Tonino Scala

Tonino Scala – Intervista sulla creatività

Tonino Scala è un musicista, scrive canzoni, commedie musicali e parodie. La sua passione per il mondo delle musica emerge da bambino, quando si esercitava in casa con il pianoforte della sorella. Ha studiato architettura, ma quella non era la sua strada. Ha sempre fatto il musicista suonando in diversi gruppi.

 

Arianna: che cos’è per lei la creatività?

Tonino Scala: La creatività è la capacità che ognuno di noi ha di creare con la fantasia, con il proprio estro. Tutti siamo in possesso di fantasia e ognuno di noi la manifesta in un modo diverso: chi con il disegno, chi con la musica, chi con la scrittura.

 

Asia: quali sono i principali ingredienti del processo creativo?

Tonino Scala: Gli ingredienti per aver un buon prodotto finale sono innanzitutto l’ispirazione, la ricerca delle cose che ti fanno stare bene e la fantasia. Un altro ingrediente principale è la tecnica che si usa per dare forma e organicità alla parte creativa, quindi lo studio. Lo studio permette di acquisire tecniche per realizzare la propria opera: ad esempio, nel mio campo devo sapere la teoria musicale, come si accostano le note in modo da creare un motivo melodioso.

 

Arianna: che cosa avvia, come si sviluppa la sua creatività e in quali condizioni?

Tonino Scala: Il mio non è un lavoro di ufficio; non mi alzo al mattino e dico “adesso creo una canzone”, ma devo essere ispirato. Anche solo guardando un quadro, ascoltando una canzone, mi metto a creare qualcosa. Non ho un orario preciso e dei vincoli, non è schematico il mio lavoro, ma devo trovare ispirazione. In questo periodo ad esempio non sono ispirato, sono arrabbiato con il mondo intero, e quindi non potrei scrivere della buona musica. Guardo delle foto, ascolto la radio e ogni tanto mi viene l’ispirazione. A Luigi Tenco, un cantautore, avevano chiesto perché scrivesse cose tristi e lui ha risposto ‘Perché quando sono allegro esco e vado a divertirmi’. Lo stesso vale per me: quando ascolto qualcosa che mi ispira scrivo, però deve essere il momento adatto.

 

Asia: che conseguenze ha sulle sue emozioni e il suo stato d’animo la produzione creativa?

Tonino Scala: Io sono una persona che vive tranquilla, con la mia famiglia, ho una moglie, due figli fantastici, è tutto bello. Ho vissuto una gioventù fantastica in Sicilia, in un posto bellissimo sul mare. Quindi il mio stato d’animo è tranquillo e pulito e questo secondo me è fondamentale per fare musica. Quando scrivo musica lo faccio perché vivo delle sensazioni positive, anche quando può sembrare che scriva una canzone triste. La musica è l’espressione dell’animo, quindi scrivendo musica esprimo il mio stato d’animo. Io vivo dei momenti belli con la mia famiglia, con i miei amici e scrivo di conseguenza. L’animo è importante per esprimere la propria parte creativa.

Arianna: che incidenza ha, che conseguenza ha l’atto creativo sulla percezione di se stesso o dell’autore in genere?

Tonino Scala: Quando creo qualcosa che piace agli altri e che suscita in loro delle emozioni io sto bene. Vuol dire che ho creato un buon prodotto e ho fatto una bella cosa. Gli altri usufruiscono della mia musica e questo è un successo, mi fa stare bene. Se invece faccio qualcosa che agli altri non piace cerco di capire dove ho sbagliato e cerco di correggermi. Se faccio qualcosa che agli altri piace e fa stare bene loro allora sto bene anche io. Io ho fatto per tanti anni l’animatore nei villaggi turistici e la cosa fondamentale era divertirsi per fare divertire gli altri, perché se io mi diverto riesco a far divertire gli altri. Allo stesso tempo se faccio una bella canzone, che piace agli altri, io sto bene.

 

Asia: nel rapporto con gli altri la sua musica che cosa determina?

Tonino Scala: Mi permette di dialogare con gli altri, mi permette di confrontarmi. Quando faccio ascoltare una mia canzone agli altri, non mi importa che la ascoltino e basta, per me è importante che la ascoltino e che poi se ne parli insieme. Ieri, ad esempio, ero in studio a registrare e siamo stati più di quattro ore a discutere e confrontarci su una frase. È giusto che ci sia un confronto, perché altrimenti scriverei solo per me stesso. Invece secondo me il successo sta nel confrontarsi con gli altri sui propri prodotti.

 

Arianna: e quindi quanto è importante il riconoscimento degli altri per il prodotto creativo?

Tonino Scala: Il riconoscimento degli altri è importante. Ci sono stati dei periodi, quando ero più giovane, in cui scrivevo ma non facevo ascoltare le mie canzoni. Ancora oggi quando devo far ascoltare ad altri la mia musica ho una certa apprensione, ad esempio quando suono nei locali: le altre persone ascoltano la mia musica ma non mi conoscono davvero. Quindi per me è importante che gli altri ascoltino le mie canzoni, ma soprattutto che mi conoscano, che capiscano quello che penso, quello che sento, quello che vivo. Penso che se non conosci questi aspetti di me non puoi realmente apprezzare il brano che ho scritto. Tuttavia, in generale il fatto che gli altri ascoltano la mia musica e si emozionino per me è molto importante.

 

Asia: Chi sono i suoi principali fruitori del prodotto creativo e come ne traggono giovamento?

Tonino Scala: Direi quelli che vengono nei locali in cui suono e gli amici. Quando confeziono un brano lo mando soprattutto ai miei amici per avere un giudizio prima ancora di inviarlo al pubblico che non conosco. Quindi i miei amici, coloro che mi conoscono e che sanno cosa faccio, sono i miei principali ascoltatori da cui voglio un’approvazione prima di pubblicare un brano. Allo stesso tempo suono anche nei locali, dove c’è gente che non mi conosce e a cui magari non interessa ascoltare la mia musica. Però se c’è anche solo una persona che mi sta ascoltando per me è importante; possono anche essere uno o due su mille, ma l’importante è che ci sia qualcuno che ascolti perché significa che sto comunicando qualcosa.

 

Arianna: quale immagine le viene in mente che possa ben rappresentare l’atto creativo?

Tonino Scala: Penso al mio cane che ho perso da due mesi, mi ispirano tanto le sue foto. Mi piace in generale guardare le foto e farmi ispirare dai ricordi, quindi un’immagine di una persona cara, di un amico… Ora l’immagine di Maki, il mio labrador bellissimo che non c’è più. L’immagine è importante.

Asia: pensa che possa esistere una relazione tra depressione e creatività?

Tonino Scala: La depressione è una brutta cosa, non penso che aiuti la creatività. Quando mi capitano momenti di depressione non ho la testa per creare, l’unico pensiero che ho è di stare bene. Non credo ci siano delle persone depresse che abbiano prodotto delle belle cose, la depressione per me non favorisce la creazione. Nei momenti depressivi una persona deve pensare a curarsi soltanto, non credo ci sia una relazione con la creatività. In questo periodo ho scritto “Si troverà una sera”, perché spero che si tornerà presto a condividere momenti tutti insieme; non ho scritto altro perché non ho voglia di pensare ad altro, ho desiderio di stare bene e per me stare bene significa tornare a lavorare.

Arianna: quando il suo brano può dirsi davvero concluso?

Tonino Scala: Quando lo cantano gli altri. Quando un prodotto arriva agli altri, lo cantano, lo usano per un documentario, quel prodotto è finito. Se invece lo tengo in casa mia è finito ma non concluso del tutto perché per poterlo definire tale devono usufruirne gli altri provando le emozioni che ho sentito io mentre lo scrivevo.

 

Asia: pensa che la creatività possa avere una funzione sociale, e se sì, quale?

Tonino Scala: La creatività deve avere una funzione sociale, tutti dovremmo avere la possibilità di esprimerci con creatività, soprattutto i giovani nelle scuole. La creatività è importante perché, come la musica che è lo specchio dell’animo, fa entrare in contatto con la propria essenza. La creatività aiuta a comunicare, per cui tutti dovremmo avere la possibilità di creare ed essere aiutati in questo. Ad esempio, nelle scuole la musica è importante perché aiuta a creare, unendo delle note si crea un brano. È importante aiutare tutti a crescere con della creatività.

