A seguito dell’incontro dell’Officina della Creatività di martedì 30 marzo su zoom, si è innescato uno scambio di riflessioni sulle figure di Dedalo e Icaro, la sua colpa, il suo destino:
Marco: Volevo condividere una riflessione che c’entra col discorso affrontato oggi sulle differenze di genere e allo stesso tempo con il mito di Icaro, così per prendere due piccioni con una fava. Per sgombrare il terreno da possibili stereotipi che intacchino la fertilità del mito e, preso atto del fatto che detenuti ed ex detenuti del gruppo sono di sesso maschile, vi faccio la seguente domanda: che differenza c’è tra la trasgressione di Dedalo e il suo superamento del limite con la trasgressione di Pasifae che supera anch’essa un limite? Accoppiarsi con un essere che non appartiene al genere umano non è anch’esso sintomo di arroganza e di presunzione di chi vuole giocare a fare Dio? Si potrebbe obiettare che l’ha fatto perché Minosse la trattava malissimo, vero, ma allora un sopruso subito giustifica il superamento del limite ?
Juri: Anche io trovo interessante il quesito di Marco. Vi dico in breve che nei miti greci è quasi sempre presente l’idea che l’essere umano diventa colpevole di colpe necessarie per la conoscenza e per lo sviluppo dell’uomo. Questo o quell’altro fanno qualcosa che è male ma che è scritto debba accadere. La cosa somiglia all’idea che in ogni uomo c’è il seme di tutto, ma poi saranno soprattutto alcuni a ricordarcelo diventando i portabandiera della colpa, del peccato, della difficoltà che l’uomo incontra nel vivere e nel suo percorso di emancipazione.
Olga: Ciao Marco. Il tema comincia a lievitare! Adesso sto cucinando e non posso dilungarmi. Di getto, qualche considerazione: 1) perché Dedalo ha sfidato la divinità ? 2) Dove ricavi ciò ? 3) l’ impalcatura delle ali inventate è un bisogno di libertà per se stesso perché trova ingiusto essere stato imprigionato dal suo stesso committente ma anche per dare libertá al figlio. Anche Minosse ha le sue colpe verso la divinità (Poseidone). 3) per Pasifae si, è lussuria, ma non trasgredisce soltanto a causa della tirannia di Minosse (è una donna di quel tipo di società, anzi è la first-lady di un regno, sebbene l’ adulterio sia una colpa. Qui, addirittura è lussuria. Per Pasifae, è come dice il Dottore, “l’essere umano diventa colpevole di colpe necessarie per lo sviluppo dell’uomo, etc…..”
Marco: Ciao Olga, Dedalo “gioca a fare Dio “ secondo me, non sfida nessuna divinità. Si autoconferisce la facoltà di superare un limite imposto prendendo il volo come se fosse un Dio e, dall’alto della sua arroganza, non curandosi delle conseguenze che l’azione avrà per se ma sopratutto per il figlio
Olga: Ci rifletterò un po’ … Al momento Dedalo mi sembra un Narciso superlativo
Ottavia: Ciao Marco, secondo me si può dire che Dedalo sfida la divinità, anche se indirettamente. Cioè se ammettiamo L’esistenza di Dio e Dedalo cerca di superare tutti i limiti giocando a fare Dio, ne deriva che in questo modo sta sfidando la divinità. La sta sfidando perché Dio non ammetterebbe che un essere umano si comporti come se fosse qualcos altro da sè e quindi appunto un Dio
Marco: Bello, mi piace ! Interessante punto di vista dalla sfumatura agnostica
Sofia: Capisco in che senso Dedalo possa essere considerato colpevole nella direzione della “übris” tragica, tuttavia non sono d’accordo. Personalmente vedo una differenza sostanziale tra lui e Ulisse, ovvero colui che tenta il “folle volo”, per dirla con Dante, e che, per l’appunto, finisce nei gironi del suo inferno. Per come lo vedo io, Dedalo è l’ennesima (riuscita) rappresentazione che il mondo greco dà dell’uomo che punta in alto per elevarsi e crescere. Dedalo è il labirinto. Secondo una concezione molto greca del “fare”, l’uomo è la sua opera. Non per niente il labirinto creato da Dedalo prende il suo nome. Quando Dedalo supera i limiti dell’opera che lui stesso ha creato, si dà un’altra occasione per crescere e creare (nel senso della creatività e quindi della libertà). Il labirinto prende il nome da Dedalo ma Dedalo deriva il suo nome dal verbo greco daidàllo che significa “lavorare con impegno”. C’è forse un’attitudine più virtuosa per l’uomo se non quella di lavorare con impegno? Dedalo lavora con impegno per superare i propri limiti, NON i limiti della natura umana. Il suo fine è la libertà, non il sole (dio). Sarà il figlio Icaro, che non possiede la stessa virtù (arte, intelligenza, forza, creatività) del padre, a fare un uso tracotante dello strumento che Dedalo gli ha messo a disposizione portando entrambi alla morte anziché alla libertà. Qui sta secondo me lo straordinario senso del tragico di questo mito greco: ciascuno cresce con gli strumenti che si sa dare, ammesso che qualcuno sia capace di dotarsene è impossibile condividerli. È la storia del mito della caverna: lo schiavo che si libera dalle catene e dalla menzogna delle ombre quando tenta di liberare i suoi compagni viene ucciso. La libertà è una conquista solitaria a cui però la cultura greca cercava di educare tutti e ciascuno.
