Il corriere dei panni sporchi?

Quel giorno dovevamo andare a Rho per incontrare degli studenti; con Massimiliano eravamo d’accordo che sarei passato a prenderlo a casa sua. Novate milanese e Rho non sono distanti, ma non sono ben collegate. Max, prima di salire in macchina, apre il vano bagagli e ci butta dentro un borsone che somiglia a quelli con cui si va in palestra.

A Rho era in programma uno dei nostri soliti incontri per la prevenzione contro il bullismo. Max, Antonio, Giuseppe, Adriano raccontano dei propri trascorsi, ma soprattutto coinvolgono gli studenti con riflessioni su quanto oggi sia cambiata la loro visione della vita rispetto agli anni vissuti fra droghe e rapine.

Finisce l’incontro. Stavolta in macchina con me e Max c’è Adriano, detenuto nel carcere di Opera, a sua volta componente di spicco nel gruppo. Qualche commento sull’andamento della mattinata e arriviamo sotto casa mia dove posteggio e ci salutiamo; loro vanno a mangiare un panino, io ho una seduta in studio. Ci si rivedrà dopo un’ora per andare a piedi al gruppo esterno del martedì in Corso Italia.

Chiudiamo il gruppo e sono circa le 18, torniamo ancora a casa mia, dove la mia auto è rimasta posteggiata per tutto il pomeriggio. Prima di salutarci, Max dice “stavo quasi per dimenticarla“,  apre il portellone posteriore, prende la sua borsa e aggiunge: “se non porto i panni sporchi ad Angelo, cosa mi metto nei prossimi giorni?”

In una frazione di secondo mi passano per la mente un sacco di immagini e, soprattutto, vivo una diffusa sensazione di benessere che le accompagna tutte; mi chiedo che cosa avrei potuto portare inconsapevolmente in macchina se fossi stato amico di Max prima della sua ultima e attuale carcerazione… una decina di anni fa in quella borsa Max avrebbe potuto trasportare lo stesso genere di merce per cui ci siamo conosciuti in carcere.

insomma, è proprio bello rendersi conto, quando è ormai sera, di aver tenuto in macchina per un’intera giornata una borsa piena e non averci fatto caso! Cosa c’è da stupirsi se Massimiliano, uno che oggi va all’ortomercato alle 5 del mattino per comperare la frutta per la nostra bancarella, non ha una lavatrice con cui lavarsi i panni?

Lo scopo del dolore non è la reclusione

Non era questo il primo sogno, di certo non era togliere la vita per vivere, non era vendere polvere per respirare. Da piccoli, abbiamo morso il seno delle nostre madri per paura che ci potesse sfuggire dalle mani… per il piacere che si prova a possedere e controllare le cose.

Poi i più fortunati di noi hanno imparato a tollerare l’attesa del latte, ad aver fiducia che la carezza, da lì a poco, sarebbe arrivata; altri hanno forse dovuto aspettare troppo, e così hanno imparato a usare le loro mani per controllare e dirigere quelle degli altri o addirittura per cancellarle.

Ma la malattia del controllo alla fine rende schiavi e, così, molti hanno anche lasciato crescere i propri figli con il padre in carcere… poi, durante la detenzione, è diventata sempre più chiara la consapevolezza che i figli, nella traversata dell’adolescenza, sarebbero potuti rimanere sedotti dalle stesse mire e, a loro volta, vivere ingabbiati nella perfida illusione del burattino che fantastica di dirigere il mondo.

Adesso, chi vuole può provare a tornare al suo primo sogno, a recuperarne le spinte, i sapori, gli orizzonti. Di certo i nostri figli ci saranno grati se sapremo interpretare la nostra rivoluzione, se sapremo, dal nostro dolore, ottenere spazi più ampi per la nostra e per la loro evoluzione.

Lo scopo del dolore non è la reclusione,
la meta è all’orizzonte, è la rivoluzione

Abbinamenti con: Prima e oltre il confine

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