Da costo a risorsa

Come si può cambiare il carcere se noi stessi detenuti non siamo in grado di metterci d’accordo su delle piccolezze! Ho visto tante persone che aspettano che uno sbagli per poter prendere il loro posto di lavoro invece che fargli capire che quello che sta facendo è sbagliato; lo si incita ancora di più a commettere l’errore. In questi anni di detenzione non ho sentito parlare d’altro che di processi, di educatori, di relazioni non chiuse, di chi è dentro per rapine, spaccio, omicidi, mai una volta che si parlasse di come potremmo cambiare in meglio le condizioni carcerarie.

Grazie ad un altro detenuto ho conosciuto il Gruppo della Trasgressione, in questi pochi mesi ho continuato ad arricchire sempre più il mio bagaglio culturale, ascoltando con attenzione il parere di tutti.

Grazie al dottor Aparo ed ai suoi collaboratori ho imparato a guardare con occhi diversi un dipinto del Caravaggio, cercando di capire il messaggio che il pittore ci ha voluto lasciare. Prima di partecipare al gruppo un dipinto per me era o bello o brutto, non andavo ad analizzarne il contenuto con le sue sfumature.

Il Gruppo della Trasgressione è l’inizio del progetto di come possiamo cambiare il carcere. Il Comune o l’istituzione dove risiede l’istituto penitenziario dovrebbe prendere come esempio le grandi aziende che fanno investimenti con guadagni a lungo termine. Si dovrebbe investire di più sui detenuti, stanziando finanziamenti per corsi di formazione professionale, in modo che il detenuto che abbia scontato la pena abbia più possibilità di entrare nel circuito lavorativo normale.

Si dovrebbe poi informare la popolazione che tenere per lungo tempo le persone chiuse in carcere ha un costo economico pesante per lo stato e quindi per la popolazione.

A mio parere, insomma, se, mentre sono detenuto, vengo aiutato ad istruirmi, diventerò un guadagno sia per la società sia per me stesso, non gravando più come un costo ma divenendo una risorsa. Un vecchio proverbio insegna che se prendi una persona che non ha nulla da mangiare e le dai un pesce si sazierà per un solo giorno, se gli insegni a pescare potrà mangiare sempre.

Salvatore Luci

Reparto LA CHIAMATA

 

Libertà mia

Da bambino ne avevo in quantità
Eri mia libertà, tutta mia
Mi facevi compagnia
Mi davi allegria

Quant’eri bella libertà mia
Ero sicuro che nessuno ti avrebbe mai portato via
Se non la superficialità e l’incoscienza mia

E quanto bene ti ho voluto libertà mia
Siamo stati proprio bene insieme
Ne abbiam passate di crude e di cotte
Ne abbiam prese di botte

E ad ogni caduta seguiva sempre,
Un bel “chi se ne fotte”.

Ora sono cresciuto, libertà mia
E sì, son quasi cinquanta
Ora entra il sole a quadri nella mia stanza
E non sento più la tua voce che canta

Solo ora so apprezzarti
E pensa un po’, saprei anche amarti
Ma ti ho deluso amica mia
E te ne sei andata via.

Ed ora col cuore in mano
Vorrei dirti solo una cosa
A presto libertà mia,
ti amo

Massimo Saponaro

Poesie

Come fiori di loto

Tutto è scuro e melmoso
viscido e nauseante

Come tutti i giorni che
si trascorrono in questo
Maledetto posto.

Anche quelli più luminosi
qui sono bui e tristi
Quelli più caldi poi diventano
freddi.
Manca l’aria e si respira
a  fatica

Annaspando si cerca di
Rimanere vivi
anche se ogni istante sa di
Morte.

Ma come per i fiori di loto,
che nascono nel fango, accade
qualcosa di straordinario.

Si può rinascere dal profondo, dal buio
Ecco sorgere la luce del sole ed il fiore
di loto si apre e finalmente può sbocciare.

