono sembrate tutte davvero importanti e profonde.

Eccone qui alcune:

Alessandro

Ho 58 anni e sono padre di due figli, Lorenzo 22 e Hui 16 anni. È ormai lungo tempo che rifletto sul rapporto che ho con i miei figli. La costante paura e spesso, a posteriori, certezza di aver fatto, detto, trasmesso la cosa sbagliata, l’emozione che dovevo tenermi dentro, la parola di troppo. In più di 20 anni di paternità ho cambiato più volte idea su cosa debba fare un genitore, ma ancora non ho idee compiute. Mi sento un cantiere che non finisce mai. Al contempo, cittadino di Milano da sempre, vedo nelle mura di San Vittore, una presenza ingombrante ed importante della città. L’ho sempre guardato e pensato alle vite che scorrono lì dentro, sospese; e la domanda è sempre quella: perché?

Sono alla ricerca di quadrare il cerchio padre – figlio. Dove un padre ritrova sé stesso figlio e quando capisce le tensioni i desideri, le paure di sé stesso figlio, forse può leggere con più chiarezza quelle dei suoi figli.

 Francesco

Il totem scout di “Tigre gioiosa”, che mi fu dato all’età di diciassette anni, ancora dice molto delle mie spigolature di uomo. Ho 54 anni e insieme a Raffaella sono genitore preoccupato di un figlio di 13 anni e di una figlia di 10 anni.

Amo la musica che sa emozionare per far pensare: così la sera del primo dicembre 2011, preludio dell’ultima notte prima di nascere papà, l’attesa già lasciava trapelare – oltre alle sperate gioie – le temute paure dentro quel verso struggente di Alexi Murdoch. “E se non posso essere tutto ciò che potrei essere …tu, tu mi aspetterai?”: quasi una mia preghiera al figlio che finalmente stavo per incontrare.

Sono grato ad Angelo Aparo per avermi coinvolto, dopo 19 anni di incontri fuori e dentro il carcere, nel progetto del “Reparto la Chiamata” con i giovani adulti detenuti: durante quei dieci giovedì mattina tra febbraio e marzo 2023 inaspettatamente è nata anche l’idea di questa nuova sfida, di cui sono co-autore ma soprattutto vittima predestinata. E sono ugualmente grato agli altri padri che si sono candidati perché credo molto al confronto – anche schietto e crudele, se serve – tra pari e al piacere, che in città caotiche come Milano diventa sempre più difficile coltivare, di ricavarsi spazi e tempi interiori per mettersi in discussione come padri per una qualcosa di più grande ed importante.

Lasciandomi interrogare da questa immagine (“il ritorno del padre prodigo”, quasi un ribaltamento del dipinto di Rembrandt), posso dire che sono alla ricerca di riuscire davvero ad andare al passo con il tempo che fugge via e con i figli che crescono e diventano altro-da-noi, per accettare finalmente il fatto come una vittoria (cit. Francesco De Gregori).

Giuseppe

Ho 49 anni, sono padre di tre figli rispettivamente di 14, 12 e 10 anni. 15 anni fa, durante il corso preparto di mia moglie ho scoperto il ciclo di incontri “È nato un papà”, questo ha segnato l’inizio di un percorso di confronto sulla genitorialità. Da allora, faccio parte del gruppo “Papà, chiacchiere e fornelli“, il gruppo è formato da 18 papà, ci riuniamo ogni tre settimane a Monza per condividere una cena e discutere di paternità e vita familiare.

Il compito di genitore è molto complesso e vorrei cogliere quest’opportunità, credo che il confronto e la condivisione delle esperienze forniscano spunti preziosi di crescita e consapevolezza, soprattutto perché condividiamo un obiettivo comune: “crescere e migliorarci come padri”.

Questo percorso mi aiuterà a comprendere meglio il mio ruolo e ad affrontare con maggiore equilibrio le sfide della paternità.

