Muri

MURI

Muri verticali
muri orizzontali
muri calcificati dal sole

muri sproporzionati alle pene
muri crepati
dove niente respira

muri dove il limite
è il cielo azzurro
muri rifugi di lucertole

muri grigi e lordi
che frantumano
le grida e gli sguardi

muri che delimitano
ciechi sentieri di speranze

Giuseppe Di Matteo

Officina creativa

Ricordi d’infanzia

Sono nato a Reggio Calabria. Ricordo quando ho iniziato a esplorare il quartiere dove sono cresciuto, dove i palazzi nuovi si mescolavano alle case vecchie: per cinque anni ho vissuto in una di queste case vecchie, prima che il cemento coprisse la natura circostante.

Era un cascinale di tre appartamenti, costeggiato da una stradina poco asfaltata con rientranza di un piccolo pergolato: la prima casa era di un vecchietto che la usava come deposito di piccoli rottami. Ogni volta che andavo a trovarlo, l’odore di grasso e di oli esausti mi rimaneva impresso e ogni volta che entro in un’officina meccanica mi viene in mente Don Ciccio, questo era il suo nome. Mi insegnava come si smontavano gli avvolgimenti delle casse acustiche e dei trasformatori, per recuperare il filo di rame. Subito dopo c’era la mia casettina dove vivevo con mia madre, mio padre, le mie sorelle e i miei fratellini. La casa non era grandissima ma si stava bene. Il cascinale era ben lontano dalla strada e con i miei fratelli ci giocavamo senza che mia madre dovesse preoccuparsi per noi in mezzo alla strada trafficata. 

Più in là viveva una signora anziana, che per rispetto chiamavamo nonna Giulia. Era piccolina di statura e un po’ curva ma di cuore grande. Mi ricordo che viveva da sola. Mi è rimasto un bel ricordo di nonna Giulia. Lei ci rimproverava per il casino che facevamo con i miei fratelli giocando. Dopo averci rimproverati ci chiamava offrendoci dei biscotti fatti da lei e ci diceva: “u sapiti che vi voju beni!”.

Un altro mio ricordo era la festa patronale: mi divertivo a girare tra le bancarelle fermandomi a guardare come preparavano le mandorle pralinate e anche un tipo di biscotto fatto con tanto miele che noi chiamavamo ZIDDA o MUSTAZZOLI. La particolarità di questo dolce erano le molte forme, esempio pesce, cavallo, cestino, casetta, ecc. Sono belli da guardare e buoni da mangiare per chi ha denti forti. 

Un altro mio ricordo di mia mamma è il fischio con cui ci chiamava e col quale io e i miei fratelli capivamo che era l’ora di ritornare a casa.

Le passeggiate in Via Marina, il lungo mare di Reggio Calabria, con la sua ringhiera di ferro antico che affaccia sul mare e in lontananza si vede la Sicilia. La via marina come noi la chiamavamo, arrivando dal porto, divide le due strade a senso unico, un chiosco di gelati che ha circa 80 anni e dove per prendere una brioche con il gelato devi aspettare circa 30 minuti, però ne vale la pena. I gusti che prendevo di solito erano il caffè, la nocciola e la panna. La gustavo pianissimo per quanto era buona.

Più crescevo e più mi piaceva esplorare. Un giorno mio padre mi regalò una bicicletta misura 14 marca Graziella. E’ stata una gioia grande potermi spingere più lontano per conoscere la mia città.

La mia prima meta con la bicicletta è stata la Stazione Centrale con la sua piazza dove facevano capolinea i pullman di linea e quelli della città. Al centro della piazza sovrastava la statua di Giuseppe Garibaldi a cavallo.

Proseguendo in direzione nord, sul corso dedicato sempre a Garibaldi s’incontra la Villa Comunale con i suoi enormi alberi dai nomi esotici. Dalla parte di sotto, nella Villa Comunale si trova un laghetto pieno di pesci rossi che se la contendevano insieme ai cigni. Prima dell’uscita c’era un piccolo zoo con due leoni, tre babbuini, un pavone e una gabbia di uccellini.

Continuando sul corso Garibaldi si arriva al Duomo con le due statue di S. Pietro e Paolo e la grande piazza con i magazzini ai lati. Proseguendo si arriva al museo dove si trovano le statue di bronzo ritrovate a Riace che tutto il mondo ci invidia!

Questa è una parte della mia città .

Bollate, 16/09/2022
Salvatore Luci

Officina creativa

Il mio sporco gioco

Mi chiamo Giuseppe Amendola, nato a Napoli nel 1963.
Vi dico subito che il fatto per cui mi trovo in carcere da 32 anni non è colpa di nessuno e ci tengo a dire che i miei famigliari sono state delle brave persone.

