Nelle mani del burattinaio

Nelle mani del burattinaio, Gaetano Viavattene

In uno degli ultimi incontri al gruppo abbiamo parlato della tossicodipendenza. Quasi tutti ritengono che il tossicodipendente sia una persona malata e, in quanto tale, vada curato. La tossicodipendenza è una malattia riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, un problema mentale che sfocia sempre in una malattia.

La metafora del burattino e del burattinaio è stata veramente molto efficace, perché noi tossicodipendenti al mattino siamo burattinai, alla sera, invece, burattini che si rimettono al volere del burattinaio. Da bravi burattini ci droghiamo col piacere di farlo, sentendo emozioni e brividi irraggiungibili se non con labuso della droga scelta dal burattinaio.

Ma il burattinaio è certo che sia proprio lui a scegliere cosa fare? Forse nemmeno lui si rende conto delle molle che lo spingono a fare ciò che fa con il suo burattino! Forse questo burattinaio non vuole proprio diventare adulto, forse lui crede ancora di essere il ragazzino incompreso che per sfuggire ai propri doveri si rivolge al primo burattinaio che incontra.

Ma se partissimo dall’inizio, da quando eravamo bambini, cosa ci è mancato? Forse i nostri genitori non erano abbastanza presenti e questo ci ha indotto a cercare un gruppo che ci accettasse… ma di solito questi gruppi sono formati da ragazzini con gli stessi problemi o peggiori… e allora… eccoci pronti a tutto pur di farci accettare.

La prima canna, il primo furto e subito dopo le prime giustificazioni: “è colpa loro, non mi hanno dato le attenzioni che meritavo”. Ma sapevamo bene che le mani delle nostre mamme e le schiene dei nostri papà erano spaccate dalla fatica. Ma non volevamo vedere, e allora: “io da grande non sarò come lui“… e vai col branco e cominci a drogarti.

Ora siamo diventati grandi senza paura, anche perché abbiamo già conosciuto la cocaina e l’eroina e allora non basta più la borsetta di mamma e nemmeno il piccolo furterello. Ora servono i soldi, quelli veri, e con la disinibizione della coca o della rabbia si va avanti… siamo grandi, siamo forti e ci diamo dentro di brutto.

Ma le sensazioni cambiano, ora non voglio neanche stare col gruppo, ora sono solo, la dipendenza è arrivata assieme alla paranoia, al chiudersi in casa con le tapparelle abbassate…

Il gruppo dov‘è? Il branco è lì pronto quando c’è da sfruttarsi a vicenda per fare soldi, per drogarsi e circondarsi di prostitute, alcool, belle macchine, bei vestiti… perché non si possono avere rapporti veri, sono costruiti ad arte dal burattinaio che tira le fila del burattino che sei diventato… e arriva, inevitabile, la sosta al “Grand Hotel“, sempre aperto e sempre con un bel posto letto che ti aspetta, caldo caldo.

Ora sono nei guai veri, ora cerco in me stesso le spiegazioni e non le trovo o non le accetto o forse, chissà, io non c’entro, è la vita!

Non accetto che sia stato quel bambino a farmi diventare un burattinaio… che a sua volta mi riduce un burattino nelle ore più buie, dovrei cercare nel mio profondo e questo mi fa paura, dovrei condividere tutto questo con un altro, mi tengo tutto dentro e… quando sarò fuori dal carcere si vedrà.

Ma il giro è breve… e, via via, entri ed esci, entri ed esci, ti sei quasi convinto che sia normale… incontri sempre le stesse persone: chi non accetta quel rompi balle del bambino che lo assilla, chi se la prende con la propria storia sentimentale e chi scarica addosso al sistema tutte le responsabilità, senza accettare che è in se stessi che bisogna guardare per trovare le risposte. Poi, dopo anni, ti svegli e vedi il mondo cambiato, chi si è costruito una famiglia, chi è all’estero e ce l’ha fatta, qualcuno è al cimitero, qualcuno è qui a lavorarci sopra.