Ed il buio diventa luce,
Luce che illumina
Luce che scalda
Luce che riflette
Luce che … perdona

Vincenzo Calcagnile

Poesie

Dedicato al detenuto Vito Paolo Troisi che è riuscito a farmi rivedere la luce

Troppe volte

Troppe volte ti ho salutato
Sotto cieli cupi
ci siamo guardati
con la promessa di un ritorno

Troppe volte sono stato perdonato
Sotto cieli azzurri
mi sono perso
credendo in un cambiamento

Troppe volte sono tornato
e sotto stelle cadenti
ho espresso
desideri rari

Troppe volte

Giuseppe Di Matteo

Poesie

La gestazione reciproca

Faccio parte del Gruppo da circa un anno e mezzo, all’inizio come tirocinante e ora come componente. Ieri, di fronte ad alcuni detenuti che venivano per la prima volta al gruppo, il Professore Aparo ha chiesto agli studenti presenti: “Ma chi te lo fa fare?”. Ecco la mia risposta!

All’inizio ho deciso di svolgere il mio tirocinio con il Gruppo della Trasgressione perché ero tremendamente curiosa di vedere con i miei occhi cosa si nascondeva all’interno delle mura di un carcere. Incontro dopo incontro, poi, mi sono resa conto che non ho trovato nulla di quello che mi ero immaginata: ho trovato delle persone. Persone che alla fine non erano così diverse da me, da noi. Ho trovato vissuti e anime che chiedevano aiuto e altre che invece hanno aiutato me, in un modo o nell’altro.

Poi il tirocinio è finito, ma nel frattempo la magia del Gruppo mi aveva completamente stregata: è diventata una droga, qualcosa di irrinunciabile, qualcosa di vitale, e il Professore Aparo è diventato per me una guida.

Uno dei concetti che spesso emerge nei discorsi che facciamo è quello della gestazione reciproca, ovvero un processo di crescita, formazione e maturazione al quale tutti partecipano per crescere insieme agli altri: tu fai crescere me ed io faccio crescere te, e così cresciamo insieme. È un concetto che mi piace molto, l’idea che persone sconosciute possano pian piano diventare nostre alleate semplicemente tirando fuori le proprie fragilità l’una con l’altra. Questo accade perché probabilmente si crea un luogo sicuro, all’interno del quale le persone iniziano a fidarsi e iniziano a sentirsi libere di potersi raccontare con trasparenza, emozionandosi, piangendo e anche arrabbiandosi. E in questo luogo sicuro io mi ci trovo benissimo, perché ogni persona qui viene vista e viene riconosciuta, viene presa per mano e accompagnata a conoscersi e a capire chi si vuole essere.

Faccio fatica a rendermi conto del percorso che ho fatto io nel gruppo da quando ne faccio parte, ma vedo con chiarezza il percorso che, invece, hanno fatto e continuano a fare le altre persone. Trovo che sia meraviglioso vedere giorno per giorno i progressi che una persona fa durante il proprio percorso di crescita, mi fa emozionare, mi fa venire voglia di farne parte e mi fa percepire la vita. Mi fa sentire viva.

Ecco, probabilmente è questo il motivo che mi fa dire che ne vale la pena: voglio crescere, voglio sentirmi utile, voglio sentirmi riconosciuta e imparare a riconoscere anche l’altro, voglio essere vista, voglio sentirmi viva, voglio vivere. E io all’interno del Gruppo mi sento proprio così, perché per vivere è necessario farlo insieme alle altre persone, progettare con loro, crescendo insieme e raggiungendo insieme obiettivi comuni. Ed è quello che vorrei poter fare per tutta la vita.

Camilla Bruno

Note sul metodo

Se si può dentro, allora anche fuori

Ho scelto di intraprendere il tirocinio curricolare di Scienze e Tecniche Psicologiche in carcere, spinta dalla voglia di essere partecipe di un cambiamento del contesto penitenziario, troppo spesso inadatto alla riabilitazione del detenuto, che collocato nella sua cella, non dispone della possibilità di affrontare un percorso realmente efficace, volto alla reintegrazione nella comunità.

