Un pomeriggio speciale

La giornata del 23 marzo 2023, per me, detenuto nella Casa di Reclusione di Bollate (MI), ha avuto un sapore particolare.

Mi chiamo Giuseppe D. M. e faccio parte del Gruppo della Trasgressione, condotto e fortemente voluto dal Dott. Aparo, psicologo che da anni opera nell’universo carcerario, aiutato da un gruppo di persone volontarie che si dividono tra lavoro, studio e vita propria, perciò persone splendide.

Il rapporto con il Gruppo della Trasgressione mi sta aiutando in una mia personale autocritica sul mio passato delinquenziale.

Perché vi dico che il 23 marzo è stata una giornata particolare? Perché delle persone di varie associazioni di Rotary della città di Milano ci hanno fatto visita, partecipando con noi detenuti ad un incontro che aveva come tema “La chiamata di San Matteo”, raffigurata su un quadro del pittore Caravaggio. L’argomento di discussione era su cosa suscitasse il dipinto, partendo dalla premessa che quasi nessuno di noi l’avesse mai visto.

Così,  voi avete condiviso alcune ore del vostro tempo con noi, seduti fianco a fianco, senza barriere nel dialogo e nel confronto.

Signori, è stato meraviglioso! Questa vostra disponibilità ci ha fatto capire, percepire e sentire che non siamo emarginati. Dopo tanti anni, mi sono sentito parte integrante della società; non ho sentito la distanza che prima avvertivo con il mondo esterno.

Credo che questo incontro sia stato un tassello importante che potrà far parte di quel qualcosa che molti di noi detenuti stanno costruendo per un futuro migliore.

Sono sicuro che per voi non tutto sia finito lì, quando quel giorno avete varcato i cancelli per ritornare alle vostre case, alle vostre famiglie e alle vostre vite. Sicuramente qualcosa vi è rimasto nel cuore e nell’anima e noi detenuti non possiamo pensare che ci vogliate abbandonare.

Con la vostra partecipazione agli incontri e agli eventi numerosi che si svolgono durante l’anno, voi avete la possibilità, rimanendo in contatto con il Gruppo della Trasgressione, di aiutarci a rientrare nel circuito della legalità che la società civile chiede.

Se avete piacere di continuare a collaborare con noi, sappiate che questo genere di progetti motiva noi detenuti a riconoscerci nella società e a riflettere sui nostri errori molto di più di una pura e semplice restrizione della libertà.

Accanto ai progetti che possiamo portare avanti insieme, un altro modo per aiutarci è anche quello devolvere il vostro 5X1000 a beneficio della nostra associazione.

Cordiali saluti a tutte le persone del Rotary e alla prossima!

Giuseppe Di Matteo

Caravaggio in città

 

Quale ruolo vorresti al gruppo?

Buongiorno, sono Ignazio, ho riflettuto sulla domanda posta dal dottor Aparo al gruppo: per cosa vorresti essere riconosciuto dal gruppo della Trasgressione?

Sono proprio io a riconoscere questo gruppo come una  risorsa, che vivo attraverso i discorsi sempre più ricchi che ascolto al tavolo, i nostri racconti del passato, il nostro cammino sulla devianza, che ci aiutano a riflettere e a costruire qualcosa che abbiamo perso; i nostri confronti servono perché sono approfonditi insieme, questa è la vera storia del gruppo della trasgressione: lavorare tutti insieme, sfruttare i discorsi degli incontri, perché sfruttandoli sviluppo qualcosa nella mia crescita che mi migliora nel rispetto dell’altro e della società.

Cambiamento, partecipazione, riflessione e il raccontarsi nutrono questo gruppo e portano i detenuti con le loro esperienze a incontri con le scuole e gli istituti, dando il nostro contributo per un mondo migliore, per una vita migliore e a non fare più il male che abbiamo fatto.

Come a tutti i componenti di questo gruppo, parteciparvi mi ha ridato la consapevolezza del male fatto, mi rende libero nel pensare e dentro di me sono riuscito a tirar fuori tutto quel male che viveva con me.