Ma il carcere è una strada migliore della comunità? Per tanti sì, oggi le carceri sono popolati al 70% da tossicodipendenti, un rifugio per tutti quelli che non vogliono scontrarsi con la realtà, un buon 50% ora comincia a comprendere e a lavorare sulle proprie responsabilità ed è sempre più frequente la ricerca degli psicologi in gruppi di sostegno orientati al recupero, ma non tutte le strutture carcerarie hanno i mezzi per poter far fronte al problema.

La piaga che ci siamo inflitti è grave, molto più di quello che si possa pensare. Spero che i giovani di oggi possano capire che le droghe non risolvono nulla, anzi aggravano il problema e, poco a poco, ci consegnano nelle mani del burattinaio.

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Sulla Tossicodipendenza

Bollate, 11/02/2016 – Verbale dell’incontroManuela Matrascia

La riflessione sulla tossicodipendenza prende avvio da una domanda: La tossicodipendenza è una malattia? Sicuramente la questione è complessa: nella tossicodipendenza vi è un incrocio tra libertà e schiavitù, fra libera scelta e bisogno dell’organismo indotto dall’assuefazione. Il modo di interagire con il tossicodipendente cambia in base a come si intende la cosa: per la malattia, la risposta prevista è la cura; per la libera scelta, no.

Questo tema è stato discusso all’incontro del Gruppo a Bollate, dove i detenuti hanno cercato di rispondere a tre precise domande:

  • Cos’è la tossicodipendenza?
  • Qual è la risposta opportuna alla tossicodipendenza?
  • I reati connessi alla malattia vanno considerati parte integrante della malattia?

Di seguito, una parte delle risposte della giornata alle domande formulate dal dott. Aparo.

 “E’ importante riconoscere la malattia e intraprendere un percorso, essendone convinti e facendolo per se stessi. La tossicodipendenza è un problema al quale vanno date delle risposte; ma queste risposte non sono le stesse che si danno a una comune malattia (i farmaci); la tossicodipendenza va curata con esperienze positive e obiettivi.”

“La tossicodipendenza è una malattia a livello mentale. Perché provo piacere”

Dott. Aparo: riteniamo che fare uso di droghe sia una scelta,  un’espressione della nostra libera volontà o il risultato di una malattia che riduce i nostri margini di scelta? O riteniamo si tratti di una condizione alla quale non ci si può sottrarre e nella quale i nostri margini di scelta sono azzerati? Il tossicodipendente è un individuo che ha perso la propria libertà o è una persona che ha la facoltà di guidare la propria vita?

“La tossicodipendenza è un disagio mentale che nasce in determinate situazioni. Si può intervenire stimolando il cervello di una persona”

“La tossicodipendenza è una malattia SCELTA dalla persona, si può curare con la volontà!”

“Dire che siamo malati è brutto, quindi diciamo che è una scelta, ma in questo modo non riusciamo nemmeno a riconoscere la necessità della cura”

“Quando ho chiesto aiuto in galera mi sono sentito libero, perché la droga ti svuota, ti senti vuoto dentro”

“La tossicodipendenza non ti lascia uguale a come eri, ti svuota e ti toglie sempre più le risorse; quindi l’intervento da effettuare è sempre più importante”

“Le persone iniziano a drogarsi perché hanno un vuoto dentro, ma considerarla una malattia vorrebbe dire potermi arrogare dei diritti per il fatto di essere malato, la userei come scusante”

Aparo: si è parlato dell’importanza di nutrirsi di altro, di trovare dell’altro che riesca ad appagare il soggetto più della droga, ma è stato anche osservato che occupare il tempo per scacciare il pensiero non basta…

“Lavoravo dodici ore al giorno ma pensavo solo alla droga, è necessario scavare dentro se stessi e scoprire nuove parti di sé.”