 

Arianna: la creatività è un dono naturale privilegio di pochi o si tratta di una competenza accessibile a tutti e che può essere allenata?

Tonino Scala: È accessibile a tutti e deve essere allenata. Tutti abbiamo la possibilità di creare, anche quelli che creano delle cose brutte sono allenati per questo; in base agli allenamenti che si fanno si creano delle cose più o meno belle. Il Gruppo della Trasgressione si occupa di recuperare degli allenamenti giusti e di portare delle persone che hanno creato in passato delle cose sbagliate, per allenarsi a creare delle cose positive. L’allenamento è importante. È fondamentale aiutare tutti a creare degli allenamenti positivi.


Dentro ognuno di noi“, eseguita da Juri Aparo e da Tonino Scala (che ne è l’autore) e commentata da Roberto Cannavò al Festival dell’Arte Negletta del 2017.

Asia: la creatività può avere un ruolo utile a scuola e/o nelle attività di recupero del condannato?

Tonino Scala: Certo, la creatività è importante a scuola. Gli insegnanti devono aiutare i ragazzi a creare delle cose belle nella vita, non solamente ad assimilare le nozioni scolastiche; non serve imporre il proprio insegnamento, l’insegnante deve aiutare a far crescere l’alunno. La stessa cosa vale per il condannato, occorre aiutarlo a crescere, a cambiare stile di vita, a fargli capire che qualunque persona può creare qualcosa di buono. L’allenamento va fatto da piccoli, ambienti malsani producono allenamenti negativi, per cui in questi casi devono intervenire la scuola e la società.

Intervista ed elaborazione
di Arianna Picco e Asia Olivo

Tonino Scala Facebook –  Interviste sulla creatività

Adriano Avanzini

Adriano Avanzini – Intervista sulla creatività

Adriano Avanzini divide la sua produzione creativa in due ambiti differenti: il primo relativo al campo professionale, in particolare quello di art nel settore grafico-pubblicitario, che lo vede impegnato da 40 anni; il secondo comprende l’attività di cui si occupano coloro che solitamente vengono definiti “artisti”, i quali, secondo l’intervistato, rientrano nel mondo della creatività pura e semplice, non strettamente vincolato dalle regole rigide della vendita e del mercato. È all’interno di quest’ultimo campo che Adriano produce quadri e, più in generale, lavori creativi.

Nonostante realizzi in prima persona opere creative, Avanzini afferma di non potersi definire un artista vero e proprio. Questo perché, innanzitutto, non si mantiene economicamente grazie alle sue produzioni creative e non produce con costanza e continuità, a differenza di chi fa della propria arte una professione. In aggiunta, nonostante egli sia da sempre interessato all’arte e circondato da amici artisti, la sua realizzazione di opere creative inizia tardi. Le origini della sua produzione artistica risalgono a circa 15 anni fa quando, proprio grazie alla frequentazione con il Gruppo della Trasgressione, egli realizza i primi lavori, più simili a illustrazioni che a vere e proprie opere artistiche, prendendo spunto dalle canzoni di Fabrizio De André, molto apprezzate dal gruppo e spesso riprodotte durante i concerti della Trsg.Band.

La città vecchia – Adriano Avanzini

La città vecchia di Fabrizio De André, Trsg.band

In questo periodo Avanzini ha in cantiere alcuni progetti creativi con i quali si prefigge di esplorare nuove forme espressive e l’uso di nuovi materiali.

 

Arianna: che cos’è per te la creatività?

Adriano: direi che questo è un termine che si presta ad interpretazioni personali e diversificate a seconda di chi ne parla, con contenuti, preconcetti e significati tutt’altro che univoci.

La mia esperienza con la creatività mi permette comunque di affermare che esistono almeno due accezioni differenti di questa. Se si prende in considerazione l’attività creativa nell’ambito professionale, nel mio caso quello grafico-pubblicitario, la si deve considerare e analizzare come creatività fortemente finalizzata. Essa infatti ha un obiettivo preciso da raggiungere e ha come principale preoccupazione quella di essere facilmente comprensibile dal pubblico a cui è rivolta. Il suo linguaggio, immagini e parole, si deve adattare al linguaggio di che ne fruisce, pena la totale inefficacia, l’inutilità del prodotto creativo.

Quella che invece considero come creatività pura e semplice, segue un po’ il processo inverso: è il fruitore del prodotto creativo a doversi “adattare” al linguaggio dell’artista. Quest’ultimo, infatti, è detentore di una propria sintassi, un proprio idioma artistico. In aggiunta a ciò, essere immediatamente comprensibile non è la sua prima preoccupazione, anche se ovviamente, la comprensione del messaggio sotteso all’opera creativa è un desiderio dell’autore reale ed auspicabile. Il veicolo di tale comprensione, però, è e rimane il linguaggio espressivo creato dall’artista.

Natura morta – Adriano Avanzini

Quindi, nel caso di quella che chiamerei “creatività professionale”, il processo creativo segue linee guida e schemi precisi, predefiniti e comprensibili, procede sempre verso una forte e indispensabile razionalizzazione. Nel caso della creatività semplice e pura, al contrario, i contenuti del processo creativo possiedono la potente caratteristica di essere svincolati dalle regole convenzionali, sono più liberi e seguono, per così dire, una strada maggiormente diretta ed immediata per arrivare al fruitore. L’opera, anziché dire o descrivere, evoca.

Quelli che ho appena indicato sono due mondi creativi paralleli, simili per certi versi e molto differenti per altri. Pur nella loro diversità, però, pescano entrambe nelle stesse acque. Alle origini cioè, la creatività è pensabile come la capacità di trovare combinazioni e relazioni nuove tra le cose, in opposizione o nel tentativo di svincolarsi da collegamenti e abbinamenti già consolidati e/o dettati puramente dalla logica razionale.

La creatività è quell’attività psichica, e successivamente concreta, che rompe le regole della convenzione, ed è in questo senso che spesso può risultare trasgressiva. Arrivati a questo punto però, è dovere precisare che la trasgressione di per sé non è necessariamente creativa. Rompere le regole tanto per romperle, o tanto per sfidare una qualche forma di autorità, non porta a nessun tipo di risultato proficuo, tantomeno creativo. Piuttosto si può affermare che gli ostacoli e i limiti possono essere utilizzati come carburante per la realizzazione dell’atto creativo. In questo senso, la creatività è un alleato potente, che può aiutare a trovare soluzioni nuove, originali, a far fruttare gli errori, le difficoltà, a non avere paura di sbagliare ed a considerare materia creativa le proprie fragilità ed imperfezioni.

Don Chisciotte e Sancho Panza – Adriano Avanzini

Un ulteriore aspetto che trovo importante e che, apparentemente, potrebbe sembrare in contraddizione con quello che ho appena detto è che la creatività, per quanto concerne la mia esperienza, non è da pensare come un terreno stabile, sicuro, dove ci si possa facilmente orientare. Non esiste una bussola che indichi quale sia la strada giusta da seguire. Anche se con il passare degli anni ho imparato a percepire questo terreno come famigliare, accogliente e fertile, rimane comunque uno spazio in cui ci si muove con incertezza, un contesto che richiede di essere fortemente duttili e mentalmente aperti. Quest’ultimo aspetto, credo sia il carattere più importante della creatività.

 

Elisabetta: quali sono i principali ingredienti del processo creativo?

Adriano: per quanto concerne la mia esperienza, l’ingrediente principale del processo creativo è la capacità, principalmente non razionale, intuitiva, di mettere in connessione feconda immagini, forme, parole e materiali che possono essere anche molto lontani fra loro, accostandoli ad “orecchio”, per così dire. E per quanto gli elementi alla base possano essere semplici, il prodotto finito risulta innovativo, originale. Tale processo creativo si basa sulla possibilità di lasciare che le cose accadano nella piena libertà di manifestarsi, senza spingere verso un fine ultimo predefinito. È questa per me la vera bellezza dell’atto creativo, ciò che fa sì che venga vissuto come appagante e liberatorio.