Samuele

Ho sessant’anni, abbiamo quattro figli (Isacco di 26, Noemi di 24, Susanna ne avrebbe avuto 20 ma ci è mancata nel 2008, e Beniamino che ne ha 15). Ho avvertito questa occasione come una “chiamata” su misura e inaspettata in questo Giubileo, anche per “risintonizzarmi” con le complicate adolescenze della mia famiglia più o meno anagraficamente vissute. Sono appassionato di riciclo, riuso e recupero e credo che la pratica di dare una “seconda chance” alle “cose” alleni chiunque a maturare atteggiamento analogo con se stessi e nelle relazioni. Talvolta per età e storia sono stato nei panni del formatore, e vi sono molto grato per partecipare ad un’esperienza che ritengo invece fin d’ora formativa per me. Lavoro in Rai come assistente di studio e ho collaborato per decenni con la Federazione Oratori Milanesi.

Sarà questa un’occasione per ascoltare altri papà che mi aiuti a rimodulare quell’atteggiamento di “asimmetria educativa” che tante volte nella mia esperienza mi ha fatto commettere passi falsi. Un modo per sperimentare l’esser figlio dei miei figli, senza peraltro rinnegare il mio ruolo. Far pace col mio essere un padre anziano. Un padre che torna e un padre che parte.

Stefano

Sono padre di Filippo (quattordicenne) e Tommaso (undicenne). Entrambi sono componenti del Gruppo Scout Milano 34. Nella mia richiesta di partecipazione ho segnalato che vorrei affinare “gli strumenti” che ho a disposizione per poter meglio comprendere i forti cambiamenti che i miei figli stanno compiendo. Spesso nel mio manuale d’uso non trovo risposte adeguate per comprendere il loro stato d’animo e per affiancarli nelle loro scelte. Ritengo il confronto con altri genitori di fondamentale aiuto e molto interessante la proposta di interazione con ragazzi che non siano i miei figli.

La sensazione ed impressione che mi trasmette l’immagine è quella di un padre che, sotto lo sguardo di altre due persone che possono sembrare il padre e la madre del genitore, accoglie il proprio figlio dopo un allontanamento. L’immagine è toccante e mi fa riflettere per quelle volte che per le cause più disparate (tempo, fretta, impegni professionali o per scarsa attenzione) non dedico la giusta concentrazione alla mia famiglia.

Alla ricerca del padre

Sisifo e la cassetta degli attrezzi

Per allenare il pensiero e il mondo emozionale, il Gruppo della Trasgressione si avvale di diversi attrezzi. Uno di questi è il mito di Sisifo, che riflette le dinamiche delle relazioni umane e il loro substrato emotivo. Questo mito non è solo un racconto del passato, ma un mezzo efficace di analisi e prevenzione, soprattutto nei contesti scolastici, dove il rapporto tra studenti e insegnanti, così come tra giovani e adulti, rappresenta il cuore delle interazioni quotidiane.

Al centro di queste relazioni c’è sempre un’autorità che detiene un potere e che può scegliere come esercitarlo: può utilizzarlo come strumento di crescita e valorizzazione dell’altro oppure di repressione e annientamento. Dall’altra parte ci sono individui che rispondono a queste scelte, modellando il proprio atteggiamento in base al modo in cui l’autorità agisce. Ed è proprio in questo scambio, quasi sempre conflittuale, a volte costruttivo, a volte bellicoso, che prendono forma i comportamenti di ognuno.

Un elemento centrale del mito di Sisifo è l’arroganza, che però non va intesa come un semplice tratto individuale, ma come il risultato di una relazione disfunzionale tra l’individuo e un’autorità respingente, repressiva e punitiva. Il mito di Sisifo lo esemplifica perfettamente: Sisifo sceglie di umiliare Asopo, il dio dell’acqua, perché lo considera e lo conosce come un’autorità fallimentare, incapace di prendersi cura dei cittadini di Corinto. La sua arroganza, quindi, non è un semplice atto di superbia, ma una reazione alle mancanze di chi lo avrebbe dovuto proteggere e guidare. Lo stesso può accadere nei rapporti tra genitori e figli o tra studenti e insegnanti. La ribellione dei più giovani non è solo una fase di crescita o un tratto caratteriale, ma spesso il riflesso di un conflitto con un’autorità percepita come distante, ingiusta o inefficace.