“Non accettiamo la parola “tossico” e quindi non riconosciamo la malattia, quando riconosci di essere tossico, capisci che è una malattia. Quando sei tossico non vedi più la luce, quindi per garantirti la droga o vai a rubare o ti prostituisci. Poi cresci, arrivi in carcere, ma ancora non lo accetti e non ti fai aiutare. Con la maturità e quando riconosci la tua condizione, incontri le persone giuste che ti indirizzano a non vergognarti. Se scelgo di farlo per qualcuno non funziona, funziona quando inizi a farlo per te stesso”

Aparo: che ci voglia la volontà del soggetto è sicuro, ma basta la volontà? In ogni caso, malattia o no, i reati che si commettono per provvedere alla dipendenza, li consideriamo parte integrante della malattia?

“Per fabbisogno, per riempire la mancanza, se non hai sostegno economico, devi trovare i soldi delinquendo, spacciando, così hai anche la droga per te.”

“Ci sono dei miei amici che rapinano senza drogarsi, è malattia o no? Rubano anche quando non hanno esigenze di soldi.”

Aparo: comunque s’intenda la questione, sappiamo che la dipendenza genera una mancanza alla quale il soggetto cerca di provvedere con la sostanza. Ma quali sono i confini di questa mancanza o di questa malattia? E inoltre, in un progetto terapeutico, che ruolo ci sembra possa avere la persona portatrice di questa mancanza? Che ruolo diamo a chi risponde alla sua mancanza con delle azioni che ledono gli altri e portano in galera? Che ruolo diamo al malato per tirarlo fuori da questa malattia?

“E’ l’influenza di chi è più grande di te”, “E’ il vuoto che provi dentro”, “E’ che sei arrabbiato”.

“Ma lei, dott. Aparo, cosa ne pensa?”

Aparo: per il momento, preferisco lasciare a voi e porre a me stesso una serie di domande:

  • Acquisito che il reato con cui si cerca di procurarsi ciò che manca è un danno per il soggetto e per la collettività, quali strumenti ho per rispondere a questo danno?
  • E quale ruolo dovrebbe avere il tossicodipendente nella risoluzione del problema?
  • Se, come diverse persone hanno detto, è necessario che il soggetto abbia un alleato, come deve essere questo alleato?
  • Come deve essere quest’alleanza, questa relazione fra alleati? Perché l’alleanza fallisce così spesso?
  • E’ utile per il tossicodipendente essere considerato una persona che ruba non perché ha deciso di farlo ma perché costretto da una mancanza? Dobbiamo considerarlo il burattino della sua mancanza? Un burattino pilotato da una mancanza che però ha preso corpo quando non si era ancora burattini e magari ci si sentiva o si sperava di diventare burattinai
  • Fra burattini vinti e burattinai di cui si sono perse le tracce, con chi dobbiamo provare a formulare un’alleanza utile? A chi chiederlo se non a voi che conoscete sia l’uno che l’altro?

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Il divenire della coscienza

Chi commette reati, prima che delinquente, è pazzo. Lo siamo tutti, ma la sua pazzia è aggravata dal fatto che, per abusare del suo potere sugli altri, il delinquente va dritto, dà per certo di essere in credito con la vita; la sua vittima è solo una piccola, trascurabile parte del mondo che non gli ha dato il dovuto.

Per chi vive fra reati e droga al vertice della gerarchia non c’è l’autorità, ma il Potere. A questo si aggiunge che per loro nessuna autorità è credibile, non è compito loro contribuire al benessere sociale, elaborare strategie o regole per farlo andare avanti.

L’abuso di potere dei pazzi che non vanno in carcere, invece, arriva sempre accompagnato da ragionamenti più o meno sbilenchi, qualche volta persino in buona fede. In fondo, ogni rapinatore, spacciatore o dirigente a un milione di euro l’anno, a modo proprio, condisce di arzigogolate giustificazioni i propri abusi nel mondo.