Un altro aspetto del processo creativo per me importante è il continuo tentativo di mettermi in gioco, di misurarmi senza sosta con i miei contenuti mentali e con i limiti della mia psiche. È un costante confronto con immagini di me stesso e con i miei limiti e condizionamenti.


Grattacieli a vento – Adriano Avanzini

Arianna: che cosa avvia, come si sviluppa la tua creatività e in quali condizioni?

Adriano: solitamente la mia creatività prende forma in maniera inaspettata ed imprevedibile, senza che io mi sia prefissato fin dall’inizio particolari risultati. È un cammino che si fa camminando, tanto per citare una delle celebri frasi del poeta spagnolo Antonio Machado, che penso descriva bene il processo creativo: mentre si comincia a fare, prende forma qualcosa che, mano a mano, si precisa sempre più chiaramente.

Le condizioni che possono attivare la creatività sono molteplici. Esse sono legate a stimoli interni ed esterni. Prendono spunto proprio da quegli accostamenti e associazioni di immagini, idee e concetti di cui parlavo prima, che possono anche non essere molto congruenti tra di loro, e senza particolari legami con le situazioni psicologiche o ambientali che mi circondano in quel preciso momento.

A volte capita che, la creatività che apparentemente si sviluppa a partire da questi stimoli, sia il risultato di un processo lento, mentre a volte può, al contrario, prendere forma da un’intuizione istantanea, la quale non saprei spiegare in maniera limpida da dove nasca, ma percepisco che deriva da un intenso lavorio interiore.

Silenzio – Adriano Avanzini

Elisabetta: che conseguenze ha sulle tue emozioni e sul tuo stato d’animo la produzione creativa?

Adriano: generalmente la mia produzione creativa mi fa sentire bene. Mi diverte associare e mettere insieme forme, colori, materiali, in quanto questo fermento creativo ha il potere di stimolare le parti migliori di me. Inoltre, il piacere estetico che deriva dal prodotto creativo finale, mi fa sentire appagato e soddisfatto. Vivo la creatività come una grande risorsa che è lì, dentro di me, disponibile e percepibile, una specie di alleato fantasioso, imprevedibile e rassicurante allo stesso tempo.

 

Arianna: che incidenza ha l’atto creativo sulla percezione di te stesso o dell’autore in genere?

Adriano: sapere di essere in grado di creare un oggetto capace di comunicare, indipendentemente da quale tipo di prodotto si tratti, un quadro, una poesia, una scultura, dà l’idea di avere qualcosa di prezioso che ti appartiene. È come sapere di avere una sorta di potere speciale che puoi mettere in gioco in ogni momento.

Sicuramente l’atto creativo è un ingrediente importante che contribuisce a creare autostima e fiducia in sé. In fondo la creatività non è altro che un gesto di cura verso sé stessi. Durante l’atto creativo è come se si stabilisse una relazione e una linea diretta con i luoghi più profondi di sé. Il prodotto creativo finito, il quadro, la poesia o la canzone che sia, è uno specchio che restituisce all’autore un suo stesso riflesso e il creatore, pur rivedendosi in tutte le sue imperfezioni, non può che volergli bene.

 

Elisabetta: nel rapporto con gli altri il tuo atto creativo cosa determina?

Adriano: Il prodotto creativo è una chiave di accesso a parti di sé importanti, intime, più o meno profonde. Nella relazione con gli altri mette in gioco molte cose, tra cui la disponibilità a lasciar cadere barriere psicologiche, ideologiche, culturali. Nell’atto creativo sono presenti anche nodi del nostro equilibrio, aspetti della nostra intimità molto fragili e vulnerabili, anzi, per molti aspetti, questa è la parte più importante dell’opera e condividerla con gli altri espone l’autore a sguardi e giudizi a volte gratificanti, altre volte frustranti, altre volte ancora capaci di dare  avvio a crisi costruttive che inducono l’autore a esplorare nuove vie. C’è bisogno quindi di cura reciproca; se c’è questo processo, possono nascere nella relazione piani di comunicazione, più fecondi, più appaganti.


Grattacieli a vento 2 – Adriano Avanzini

Arianna: Quanto è importante il riconoscimento degli altri per il prodotto creativo?

Adriano: Il prodotto creativo non viene fatto solo per sé stessi, qualunque cosa si faccia viene inevitabilmente a far parte del mondo e quindi della relazione con gli altri. Il riconoscimento o non riconoscimento esterno incide molto. Qui si presenta una grande opportunità da cogliere: essendo una forma di comunicazione non convenzionale e connessa con l’interiorità dell’autore, il linguaggio creativo offre l’opportunità di interagire su un piano più diretto. Se si riesce a stabilire una comunicazione su questo livello, il riconoscimento reciproco risulta più immediato e gratificante, oltre che più ricco. Lo strumento creativo può contribuire a costruire relazioni produttive, coinvolgenti, socialmente utili, fertili.

 

Elisabetta: Chi sono i principali fruitori del prodotto creativo e come ne traggono giovamento?

Adriano: Quello creativo è un linguaggio universale. Chiunque, volendo, lo può comprendere, fruirne; per giovarsene basta lasciare aperte porte e finestre della testa, essere disponibili a mettere in discussione le proprie certezze, recuperando una certa freschezza dell’osservare, cercando di guardare ciò che si ha davanti da un punto di vista il meno soggettivo possibile, almeno in un primo momento. Il processo che viene messo in moto in modo automatico di gradire o sgradire, interpretare etichettando, complica e può compromettere la percezione di ciò che si ha davanti agli occhi. Se c’è disponibilità e apertura, si può trarre giovamento dallo scambio reciproco a partire proprio dal prodotto creativo.

 

Arianna: Quale immagine ti viene in mente che possa ben rappresentare l’atto creativo?

Adriano: Non c’è un’immagine particolare, forse perché una specifica immagine rischierebbe di ridurne la portata e il significato, circoscrivendoli a qualcosa di troppo riconoscibile per poter rappresentare la creatività, che per sua natura sfugge a descrizioni e definizioni. Quella che però potrebbe venirmi in mente in questo momento è l’immagine della fucina, anche perché rimanda a molti miei lavori in cui dare forma alle cose con il fuoco ha una parte importante. La fucina come luogo in cui la materia grezza viene modellata con le mani e si trasforma in cose nuove e inaspettate.

Ferro – Adriano Avanzini

Elisabetta: Pensi esista una relazione tra depressione e creatività?

Adriano: Io credo di sì. Se lo stato depressivo è quello che compromette fortemente la fiducia in sé oscurando tutto, allora non si può vedere nulla all’orizzonte, tantomeno la possibilità di creare qualcosa. Se però mi baso sulla mia esperienza della dimensione depressiva allora sì, perché la depressione per certi versi potrebbe favorire la creatività. Dopo tutto lo stato depressivo è una modalità del sentire, e dato che è differente da quello normale, può essere una fonte di stimoli creativi fecondi e nuovi.

 

Arianna: Quando un prodotto creativo è per te davvero concluso?

Adriano: Quando lo tiro fuori dal forno – quello della fucina – e vedo che ha fatto quella bella crosticina in superficie, ed è lievitato al punto giusto da farmi venire voglia da farlo assaggiare anche agli amici e agli altri, che poi magari se lo gustano pure. Fuor di metafora, il prodotto creativo deve rispondere alle mie aspettative, al mio intento di comunicare od evocare qualcosa, un’emozione, un sentimento, o anche semplicemente suscitare il piacere del puro godimento estetico.

 

Elisabetta: La creatività è un dono naturale privilegio di pochi o si tratta di una competenza accessibile a tutti e che può essere allenata?

Adriano: Si può avere un talento particolare, ma la creatività non è pensabile come privilegio di un’élite. È sicuramente accessibile a chiunque, siamo potenzialmente tutti creativi, i bambini lo sono spontaneamente, è sempre presente nel gioco, e la creatività è anche un gioco. È una qualità accessibile che ha bisogno di essere coltivata e fatta crescere. Può essere che per fattori strettamente soggettivi, che fanno parte della storia personale di ognuno, questa qualità sia particolarmente attiva già nell’infanzia, e che poi venga continuamente stimolata ed allenata nel tempo. Personalmente mi ha sempre accompagnato sin da piccolo, ma non è detto che non la si possa far fiorire negli anni, basta volere prendersene cura, coltivarla e affinarla. Ciascuno di noi, del resto, nel momento in cui riesce a combinare insieme parole, colori, forme, che comunicano con forza e originalità un’emozione, produce un atto creativo.