Il Gruppo della Trasgressione si occupa proprio di questo. Si tratta di un collettivo fondato nel 1997 dal Dottor Angelo Aparo, psicologo e psicoterapeuta che tuttora coordina gli incontri nelle carceri di Opera, Bollate e San Vittore, le iniziative come concerti ed eventi di sensibilizzazione sulle tematiche trattate e gli interventi nelle scuole.

La riflessione è l’elemento chiave della riabilitazione, che permette al detenuto di mettersi nella condizione di porsi domande, confrontarsi con gli altri componenti e con le diverse prospettive di pensiero. Inoltre, le emozioni sono il linguaggio universale che permette la vicinanza e la comprensione tra persone con vissuti completamente diversi.

Attraverso questi strumenti il detenuto può comprendere se stesso e il proprio malessere, di cui spesso non è conscio. Questo è il punto di partenza per poter capire che è proprio dalla sofferenza, dal vuoto e dall’insicurezza che nasce l’abuso.

Grazie alla vicinanza con individui provenienti da altri contesti, l’abusante, gradualmente riesce ad entrare in empatia con l’altro, ovvero con la potenziale vittima, prendendo consapevolezza della sua umanità e del dolore che i propri abusi le possono causare e che hanno causato ad altri in passato.

Il gruppo è una sorta di microcosmo composto da detenuti, ex detenuti, tirocinanti, familiari di vittime di reato e liberi cittadini. Grazie a questa eterogeneità, il detenuto si può interfacciare con realtà differenti dalla propria e può gradualmente inserirsi in un contesto diverso da quello criminale, acquisendo un ruolo più costruttivo e prolifico nella società.

L’importanza del ruolo è fondamentale in questo percorso, poiché si tratta di un fattore che porta a rielaborare e ampliare la consapevolezza della propria identità.

L’identità deve essere considerata come dotata di più sfaccettature. L’individuo può decidere di lavorare su determinate qualità della propria personalità rispetto ad altre. L’obiettivo è favorire che ogni singola persona e l’intero gruppo esplorino nuovi tratti positivi di ogni singolo componente, così che questi possano essere esercitati in contesti più stimolanti e creativi rispetto ai contesti del passato.

Qui le emozioni tornano ad essere utili poiché, se incanalate nella giusta direzione, possono produrre ottimi risultati. Degli esempi possono essere gli scritti molto toccanti che i detenuti compongono e poi leggono agli incontri.

Durante il tirocinio ho partecipato a diverse iniziative che mi hanno fatto comprendere quanto l’arte sia un importante mezzo di comunicazione in grado di avvicinare le persone, dare voce ai detenuti e trasmettere emozioni.

Nell’Istituto Clerici di Brugherio, studenti e detenuti hanno avuto modo di collaborare e acquisire consapevolezza delle reciproche storie, condividendo emozioni e vissuti, apprendendo gli uni dagli altri. I ragazzi hanno dimostrato interesse e impegno negli incontri, scrivendo e incidendo delle canzoni che sono state presentate all’incontro finale tenutosi nel teatro del Carcere di Opera.

Sempre nel teatro di Opera, si è svolto il cineforum del film “La parola ai giurati“, in collaborazione con Extrema Ratio, un’associazione culturale che si occupa di giustizia riparativa. I detenuti hanno avuto l’occasione di commentare la pellicola e portare un punto di vista alternativo rispetto a quello giuridico.

Presso il Museo Universitario delle Scienze Antropologiche di Milano, ho assistito alla proiezione del documentario realizzato da Lo Strappo e alla discussione di tematiche relative al crimine, da parte di alcune figure tra le quali il dottor Aparo, Antonio Tango e Paolo Setti Carraro (componenti del gruppo).

Al Cimitero Monumentale di Milano ho partecipato all’itinerario ideato e condotto da Antonio Tango. Tramite le opere da lui scelte, ha raccontato la storia della sua vita e le sue emozioni.

Presso la Fabbrica del Vapore di Milano ho partecipato alla proiezione del video di Sandro Baldoni “Eravamo cattivi”, alla proiezione del video del Liceo Artistico di Brera “Il Teorema di Pitagora” e al concerto Trsg.band con le canzoni di Fabrizio De André combinate con le riflessioni dei componenti del Gruppo della Trasgressione.