Al Gruppo della Trasgressione si cerca di far luce sul rapporto fra gli abusi subiti e quelli praticati e sui sentimenti che ne discendono. Via via che se ne prende coscienza, diminuisce la possibilità di commettere reati senza nemmeno farci caso.

Ma la coscienza di sé e dei propri grumi non la si impara come si fa con i teoremi; essa cresce piuttosto via via che ci si riconosce nell’altro. Per questo, a un certo punto, sono stati costituiti il gruppo esterno, l’associazione e la cooperativa Trasgressione.net.

I detenuti allievi di questo corso con la Croce Rossa sono figli e interpreti di questa coscienza in divenire ed è in nome di questo divenire che abbiamo chiesto alla Croce Rossa la sua alleanza, in quanto organizzazione dove competenza e autorità sono chiaramente riconoscibili come forza al servizio degli altri.

(Testo per la presentazione del Corso della Croce Rossa)

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L’aiuto

L’aiuto, Simone Testa

Ho aiutato a vendere droga, ho aiutato prestando soldi e facendomene dare il doppio, ho aiutato a distruggere i sogni di tante persone, che grazie alla droga si sono rovinate. Intanto che mi costruivo la strada per venire in carcere, ho distrutto per i miei figli il sogno di ogni bambino, quello di crescere vicino a entrambi i genitori.

Oggi con il giusto aiuto e con il desiderio di cambiare vita, sono arrivato ad avere un’importante opportunità di riscatto, quella di aiutare nel vero senso della parola. Spero di cuore che io possa rientrare in questo progetto della C.R.I.

Da molto tempo la mia paura più grande è quella che mio figlio possa imitarmi ripercorrendo i miei passi. Questo progetto sarebbe la giusta medicina per far capire a mio figlio che, nonostante gli errori che ho commesso, oggi sto ricostruendo la mia strada nella maniera giusta. Spero che, se vuole emularmi, cominci a farlo da oggi, che sto imparando come e chi aiutare.

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Croce Rossa, Corso Primo Soccorso

Gli allievi dei due corsi
1° Corso, 29 settembre 2015

  1. Al Waki khaled
  2. Branca Domenico
  3. Capizzi Francesco
  4. Catena Antonio
  5. De Andreis Massimiliano
  6. Inzaghi Patrizia
  7. Leoni Gualtiero
  8. Liuni Giuseppe
  9. Marcheselli Alberto
  10. Messa Alessandra
  11. Moccia Ivano
  12. Ounnas Mohamed
  13. Petrillo Nicola
  14. Rambaldini Massimiliano
  15. Sannino Adriano
  16. Sorge Paolo
  17. Tango Antonio
  18. Tricomi Gabriele
2° Corso, 18 marzo 2016

  1. Monetti Maria
  2. Ottaviani Noemi
  3. Ristori Gemma
  4. Bottan Sergio
  5. Moscatiello Massimo
  6. Ricatti Francesco
  7. Migliore Giuseppe
  8. Crisafulli Alessandro
  9. Cascino Salvatore
  10. Cannavò Roberto
  11. Squillaci Franco
  12. Testa Simone

 

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La ninna nanna e le mazzate

In previsione degli incontri e della collaborazione su “La ninna nanna e le mazzate”, si richiede di leggere i due dialoghi: “La rotta del peluche” e “Nica” e di rispondere ai seguenti item:

  • Prime evocazioni spontanee per ciascuno dei due dialoghi
  • Tratti distintivi dei quattro personaggi
  • Tratti emergenti della relazione nell’uno e nell’altro caso
  • Confronto fra i due dialoghi e individuazione delle analogie e delle differenze fra i due tipi di relazione genitori/figli
  • Quali conflitti vivono i genitori nei due dialoghi
  • A quali atteggiamenti ricorrono per affrontarli
  • Cosa fa venire in mente l’ultimo atto del figlio nell’uno e nell’altro caso
  • Prefigurazione di cosa accadrà negli anni successivi al dialogo nell’uno e nell’altro caso.