Oltre all’arroganza e alla ribellione, nel mito di Sisifo emerge un’altra risposta a un’autorità carente e disattenta: l’autodistruzione. La mancanza di riconoscimento e le carenze affettive di Asopo nei confronti della figlia spingono Egina su un cammino oscuro, dove l’assenza di sostegno e comprensione la portano a cercare rifugio in scelte autolesioniste. Egina si lascia sedurre dalle promesse di Giove, una figura autoritaria e dissoluta che le offre solo illusioni di piacere senza chiederle nulla in cambio e, meno che mai, di fare qualcosa per migliorarsi. Rinunciando ai propri sogni e alle proprie potenzialità, Egina si avvia verso un percorso di perdizione alla ricerca di soluzioni autodistruttive. Un meccanismo simile si ritrova nelle scelte che conducono alla delinquenza, dove il desiderio di guadagni facili e immediati spesso si trasforma in un cammino di autodistruzione, alimentato dall’illusione che il potere possa essere ottenuto senza il lavoro su se stessi.

Il mito di Sisifo si trasforma in uno strumento universale per comprendere le reazioni di giovani, studenti, detenuti e, più in generale, di tutti noi di fronte all’autorità. Esprime in modo universale le emozioni e i meccanismi che ci spingono a scegliere tra la ribellione o l’autodistruzione quando ci confrontiamo con un’autorità castrante, sia essa esterna o interna, e della responsabilità insita all’interno di tale relazione. Chi esercita il potere ha la responsabilità di fornire strumenti di crescita a chi è sotto la sua influenza, mentre chi subisce tale potere è chiamato a riflettere sugli elementi che scaturiscono da questo legame. Tale responsabilità richiede dunque un riconoscimento reciproco, tanto dell’altro quanto di sé stessi.

In questo contesto, il mito diventa uno strumento per esplorare le radici dei sentimenti che conducono a comportamenti distruttivi. Si parte dal presupposto che non siamo noi a “scegliere” ciò che sentiamo, ma reagiamo a un substrato emotivo che può essere indagato attraverso il vocabolario e i simboli offerti dal Gruppo. Gli strumenti del Gruppo della Trasgressione condividono un nucleo centrale che, una volta afferrato, può essere applicato e riconosciuto in un’infinità di situazioni. Ed è solo quando riusciamo ad accedere a questo nucleo e ad interiorizzarlo che possiamo trasformare la nostra consapevolezza emotiva in uno strumento di cambiamento e crescita, sia personale che collettiva.

Martina Mutti

Il mito di Sisifo

My father’s eyes

La musica ci salverà

  1. Father and Son (Cat Stevens), 1970
  2. Sei forte papà (Gianni Morandi), 1976
  3. My father’s eyes (Eric Clapton), 1998
  4. Father, son (Peter Gabriel), 2000
  5. Io sono Francesco (Tricarico), 2000
  6. PadreMadre (Cesare Cremonini), 2002
  7. Sometimes You Can’t Make It On Your Own (U2), 2004
  8. Wait (Alexi Murdoch), 2006
  9. Per sempre (Ligabue), 2013
  10. Daddy (Coldplay), 2019
  11. Lettera a Draco (Shiva), 2024
  12. L’albero delle noci (Brunori SAS), 2025

Ci vediamo martedì sera…

Alla ricerca del padre

Giustizia riparativa per non soccombere al dolore

E sento che non posso finire senza dire una parola ai grandi assenti, oggi, ai protagonisti assenti: agli uomini e alle donne mafiosi. Per favore, cambiate vita, convertitevi, fermatevi, smettete di fare il male! E noi preghiamo per voi. Convertitevi, lo chiedo in ginocchio; è per il vostro bene. Questa vita che vivete adesso, non vi darà piacere, non vi darà gioia, non vi darà felicità. Il potere, il denaro che voi avete adesso da tanti affari sporchi, da tanti crimini mafiosi, è denaro insanguinato, è potere insanguinato, e non potrete portarlo nell’altra vita. Convertitevi, ancora c’è tempo, per non finire all’inferno. E’ quello che vi aspetta se continuate su questa strada. Voi avete avuto un papà e una mamma: pensate a loro. Piangete un po’ e convertitevi“.