Giorni fa, al teatro del carcere di Opera dove si svolgeva il corso della Trasgressione con il dott. Aparo, c’era anche il professore di scuola d’arte Stefano Zuffi. Ci ha fatto vedere un quadro di Caravaggio che io ho intitolato: “La chiamata di ritorno”. In questo quadro c’è Cristo con Pietro: Cristo punta con il dito Matteo che si trovava in compagnia di uomini non graditi a Cristo.

Non potete credere quante volte, quando ero fuori, mi puntavano quel dito addosso, era come una spada che mi trafiggeva il cuore.

La mia vita è stata tutto un gioco. Ho giocato e mentre giocavo cercavo di scappare e di nascondermi da questo gioco che io facevo con il finto sorriso sulle labbra. Dovevo proteggere la mia famiglia, una famiglia fatta di persone per bene. Non gli facevo capire niente, io giocavo e loro erano felici nel vedermi giocare con la vita, ma non conoscevano le mie paure, il mio sporco gioco. Dovevo nascondere i soldi che guadagnavo e andavo avanti con tante bugie per giustificare con mia moglie quei pochi soldi che portavo a casa.

Dio mio, quanti dolori ci sono dentro di me, come vorrei che qualcuno mi ascoltasse e mi facesse capire che non sono più solo e che questo mio gioco è finalmente finito.

Ora voglio parlare a tutti i ragazzi che si rovinano la vita proprio come ho fatto io da ragazzo. Miei cari ragazzi, se non credete a queste mie parole fate una cosa, cercatemi e, quando mi avrete trovato, guardatemi bene e vedrete in me un uomo distrutto per il male che ha fatto, vedrete un uomo che ha giocato troppo sporco con la vita. Vi raccomando, quando mi guarderete, fatelo con il cervello e non con il cuore poiché se mi guarderete con il cuore vi posso solo fare pietà, ma se mi guarderete con il cervello capirete che non vi conviene fare la mia stessa fine.

Io vi prego, salvatevi! Non date soddisfazione a chi non vede l’ora di puntarvi il dito addosso, proprio come nel quadro di Caravaggio, per dire: “Eccolo, quello è il cattivo”. No, non dategli questa soddisfazione, fategli capire che avete capito questo gioco e dite ad alta voce che ogni tipo di mafia fa schifo. Vi prego, smettetela di rovinarvi la vita. Voi siete ragazzi intelligenti e non potete non capire che vogliono la vostra vita a tutti i costi per vivere sulle vostre spalle. Senza di voi il gioco è finito.

C’è un’ultima cosa che vi voglio dire:  mi trovo in carcere da 32 anni ma non sono bastati per togliermi, come diceva il grande signore Giovanni Falcone, “il puzzo che c’era dentro di me” e così, nel 2021, ho fatto chiamare il sostituto procuratore della D.I.A. di Napoli e mi sono liberato del puzzo che c’era dentro di me ovvero un passato di violenza e malavita.

Concludo chiedendo scusa e perdono a tutte le vittime di mafia, ai loro famigliari e a tutti quelli che ogni giorno combattono con la propria vita la criminalità organizzata e quella comune. Chiedo scusa alla mia famiglia per avere messo la vergogna sui loro visi. Ringrazio tutti quelli che fanno di tutto per metterci sulla strada giusta.

Grazie di cuore.

Caravaggio in città

Succede anche a me

Non ho particolari storie da raccontare per provare a non farti sentire “l’unico”, per provare a darti speranza che, anche se ora non lo vedi, un futuro esiste anche per te. Tanto meno penso di essere in grado e soprattutto di essere anche lontanamente all’altezza di Adriano, Nuccio, Mohamed per permettermi di darti consigli.

Ha ragione il prof quando dice che a 22, 23 anni che consigli posso mai darti? Ma soprattutto, che consigli potrei mai darti io che non ho minimamente idea di quello che hai e stai passando? Cerco allora di cogliere il tuo dolore – che direi essere del tutto percepibile e comprensibile – e provo a toccarne un pezzettino e ad immergermi, per poterti ascoltare sinceramente.

Il prof ci aveva chiesto di provare a dire che emozioni stessimo provando durante l’incontro e se avessi avuto la prontezza di saper rispondere (mannaggia a me) avrei risposto “non lo so”. Quando  ha chiesto anche a te quali emozioni tu stia provando dentro di te hai risposto che è tutto un mix…

Ti capisco! Capita spessissimo anche a me di non saper dare un nome ed una forma alle mie emozioni, perché quasi sempre sono un incasinatissimo gomitolo di sensazioni tutte attorcigliate su loro stesse.

Capisco anche quando dici che quello che ti dicono da una parte entra e dall’altra esce, perché sei fermo sulla tua idea e niente e nessuno può smuoverti da quella convinzione. Succede anche a me, soprattutto a casa, soprattutto con mia madre.