Luci e ombre – Adriano Avanzini

Arianna: Pensi che la creatività possa avere una funzione sociale e, se sì, quale?

Adriano: La creatività, intesa come quello specifico prodotto artistico di cui abbiamo parlato sin qui, ha sempre avuto una funzione sociale. Se pensiamo alla storia dell’arte e ai grandi artisti, si può dire che la creatività ha contribuito a modificare la nostra percezione del mondo. Anche oggi certe forme artistiche, certi artisti, concepiscono e producono arte in questa funzione. Ma, più concretamente, credo che la funzione sociale a cui ci sta riferendo sia quella calata nel concreto della realtà a noi più vicina, ad esempio quella del Gruppo della Trasgressione.

Qui la creatività può essere uno strumento potentissimo che può avere una grande funzione nella prevenzione, inclusione, crescita. Soprattutto pensando ai giovani più problematici ma anche ai detenuti. Perché la creatività è una specie di fucina che ci portiamo dentro: attivare la fucina significa attivare le parti più costruttive, l’autostima, la fiducia in sé; è un mezzo potente per educare a prendersi cura di sé e degli altri, combinando insieme le diverse parti che ci appartengono: tonalità emotive forti e fragili, luci, ombre, cose nobili e meno nobili.

Citazione – Adriano Avanzini

Aspetti come aggressività, imperfezioni, incertezze, debolezze possono diventare veramente la materia prima su cui lavorare, una materia che, messa in relazione con gli altri, può dare facilmente adito a rielaborazioni, trasformazioni e nuove creazioni che favoriscono il riconoscimento reciproco. Credo che la creatività, se bene accudita, possa costituire uno strumento per l’inclusione sociale, per la valorizzazione delle differenze, di età, cultura, identità; in generale, un modo per crescere nella diversità.

Intervista ed elaborazione di 
Arianna Picco ed Elisabetta Vanzini

La galleria di Adriano Avanzini  –  Interviste sulla creatività

Ergastolo ostativo

LUNEDÌ 26 Aprile 2021 ore 14.15
Confronto sull’ergastolo ostativo 


L’incontro è finito, la registrazione è su Facebook;
qui c’è il forum dove ciascuno può intervenire;
e qui l’indice dei testi e dei vari contributi sul tema


Hanno preso parte all’incontro: Valentina Alberta Avvocato; Alex Galizzi, vicepresidente commissione antimafia Lombardia; Giovanni Fiandaca, Giurista, docente di diritto penale, Garante dei diritti dei detenuti per la Sicilia; Paolo Setti Carraro, chirurgo umanitario Emergency e MSF;  Corrado Limentani, Avvocato; Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti; Carla Chiappini, Ristretti Orizzonti Carcere di Parma; Elisabetta Cipollone, familiare di vittima e mediatrice penale; il Gruppo della Trasgressione, fra cui ex detenuti con esperienza diretta dell’ergastolo ostativo.

📍 Nell’ergastolo ostativo, una collaborazione con le autorità mirata a individuare altri nemici dello Stato ancora in opera, a meno che essa non venga ritenuta “inesigibile”, viene considerata l’unica dimostrazione possibile della evoluzione e del ravvedimento del condannato.

Questo è in contrasto con quanto indica la nostra costituzione sulla funzione della pena, che… deve tendere alla rieducazione del condannato e al suo reinserimento nella società.

Alcuni ritengono che l’eliminazione dell’ergastolo ostativo possa rendere la nostra collettività più fragile di fronte alla pervasività della criminalità organizzata; altri suggeriscono che la migliore protezione del bene comune sia costituita dall’investimento sui mezzi per nutrire la coscienza morale e civica del condannato.

Essendo stato appena dichiarato incostituzionale l’ergastolo ostativo, cosa possiamo fare per difendere al meglio la nostra libertà da chi viene condannato all’ergastolo per i gravi crimini commessi in associazione?

👉 Dalle 14:15  confronto aperto sull’argomento su Zoom
👉 Diretta streaming su facebook

Cos’è l’ergastolo ostativo?

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Il bianco e il nero, l’odio e l’amore

di Ottavia Alliata

Il 19 marzo alcuni membri del Gruppo della Trasgressione si sono riuniti con alcune studentesse del corso del prof. Francesco Scopelliti di Interventi clinici nei casi di procedimenti penali dell’Università Cattolica di Milano per avviare una discussione su Il viaggio di andata e ritorno nel mondo della devianza.

Come si evince dal titolo della lezione, in un primo momento lo scopo è stato quello di individuare, grazie a domande mirate ad alcuni ex detenuti, i fattori chiave che hanno indotto alcune persone a intraprendere la strada della devianza. In un secondo momento, le domande e le curiosità erano volte ad approfondire e condividere le risorse, le attività e i progetti grazie ai quali è stato possibile fare il viaggio di ritorno dal mondo della devianza per abbracciare i valori condivisi dalla società civile.

Dell’intervento di Antonio, uno degli ex detenuti, mi ha colpito una cosa in particolare: gli era stato chiesto di raccontare chi fossero i suoi punti di riferimento durante l’infanzia e lui ha cominciato a parlare di un sentimento di rabbia.

Mi è venuto spontaneo interrogarmi su cosa potessero c’entrare la rabbia e il dolore con le figure di riferimento di quando si è ragazzini. Ero certa che avesse compreso la domanda. Mi ha colpito la scelta, evidentemente molto sentita, di parlare dei propri stati d’animo, emozioni così potenti e pervasive da fungere da guide maestre dell’agire.

Antonio, per ragioni che non conosciamo, si sentiva privo del calore rassicurante e dell’affetto tanto necessari per lo sviluppo; non si sentiva desiderato né accettato; gli mancavano o non sapeva riconoscere nel comportamento dei suoi genitori quelle attenzioni e quel sostegno che permettono di percepire il proprio valore intrinseco, di individuarsi e di collocarsi entro una storia generazionale.

Con queste riflessioni non intendo giustificare gli atti delinquenziali e i crimini che hanno accompagnato questo vissuto invasivo e travolgente, ma vorrei provare a comprendere la radice della rabbia di cui egli stesso parla esplicitamente.

La rabbia è stata per molti anni la migliore amica e la compagna di Antonio; gli ha trasmesso la sensazione permanente di aver subito un torto e pertanto la convinzione che, come tutti i torti, doveva essere ripagato.

Quando si abusa di una persona, magari la stessa per cui mesi prima si era finiti al pronto soccorso per lesioni gravi, si può percepire un senso di controllo e di potere sull’Altro, la sensazione di essere accettati e rispettati dai propri compagni, la sensazione che un equilibrio venga finalmente ristabilito.

Tutti, nel bene e nel male, ricerchiamo una qualche forma di piacere e di gratificazione. La differenza è che chi non è mai stato amato né educato all’amore e al rispetto dell’Altro cercherà di possedere, abusare, controllare o assoggettare l’Altro, che diventa un simulacro temporaneo dell’oggetto del suo amore. Nel gesto di prepotenza sull’Altro si provano una grande eccitazione e un senso di benessere generale, ma come ricordano le diverse testimonianze sul Virus delle gioie corte, si tratta di emozioni tanto intense quanto fugaci e illusorie:

“Quella sensazione dentro di me non durava tanto, infatti appena tornavo a percepire malessere sentivo che mi dovevo procurare di nuovo piacere abusando di qualcuno”.

Da queste parole sembra quasi che far del male possa coincidere con il farsi del bene, con il colmare un vuoto. Proprio perché allontanare la fonte del malessere appartiene alla natura umana, credo sia importante intervenire indagando e facendo uno sforzo per comprendere le radici del malessere di una persona per poi educarla alla ricerca di un benessere, in questo caso meno intenso e sfacciato, ma ugualmente appassionato.

