Il dipinto raffigura il momento nel quale Gesù chiama Matteo e lo invita a seguirlo.
Secondo l’interpretazione tradizionale di alcuni storici, Matteo sarebbe l’uomo con la folta barba che indica con l’indice rivolto a sinistra. L’altra ipotesi invece, è che Matteo sia proprio il ragazzo seduto a capotavola, ricurvo nell’intento di contare le monete sul tavolo. Di Matteo infatti si dice che era un esattore delle tasse, legato ad un’attività materiale e molto poco interessato alla spiritualità.
Un elemento fondamentale, sul piano simbolico e della struttura compositiva dell’opera, è la luce che proviene dall’alto che, passando sopra la testa del Cristo, si irradia da destra a sinistra. È una luce ultraterrena, proveniente da una fonte divina, ed è la principale chiave di lettura della direzione della scena: da destra a sinistra.
Personalmente mi sembra si possa dire, per ragioni di ordine formale e di significato, legate alla struttura compositiva dell’opera, che Matteo sia il giovane ricurvo sul tavolo all’estremità sinistra del dipinto.
All’interno della composizione del quadro, il giovane ricurvo si trova all’estremità opposta della fonte di luce che si irradia a partire da destra, sopra la testa del Cristo. La figura del giovane è, sul piano puramente strutturale compositivo, il punto di arrivo di un percorso di lettura che va da destra a sinistra e che, a sua volta, rimanda nuovamente all’estremità opposta, alla fonte di luce originaria.
Queste due estremità sono il contenitore spazio temporale, spirituale e materiale, all’interno del quale si costruisce la narrazione formale e di senso di tutta la composizione con i suoi diversi personaggi. Personaggi che hanno anch’essi la funzione di tramite, come “catena di trasmissione” che procede dal Cristo al giovane Matteo e viceversa, quasi fossero il contraltare terreno della luce divina. La bellezza del dipinto è proprio in questa intima connessione formale e di senso che si intreccia al movimento e al dinamismo dell’insieme, alle sue luci, alle sue ombre, tra finito e infinito.
La struttura compositiva dell’opera, così intesa, suggerisce già di per sé una immediata lettura sul piano del significato. Il giovane ricurvo è colui che si trova all’estremità opposta del Cristo, ancora totalmente immerso nella sua dimensione unicamente materiale: è il contraltare della spiritualità e ad essa complementare.
La chiamata del Cristo non può che essere rivolta a colui che vive assorbito in questa condizione. La chiamata non può che essere un radicale stravolgimento dell’esistenza sin lì vissuta, la sua fine totale; non può che essere destabilizzante, spaventosa, comportare un completo abbandono di ciò a cui si è più attaccati e identificati (il denaro, i beni materiali).
Il giovane Matteo sa che cosa lo aspetta e vorrebbe sottrarsi al destino che lo attende; rimane ricurvo sul tavolo, la chiamata lo terrorizza, ne sente il terribile peso, non osa alzare gli occhi; fissa ossessivamente il denaro sul tavolo come a volervi rimanere disperatamente attaccato.
Il nuovo inizio, di cui sente il richiamo da qualche parte nel suo profondo, lo attende. La chiamata risuona al di là della volontà di autoconservazione egoica, risuona nel radicale e intimo desiderio di andare oltre. È stato chiamato e non potrà che rispondere.
Adriano Avanzini
Il tuo scritto, caro Adriano, mi ha colpito.
Ho avuto la stessa sensazione e ne ho dato la stessa interpretazione quando per la prima volta ho visto il quadro e sono arrivata anch’io, più o meno, alle stesse considerazioni!
Poi, durante l’incontro ad Opera col Gruppo e il Professor Zuffi, mi “sono convinta” di avere preso un abbaglio!
Ho cercato e ricercato qualcosa che mi distogliesse da quella che era all’origine una mia convinzione e mi sono aggrappata all’ombra sulla mano del Matteo “ufficiale”: se indicasse il ragazzo il dito sarebbe illuminato data la direzione di provenienza del fascio di luce, ma poiché è rivolto verso se stesso, l’inclinazione del dito fa si che rimanga più scuro, in ombra.
Se da una parte le impressioni e le sensazioni primarie sono scaturite naturalmente nella tua stessa direzione, hanno subito un lento sgretolamento dopo l’ascolto e le opinioni condivise con gli altri! E io mi detesto per questo! Spesso, troppo spesso è ciò che mi capita ed è il motivo per cui cerco, sempre più spesso, ma altrettanto spesso invano, quando si tratta di sensazioni e scosse emozionali, di non avere interlocutori credibili e stimabili che dicano la loro prima di me! Ed è, anche per questo, che ho trovato stimolante e molto costruttivo l’incontro di giovedì a San Vittore, durante il quale, liberi da qualsivoglia condizionamento, sono emerse impressioni, sensazioni e letture dell’opera del tutte scevre da condizionamenti, così come, a mio personalissimo parere, dovrebbe essere l’osservare un capolavoro: un gioco stimolante che ha lo scopo di solleticare l’anima e la fantasia.
Cara Ludovica, il tuo commento sul mio scritto, oltre ad avermi fatto piacere per l’apprezzamento, in alcuni passaggi mi ha fatto pure sorridere. Grazie. Aggiungo solo una piccola nota: il dito indice dell’uomo con la folta barba, se lo si guarda bene, indica comunque a sinistra, non è rivolto verso di sé, se lo fosse dovrebbe essere molto più inclinato. Ciao.