Da quando però frequento il Gruppo sto piano piano e goffamente imparando a raccogliere qualche semino qua e là, che magari al momento possono sembrare innocui, che non ti lascino nulla di concreto… ma posso assicurarti che qualcosa lasciano eccome: per quanto mi riguarda, ascoltando settimana dopo settimana i vostri racconti, le vostre storie, i vostri pensieri, quando torno a casa penso, mi faccio domande, ma soprattutto cerco in qualche modo di provare a conoscermi sempre di più, a capirmi un po’ di più, a volte forse anche a darmi un po’ di tregua.

Con tutto questo sto cercando di dire in qualche modo che, se tu vorrai, potrai provare a conoscerti e a capirti un po’ di più con il Gruppo. Il percorso che hai davanti è senz’altro lunghissimo e difficilissimo, ma con tutta l’umiltà del mondo penso che tu sia già sulla strada giusta, e sentendo quello che hanno detto chi ci è già passato prima di te, me ne convinco ancora di più.

Sono fortemente convinta che il processo inizia con la consapevolezza del proprio senso di colpa, quello sano però, quello che non ti faccia dimenticare che comunque la tua vita non vale meno di quella del signore che non c’è più, che non ha meno importanza della sua, ma che, come meritava di essere vissuta la sua, anche la tua non è da meno… soprattutto a 24 anni.

Non esiste e non deve esistere una gomma che cancelli quello che è successo, ma esistono degli strumenti che ti danno la possibilità di ascoltare il tuo dolore, di capirlo, di provare a dargli un colore e una forma, di accettarlo. Io questi strumenti li ho intercettati nel Gruppo, perché come dice Adriano, qui nessuno ti tratta come uno stronzo o come un mostro, qui vieni trattato per ciò che sei: una persona.

Una delle mille cose che proprio voi mi insegnate con la vostra coscienza e consapevolezza è che voi non siete il vostro reato, voi siete persone, che certo hanno commesso degli errori, ma pur sempre persone, e tu non sei sicuramente da meno.

Camilla Bruno                                                          Homo sum…

Il viaggio

Da tanto tempo annaspo
in questo tempestoso mare
in cerca di un porto
dove attraccare
Non sono Ulisse
e neanche un re
sono solo un uomo
in cerca di sé

Nuccio Di Mauro                                                               Poesie

 

Consegne Rozzano 02/07/22

Consegne Rozzano, 2 luglio 2022

Nelle foto Ludovica Pizzetti e Antonio Tango al lavoro per consegnare gratuitamente a circa 40 famiglie di Rozzano frutta e verdura raccolte dalla Croce Rossa di Opera.

L’iniziativa, grazie al finanziamento della Regione Lombardia con il bando “Un futuro in comune”, vede la collaborazione fra Croce Rossa di Opera (responsabile Danilo Esposito), Comune di Rozzano (Patrizia Bergami) e Gruppo della Trasgressione.

Consegne a Rozzano

Grazie Aner

Giovedì scorso durante l’incontro del Gruppo della Trasgressione a San Vittore , abbiamo provato a “prenderci cura” di Aner, un giovane detenuto di 24 anni schiacciato dall’angoscia per aver ucciso il papà della sua fidanzata in un attacco d’ira.

Aner è convinto di non riuscire a sopportare il peso del suo agito. Era palpabile in ciascuno dei presenti il desiderio di aiutarlo ad allontanare pensieri autodistruttivi. Così ognuno di noi ha condiviso con lui le proprie esperienze ed emozioni nella speranza che Aner potesse utilizzarle come ramo cui aggrapparsi.

Aner ci dice poche parole. Quando il prof gli chiede quale sua fragilità pensa possa aver contribuito a provocare il gesto, Aner risponde di essersi “sempre sentito fuori luogo”.

Non sappiamo a causa di chi o perché, per lui è ancora difficile aprirsi completamente col gruppo. Aner non lo dice per giustificarsi, non cerca di giustificazioni.  A due mesi dall’accaduto, egli non vuole nulla.

È “semplicemente” esploso questo rancore causato dal suo stato d’animo, penso io. Ecco, io e lui siamo simili. Sento di condividere con lui lo stesso rancore che per tanti anni mi ha accompagnato. Aner ha fatto riemergere in me tutta l’impotenza provata nei confronti di mia madre, che mi ha schiacciato e mi ha impedito di prendere in mano la mia vita con la giusta armonia e consapevolezza. Mia madre ha impedito al mio essere di nutrire quella creatività che mi avrebbe fatto spiccare il volo, non per diventare “qualcuno”, ma per essere me stessa.