Negli anni ho imparato che la rabbia non è un sentimento negativo di per sé, qualcosa che deve essere rimosso e celato. Lo stesso si può dire per l’odio, che cammina a fianco a fianco all’amore. Proprio grazie al Gruppo della Trasgressione ho riscoperto l’importanza, per ogni concetto, del suo significato opposto; ho scoperto che distinguere il Bene dal Male può rivelarsi meno costruttivo che concepirli come protagonisti di unico cerchio, in cui si fondono colori ora più caldi ora più freddi, dai tratti ora più violenti ora più delicati, eppure assolutamente fondamentali per restituire, a chi osserva, la bellezza di un’idea.

“Ora non mi preoccuperò più di tagliare profili netti, angolature esatte di luce e ombra, ma scaturirà dal mio intimo direttamente luce e ombra, preoccupato unicamente di trasmettere l’immagine senza nessun revisionismo aprioristico” (Emilio Vedova).

Per certi versi mi sono sentita molto vicina ad Antonio, anche se in maniera direi “opposta”: lui ha agìto e ha manifestato senza alcun controllo tutta la rabbia che lo dominava, mentre io sono stata vittima della mia rabbia, ho lasciato che mi corrodesse dall’interno senza permetterle una via di uscita.

A questo proposito, trovo rivelatrici e illuminanti le parole della psicoanalista Danielle Quinodoz che promuove l’importanza di accogliere al proprio interno i sentimenti opposti, come l’odio e l’amore. Infatti, l’odio non va mai scisso ed espulso fuori da sé, serbando quindi solo un amore parziale, ovvero l’idealizzazione, né va confuso con l’amore, poiché l’amore in questo caso rischierebbe di divenire distruttivo.

“Non è facile sbarazzarsi di elementi che si disapprovano: cacciati dalla porta rientrano dalla finestra in altra forma”.

Per la prima volta cerco, non senza fatica, di accogliere quella rabbia che ho sempre negato e chissà… magari Antonio un giorno ritroverà invece quelle parti dei propri genitori e della propria storia che nel profondo ha anche amato.

Percorsi della devianza

Altri link utili: Riscoprirsi per i figli – Il virus delle gioie corte

Una rete per la prevenzione

Nella mia identificazione delle abilità e delle competenze che chi si appresta a intraprendere la professione di psicologo dovrebbe possedere gioca un ruolo fondamentale il mio vissuto di esperienza lavorativa come educatore in contesti scolastici e privati-assistenziali.

Porsi in prima persona come figura di riferimento per la presa in carico della sofferenza e del disagio psicologico significa non fermarsi ad una buona capacità di ascolto e far riferimento ai testi puramente nozionistici in materia, ma presuppone la capacità di mettersi costantemente in discussione maturando la consapevolezza che la cura è un processo da rimodulare nel tempo.

In quest’ottica è di fondamentale importanza il lavoro di rete che lo psicologo è in grado di tessere con tutti gli interlocutori che, all’interno di un determinato contesto sociale e ambientale, lavorano per il benessere psicologico dei cittadini.

Il punto appena indicato rappresenta uno snodo cruciale soprattutto alla luce dell’anno di emergenza per pandemia di Covid-19 appena trascorso e in cui l’assistere all’insorgere di nuove patologie mentali e all’aggravarsi di quelle già esistenti ha contribuito a rafforzare la consapevolezza di quanto la sinergia tra le diverse parti sociali sia essenziale in ottica di prevenzione.

L’esperienza di tirocinio che mi appresto a concludere con il Gruppo della Trasgressione rappresenta un ottimo esempio di buona pratica in questa direzione. Aver trovato un incubatore di idee e progetti al quale professionisti di diversa provenienza portano contributi stimolanti è stata una piacevole sorpresa.

Lo psicologo in formazione in questo determinato periodo storico deve a mio avviso fare i conti con le nuove modalità di comunicazione e relazione a distanza imposte dalla pandemia e che di riflesso condizionano non soltanto la rete relazionale in cui l’individuo è inserito quotidianamente ma anche la relazione terapeuta-paziente.

L’ identità virtuale non è più soltanto un concetto legato alla rapida espansione a macchia d’olio dell’era della digitalizzazione così come veniva presentata agli inizi del nuovo millennio, è diventato un mondo da prendere in seria considerazione per il riconoscimento e la presa in carico di nuove patologie ad essa collegate.

Ritengo sia fondamentale poter svolgere una formazione in cui lo psicologo abbia la possibilità di mettersi in gioco in ambiti e settori differenti affinché gli strumenti acquisiti possano sempre essere affinati grazie al confronto costante con realtà e professionisti che operano a diversi livelli per il benessere dei cittadini.

In questa direzione sarebbe interessante se i diversi tirocinanti, una volta terminato il percorso formativo comune, restassero in contatto tra loro per coltivare una rete di scambio di idee e progetti che possa favorire la collaborazione tra i diversi nuovi enti\associazioni di appartenenza.

Marco Seminario

 Relazioni di Tirocinio

Il pericolo del doppio io

The Departed – Il bene e il male di Martin Scorsese

Il tema del doppio e la ricerca di un proprio io autentico sono i nuclei concettuali attorno ai quali ruota la struttura narrativa del film. In un mondo dove nulla è ciò che sembra, la perdita dell’identità è una conseguenza quasi inevitabile. Ritrovarla si rivelerà il compito più difficile, se non impossibile.

Quello che viene negato a Billy/Di Caprio e Colin/Damon (che sono uno l’alter ego dell’altro) è la libertà di scegliere per se stessi e per la propria vita, un futuro autentico da vivere nell’autocoscienza, la possibilità di rigettare un ruolo (quello della talpa) e un destino imposto da altri, in un universo sociale rigidamente chiuso.

Il primo, Billy/Di Caprio cerca di riscattare l’immagine di sé e della sua famiglia, infiltrandosi in un contesto mafioso-criminale irlandese, ma è sempre con il viso corrucciato, sentore di grande disagio interiore per l’uso estenuante del doppio gioco fino a patirne paurose crisi di nervi.

Il secondo, Colin/Damon, si infiltra nella polizia di stato dopo anni di studio forsennato. Però, spinto dall’arrivismo sociale e da infrenabili ambizioni, scivola nella strada dell’inferno e fa scivolare con sé la stessa istituzione, dentro cui gode apprezzamento e fiducia, proprio perché si rende insospettabile.

Si consuma via via la tragedia del tradimento verso la legalità, verso l’amicizia ed addirittura verso la  donna contesa, la dottoressa Madolyn (interpretata da Vera Farmiga), travolta dallo stessa partita doppia giocata dai due poliziotti con tensione, abilità e senza sconti.

Come la cupola dorata di Boston sovrasta la città, campeggia nel film il carisma “filosofico” del Boss Costello (Jack Nicholson), grande conoscitore dell’animo – criminale – umano. Alcune sue frasi recitano  così:
“…poliziotti o criminali, una volta davanti ad una pistola, non c’è differenza”;
Nessuno ti regala niente, te lo devi prendere”;
Io non voglio essere un prodotto del mio ambiente, io voglio che il mio ambiente sia un mio prodotto”.

Ma non finisce qui, ci sono rapporti padre-figlio, c’è il peso delle origini, c’è la comunità e le etichette che ti appiccica addosso, e si finisce per non sapere o non capire dove sia il bene ed il male, senza mai sentirsi completi.

Nell’ inferno criminale e violento della città di Boston la ricerca della talpa assume i contorni della ricerca di se stessi, dell’io annullato nella sua moltiplicazione in troppe identità, schiacciato nella rete del doppio gioco che preclude ai protagonisti una vera e piena partecipazione alla costruzione della propria esistenza.

Così, The Departed, i defunti, non sono soltanto coloro che muoiono fisicamente, bensì gli “spersonalizzati”, quanti muoiono interiormente e perdono la loro identità senza avere più un posto nella società e – per sfuggire alla sorte di “prodotto dell’ambiente“- accettano di indossare la maschera, nutrendosi appunto del marcio, come la talpa.

Inoltre, nella traduzione italiana del film, il titolo aggiunge le parole di “Il bene e il male” a rinforzo del significato profondo del film medesimo, perché la realtà ha sempre due facce, quella buona e quella cattiva, così come la vita si oppone alla morte e l’onestà alla malvagità.