[Papa Francesco, 21 marzo 2014 – incontro con i Familiari delle vittime della criminalità organizzata]

 

Quale sia stata l’idea che mi ha portato a tentare il concorso in magistratura è difficile indicarla in poche parole.

[continua: qui]

Tratto da Avvenire- inserto culturale Gutemberg “Prega per il tuo nemico”, 24.1.25

Sisifo nella merda

Volevo regnare, volevo brillare,
ma ho fatto il furbo e mi han fatto sclerare.
Rubai l’acqua agli Dei e li ho fatti arrabbiare
ora per sempre dovrò scalare.

Thanatos arriva per farmi sparire,
lo frego al volo, lo faccio dormire.
Ade si incazza, mi vuole punire,
“Giove, ‘sto stronzo lo devi colpire!”

Scalo la cima per non morire,
cade il masso, mi fa impazzire.
Giove ride, beffardo,
e mi dice: “Mo’ paghi, bastardo!”
“Ora prendi sto masso e lo fai rotolare
ogni volta che cade
lassu lo dovrai riportare,
la devi cagare”

Scalo la cima per non morire,
cade il masso, mi fa impazzire.
Salgo e risalgo senza fermare,
ma ‘sta salita mi sta per strozzare!
Volevo fregare, volevo scappare,
ma ora mi tocca sudare e sputare.
Per l’eternità dovrò faticare,
Sisifo spinge… e vorrebbe crepare!

Pino Amato

Il mito di Sisifo a teatro negli anni. Qui nel carcere di Milano-Bollate

La moneta di Corinto, frutto della collaborazione tra 20 anni di Gruppo della trasgressione, l’Istituto Pesenti di Bergamo, Massimo Zanchin attuale componente del gruppo del carcere di Opera, l’art director Adriano Avanzini e il musicista e informatico Alessandro Radici.

Il mito di Sisifo

Tradimento

Il concetto di tradimento mi pare strettamente legato a quello di aspettativa.

Se non si nutrono aspettative non si può sperimentare la delusione, né il dolore che nasce dalla mancata realizzazione delle attese, dalla frustrazione che chiamiamo tradimento. In altre parole la sensazione di essere traditi è l’emozione negativa che si prova quando una persona per noi importante si comporta in maniera non consona ai nostri desideri o contraria ad essi, tradendo le nostre attese.

A determinare l’intensità del vissuto doloroso che il tradimento comporta, concorrono diversi fattori. Innanzitutto l’investimento affettivo che noi facciamo o abbiamo fatto nella persona che viene meno alle nostre attese col suo comportamento attivo od omissivo.  Quanto più ammiriamo, amiamo, dipendiamo da questa o dal suo giudizio, quanta più fiducia abbiamo investito nel soggetto che ci delude, quanto più esso è per noi importante, tanto maggiore sarà il dolore provocato dal tradimento.

Esiste quindi un rapporto diretto tra il nostro investimento affettivo e la dimensione del dolore causato dalla delusione. In altre parole, l’intensità del dolore riflesso dipende direttamente dall’intensità affettiva del legame e dalla quantità di credibilità che noi attribuiamo alla figura che ci delude.

Inoltre, se innalziamo agli altari una persona che amiamo, se le attribuiamo qualità esagerate, se le neghiamo limiti umani, fragilità o difetti, se le nostre aspettative sono irrealistiche sarà tanto più probabile che queste possano essere deluse e che ci si possa sentire traditi. Anche un minimo scostamento dai comportamenti desiderati ed attesi, magari insignificante o addirittura inconsistente, sarà causa di intenso dolore proprio perché spropositata era l’attesa. E questo scostamento sarà vissuto come tradimento, umiliazione e ferita da chi è per primo responsabile, magari inconscio, di queste fantasie. Il concetto stesso di tradimento, il vissuto del tradimento, dipende quindi sia dall’investimento emotivo del soggetto, sia dall’entità dello scostamento dalle attese. È quindi importante comprendere se le aspettative che abbiamo riposto nella persona che ci delude sono realistiche oppure no.