Oggi riesco con le mie parole a rendermi utile e riconosciuto dal gruppo, perché riesco a lanciare un messaggio importante, prima per il mio cambiamento e poi per tutti quei detenuti che non frequentano il gruppo, affinché possano guarire dagli sbagli e dal male fatto, così che siano anch’essi d’aiuto.

Frequentare il gruppo della trasgressione con il dottor Aparo, che da tanti anni fa crescere questa palestra, ci insegna a dipingere di bene, fare dei progetti per la vita o credere nel nostro miglioramento di uomo o padre.

Infine vorrei dire che amo questo gruppo, gli devo tanto, ma farne parte dipende solo da noi stessi.

Un mio riconoscimento particolare va a Pasquale e Sergio, in quanto è grazie a loro che ho partecipato al gruppo della trasgressione .

Ignazio Marrone

Chi siamo

 

 

Il Gruppo Trsg e il Mito di Sisifo

Il Gruppo della Trasgressione del Dott. Angelo Aparo, è un gruppo formato da detenuti e persone volontarie esterne. Un gruppo unito, compatto, fatto di belle persone con mentalità e punti di vista differenti. C’è chi si scopre scrittore, poeta, attore, cantante, opinionista e qualche volta anche tuttologo. C’è chi allarga le proprie vedute e chi prova a modificarsi perché crede al cambiamento. Insomma, un gruppo magico.

Il gruppo ricerca gli aspetti che possono portare le persone a intraprendere la strada dell’illegalità, riflettendo sulle scelte e sugli elementi che fanno parte dell’uomo e della sua vita. Sostanzialmente, il gruppo porta a ragionare e dà un aiuto nel recupero. Lo strumento principale è il dialogo, ma non solo. Infatti, il Gruppo della Trasgressione, oltre ad andare nelle scuole a mettersi in discussione e fare eventi presso teatri, ha una cooperativa che opera nel settore commerciale con la finalità di dare lavoro ai detenuti.

Nel corso di questi incontri, mi sono chiesto: “perché parlare di alcuni argomenti come L’infinito di Giacomo Leopardi o il dipinto di Caravaggio La chiamata di San Matteo?”.

I temi principali che trattiamo sono le regole, la trasgressione e le scelte di vita che molte volte ci portano a sbagliare e a ritrovarci in un posto come questo. È anche vero che chi non sbaglia non può imparare.

Sono più che convinto che la fonte di coscienza è fonte di sapienza. Tutto questo per me è consapevolezza di essere capace di avere un pensiero libero, perché attraverso la riflessione possiamo ragionare sugli errori commessi in passato. Per tutto questo, grazie a tutta l’equipe che giorno dopo giorno ci dà l’opportunità di cambiamento e di crescita.

Nel corso del nostro ultimo incontro, viene portato in discussione un argomento: il mito di Sisifo. Dentro di me un vuoto…in silenzio mi chiedo: “MA CU’ È STU SISIFO…?”.

L’unica cosa che credo di aver capito è che era un mitico re dell’antica Grecia. La curiosità e la possibilità che venga chiesto il mio parere nei prossimi incontri, mi porta a leggere la storia; spero di aver capito il significato di questo argomento.

La storia racconta che Sisifo, re dell’antica Grecia, figlio di Eolo, re dei venti, fu punito da Zeus per la sua arroganza. Sisifo infatti, aveva sorpreso Zeus in un comportamento illecito: stava rapendo una fanciulla di nome Egina (figlia di Asopo, dio fluviale) per abusare di lei, ma invece di tacere lo denunciò. Asopo donò in cambio la sorgente di Pirene alla città di Sisifo (Corinto) che stava vivendo il problema della siccità. Per questo comportamento Zeus, lo fece perseguitare dalla personificazione della morte, in greco “Thanatos”, morte che Sisifo riuscì ad evitare varie volte. Quando infine morì, fu condannato a spingere con gran fatica una grande pietra in salita su di un monte, ma appena raggiunta la vetta, la pietra rotolava giù e tutto ricominciava, senza avere mai una fine.