Sebbene i vari personaggi risultino tutti sconfitti, sembra che il bene si trasformi in “ombra del male”, anziché “opzione liberatoria” per onorare il valore di un ideale.

È rilevante osservare anche l’esercizio della punizione od addirittura della vendetta quali strumenti per ristabilire equilibrio e giustizia. Facendo leva su questi presupposti, il film propone una storia speculare, in cui a ogni uomo intento a far del bene ne corrisponde uno attratto dal male.

Mediante la genialità di un vortice narrativo del film ed attraverso un cocktail di ambiguità e doppiezza, l’attenzione viene costantemente interessata dalle vicende tormentate dei personaggi, per farsi esplorazione artistica e morale della natura umana, malvagia o virtuosa che sia.

Olga Bernasconi

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Perdonare e perdonarsi

Perdonare per definizione non è cosa semplice. Tanto che, a ben guardare, il nostro concetto di perdono affonda le sue radici in complesse dinamiche religiose. Secondo la teologia cattolica rappresenta ciò che Dio concede al peccatore dopo che egli, sinceramente pentito, ha confessato le sue colpe. L’atto di perdonare consiste in un movimento che un Altro compie nei confronti di un primo soggetto che si riconosce colpevole. Difatti, anche nel linguaggio comune si è soliti dare questa accezione a tale concetto. “Mi perdonerai mai?” o “Io non riesco a perdonarmi” sono solo alcune delle espressioni che mettono in luce la dinamica di cui sopra. E, di certo, vogliamo sperare che prima o poi il perdono arrivi per tutti. Ma affinché questo possa avvenire è necessario che prima si sviluppino alcuni requisiti fondamentali: ascolto, dialogo e coscienza dell’Altro.

Nonostante questa dinamica bilaterale, il perdono non può però essere inteso solo come un’azione che un Altro compie nei nostri confronti, ma anche come gesto individuale da effettuare verso noi stessi. Il Gruppo della Trasgressione, per quanto ho potuto osservare, si configura come una concreta opportunità volta al raggiungimento di entrambi gli obiettivi: perdono dell’altro e perdono di sé. L’associazione si serve infatti di tutti gli strumenti positivi propri di un gruppo utili a liberare il nostro spirito dal peso che lo opprime.

Talvolta, oltre alla prigionia fisica, si può rimanere incastrati in una gabbia ben più soffocante e limitante, una gabbia costruita con perseveranza e alimentata da conferme fallaci. E infatti noi uomini siamo esseri alla costante ricerca di stabilità, non solo nel modo di rappresentare il mondo, ma soprattutto nel modo di vedere noi stessi. Per questo solo attraverso il confronto e la conoscenza dell’Altro diviene possibile concepire un modo diverso di pensare e interpretare la quotidianità. Questo è ciò che il gruppo fa.

È stato l’incontro e il confronto con le studentesse a permettermi di iniziare il mio cambiamento interiore

La potenza del gruppo risiede nella capacità di mettere in dialogo realtà differenti, di vedere attraverso gli occhi di qualcun altro e di vedere l’Altro. A tal proposito, mi hanno colpito le parole pronunciate da un ex detenuto: “queste persone mi hanno guardato con occhi diversi, hanno visto in me un uomo oltre il criminale”.

Appare centrale nel suo discorso il tema del riconoscimento, il quale passa, prima di tutto, dagli occhi degli altri. Un passaggio necessario per riuscire a scindere, all’interno della persona, azioni ed essenza. Non può avvenire perdono se prima non c’è coscienza, consapevolezza e comprensione. Perdonarsi, forse, significa proprio questo: rompere gli schemi preesistenti e imparare a vedersi in modo più comprensivo. È fondamentale, per sviluppare una narrazione di sé nuova e meno giudicante, riconoscere la propria storia, i propri bisogni più intimi e le proprie fragilità. Perché perdonarsi non significa giustificarsi o deresponsabilizzarsi, e questo i membri del gruppo lo sanno; perdonarsi significa, essenzialmente, darsi una seconda opportunità.

E dopotutto, anche perdonare gli altri non equivale forse a offrire una seconda possibilità? Infatti, non esiste cosa più generativa che costruire le fondamenta di una nuova vita. Il Gruppo della Trasgressione fa anche questo, permettendo a vittime e carnefici di comunicare e di abbattere l’enorme muro del silenzio, del rancore e del dolore.

Per me il gruppo è stato questo. Un confronto che mi ha insegnato, un pochino di più, a perdonare e a perdonarsi.

Sofia Castelletti

Percorsi della devianza

Nota: L’immagine è un particolare da “La primavera” di Sandro Botticelli

Il viaggio di ritorno

Tornare per ritrovare sé stessi, senza mai dimenticarsi di ciò che si è stati.
Tornare per diventare un contributo importante per la società.
Tornare per essere d’aiuto a chi ancora non sa come farlo.
Tornare per perdonarsi e farsi perdonare.
Tornare per sgretolare il pregiudizio della gente comune.

Il Gruppo è consapevolezza, attivismo e progettazione di un futuro migliore.

Martina Giampaolo

Percorsi della devianza

Spazio e nutrimento

Relazione finale di tirocinio

Federica Turolla, Matricola: 815067
Psicologia Clinica e Neuropsicologia nel ciclo di vita
Tipo di attività: Stage esterno
Periodo: dal 12/10/2020 al 26/02/2021
Titolo del progetto:
Il Gruppo della Trasgressione: spazio di nutrimento

Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

L’Associazione e Cooperativa Trasgressione.net ha sede in Via Sant’Abbondio 53/A, a Milano. Sfortunatamente, a causa dell’emergenza Covid-19 non è stato possibile usufruire di questo spazio, se non per qualche incontro iniziale. Per permettere ugualmente lo svolgimento delle attività si è ricorso all’utilizzo della piattaforma ZOOM.

Il Gruppo della Trasgressione è un’associazione che, in linea generale, si occupa del tema della devianza, sia in ottica di prevenzione che di contrasto. In particolare, l’associazione collabora con le Carceri di San Vittore, Bollate ed Opera, allo scopo di favorire il recupero, il reinserimento sociale e la prevenzione di recidiva per coloro che hanno commesso reati. A causa delle restrizioni imposte, non è stato possibile svolgere le attività all’interno degli istituti penitenziari.

Hanno dunque partecipato ai differenti incontri ex-detenuti oppure detenuti in misure alternative (ad esempio, detenuti in Articolo 21, in affidamento sociale o agli arresti domiciliari). Nonostante ciò, la possibilità di utilizzare la piattaforma ZOOM ha permesso di superare i limiti spaziali, consentendo la partecipazione di persone che si trovavano in città o regioni differenti.

Il Gruppo della Trasgressione opera attraverso uno scambio attivo con il territorio, che vede come interlocutori protagonisti non solo detenuti ed ex-detenuti, ma anche comuni cittadini, studenti universitari tirocinanti e i familiari delle vittime di reato, nella costruzione di un dialogo e confronto tra l’interno e l’esterno del carcere.

Proprio attraverso la cooperazione di diversi interlocutori diventa quindi possibile progettare interventi di prevenzione e utilità sociale per il territorio che, se da un lato consentono lo sviluppo di responsabilità e autonomia per i detenuti, dall’altro diventano strumento e spazio di riflessione per chiunque partecipi.

Nel raggiungimento dei propri obiettivi e nella realizzazione dei propri progetti, il Gruppo della Trasgressione lavora in stretta collaborazione con il territorio, sviluppando interventi insieme al Municipio di Zona 5, a Regione Lombardia, ma anche a scuole, enti e associazioni che si occupano di temi affini, con l’intento di prevenire degrado, bullismo e tossicodipendenza.

La cornice di riferimento teorica del Gruppo si ispira ad alcuni autori classici di matrice psicodinamica e sociale, come ad esempio Bion e Lewin, in riferimento alle dinamiche di gruppo, spesso presenti all’interno della criminalità organizzata, ma anche a Winnicott, per indagare come le relazioni primarie costituiscano una base importante per lo sviluppo individuale del Sé.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Come tirocinante, viene richiesto di partecipare alle differenti attività proposte, frequentando con regolarità gli incontri settimanali e contribuendo attivamente allo sviluppo dei progetti. Inizialmente, i primi incontri nel mese di ottobre erano incentrati sull’ideazione di attività da svolgere all’interno della sede di Via Sant’Abbondio, creando uno spazio di cui avrebbero potuto usufruire anche i residenti della zona, appartenenti a fasce d’età o contesti differenti.