Dopo la lettura dei dialoghi, ci si può servire della voce “Lascia un commento” per rispondere alle diverse domande e per aggiungere ulteriori contributi personali.

Non è indispensabile rispondere a tutte le domande, che vogliono essere soltanto un aiuto per ordinare le idee e poterle confrontare con quelle degli altri scout e dei detenuti del gruppo.

Infine, chi ne ha piacere può partecipare all’iniziativa inviando a associazione@trasgressione.net un proprio dialogo che risponda ai requisiti richiesti per la serie “La ninna nanna e le mazzate”:

Un genitore vorrebbe fare addormentare il figlio, ma il bambino o l’adolescente continua a fare domande perché teme che, se si addormenterà, il padre o la madre andranno via. Le domande possono essere di qualsiasi genere. Ciò che non cambia è che, di fronte alle domande sempre più pressanti del figlio, le risposte del genitore diventano sempre più evasive, fino a quando, in uno scatto d’ira, il genitore esasperato addormenta il figlio con una scarpata in testa.

Chi lo desidera può chiedere di essere accreditato come collaboratore di Voci dal ponte e inserire direttamente sul sito il proprio racconto.

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Sulla tossicodipendenza

Bollate, 11/02/2016 – Verbale dell’incontroNuccia Pessina

Il dibattito si è snodato a partire da una prima domanda e da alcune riflessioni a margine di questa: la tossicodipendenza è una malattia o una scelta? E’ importante rispondere perché un elemento, una situazione, un problema, a seconda di come viene definito, induce differenti reazioni. Secondo alcuni dei presenti, la tossicodipendenza può avviarsi e/o consolidarsi come una libera scelta; per altri inizia come scelta e diventa successivamente una malattia. Come si vede, la relazione tra scelta e malattia non è lineare; al convegno in programma è perciò opportuno che le esperienze di ognuno vengano ben documentate e comunicate dopo un’adeguata riflessione.

Massimiliano: Mi drogo da quando avevo 15 anni. Non so dire se è una malattia, ma so che, come il diabete, dovrò curarla per tutta la vita. Ma per me non ci sono pastiglie, ho bisogno di progetti, di cose intelligenti da fare, di cose e persone in cui credere. Sono 8 anni che non mi drogo, da quando ho ammesso di avere bisogno di aiuto e ho accettato di riceverlo; per la prima volta in vita mia, pur se in galera, paradossalmente, mi sono sentito libero.

Alessandro: Più che malattia, la chiamerei dipendenza.

Luciano: Penso che la prevenzione possa funzionare e debba essere stimolata.

Gianni: E’ una malattia che uno decide di prendere.

Dott. A: Malattia, disagio, libera scelta? Ogni diversa definizione dà luogo a risposte diverse; e questo vale per i diretti interessati, per le persone con cui i tossicodipendenti hanno relazioni, per le autorità legali e sanitarie.

Maurizio: Diciamo di aver fatto una “scelta” perché in realtà “malattia” è un termine che non ci piace.

Diego: Trovare qualcosa che ti dà piacere come te lo dava la droga è la risposta, ma non è così facile che questo accada.

Massimiliano: La droga ti svuota. Più ti droghi e più ti svuoti. Devi nutrirti di altro, ma ti ci vuole uno stimolo, un aiuto.

Massimo: Non riesco e non voglio considerarla una malattia, perché ciò potrebbe indurre ad adagiarsi nella cosa. Comunque, la droga ti svuota, ma spesso quando cominci è per riempire un vuoto che c’è già.

Gaetano: Per me è una malattia. Noi non accettiamo la parola “tossico”. Se non la accetti, non accetti di essere malato e dunque non ti curi. Ho cominciato a 15 anni, con la “maturità” dei 15 anni. E a 15 anni rifiuti l’aiuto, vivi solo per quello e ti svuoti. Poi maturi e “scegli” di uscirne, ma devi sceglierlo tu, devi sceglierlo per te.

