Io non sapevo di portarmi appresso questo modo di essere e di fare le cose che al gruppo chiamiamo “arroganza”. Quando ero giovane io ero semplicemente me e questo me di allora era forte, aggressivo, non sopportava i forti, si faceva rispettare. Non riconoscevo l’arroganza per quello che è. A me pareva di essere di più e sopra tutti gli altri; e mi andava benissimo così.
A volte, anzi diciamo piuttosto spesso, la maniera con cui mi facevo rispettare era decisamente discutibile. Dico ora così, ma allora mi sembrava normale; non so da dove venisse questa cosa: forse saranno stati gli amici, forse l’ambiente dove sono cresciuto, forse il mio carattere… sta di fatto che quell’arroganza che non sapevo di avere mi ha portato sempre più in là e, partito dalle ragazzate, sono passato a comportamenti al limite e poi a varcare quel limite.
Poi è trascorso un gran tratto di vita, sono successe molte cose… e sono qui. Sono ancora arrogante? Difficile rispondere: a volte sento ancora le pulsioni di allora, ma adesso le riconosco e non mi imbrogliano più. Adesso le controllo, le osservo, le respingo. Ogni tanto scappa e mi ritrovo a dire ciò che non vorrei o quasi a fare ciò che non si fa… ma quai, appunto.
Non è morta la mia arroganza, ma non è più libera, non perché siamo tutte e due in prigione, ma perché la conosco un po’ di più.
E per questo devo proprio ringraziare il gruppo della trasgressione e il Dottor Aparo, perché, senza fare tante storie, senza girarci intorno, mi hanno consentito di capire che cosa è questa arroganza che mi porto ancora dentro anche se attenuata e mi hanno spinto a dare voce alla mia coscienza buona che era stata come soffocata. Non so se ce l’avrei fatta senza; forse no.
Grazie, Vincenzo Solli