Alessandra: Mi permetto di domandare: nel momento in cui Dedalo uccide il nipote non ha forse sfidato Dio?
Olga: Ciao, Alessandra. In armonia con il suggerimento di Sofia, faccio questa considerazione:1. Se Dedalo è la sua opera, cioè il lavorare con l’impegno, ha già un obiettivo verso cui tendere; 2. Così, “l’eroe o semidio” non può prescindere dall’ obiettivo finale che deve portare a compimento; 3. Quindi, secondo me, Dedalo è un “eroe culturale”, che non avrebbe bisogno di confliggere con la divinità; 4. poiché è già “ingegno”, non può tollerare di avere un rivale (umano) nella sua scienza e, quindi, afferma la sua ambizione, eliminando Talo senza velleità divine (è soltanto una mia opinione. Dalle ricerche fatte, al momento, non ho trovato altri collegamenti mitologici o letterari…. però bisogna continuare a studiare e confrontarsi)
Inoltre, scusate una precisazione storico-cronologica:
1) “La fuga da Atene” riguarda soltanto Dedalo, perché fu condannato all’esilio perpetuo dal Tribunale Ateniese, che si chiamava Areópago (sulla acropoli di Atene, una collinetta della Atene antica), dove originariamente, nella Grecia antica si riuniva il collegio delle supreme magistrature ed in seguito esponenti della potente aristocrazia ateniese etc…., occupandosi del controllo della vita pubblica).
2) dopo il processo, a Dedalo, discendente da un ramo di una famiglia reale ma soprattutto perché dotato di particolari doti personali, fu risparmiata la vita e dalle fonti mitologiche si legge che lascia Atene e trova rifugio a Creta, dove fu accolto dal re Minosse.
3) Icaro nacque a Creta, figlio di Dedalo e di Naucrate, schiava di Minosse.
Tutto ciò lascia liberi di scegliere la “tecnica interpretativa”, cioè procedere in avanti con una voce narrante (lettura degli episodi del mito in senso storico-cronologico), oppure diversamente “iniziare a ritroso”, focalizzandosi già sull’asse del dialogo Dedalo-Icaro (sembra un controsenso ma non lo è, perché è solo una scelta tecnica della narrazione dialogata dei fatti).
Oppure, privilegiare entrambe le 2 forme tecniche, alternandole per “sciogliere la tensione drammatica” dei fatti
Ciao Luigi!
Oggi, decisamente, una Officina Mitica !!!
Secondo me,
1) Dedalo usa ed esercita “Arroganza” senza sfidare la divinità.
Però chiederò spiegazioni migliori al dottore Aparo su tale argomento.
Dedalo non tenta di uccidere il nipote, bensì lo uccide scaraventandolo giù dall’ Acropoli di Atene (il punto più in alto della città antica).
Si legge anche, dalle fonti preistoriche o mitologiche che siano, che il nipote Talo sia stato salvato dalla pietà della dea Atena ( eponima della città di Atene, cioè diede il nome della città e ne divenne protettrice.
Atena, figlia prediletta di Zeus, è la dea greca della sapienza, delle arti e della guerra.
Dea guerriera, una delle più rispettate, ha varie funzioni: difende e consiglia gli eroi, istruisce le donne industriose, orienta i giudici dei tribunali, ispira gli artigiani, protegge i fanciulli. Ma quando è in collera, questa dea può diventare spietata).
Pertanto la dea Atena salvó il fanciullo Talo e lo trasformó in pernice.
In fondo, salvó anche lo stesso Dedalo, perché era ateniese ed era uomo di grande scienza ed anche gli Ateniesi, pur conoscendo le leggi patrie, si guardavano bene dal danneggiarlo completamente.