Esistono attese che consideriamo naturali, ad esempio ci aspettiamo che un genitore responsabile provveda al soddisfacimento delle necessità elementari di un figlio minore, che da lui dipende interamente. Qualora non lo facesse potremmo concordare sul fatto che quel genitore tradisce le comuni aspettative. Allo stesso tempo non possiamo ragionevolmente attenderci che il genitore provveda a soddisfare i capricci dei figli o i bisogni che superano le sue capacità materiali di soddisfarli. Ci attendiamo che gli fornisca il pane, ma non necessariamente i dolci. Ci aspettiamo che un padre mandi un figlio a scuola, ma non necessariamente all’università, se le condizioni familiari e sociali in cui vive non lo consentono, che si assuma il compito di educare un figlio alle regole della società in cui vive, affinché ne conosca i limiti, le obbligazioni e i diritti, che accudisca il figlio con amorevole attenzione, protezione e cura, che un padre aiuti suo figlio a crescere dotandosi degli strumenti utili a confrontarsi con la realtà, modificandola a proprio vantaggio. Esistono quindi bisogni basici che un genitore responsabile è tenuto a soddisfare, il tradimento dei quali può segnare la vita e le scelte future dei figli.

Per comprendere quanto realistiche sono le attese che si possono nutrire occorre quindi confrontarsi da un lato con il senso comune, e dall’altro sforzarsi di mettersi nei panni di chi pensiamo ci abbia tradito.

Occorre innanzitutto prendere le distanze dal nostro dolore, riconoscendolo come esperienza di vita comune, diffusa, ordinaria e non eccezionale. Dovremo quindi valutare onestamente il vissuto di chi pensiamo ci abbia tradito, le ragioni del suo comportamento, le scelte che si è trovato a fare nel corso della vita, le condizioni in cui ha operato, le opportunità che ha avuto, la somma di eventi che lo hanno forgiato nella forma che gli riconosciamo. In sostanza, tutto ciò che concorre a formare il suo punto di vista.

In effetti, unire tra loro punti di vista estranei ci permette di avvicinarci quanto più possibile alla verità oggettiva e a meglio comprendere le motivazioni sottostanti a scelte che ci deludono, che non soddisfano le nostre attese. Se osserviamo la realtà con i nostri soli occhi, appagando il nostro egoismo, non vediamo né riconosciamo gli altri, i quali finiscono con l’esistere solo in funzione dei nostri bisogni, veri o presunti che siano. Disegnando una mappa dei nostri bisogni ipertrofica ed irrealistica, aumentiamo a dismisura le nostre aspettative, pretendiamo dagli altri prestazioni sproporzionate se non sovrumane, e con le nostre stesse mani moltiplichiamo le occasioni di frustrazione.

Rimane comunque la possibilità che chi vorremmo che soddisfacesse le nostre ragionevoli aspettative si comporti in maniera irresponsabile, tradendo la fiducia che gli abbiamo consegnato, in quanto incapace di gestirla responsabilmente, di valorizzarla adeguatamente, di accettarla come segno di amore, con il solo scopo di punirci attribuendoci la colpa dei suoi fallimenti.

Accettare di valere per qualcuno, di poter essere oggetto di amore è la principale difficoltà che si incontra in un rapporto d’amore, poiché significa accettare di dipendere da qualcuno, di essergli in qualche modo debitore, di non bastare a sé stessi, significa vedere e riconoscere i propri limiti, le proprie fragilità, i bisogni reali negati alla propria consapevolezza e volutamente inespressi.

Rifiutando di assumersi questa responsabilità, per la quale si sente impreparato o inadeguato, consente inoltre di riaccendere il circolo vizioso del risentimento che autorizza pratiche antisociali e criminogene. L’oscillazione tra questi estremi, l’arrogante autosufficienza e l’accettazione della dipendenza dagli altri, riflette le contraddizioni della condizione umana e ci ricorda quanto a fondo occorre scavare per trovare un equilibrio e con esso la pace interiore.