E quindi l’ho odiata. Intensamente, profondamente. L’ho detto ad Aner. Gli ho detto che anche io sono stata ad un passo dal suo stesso atto, tante volte, e che non l’ho messo in atto forse perché avevo bisogno di vivere e perché è vero che inspiegabilmente possiamo amare chi ci distrugge.

Sarà un lavoro lungo e doloroso arrivare a smettere di lottare con l’odio e il rancore verso mia madre, arrivare a conviverci e a lavorarlo senza cercare di negarlo.

Capisco che non serve, perché mi impedisce soltanto di liberare il mio essere e che quella che sono oggi è anche grazie a quell’odio. Mi rendo conto che la mia creatività si è adeguata, e che grazie al divenire favorevole di episodi della mia vita ha potuto comunque esprimersi, tardi, ma forse ancora in tempo per riprendere il mio cammino.

Ed è anche grazie ad Aner che ne ho ogni giorno più consapevolezza. Ho provato a prendermi cura di te, Aner, e alla fine sei stato tu a darmi una spinta verso la mia meta.

Ludovica Pizzetti                                          Homo sum…

Concerto per LIBERA

GIARDINI LEA GAROFALO
VIALE MONTELLO 3, MILANO
14 LUGLIO, ore 20:30

Il Gruppo della Trasgressione incrocia le proprie riflessioni con quelle di Libera in una serata corale accompagnata dalle canzoni di Fabrizio De André.

Ingresso gratuito con offerta libera e fino a esaurimento posti (ciascuno porta il proprio sgabello).

 

 

Un progetto

Il Gruppo della Trasgressione

Ho iniziato il tirocinio con il Gruppo della Trasgressione perché ero e sono affascinata dal tema della devianza e speravo di poterlo approfondire facendo anche delle esperienze concrete. A tre mesi di distanza posso dire di aver vissuto delle situazioni incredibili che mi hanno aiutata e cambiata in prima persona.

Al termine di ogni riunione con il gruppo esamino ciò che abbiamo affrontato ed ogni volta ne ricavo qualcosa di nuovo, non solo a livello concettuale ma anche relazionale.

Il confronto con il detenuto è un’occasione estremamente costruttiva, un incontro in cui a volte mi sono rispecchiata perché mi sono spesso privata della libertà di fare e di dire ciò che volevo, per paura di sbagliare, di ferire o per piacere a qualcuno, tralasciando me stessa. In questo mi ha aiutato molto il gruppo perché mi ha insegnato e dimostrato che per poter iniziare a cambiare è necessario essere sinceri e che si deve parlare in modo veritiero, libero, intervenendo solo per dire ciò che si pensa, altrimenti si perde solo tempo!

Ho compreso quanto il dialogo sia fondamentale, bisogna però andare in profondità con esso ed essere in grado di individuare ciò che si sta cercando, discutendo e mettendo a nudo le proprie esperienze e sofferenze. In questo modo, quasi senza accorgersene, si cresce e si matura coltivando quella consapevolezza che creerà una coscienza pensante e responsabile.

Le banalità vengono lasciate fuori dalla porta: “io non giudico nessuno” uno frase che credevo fosse sinonimo di nobiltà d’animo, ma ho compreso che è semplicemente lo scudo di chi non vuole prendere o mostrare la propria posizione nel mondo, una vigliaccheria nascosta che ho capito essere irreale. Ognuno giudica eccome, bisogna però acquisire gli strumenti adatti per farlo con intelligenza, mettendosi in discussione ed il gruppo è in grado di fornirli.

Non è stato un semplice tirocinio universitario, ma un’esperienza travolgente. Questo perché non è richiesta una presenza passiva ma bisogna mettersi in gioco, lavorare ed impegnarsi, prima di tutto su noi stessi. Quando ho iniziato questo percorso non riuscivo a parlare davanti a molte persone, mi tremava così tanto la voce che per paura evitavo di fare qualsiasi intervento, anche in università, ponendomi un limite che credevo fosse insuperabile.

Se mi avessero detto che avrei pianto in un teatro raccontandomi davanti ad alcune persone o che il 25 maggio avrei recitato in Senato, non ci avrei mai creduto e invece è quello che è successo, ed è qualcosa che non ho ancora realizzato.

Spesso in passato mi sono sentita smarrita, senza un obbiettivo, facendomi trascinare da ciò che accadeva intorno a me e senza riuscire a prendere la giusta posizione. Mentre scrivo mi rendo conto che questa sensazione non mi appartiene più come prima, sono consapevole che ci voglia impegno e costanza, ma mi sento come se fossi parte di un progetto in cui credo pienamente, di una rivoluzione in cui spero di poter far parte e dare il mio vero contributo.

Credo non ci sia sensazione più appagante del sentirsi nel posto giusto. Sono immensamente grata per quest’opportunità. Vi devo molto.

Francesca Pozzi

Indice dei tirocini