Fino a qualche mese fa non avrei mai immaginato di poter entrare in un carcere come studentessa di Giurisprudenza perché pensavo fosse una cosa che avrei sperimentato una volta avviata la mia carriera da magistrato, e invece ho avuto la fortuna di poter partecipare al progetto ‘Delitto e Castigo’.
Confesso che il primo giorno è stato un turbinio di emozioni, sin dal mio risveglio, perché non sapevo a cosa sarei andata incontro, né tantomeno conoscevo le persone con le quali avrei condiviso questa esperienza, dato che ho voluto intraprendere questo cammino da sola. Ogni mercoledì, nonostante avessi la sveglia molto presto, mi svegliavo volenterosa di arrivare a Opera e ascoltare ciò che i detenuti e gli altri membri del progetto avevano da dire; mi sono sentita come una spugna, ho assorbito tutto ciò che potevo.
Ho deciso di aderire al progetto con la ferma convinzione e fede nella rieducazione dei detenuti, operata all’interno delle carceri, che permette agli stessi di ritrovare la propria coscienza, protagonista indiscussa dei nostri incontri, perché credo che solo in questo modo si possa finalmente cambiare e migliorare se stessi. Per quanto riguarda la coscienza, invece, mi sento di affermare che ciascuno di noi la possiede sin dalla nascita, ma in alcuni casi viene fatta tacere perché prevale la volontà di sentirsi, come diceva uno dei detenuti, un ‘Superuomo’ che si crede, appunto, superiore agli altri e crede di aver il diritto di poter decidere sulla vita altrui. In altri casi invece la coscienza viene ascoltata, assecondata e ciò permette di condurre una vita alla ricerca del bene, di ciò che è ‘giusto’. La coscienza può diventare uno strumento della libertà.
Molti detenuti hanno sottolineato, durante gli incontri, il loro sentimento di emarginazione dalla società la quale li ha esclusi non permettendogli di distinguere il bene dal male. Penso che il carcere debba, con i mezzi di cui dispone, aiutare gli stessi detenuti a comprendere quale sia la distinzione tra bene e male e, attraverso il processo di rieducazione, garantire un futuro migliore e non più dedito al crimine.
Nessuno, a mio parere, deve sentirsi ‘pidocchio’ perché ogni essere umano ha valore, bisogna solo imparare a individuarlo. Io purtroppo questo mio valore l’ho scoperto tardi, o forse non ancora del tutto, infatti delle volte mi domando a che punto della mia carriera sarei se avessi dato ascolto alle parole della mia professoressa delle medie, la quale cercava sempre di denigrare il mio lavoro, ma per fortuna i miei familiari hanno sempre visto in me quel valore che io ho individuato solo dopo.
In queste settimane di incontri ho capito cosa voglia dire fare la scelta giusta. Combattere e credere in quello che si fa. Credere nelle persone con le quali si lavora. Credere in se stessi, perché solo così si può avere la forza di continuare. Credere e combattere con tutte le proprie forze per raggiungere i propri obiettivi. Credere nelle parole di chi ha più esperienza e che ci può aiutare.
In queste settimane ho capito chi siano i miei veri mentori: il Dottor Alberto Nobili e lo stesso Dottor Francesco Cajani perché se non li avessi incontrati non avrei mai potuto comprendere di aver scelto la strada giusta. Loro, pur essendo dalla parte della legge, hanno dimostrato di essere padroni di una grandissima umanità e di un grandissimo rispetto anche nei confronti di chi ha commesso reati e ha sbagliato. Un altro mentore che posso dire di avere è sicuramente il Dottor Juri Aparo perché è grazie a lui che ho imparato a credere in quello che faccio, a essere diretta e condividere le emozioni; egli dà l’opportunità alle persone detenute di potersi riscattare e di ‘rinascere’.
In queste settimane ho compreso cosa significhi avere un’opinione completamente diversa dagli altri, avere un pensiero completamente opposto da un altro e rispettarlo comunque anche se non si condivide.
In conclusione, cos’ho appreso da questa esperienza?
Ho imparato prima di tutto a mettermi in gioco. Per me significa entrare in carcere il mercoledì mattina con l’entusiasmo e la voglia di ascoltare le parole dei detenuti in merito al loro percorso di ‘rinascita’, in merito alle loro vite ed esperienze. Per me significa aprire la mente a situazioni che possono, in qualche modo, spaventare perché molto distanti dal nostro quotidiano. Per me significa tornare a casa e condividere con la famiglia le mie emozioni, che in ore di intensi incontri si sono scatenate.
Ho imparato ad ascoltare e a capire le persone che, pur avendo vissuto una realtà completamente differente dalla mia, non sono il loro reato, ma sono uomini quando ritrovano se stessi e comprendono i propri errori.
Continuerò a credere nel processo di rieducazione dei detenuti perché solo così possono riprendere coscienza del loro essere e possono finalmente migliorarsi.
Mi sento di essere cambiata anche io, do molto più valore alle piccole cose, che molte volte possono essere scontate, sento di essere cresciuta. Questa esperienza mi ha fatto crescere!
Valentina Cassani – Studentessa Giurisprudenza