Paolo Setti Carraro

Sisifo e i suoi archetipi

Nel cuore di Corinto, mentre la siccità piega la città, si svolge una vicenda che porta con sé temi familiari a ciascuno di noi. Al centro troviamo Sisifo, re di Corinto, impegnato in una disperata ricerca di salvezza per il suo popolo, mentre Asopo, dio delle acque, resta sordo a ogni supplica, rifiutandosi di porre fine al tormento della città, nonostante abbia il potere di farlo.

Nella sua indifferenza, Asopo incarna l’archetipo dell’autorità che ha smarrito la propria essenza: quella di nutrire, sostenere e promuovere la crescita. Mentre Corinto soffre la sete, egli si abbandona al piacere e alla sregolatezza, senza preoccuparsi di chi lo circonda.

Oltre che verso i mortali di Corinto, manifesta la medesima noncuranza verso la figlia: Egina; il loro legame è ridotto a un freddo scambio di doveri, e in questo deserto emotivo cresce la giovane, schiacciata da pretese paterne che non trovano riscontro né nell’affetto né nella guida.

La seduzione di Giove si manifesta ai suoi occhi come un miraggio di libertà senza vincoli, proposta irresistibile per chi, come lei, ha conosciuto solo il peso degli obblighi. Ed è proprio il comportamento sregolato all’insegna della ricerca di fuggevoli piaceri del padre a legittimare implicitamente la scelta di seguire Giove.

Ma la sua fuga con Giove rappresenta anche altro, non è solo un atto di ribellione: è la ricerca di riconoscimento e attenzione che il padre le ha sempre negato.

In questo intreccio di relazioni emerge Sisifo, acuto osservatore delle dinamiche in gioco. La sua astuzia trasforma l’informazione sulla seduzione di Egina in una potente arma di ricatto contro Asopo, ribaltando repentinamente gli equilibri di potere, portando il Dio in una posizione vulnerabile di fronte al mortale.

Ma proprio nel momento del trionfo Sisifo rivela la propria fragilità. Non pago di aver ottenuto l’acqua per la sua città, esige l’umiliazione di Asopo. Il desiderio di vedere una divinità in ginocchio tradisce un’esigenza di affermazione che oltrepassa la necessità pratica, sconfinando nell’arroganza e nella brama di onnipotenza, che sarà poi causa della sua eterna pena.

La forza del mito di Sisifo risiede nella sua capacità di rispecchiare l’esperienza umana attraverso i secoli. Ogni personaggio incarna aspetti della natura umana ancora oggi attuali. Sisifo ed Egina rappresentano gli adolescenti di ogni epoca, alle prese con un’autorità – Asopo – che incarna le possibili degenerazioni del potere.

La loro risposta alla freddezza emotiva si manifesta in modi antitetici: in Sisifo, la rabbia esplode in un crescendo di rivalsa e sopraffazione, replicando inconsapevolmente la violenza subita. In Egina, rabbia e dolore implodono in un’autodistruttiva ricerca di libertà, che nasconde però nuove catene.

Queste dinamiche riflettono alcune delle diverse strategie con cui gli adolescenti in particolare possono affrontare un’autorità percepita come oppressiva o situazioni di sofferenza, di mancato riconoscimento: alcuni attraverso aperta ribellione o violenza, altri attraverso comportamenti autodistruttivi. Entrambi i casi sono manifestazioni della rabbia e del dolore generati dal disconoscimento dei loro bisogni.

Il mito, nella rivisitazione che ne propone il gruppo, porta alla luce temi estremamente familiari, ed è difficile non riconoscersi o non riconoscere una passata versione di noi stessi, in almeno uno dei personaggi che lo costellano.

Questo processo di identificazione va oltre il semplice rispecchiamento: diventa un’occasione per validare le proprie esperienze emotive e comprendere che certi vissuti, spesso percepiti come profondamente personali e isolati, sono in realtà parte della comune esperienza umana.