La mia riflessione è che dopo esserci confrontati, in una parvenza di discussione, per tutto il Gruppo della Trasgressione le vicende di Sisifo sono diventate un racconto per guardarsi dentro e per comunicare con la società.

Lo scopo del mito di Sisifo è di far capire come l’arroganza è un sistema per rovinare l’esistenza gli uni degli altri.

L’intento del gruppo è far ricredere le persone sugli sbagli fatti, cercare di farli cambiare, dando un giusto senso alla loro vita e aiutare persone in bilico, perché spesso chi è vittima diventa un carnefice.

Sul mito di Sisifo, alcuni di noi del Gruppo della Trasgressione, si caleranno nelle vesti dei personaggi di questa storia, facendo uno spettacolo teatrale. L’obiettivo è quello di fare arrivare al pubblico il messaggio di presa di coscienza e di consapevolezza, imparando a cercare dentro sé stessi il perché delle scelte che ci hanno portato a fare reati.

L’arroganza, l’abuso, o meglio ancora la sete di potere porta ad un bivio. La prima via è quella di accettare delle regole che servono per migliorare; la seconda è quella negativa, cioè quella di volere sempre più successo, lusso e potere, trasgredendo il limite e le regole.

Per poter migliorare, bisogna riconoscere i propri errori e rimettersi in gioco intraprendendo un percorso di cambiamento.

Concludo con un mio pensiero: consiglio di non crearsi “MITI”, perché inseguire un mito sbagliato o in maniera sbagliata, porta a perdere la reale strada da seguire e a fare scelte sbagliate che, alla fine dei conti, hanno tragici effetti su noi stessi, sulla nostra famiglia, su quella delle vittime e sulla società.

Il Gruppo della Trasgressione o lo ami o lo odi. Una cosa è sicura, lascia un marchio indelebile dentro di te.

Grazie a tutti i miei compagni, ma soprattutto, grazie a tutto l’equipe del gruppo, coadiuvato da un guerriero senza tempo, il nostro prof. Angelo Aparo.

Michelangelo Maurizio Lesto

Il Mito di SisifoChi siamo

La chiamata del Gruppo della Trasgressione

I gruppi, le scuole
Testimonianze vere
Quasi in alta definizione.
Le nostre vite, la nostra
Carcerazione.
Depressione, Esclusione.
E ora la chiamata per uscire
Da una lunga intossicazione.

Rapine, droga, omicidi
La strada della vita ci ha divisi
dalle famiglie e dai loro sorrisi.
Dai gruppi, le scuole, i ragazzi
E ogni cazzo di emozione.

Aparo vuole determinazione.
Trasgressione è sinonimo di
“informazione”, il cervello
ch’era prima in confusione
ora lo accendi e lo metti
in funzione.

Ora cerchiamo conciliazione
Con il mondo fuori e
Quello in prigione.
Non cambio il mio destino,
Ma la destinazione.
Le sbarre e gli orizzonti,
La siepe e i tramonti
La quiete come Leopardi,
L’Infinito, il vento e la paura.

Cambierà il tempo,
avremo altre stagioni,
potremo anche noi naufragare
il tempo canterà la sua chiamata
e noi intoneremo altre canzoni

Mohammed Khaled

Reparto La ChiamataPoesie e Rap

Scambio tra ex tirocinanti

Si alza il sipario e va in scena una tradizionale conversazione tra colleghi che si pongono domanda e si danno, spesso, risposte di circostanza. Anche se a volte…

E dove hai fatto il tirocinio?”

L’ho fatto a Milano in un’associazione che si chiama Gruppo della Trasgressione”.

Rispondo, sperando che la conversazione non prenda troppo piede

E che ti hanno fatto fare?”. Mi chiede il collega, forse incuriosito dal nome.