Infine, ho assistito all’incontro con gli Scout e Francesco Cajani, nel quale i ragazzi sono rimasti molto colpiti dalle parole dei detenuti di Opera che, attraverso i loro scritti sul tema “L’infinito senza stelle”, hanno portato le proprie esperienze di perdizione e di rinascita.

Durante questi mesi, l’esperienza che ho intrapreso negli incontri esterni e interni al carcere è stata arricchente a livello professionale ma anche e soprattutto a livello umano.

L’opportunità di toccare con mano la realtà penitenziaria mi ha permesso di capire da vicino le dinamiche, purtroppo ancora disfunzionali, che impediscono la riabilitazione; allo stesso tempo, ho avuto modo di osservare la metodologia terapeutica che il professor Aparo utilizza e l’enorme potenziale che l’approccio del gruppo potrebbe avere nelle carceri italiane.

Ho conosciuto persone eccezionali che mi hanno accolta e fatta sentire in una grande famiglia. Per la prima volta ho sperimentato l’appartenenza ad un gruppo di persone pronte ad ascoltarsi ed aiutarsi a vicenda, con l’obiettivo comune di migliorare sé stessi e, nel loro piccolo, il mondo.

Non nascondo di aver avuto momenti di sconforto. La voglia di partecipare e di mettermi in gioco si è scontrata con la timidezza, la paura del giudizio ed il timore di non essere all’altezza.

Inoltre, spesso mi sono trovata ad ascoltare le storie dei detenuti senza il giusto distacco emotivo che la professione per cui sto studiando dovrebbe richiedere. A volte la rabbia, il dolore e la tristezza hanno preso il sopravvento al punto da restare turbata per giorni.

Altre volte, i racconti dei detenuti, che gioivano per situazioni ai miei occhi banali, mi hanno fatto apprezzare le piccole cose che davo per scontate e mi hanno fatta gioire a mia volta della loro rinascita, della loro contagiosa voglia di vivere e della sensazione di libertà totale, nonostante la condizione di reclusione.

Non pensavo che potesse realmente esistere un gruppo come questo e devo dire che da quando ne faccio parte il modo in cui vedo il mondo sta cambiando. Se anche in carcere c’è la speranza di poter riparare le cose e la voglia di vivere e costruire, allora ci deve essere anche fuori.

Voglio ringraziare il professor Aparo per gli insegnamenti e per la grande opportunità che mi ha concesso di poter affrontare questa difficile, ma straordinaria esperienza di vita e ringrazio anche tutti i componenti del Gruppo della Trasgressione per la generosità ed il coraggio con cui condividono le loro storie, esperienze e pensieri, che sono costanti stimoli a crescere e migliorare.

 

Giulia Sceusa

Relazioni di tirocinioNote sul metodo

Stelle di luce bugiarda

Buongiorno, sono Ignazio.

Quello che mi aiuta ad essere libero in carcere è un’azienda che si chiama Gruppo della Trasgressione, tra riflessioni, domande e confronti sul nostro passato criminale, utili per la nostra evoluzione e per migliorare la nostra vita famigliare e sociale. Non si finisce mai di imparare al tavolo e a ogni nuovo incontro con studenti e professori di diversi istituti.

Anche questi incontri con la scuola Clerici sono serviti tanto; essere alleati tra detenuti e studenti ha fatto nascere un grande progetto: i nostri racconti sulla nostra devianza a questi giovani studenti serviranno per un loro futuro migliore. Anche gli studenti, con le loro difficoltà e le loro storie, hanno fatto un lavoro. Creando canzoni e poesie, si sono messi alla prova; anche loro cercano una spinta. Mi sono commosso…

La domanda che ha fatto il Dottor Aparo sull’”Infinito senza stelle” richiama il mio passato. Anche io ho provato e trovato qui in carcere un infinito senza stelle, come se avessi avuto un cortocircuito, come se dentro di me si fosse spenta la luce; sono crollato e non riuscivo a rialzarmi. Giorno dopo giorno mi allontanavo sempre di più in quel buio. Non sentivo più la voce dei miei figli, non c’era più con me la mia famiglia, il mio lavoro, la libertà.