Giuseppe A: Fare cose non basta per distrarsi dalla droga. Bisogna avere stimoli diversi.

Franco: La vera medicina per uscire dalla droga è avere un diverso nutrimento.

Roberto Dambra: Mi sono drogato a fasi alterne. Pulito dal 1996 al 2004. Vero che gli obblighi imposti dalla mia situazione (analisi presso il SERT e via dicendo) mi hanno aiutato, ma sono stato pulito per circa 4 anni dopo la fine degli obblighi. Poi ci sono ricascato. Perché? Non lo so.

Dott. A: Quali sono i confini della tossicodipendenza? Le azioni da essa indotte come il furto, la rapina, come vanno considerati? Sono parte della malattia?

Gianni: Un drogato è offuscato. Serve la mano di qualcuno e la propria volontà. Se commetti una rapina mentre sei in crisi di astinenza, è una conseguenza della malattia.

Maurizio: O rubi e poi ti droghi perché fa parte dello stile di vita delinquenziale o ti droghi e poi rubi per sopperire alla mancanza di soldi.

Gaetano: A proposito di ludopatia, molti reati sono commessi da persone tra i 50 e i 60 anni. Se sei malato, anche le azioni compiute sono conseguenza della malattia.

Massimiliano: Ho fatto furti anche quando non avevo necessità di drogarmi. E allora?

Esposito G: Mio figlio è drogato da quando aveva 13 anni. Io non ho mai toccato sostanze. La malattia è il vostro cervello. La fascinazione che provate per la droga è frutto del vostro cervello malato.

Alessandro: Anche mio padre ragiona come Giuseppe. Se io lavorassi, avessi una bella moglie, un figlio, alla sera, stanco per il lavoro della giornata, potrei anche farmi una canna. Che male c’è?

Gianni: Ma lei Dott. A che ne pensa?

Dottor A.: Ho cominciato a scrivere ciò che penso su “Voci dal ponte”, vi aggiungeremo quel che direte voi, cercando di ottenere un quadro progressivamente più organico delle nostre considerazioni sul tema.

Luciano: (per bocca di Tango) Qualcuno forse si droga perché fin da piccolo vede gente drogarsi.

Gianni: Il dottore non ha risposto!

Dott. Aparo: Credo sia opportuno considerare il tossicodipendente una persona che sceglie la malattia. Ma quali sono i confini della tossicodipendenza? Dal momento che la tossicodipendenza comporta un danno per la persona e per la società quali sono le reazioni appropriate a questo danno? Esiste un’alleanza che il tossicodipendente possa considerare valida e nei confronti della quale possa ritenersi ed essere ritenuto responsabile? E se l’alleanza fallisce e il danno ricomincia, cosa facciamo? Il tossicodipendente va considerato l’autore del furto o un burattino guidato dalla tossicodipendenza? Qual è l’atteggiamento più produttivo da parte dello psicologo? Nelle mie aspirazioni, io vorrei essere l’alleato di un burattinaio dimenticato che prova a restituire al burattino la libertà che gli ha tolto.

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Non ci basta!

Non ci basta è un libro on line sulla tossicodipendenza, la cui architettura è costituita soprattutto da:

  • le osservazioni, le curiosità, le domande dei componenti del gruppo che partecipano all’indagine sulla tossicodipendenza;
  • il riassunto e la storia delle teorie più diffuse e delle prassi terapeutiche più accreditate sulla tossicodipendenza;
  • le affermazioni che non li convincono;
  • i punti di contatto fra quanto si dice sulla tossicodipendenza, le dipendenze adiacenti (alcol, gioco) e i vizi meno dichiaratamente patologici  delle persone comuni;
  • le risposte che gli studenti mettono insieme consultando quanto è stato già scritto sulla materia;
  • i punti che rimangono comunque insoluti.