Il linguaggio simbolico crea uno spazio interpretativo dove ognuno può trovare significati personali: le figure di Sisifo, Egina e Asopo diventano archetipi attraverso cui esplorare dinamiche universali nella relazione tra genitori e figli, insegnanti e studenti.

L’aver portato la rappresentazione e la discussione di alcuni aspetti del mito all’istituto della Fondazione Clerici assume una funzione particolarmente pregnante, dato il suo rivolgersi a una comunità educativa.

Per gli studenti, offre un modo per elaborare e dare voce alle proprie esperienze di conflitto con l’autorità (e non), dando espressione alla complessità delle loro emozioni e cercando di dare un significato alle loro reazioni. Attraverso le figure di Sisifo ed Egina, possono riconoscere la propria rabbia e sofferenza, i propri impulsi di ribellione e autodistruzione, comprendendone meglio le origini e le possibili conseguenze su di sé e sugli altri.

Ma anche per gli insegnanti, il mito presenta una potente riflessione sulla natura dell’autorità educativa. La figura di Asopo serve da monito sulle conseguenze di un potere esercitato attraverso la mera forza e l’indifferenza emotiva, e sottolinea come le gerarchie basate esclusivamente sul potere formale siano intrinsecamente fragili e destinate al fallimento.

Anna Bigotti

Il mito di Sisifo

Anime Salve, Concerto

Il concerto è un omaggio a Libera per i 30 anni dalla sua fondazione e per i tanti risultati fino a oggi raggiunti. Tra questi, anche il contributo degli ultimi anni alla evoluzione dei detenuti del Gruppo della Trasgressione.

Nel corso della serata, alcune delle più note canzoni di Fabrizio De André, arrangiate ed eseguite dalla Trsg.band, vengono accompagnate da interventi di componenti di Libera, di detenuti del Gruppo della Trasgressione e da contributi di magistrati e operatori del settore, professionisti e studenti che contribuiscono a rendere il carcere palestra di cultura e di emancipazione e non semplice luogo di restrizione della libertà.

L’ingresso è gratuito e l’auditorium di Milano che ci ospita è grande, ma la prenotazione dei posti migliori è iniziata.

Per prenotare i posti migliori inviare una mail a
associazione@trasgressione.net
 avente per oggetto: Anime salve

Lasciate il vostro nome e cognome e, se volete, la richiesta per essere inseriti nella mail list del Gruppo della Trasgressione.


Istruire una prossimità

La lacerazione dovuta a una grave perdita affettiva, giunta traumaticamente e senza una comprensibile ragione, per potere essere tollerata, deve diventare seme di una storia: il terremoto non ha volontà, traumatizza, ma non chiude i sopravvissuti nella prigione dell’odio; quando la morte viene determinata da una mano assassina, invece, i parenti più stretti della vittima rischiano di rimanere chiusi per molti anni nella gabbia di un odio permanente verso l’omicida.

Per potere sopportare la perdita del congiunto e uscire dalla loro prigione personale, i familiari della vittima hanno bisogno che la volontà dell’omicida cambi direzione. Ma perché questo processo possa essere avviato, occorre la ricostruzione di una storia che, di fatto, non conosce nemmeno il carnefice, se non nei suoi risvolti più superficiali e comunque non nei nodi che sono all’origine delle sue scelte; occorre una storia che conduca chi ha commesso l’abuso e chi lo ha subito alla libertà di entrare in relazione con l’altro.

La serata del 24 marzo e le iniziative che ne deriveranno rispondono allo scopo di avviare un percorso di riconoscimento reciproco fra chi ha prodotto e chi ha subito l’abuso e questo per permettere a entrambi di uscire contemporaneamente da due ergastoli invalidanti: quello del detenuto che si sente vittima dello stato e quello del familiare della vittima, che a volte rimane per tutta la vita prigioniero del proprio rancore.

Le canzoni di Fabrizio De André e la serata del 24 marzo sono una scintilla per istruire una prossimità, per attivare emozioni e riflessioni che aiutino a riconoscersi e a superare due ergastoli.

Juri Aparo

La Trsg.bandIstruire una prossimità