Non mi hanno fatto fare niente, sei tu che decidi quanto e come fare. Non ci sono capi né padroni. Al massimo vieni stimolato a conoscerti e il tuo silenzio non viene accettato di buon grado.”

Sei andato in una di quelle associazioni in cui non si fa un cazzo quindi

Conclude il collega con un sorriso che è un misto tra ammirazione e invidia. 

Allora leggermente infastidito rispondo:

Secondo te, con quel poco che ci fanno mettere in pratica, andavo in un posto in cui non si fa un cazzo? Sono dei gruppi terapeutici che si svolgono fuori e dentro le varie carceri milanesi: San Vittore, Bollate e Opera (che è il carcere di massima sicurezza). Le persone che prendono parte sono detenuti, ex-detenuti, civili, vittime e familiari di vittime, studenti e studentesse.  In pratica chiunque voglia.. è più università il gruppo della trasgressione che l’Università stessa.

Ah, a guidare la conversazione c’è uno psicoterapeuta con orientamento analitico.  Si chiama Angelo Aparo, ed è stato uno dei primi psicologi penitenziari d’Italia. Lavora in carcere da non so quanto tempo ormai, ha sviluppato di sana pianta un suo metodo di conversazione con i detenuti che porta veramente tanti e succosi frutti. Il vero problema è che il gruppo non vede una lira dallo Stato, le attività del gruppo sono autofinanziate e gli studenti che vi partecipano, purtroppo, lo fanno da volontari. Così come fondamentalmente è un volontario il professore  di cui ti parlavo.” 

Quindi sei entrato in carcere.. deve essere stato pesante.” 
Ma una volta uscito da quel posto mi sentivo molto meglio. Sentivo di essere cresciuto un po di più e di aver fatto un’esperienza che in pochi possono raccontare. Mi sono reso conto di quanta sofferenza non vediamo. E mi sono reso conto di quanto lo Stato abbia una fetta di responsabilità nella sofferenza dei detenuti e delle detenute. Se ci pensi anche solo il fatto che l’assistenza psicologica è ancora marginale all’interno del carcere che accoglie persone portatrici di sofferenza, e per tentare di “rieducare”, le  isola e continua a far vivere loro situazioni di disagio come vivere senza privacy, in pochi metri quadrati, dovendo chiedere continuamente il permesso per ogni cosa e dovendo rispettare un programma giornaliero che va seguito indipendentemente dalla loro approvazione o disapprovazione. C’è una cosa che ho imparato nel gruppo a cui non avevo mai pensato prima. Il carcere non chiede niente alla persona, gli impone solo cosa non fare. Le persone in carcere non vengono responsabilizzate e le responsabilità che avevano prima di entrare in carcere, non possono rivendicarle, non possono provare a prenderle, nonostante gli appartengano.

Per fortuna ci sono dei magistrati e dei direttori che sono un’eccezione. Forse hanno capito il controsenso del carce..”

Aspetta ma non hai detto che questo gruppo della Trasgressione opera all’interno del carcere? Quindi si potrebbe dire che il gruppo della Trasgressione è un servizio che offre il carcere!”
Sì il gruppo c’è una volta a settimana in tutte le carceri milanesi, adesso probabilmente inizia anche al carcere minorile, il Beccaria .”
Allora vedi che non è tutto una merda.”
Avere una visione critica di qualcosa non significa pensare che sia tutto una merda. Ti raccontavo dei problemi che ho riscontrato affinché si possano costruire realtà necessarie e di spessore come quella del gruppo della Trasgressione, i corsi di teatro, poesia, pittura e la possibilità di studiare all’interno del carcere”.
Ma perché necessarie? Che fate di utile per una persona che ha ucciso qualcuno per esempio?”
Si parla. Ti sembra poco? Si parla del reato, delle cause e delle conseguenze di quel gesto. Si parla di sentimenti, attaccamento familiare, ambiente in cui queste persone sono cresciute ma c’è spazio anche per la filosofia, l’attualità ecc… 

Si cerca di fare gli esseri umani, provando a dare un senso alle cose, senza incolpare o incolparsi, senza perdonare o essere perdonati.  Si cerca di accettare la realtà, di accogliere se stessi. Si cerca di utilizzare una comunicazione non giudicante, mettendosi costantemente in discussione. All’interno di un gruppo, chiunque ha delle responsabilità verso se stesso e verso gli altri e questo è utile per tutti e tutte, figuriamoci per una persona che sta chiusa per anni nello stesso luogo, con pochi stimoli e tanta frustrazione.” 