Successivamente, a causa delle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria, le attività settimanali che potevano essere ugualmente svolte con il collegamento ZOOM sono state il Cineforum sulla banalità e complessità del male, l’incontro sulla Genitorialità responsabile e le attività dell’Officina Creativa.

In particolare, ho contribuito a redigere i verbali inerenti ai diversi incontri, che non rappresentano una semplice stesura di quanto detto, ma costituiscono una rielaborazione dei contenuti emersi, generando un documento che possa diventare utile e fruibile per chiunque lo legga.

Durante il mio periodo di tirocinio è stato sviluppato un progetto inerente a interviste che avessero lo scopo di far conversare i diversi partecipanti del Gruppo. Attraverso la partecipazione ad alcune riunioni, insieme agli altri membri, abbiamo pensato a eventuali domande da formulare a possibili coppie di persone, come ad esempio membri del Gruppo che rivestono ruoli e posizioni apparentemente in contrasto, oppure membri del Gruppo che hanno collaborato in passato nella realizzazione di alcuni progetti (ad esempio, progetti di restauro), o ancora, creando una forma di “doppia intervista” per i membri che condividono aspetti in comune nel proprio percorso.

In occasione della giornata contro la violenza sulle donne, ho steso un testo che riflettesse e indagasse la mia percezione ed esperienza sul fenomeno, da pubblicare sul sito vocidalponte.it

Ho partecipato all’ideazione e creazione del profilo Instagram del Gruppo della Trasgressione in modo da favorire la conoscenza e la promozione delle attività svolte dall’associazione, con la pubblicazione di materiali inerenti ai differenti progetti (ad esempio, pubblicazioni delle auto- interviste, oppure promozione della Bancarella Frutta & Cultura).

Ho partecipato alla valutazione di alcuni testi scritti dai detenuti o altri membri del gruppo, inerenti al “Virus delle gioie corte” e “La nicchia, la crosta e il rosmarino”, temi di particolare rilievo all’interno del Gruppo. Lo scopo di questo lavoro è stato individuare quali testi fossero maggiormente significativi e in grado di rappresentare il Gruppo della Trasgressione, secondo l’opinione dei diversi membri. I testi selezionati verranno poi inseriti all’interno di un libro che il dottor Aparo sta preparando in collaborazione con altre associazioni.

Infine, a seconda delle necessità, mi sono occupata di svolgere alcune brevi compiti di organizzazione logistica per facilitare lo svolgimento delle attività, come ad esempio contattare i membri attuali e passati chiedendo loro di creare dei brevi video in cui raccontassero, in una forma di auto-intervista, il proprio percorso all’interno del Gruppo della Trasgressione; oppure raccogliere l’elenco dei film visti durante l’attività del Cineforum dal suo inizio, in modo da creare un indice completo da condividere sul sito vocidalponte.it, per promuovere l’attività.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Ogni lunedì pomeriggio si svolge il Cineforum che tratta il tema della “Banalità e complessità del male”. Attraverso un sondaggio proposto a tutti i membri, viene scelto un film che sia attinente all’argomento. Ogni partecipante è quindi invitato a guardare autonomamente il film indicato e successivamente, durante l’incontro, questo viene poi commentato e analizzato, attraverso la condivisione di opinioni, punti di vista ed esperienze personali inerenti al tema del male, inteso nell’accezione proposta da Hannah Arendt. Attraverso la visione di questi film diventa possibile interrogarsi sulla natura dell’uomo e sulla sua propensione ad essere attratto e sedotto dal male, scivolando progressivamente in una condizione di mediocrità. Per circa un mese hanno preso parte agli incontri del Cineforum anche gli studenti del Liceo Artistico Brera di Milano.

Nell’incontro del martedì generalmente viene affrontato il tema della Genitorialità responsabile. Durante questi incontri l’attenzione è rivolta in particolare sia a detenuti che ex-detenuti che vivono l’esperienza di essere genitori, ma anche a figli di detenuti. Attraverso un confronto tra le proprie esperienze e i propri vissuti, sia come genitori che come figli, emerge la possibilità di usufruire della genitorialità per responsabilizzare il reo e come, attraverso l’impegno per i propri figli, diventi possibile allontanarsi dall’ambiente criminale. Allo stesso tempo, tra i figli di detenuti si è venuto a creare un clima di sostegno e solidarietà reciproci nel confrontarsi rispetto all’immagine dei propri genitori e alle esperienze dolorose vissute durante le visite in carcere. L’intento dell’attività è anche promuovere nei figli di detenuti una visione positiva della polizia penitenziaria, in modo da prevenire futuri atteggiamenti ostili nei confronti dell’autorità.

Gli incontri del martedì inoltre possono variare rispetto al tema trattato. Ad esempio, in ricorrenza della giornata dedicata, si è deciso di affrontare il tema della violenza sulle donne. Questo è poi stato ripreso in diversi incontri, intrecciandosi anche con altre tematiche approfondite nel Gruppo.
In diverse occasioni è capitato di ricevere alcuni ospiti, come ad esempio, Maria Rosaria Sodano, ex magistrato in pensione, che ha richiesto di collaborare con il Gruppo per la realizzazione di un progetto inerente all’alimentazione in carcere, oppure con Lucilla Andreucci, rappresentate di Libera, con la quale è emerso un interessante confronto e scambio. Inoltre, durante una giornata di Cineforum, in occasione della visione del film “I Cento Passi”, ha preso parte all’incontro Monica Forte, Presidente della Commissione Antimafia della Lombardia, rendendo possibile uno scambio con le figure istituzionali del territorio.

Il giovedì invece si tiene l’incontro sull’Officina creativa, attività finalizzata alla continua produzione di iniziative, nella valorizzazione delle risorse e mezzi creativi dei partecipanti al Gruppo. Un esempio di questa attività è stato sviluppare il progetto inerente alle interviste sopracitate. Da questa attività è emerso come grazie alla formulazione di specifiche domande, l’intervista possa diventare mezzo per sviluppare un dialogo che permetta di analizzare e ripercorrere il proprio percorso individuale (ad esempio, nel caso la coppia fosse composta da due detenuti), oppure di indagare come sia stato possibile costruire una relazione tra le due parti, ad esempio, nel caso in cui la coppia fosse composta da un ex-detenuto, appartenente in passato a organizzazioni mafiose, e un familiare di vittima di reato. Un altro tema approfondito durante gli incontri dell’Officina creativa e particolarmente rilevante per il Gruppo della Trasgressione è la rappresentazione teatrale del Mito di Sisifo. Il teatro diventa infatti utile strumento che permette al detenuto di interrogarsi sulle condizioni che l’hanno spinto verso l’ambiente deviante, ripercorrendo il proprio vissuto all’interno della criminalità fino ad arrivare alla scoperta di sé come nuovo cittadino, grazie a un parallelismo con la narrazione del mito.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Il coordinatore del Gruppo della Trasgressione è il dottor Angelo Aparo. Oltre a rappresentare l’elemento cardine all’interno del percorso di ciascun detenuto, costituisce un punto di riferimento per ogni membro. Il dottor Aparo organizza, gestisce e supervisiona le diverse attività svolte. Queste, infatti, spesso vengono realizzate grazie alla collaborazione con la rete sociale che il dottor Aparo ha costruito negli anni, attraverso l’invito di ospiti durante gli incontri, in un clima di scambio e dialogo attivo con l’esterno, come enti istituzionali o associazioni.

In riferimento alla figura del tirocinante, il dottor Aparo si assicura che questo partecipi ai diversi incontri e monitora il lavoro, in particolare in riferimento alla redazione dei verbali, che vengono condivisi attraverso una cartella in Google Drive, oppure si assicura che vengano prodotti degli scritti da pubblicare sul sito vocidalponte.it. Nonostante la sua presenza, il tirocinante è invitato gestire il proprio lavoro in maniera responsabile ed autonoma.