Ho perso tutte quelle stelle che la vita mi ha regalato, ma avevo anche costruito delle stelle fatte male da me. Solo oggi riesco a spiegarmi la mia colpa, che veniva proprio da quelle stelle costruite male; sono convinto che ho acceso nel passato una luce disonesta, fatta di desiderio spregiudicato di potere, denaro e successo.

Ecco perché bisogna riaccendere la coscienza e mettere quelle stelle nel posto giusto, fare in modo che non si spengano più, dare un senso alla vita propria, nel rispetto degli altri.

Devo molto anche al gruppo. Ho riacquistato il valore dell’onestà, il senso del proprio dovere, la responsabilità e la fiducia, anche da parte della Polizia Penitenziaria che mi ha offerto un valoroso lavoro. Questo è un vero successo per me ad oggi.

Ho ritrovato quella luce di speranza che i miei figli mi aspettano a casa per la Festa del Papà; anche questo ha ripulito quell’angolino di buio che viveva dentro di me.

È proprio il gruppo che ci invita a tenere accesa quella stella che abbiamo spento o perso nel passato o in carcere. Partecipando capisci il valore che offre questo gruppo, quella luce deve essere protetta proprio da noi stessi, deve essere sempre accesa per quei detenuti che ancora vivono nel buio, senza una speranza, perché più stelle frequentano, più forte illumineremo il pianeta di bene.

Ignazio Marrone

L’infinito senza stelle

Una vita senza stelle

Mercoledì scorso, all’evento che si è tenuto presso il teatro di questo istituto insieme con gli studenti della scuola Clerici di Brugherio, il Dottor Aparo ci ha invitati a reagire ad una frase: “L’infinito senza stelle”.

A primo acchito ho risposto: “Senza stelle? Non ci sarebbe vita!”.

Mi è venuto in mente una frase che ho letto giorni fa: “Per aspera ad astra”, ovvero, attraverso le asperità si arriva alle stelle. Rispondere in poche righe a cosa può voler dire “Un infinito senza stelle” sicuramente non è facile. Credo che la frase voglia dire che qualsiasi conquista è raggiungibile solo al prezzo di grandi sacrifici e molte difficoltà.

Sono stati tanti, nei vari secoli, gli scrittori, i filosofi, i poeti che hanno raggiunto le stelle attraverso i loro sacrifici.

Giacomo Leopardi, con la sua immensa opera “L’infinito”, ha tirato fuori una situazione in cui la possibilità visiva di guardare fino all’estremo orizzonte è impedito da un ostacolo: la siepe. È proprio la siepe ad attivare l’immaginazione del poeta che in un primo momento si raffigura mentalmente l’immensità dell’infinito.

I primi navigatori dell’antichità seguivano la rotta attraverso le stelle per navigare. Poi, quante volte abbiamo detto “Sei bella come una stella”, oppure “Gli amici veri sono come le stelle, non sempre si vedono ma sappiamo che esistono”, o ancora “Sei nato sotto una buona o una cattiva stella”, “Portare alle stelle qualcuno”, “Salire alle stelle”.

Io rapporto “l’infinito senza stelle” con lo stile di vita che ho condotto in questi lunghi anni; senza scendere nei particolari, direi che oggi, anche se privato della libertà di spazio, gli impedimenti soprattutto affettivi mi hanno condotto a un’analisi che mi ha liberato dalla schiavitù dell’arroganza.

Avevo già una vita che mi regalava tante ricchezze ma forse quelle che avevo le davo per scontato e non le apprezzavo abbastanza. Forse per bisogno di un’affermazione più gratificante, forse per spirito di ribellione verso quel contesto sociale che mi stava stretto, forse per il fascino di quel male che spesso si presenta nelle vesti di bene, o forse per tutti questi motivi messi insieme, ho cercato una vita differente.