Sì, ma questo lo pensate solo voi che avete studiato. I detenuti non potrebbero vedere questa cosa del gruppo come una scorciatoia per uscire più velocemente?!” 
Sicuramente questo è accaduto e accadrà. Alcuni detenuti si avvicinano al gruppo per fare bella figura con la direzione e con il direttore del carcere. Ma sei sicuro che sia importante il motivo per cui si incomincia a fare qualcosa? Secondo me è più importante vedere dove ti porta quella cosa, come ti plasma, come ti tormenta fino a modificarti. Non puoi partecipare al gruppo fingendo che ti interessi, recitando una parte che non è la tua, indossando una maschera che già non possedevi. Il gruppo ti stimola a indossare la maschera migliore che hai, a essere la versione migliore di te stesso

Una volta al carcere di Bollate, dopo aver finito il gruppo, un membro del gruppo detenuto ormai da anni, ci ha tenuto ad avere una conversazione con me. Mi ha trattenuto dopo i consueti saluti perché ci teneva a sapere il mio punto di vista. Un uomo sulla sessantina, che si interessa del pensiero di un ragazzo di 23 anni. Questo è solo un esempio di quanto può ricevere chi prende parte a questo progetto. Poco dopo quella conversazione, un ragazzo entrato da pochi mesi in carcere  mi ha chiesto quale attività avessimo fatto. Dopo averglielo spiegato mi ha domandato come poter partecipare al Gruppo della Trasgressione…”

“Insomma, è stato bello!” 

Mi risponde il collega dopo il pippone inaspettato che gli ho attaccato. Forse voleva concludere la conversazione con un lieto fine, ma non era il mio stile e soprattutto non rispecchiava la realtà. Allora mi sono sentito di aggiungere:

Si bello ma quando vieni a sapere che nello stesso carcere in cui sei entrato qualche giorno prima si sono tolti la vita due ragazzi di vent’anni circa, ti assale un’angoscia non facilmente gestibile. Cominci a cercare quei nomi su facebook per capire se facevano parte del gruppo o anche solo se avevi involontariamente visto una delle loro facce, uno dei loro sguardi. 

Nel 2020 si pensava di aver registrato il più alto tasso di suicidi in carcere dell’ultimo ventennio, ben 11 ogni 10000 persone (61 suicidi totali). Invece questo triste primato è stato abbondantemente battuto nel 2022 in cui si sono suicidate in carcere 85 persone. 85 persone. Ci vogliono fondi per arginare questo problema e per dare ai detenuti e alle detenute la possibilità di pensare a qualcosa di diverso per le loro vite. Comunque.. questo è! Scusa se mi sono dilungato… Ma tu invece che tirocinio hai fatto?”

Ah niente di che, sono finito in un ente pubblico in cui mi facevano fare delle sintesi.”  
Ah, capito
Ora devo andare, mandami il link dove posso leggere qualcosa del gruppo se puoi. Ci vediamo!”
Certo, ciao”.

 

Davide Leonardo

Chi voglio essere?

Chi voglio essere? A chi voglio somigliare?
Amo la libertà e la libertà voglio evitare

Pidocchio irrilevante o pilota d’aeroplano?
Non penso, non ascolto e dal mio cuore mi allontano

Oscillo avanti e indietro, come fanno le altalene
La rabbia e il pentimento mi attraversano le vene

Delinquo e quindi sono, non mi servono catene
Ho ammesso i miei reati e il carcere non mi appartiene

Ho capito l’errore, sono il responsabile
Ho capito che delinquere è una strada impraticabile

Mi sono chiuso in trappola e ad altri ho fatto male
Oggi sto dietro le sbarre, dentro la mia gabbia personale

Ho perso l’esistenza, dalle mani mi è scappata
Ti ho chiesto scusa, o mà, mentre ti lasciavo
Ma ero solo, diffidente, e da solo dove andavo?