Queste le notizie su Talo:
Figlio della sorella di Dedalo, Policasta o Perdice, fu uno dei suoi apprendisti, e l’aveva già superato in abilità all’età di soli dodici anni. Talo raccolse un giorno l’osso della mascella di un serpente o, come altri dicono, una spina di pesce; e accortosi che se ne poteva servire per tagliare un bastone a metà, ne copiò il modello in ferro e inventò così la sega. Questa e altre utili invenzioni, quali la ruota da vasaio e il compasso per tracciare i cerchi, gli procurarono così vasta fama ad Atene che Dedalo, il quale rivendicava il merito di aver inventato la sega, ne divenne geloso.
Si fece dunque accompagnare da Talo sul tetto di un tempio di Atena sull’Acropoli e, fingendo di indicargli qualcosa che si muoveva a grande distanza, lo spinse giù dal cornicione.
L’invidia non sarebbe tuttavia bastata a indurlo a quel gesto: ma egli sospettava Talo di avere rapporti incestuosi con sua madre Policasta. Dedalo si precipitò poi ai piedi dell’Acropoli e chiuse il corpo di Talo in una sacca, proponendosi di seppellirlo in un luogo deserto.
Interrogato dai passanti, rispondeva di aver raccolto un serpente morto, come la legge prescriveva, il che non era del tutto falso, poiché Talo era un Eretteide ( discendente dalla prima delle dieci tribù di Atene ed in origine nel mito si legge che il primo re di Atene sia stato un essere primordiale descritto metà serpente e metà uomo nato dalla stessa terra.
Ma ben presto apparvero macchie di sangue sulla sacca e il delitto fu scoperto.
L’ Areópago condannò Dedalo all’esilio per omicidio; secondo un’altra versione, invece, egli fuggì prima che avesse luogo il processo.
L’anima di Talo volò via sotto forma di pernice, mentre il suo corpo fu sepolto là dove era caduto.
Policasta s’impiccò quando ebbe notizia della morte del figlio e gli Ateniesi eressero un santuario in suo onore presso l’Acropoli.
2) per ciò che concerne il superamento del “limite”, ieri mi è parso di capire che il Dottore, rispondendo ad Asia ed Elisabetta, abbia considerato “limite” come natura stessa del “delirio di onnipotenza” , non come “norma”.
Però anche su questo, mi sento impreparata ed ho bisogno di interrogarmi o meglio ancora chiedere approfondimenti…..!
Intanto, complimenti e grazie, Alessandra, per esserti già cimentata a trattare una “scena dialogata” del mito!
Cosa ne pensiamo, tutti:
1) scegliere di sviluppare la “dialettica” fra i personaggi, mantenendo la linea tradizionale del mito, come racconto ed intreccio di scene dialogate?
2) in senso cronologico ed ambientale, con un “lettore/lettrice che mette il cosiddetto “faro parlato” del racconto, intercalato dalle scene dialogate degli altri personaggi?
3) Oppure, si preferisce far raccontare a Dedalo tutto lo sviluppo degli eventi del mito?
Molto bella l’immagine scelta da Sofia per il testo su Dedalo ed Icaro, il particolare marmoreo dell’opera di Antonio Canova, realizzata nel 1777 con grande delicatezza scultorea. Nel gesto paterno di Dedalo di sistemare l’imbracatura con le ali sulle spalle di Icaro, quanta umanità ed attenzione premurosa, ma anche uno sguardo preoccupato! Tanta distrazione nel fanciullo Icaro, cullandosi od infastidendosi sempre della grande abilità del padre.
Chissà?!
Permettetemi una riflessione sul labirinto presente nel mito.
Credo che sia anche e soprattutto il labirinto di Dedalo e delle sue colpe. Ed è in fondo quello che abita nell’Uomo: il Dedalo e il Minosse che sono in ciascuno di noi. Accanto ai drammi, alle difficoltà e al rischio di perdersi nel suo interno, Dedalo ha la possibilità di intravedere un’uscita, una soluzione agli inganni e alle illusioni, che il labirinto gli pone davanti, una costruzione dove dal perdersi ci si ritrova. Dedalo non ha l’appoggio delle divinità, può contare solo sulle sue scelte, come azioni trasformatrici, con una prassi consapevole e mirata, con la forza dell’impegno. Il labirinto rimane, ma è il Dedalo che c’è in noi a determinare il proprio esserne o meno prigioniero. Lo spazio dell’uomo richiede uno sforzo continuo per essere abitato, ma penso sia l’unica strada percorribile.