L’altra metà l’ho passata rinchiuso in carcere, pagando le conseguenze delle mie azioni devianti. Oggi posso dire che, attraverso le asperità, ho raggiunto le stelle perché penso che, nel mio caso, i cambiamenti più significativi sono avvenuti a seguito di riflessioni e analisi personali, anche se ovviamente stimolate dal contesto detentivo e dal tavolo del Gruppo della Trasgressione, che mi ha permesso fare nuove conoscenze, di maturare nuove consapevolezze e di scoprirmi capace di emozionarmi.

Dopo tanti anni rinchiuso in un piccolo spazio che farebbe impazzire chiunque, dopo avere smesso di dare un senso al tempo che scorre, ecco che qualcosa cambia.

Come diceva Atenodoro: “Se tornerai agli studi, sfuggirai a qualsiasi sensazione tormentosa di stanchezza e di disinteresse nei confronti della vita propria e altrui; e non aspetterai la notte perché il giorno ti annoia, né ti sentirai di peso a te stesso e inutile agli altri, molte persone ti diverranno amiche e saranno i migliori a venire da te”.

Mentre Curio Dentato diceva con grande verità che preferiva essere morto piuttosto che vivere da morto: “Il peggiore dei mali è uscire dal rango dei viventi prima di morire”.

Per me, il peggiore dei mali sarebbe uscire da questo mondo che ho riscoperto, fatto di passione, di serenità, di semplicità, di intensità, di apprezzamento, come quello che mi sta regalando la Trasgressione con i vari progetti che abbiamo realizzato e stiamo realizzando; come quella stupenda esperienza che ho vissuto di recente al salone tirocini dell’Università Bicocca di Milano, insieme alle bravissime Carlotta e Anita.

È stata una giornata per me di emozione e di commozione: essere stato partecipe e protagonista in rappresentanza del Gruppo della Trasgressione e spiegare ai futuri tirocinanti, laureati, post-laureati che cosa fa il gruppo per il recupero dei detenuti è stata una sensazione incredibilmente bella perché mi avete permesso di essere una persona normale, malgrado il mio tragico passato criminale.

Come non parlare poi della partecipazione all’evento della Fabbrica del Vapore, che mi ha consentito di visitare il Cimitero Monumentale che sembra un museo a cielo aperto, con tutti i suoi sepolcri scolpiti da mani di sapienti artisti. Mi hanno fatto emozionare per le loro opere. Che sensazione!

Quanti pensieri in quel momento mi hanno invaso la mente! Pensavo alle persone che per causa mia non ci sono più, ai miei genitori, a tutte le persone che soffrono per me. Provavo tanta tristezza, tanto dolore, tanta vergogna.

Spero che attraverso questa mia consapevolezza di oggi, io possa lenire il dolore di ognuno di loro e dei loro famigliari.

Pasquale Trubia

L’infinito senza stelle

Da venti anni

Da venti anni abito nel cubo
Questo è il mio sgabello
Questo è il mio letto.

Alle pareti appeso con ordine maniacale
Il resto della mia vita

Da venti anni conosco ogni crepa
Del muro e del mio cuore

Ho paura di quello che troverò fuori
Fuori da mio cubo di cemento.

Da venti ani parlo
Alla luna e alle stelle

Nei lunghi silenzi delle notti
Cercando di far evadere il dolore.

Da venti anni penso
Al giorno che sarò libero

Allora avrò bisogno
Di altri venti anni
Per abituarmi a vivere

Giuseppe Di Matteo

Officina creativa

NOMADEMONE

Dalla vita, alla muta, al vento nel mentre, nel tempo.

Con un gemito senza peccato, sono nato, tra fatiche, delusioni di svariate perdizioni, fitte di illusioni….

Nel fango degli inferi sono finito.

Come i templi dentro di me di ceri accesi su altari spenti, di lacrime di sangue su salici piangenti, perparole dette come fendenti…

Ora mi fisso davanti ad uno specchio, stringendo nelle mani un crocefisso.

Confesso i miei peccati a me stesso.

Luigi Valguarnera

Officina creativa