Beatrice Ajani

Reparto La Chiamata  – Inverno e Primavera  –  Officina Creativa

Gli occhi parlano

È tra gli occhi dei giovani detenuti che oggi mi ritrovo; quegli occhi così tanto acerbi che rendono difficile pensare che possano essere di già testimoni di orrori vissuti e sbagli commessi.

Attraverso quegli sguardi ho scorto fragilità, paure, limiti, dolore, caratteristiche che accomunano tutti gli esseri umani, eppure, se contestualizzati nella stanza a sinistra, in fondo ad un corridoio lungo e scarno, acquisiscono una intensità più consistente.

Penso, sono solo dei ragazzi.. ragazzi che hanno commesso reati per i quali le loro esistenze saranno segnate per sempre, ma sono comunque ragazzi i quali, una volta riconosciuta la responsabilità relativa agli errori compiuti, potranno permettersi di guardare al futuro con occhi diversi, arrivando a concepire la pena inflitta come possibilità di redenzione. Perché se è vero che questi giovani oggi smarriti vivono in preda alla fragilità esistenziale che avvolge totalmente le loro menti, è altrettanto vero che possono imparare a riconoscere dove hanno peccato.

D’altronde, entrano in carcere nel periodo in cui ci si accinge ad erigere quella che successivamente diventerà l’identità adulta. Non sarà evidentemente possibile ripartire dal punto zero, ma è ancora possibile una loro evoluzione attraverso il riconoscimento e l’accettazione di ciò che ha portato all’errore, arrivando anche a fare proprio il naturale timore che il rischio dell’ignoto comporta e scegliendo di ricominciare da se stessi.

Affinché questo processo possa attuarsi penso sia necessario guarire emotivamente, provando e acconsentendo a sapersi perdonare.

Lo smarrimento trapelato dal loro modo di comunicare è stato forte tanto quanto il timore e la voglia di volersi imporre, di voler esistere. La mancanza di ossigeno era viva quanto la ricerca stessa di aria pulita, della quale probabilmente da tempo avvertono l’assenza.

Forse in questo modo, quei sentimenti imprigionati possono finalmente essere liberi di germogliare; il delirio e l’onnipotenza ricercati e poi saggiati con feroce voracità potranno lasciare il posto al perdono ed alla richiesta di aiuto.

Gli intenti di questi giovani detenuti sono privi di dietrologie; quello che prevale è piuttosto l’esplosione dell’impulso che porta alla devianza.

Personalmente, posso dire di aver percepito una differenza sostanziale con i detenuti adulti: per questi ultimi ciò che predomina e risalta è la consapevolezza e l’accettazione della condizione che si sta vivendo; mentre per i giovani, pur pervasi dalla paura di quello che prima o poi per forza di cose sarà, prevale l’intenso desiderio di riprendere tra le mani quello che in questo momento manca loro più di ogni altra cosa, la vita.

Giorgia Olivadese

Reparto LA CHIAMATA

Un’altalena in cerca di albero

Questo “assegno” nasce da un debito nei confronti del gruppo. Sento di aver ricevuto tanto e di aver dato poco. Sicuramente non basterà ad andare in pari ma ho deciso di raccontare una breve storia, che poi è la mia storia. Sono contento di constatare che, attraverso vie per me non sempre chiare e comprensibili, si stia formando un gruppo di pari, uno spazio dov’è possibile parlare, confrontarsi, condividere pezzi di interiorità attraverso l’incontro/scontro di idee, visioni del mondo, esperienze di vita diverse. È molto arricchente e vi ringrazio. Ecco il mio piccolo racconto dal titolo:

Un’altalena in cerca di albero”

Non si capisce bene dove si svolga la vicenda né chi siano i personaggi. La notte è appena giunta al termine e già si intravede il crepuscolo mattutino. Un’ombra spunta dall’orizzonte. Sembra un’automobile. Ma no, è troppo squadrata e piccola. Un mini-frigo forse? No, è una semplice asse di legno. No, no a guardarla bene è qualcosa di più, un’altalena forse? Sì, direi proprio che è un’altalena quella.