Il libro dovrebbe essere “fotografato” con scadenze periodiche, così da permettere agli studenti di riconoscere facilmente quanto, a fine corso, sarà cresciuta la loro competenza sulla materia.

 

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Un paradosso divertente

E’ un divertente paradosso che l’uomo, quando non sbaglia strada, insegue l’infinito mentre cresce e diventa se stesso nella realtà finita. Chissà se ogni giorno fa i conti con la realtà nella speranza di raggiungere l’infinito o se punta all’infinito proprio per poter dialogare con la realtà! Facilmente, però, quando dimentica una delle due cose cominciano i guai! In ogni caso, sembra che un ponte permetta di fare più strada di uno sconfinamento.

Abbinamento con: Ho visto Nina volare, A Cimma, Anime Salve

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La dipendenza: scelta praticata o malattia subita?

Interrogarsi su cosa è la dipendenza non risponde solo a mera curiosità. Di fatto, ci si rivolge al tossicodipendente in modo diverso a seconda che lo si consideri un malato o una persona che sceglie più o meno liberamente di fare quel che fa.

Anche le norme penali che riguardano la dipendenza e, in particolare, la tossicodipendenza, sono inevitabilmente collegate al fatto che il comportamento in oggetto venga inquadrato come malattia o libera scelta.

Ma la questione è anche più complessa. Va infatti contemplato che il comportamento tossicodipendente possa nascere in virtù di una libera scelta e diventare nel tempo malattia. Il tossicodipendente è prigioniero della propria malattia o è responsabile di essersi consegnato alla malattia?

Il cittadino che abbia margini di scelta per aumentare o ridurre il proprio stato di malattia, a maggior ragione quando tale malattia comporti gravi conseguenze per la collettività di cui egli fa parte, ha diritto di alimentare la propria malattia?

La storia del tossicodipendente di solito parte da un equilibrio precario, per rispondere al quale occorrerebbe una guida capace di sostenere e di insegnare a guardare lontano, e si insabbia progressivamente in una relazione con se stesso e con gli altri per cui l’orizzonte progettuale diventa sempre più ridotto e la persona sempre meno incline a fare investimenti sulla realtà.

Si finisce dentro un loop! Ma quanto è utile al soggetto essere trattato come vittima del loop che egli stesso ha attivato? Quanto giova al progetto terapeutico che il loop della tossicodipendenza venga considerato una malattia?

E infine,  in quale ambito è utile considerare malattia la tossicodipendenza? Quello del rapporto del soggetto con se stesso e con la propria inclinazione a restringere la propria facoltà di scelta o quello dell’abuso di potere che il tossicodipendente compie quando commette reati?

Il pilota russo che ha deciso di suicidarsi portando l’aereo con 150 passeggeri a schiantarsi contro una montagna, se fosse sopravvissuto, sarebbe stato considerato un omicida che, in quanto malato, avrebbe potuto godere delle attenuanti relative alla malattia? Quanto siamo tenuti a rispondere delle malattie che ci procuriamo se queste malattie portano ad abusare del nostro potere sugli altri? Abbiamo il diritto di procurarci o di lasciarci prendere dalle malattie se continuiamo ad avere con gli altri delle relazioni che vengono pesantemente investite dalle nostre malattie?

Il tossicodipendente agisce per provvedere a una mancanza che lo fa soffrire; agisce mosso dalla mancanza quasi come un burattino mosso dalle fila. Ma quanto è utile al partner del progetto terapeutico rivolgersi al tossicodipendente come a un burattino? Cosa possiamo fare per rintracciare e motivare il burattinaio che, dopo essersi legato mani e piedi alle fila, è sparito dalla memoria, lasciando al loop della droga e delle relazioni che la circondano il compito di restringere sempre più la spirale del burattino? E che ruolo è opportuno che abbia in questa ricerca il tossicodipendente?

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