Dopo aver dondolato per un po’, l’altalena si ferma davanti a delle alte mura. Ecco che intravede un massiccio portone di bronzo semi aperto. Entra. Improvvisamente le mura scompaiono come per magia e si trova immersa in un grande campo. Pensa: “che bel campo, mi stabilirò qui”. Con il passare degli anni l’altalena si accorge che in realtà il suo campo non è poi così accogliente: è pieno di pietre, erbacce e rovi; le raffiche di vento sono continue e rovinose. Ha bisogno di un luogo sicuro dove legare le sue funi.

Un giorno finalmente intravede una possente quercia con una chioma molto rigogliosa, è proprio lì in un angolo. Era sempre stata lì ma lei non era mai riuscita a vederla, per quanto si sforzasse di guardare. Quella quercia diventa per l’altalena rifugio, luogo sicuro dove aggrapparsi e dove poter riposare dalle fatiche del campo. Questo è l’albero sul quale aveva sempre desiderato attaccarsi.

Un giorno quell’albero fu colpito da un fulmine e si incendiò velocemente. L’altalena uscì viva dalle fiamme ma era di nuovo in cerca di un albero. Vagava dondolandosi su e giù senza una meta in balìa dei venti e incontrava spesso sul suo cammino degli avventurieri che, passando, la spingevano forte, non curanti che in fin dei conti era solo un’altalena. Ogni tanto qualche bimbo decideva di salirci sopra e giocare. Lei era contenta perché si sentiva utile e donava loro un sorriso. Quei sorrisi le davano forza. Sì, la forza di darsi la spinta e tendere di nuovo verso un nuovo albero. Sapete però come sono fatte le altalene: più spinta dai in avanti e più ricevi una spinta uguale ma contraria verso l’indietro. Per l’altalena era molto frustante vedere come, appena tentasse di toccare con la punta della sue assi i rami più esterni di un albero, subito si attivasse il moto che la spingeva indietro, non al punto di partenza ma ancora più indietro!

Passarono gli anni e i tentativi dell’altalena proseguirono con gli stessi scarsi risultati. Un bel giorno, stanca di tutto questo dondolare e con un forte capogiro decide di fermarsi e di riflettere. Che cosa stava facendo? Aveva davvero bisogno di un nuovo ramo? Per la sua natura era in grado di darsi una spinta che non la facesse ritornare indietro? Aveva passato così tanto tempo a cercare un nuovo albero da non sapere più se fosse davvero necessario trovarne uno.

Si rese conto che il suo animo aveva ricevuto tutto il nutrimento necessario per affrontare il campo, che ora poteva proseguire da sola. Non restava che accettare la sua condizione di perenne dondolio: le altalene non sono fatte per stare ferme una volta per tutte, neppure sulla quercia più bella del campo. Nei momenti difficili, sapeva che poteva sempre pensare a quella vecchia quercia che l’aveva salvata ma che non aveva più bisogno di averla come sostegno. In fin dei conti, era già stata un’altalena tanto fortunata ad incontrarla.

Pensò: “Forse la vera condizione delle altalene è quella di dondolare infinitamente ma tutte le altalene dovrebbero poter trovare nella propria strada un albero come il mio a cui tendere, un albero da cui tornare, dove ricevere il nutrimento dell’anima, nutrimento che dà forma a quell’insieme di valori, affetti, pulsioni del cuore e tensioni della mente che chiamiamo interiorità. L’interiorità che ci rende altalene”.

Gabriele Ambrosio

Reparto La Chiamata