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Sicuramente l’esperienza svolta presso il Gruppo della Trasgressione mi ha permesso di venire a conoscenza delle dinamiche che riguardano il contesto penitenziario. Anche se non è stato possibile entrare all’interno dei diversi istituti, ho imparato a comprendere quali siano i sentimenti e vissuti personali di coloro che hanno trascorso parte della loro vita in carcere. Grazie ai racconti di detenuti ed ex-detenuti ho potuto conoscere le loro storie, le loro sofferenze e fragilità e il percorso che li ha portati a delinquere, ma anche la loro esperienza in carcere sia prima che dopo aver incontrato il Gruppo della Trasgressione. Oltre a una dimensione individuale, sono anche stati approfonditi i meccanismi e le dinamiche di gruppo che sottendono e regolano le organizzazioni criminali, in particolar modo quelle mafiose.

Ritengo che la parte più interessante e arricchente di questo tirocinio sia stato l’incessante interrogarsi tra detenuti, comuni cittadini e studenti su quali siano le condizioni che spingono l’uomo a delinquere e quali siano invece gli strumenti che consentono al reo di acquisire un senso di consapevolezza e responsabilità rispetto al proprio agito. Attraverso la presa di coscienza, la valorizzazione delle proprie risorse e l’utilizzo di strumenti inediti, diventa quindi possibile per il detenuto riprendere la propria crescita e trasformarsi in nuovo e autentico cittadino, abbandonando l’etichetta stigmatizzante di “ex-detenuto”. Dalle riflessioni è emerso come esista un continuum, o meglio un confine sottilissimo, tra chi si avvicina all’ambiente deviante e commette reati e chi invece rimane un comune cittadino, in quanto il male e il potere rappresentano un elemento di forte seduzione per chiunque. In ottica di prevenzione, diventa dunque fondamentale comprendere quali siano gli aspetti che favoriscano il procedere verso l’arroganza e quali invece permettano di raggiungere un senso di consapevolezza e responsabilità individuale.

Inoltre, ho potuto usufruire trasversalmente di quanto appreso e delle esperienze condivise durante l’attività sulla Genitorialità responsabile, per realizzare un progetto che indagasse le diverse forme di genitorialità in un corso universitario.

 

Abilita acquisite (tecniche, operative, trasversali)

L’abilità più rilevante che riconosco di aver sviluppato durante quest’esperienza con il Gruppo della Trasgressione è l’ascolto rispettoso, autentico e attento dell’altro. Molti racconti di vita ed esperienze dei detenuti, ma in generale anche degli altri membri del Gruppo, spingono chi ascolta ad accedere a una dimensione empatica del dolore.

Di grande importanza è stato anche imparare a redigere i verbali: proprio perché questi mirano a una rielaborazione dei contenuti emersi, diventa quindi possibile sia impadronirsi in maniera globale degli argomenti trattati, ma anche sviluppare e potenziale le proprie capacità di scrittura.

Sempre inerentemente alla scrittura, ho trovato molto formativo avere la possibilità di scrivere un testo che indagasse la mia percezione riguardo al fenomeno della violenza sulle donne. Lo strumento di produzione libera dello scritto permette di accedere ai propri vissuti e sofferenze interiori, nella valorizzazione del proprio intuito creativo.

Competenza sicuramente trasversale e spendibile in contesti altri, è stato anche lo spirito di collaborazione che sottende il Gruppo della Trasgressione: infatti, la realizzazione dei progetti diventa possibile proprio attraverso un approccio di cooperazione tra i diversi membri.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Tra le caratteristiche personali sviluppate emerge chiaramente una componente empatica, già citata, nel guardare al vissuto degli altri e saper accogliere il dolore altrui.

Il Gruppo della Trasgressione mi ha spinto ad affacciarmi al mondo con impronta riflessiva: spesso, a causa della realtà frenetica in cui viviamo, diventa difficile fermarsi a riflettere in profondità su temi di grande importanza sociale. Quest’esperienza invece mi ha trasmesso la necessità di interrogarmi costantemente, alla ricerca di una consapevolezza autentica del mio agire nel mondo.

Quest’esperienza mi ha inoltre permesso di abbattere i pregiudizi e gli stereotipi che ruotano attorno al contesto carcerario: è proprio la non chiara definizione di ruoli e posizioni sociali dei diversi partecipanti al Gruppo a permettere la costruzione di una relazione simmetrica nell’incontro con l’altro. Solo attraverso la partecipazione e l’ascolto durante gli incontri, diventa possibile conoscere le storie di vita di ognuno, senza partire da concetti precostituiti.

Poiché il lavoro all’interno del Gruppo si basa sulla cooperazione con gli altri membri, è stato possibile vivere un’esperienza di responsabilità nella co-costruzione dei differenti progetti. In particolare, grazie all’attività di valutazione degli scritti mi sono potuta sentire protagonista attiva, insieme agli altri membri, della realizzazione di un disegno che andrà a definirsi meglio in futuro.

Ultima, ma non meno importante, è stata per me la capacità di aprirmi al dialogo con l’altro. Nonostante la mia insicurezza iniziale e il mio rimanere attiva ma silente, penso di essere riuscita a condividere con gli altri partecipanti parte delle mie opinioni e vissuti, verso il periodo finale di quest’esperienza.

 

Altre eventuali considerazioni personali

Sfortunatamente, realtà come il Gruppo della Trasgressione rappresentano ancora un’eccezione nel panorama attuale italiano. Sarebbe invece fondamentale trasformare l’esperienza detentiva in strumento di crescita educativa, di presa di consapevolezza e responsabilizzazione, nella formazione di futuri cittadini. Spesso, inoltre, i diritti, le risorse e le potenzialità dei detenuti non vengono valorizzati e proprio con questo atteggiamento si contribuisce al mantenimento di una condizione stagnante dell’individuo, relegandolo all’interno del ruolo di criminale. Diversamente, è proprio attraverso la fiducia restituita che diventa possibile per il detenuto passare dall’arroganza alla coscienza, interrogandosi su quali siano state le proprie fragilità e sofferenze passate che l’hanno spinto a ricercare un riconoscimento nel contesto della devianza. Emerge infatti molto chiaramente il sentimento di gratitudine e riconoscimento che i detenuti appartenenti al Gruppo della Trasgressione provano nei confronti del dottor Aparo, per aver insegnato loro a reimpostare la propria vita in un’ottica di costruzione e non più distruzione.

Oltre ad avere una particolare importanza per i detenuti, per chiunque vi acceda, il Gruppo della Trasgressione è sicuramente strumento e spazio di nutrimento stimolante per riflettere su sé e sulla società che ci circonda. Gli argomenti trattati diventano elemento arricchente per la propria crescita, esortando a non arrestarsi in una posizione statica, ma a ricercare costantemente, attraverso l’incontro con l’altro, l’evolvere del proprio sé.

Federica Turolla

Indice dei tirocini

Conoscere il mondo della detenzione

Cosa mi aspettavo dal tirocinio e che cosa ho ottenuto

Era diverso tempo che desideravo conoscere meglio il mondo della detenzione e ciò che questa significa per chi commette un reato e per la società tutta. Avendo la possibilità di fare un tirocinio con la mia Università ho deciso di sfruttare questa opportunità per soddisfare questo mio desiderio; ho conosciuto il Gruppo della Trasgressione grazie ad una mia amica che ne ha fatto parte per diverso tempo e che me ne ha parlato.

Da studentessa con nessuna esperienza in questo ambito se non nozioni apprese dai libri, mi sono approcciata al Gruppo con tanta curiosità e con diverse aspettative; queste riguardavano la possibilità di scoprire ciò che c’è dietro la persona detenuta, ciò che si nasconde dietro la corazza e anche quali elementi del contesto di crescita di un soggetto possano influenzare la vita sia di compie un reato e sia di chi lo subisce, e in che misura.

Forse l’aver svolto questa esperienza soprattutto online ne ha penalizzato alcuni aspetti, ma comunque le mie attese sono state soddisfatte; da studentessa sono riuscita ad acquisire degli strumenti che sicuramente mi serviranno anche in futuro.

Innanzitutto, il confronto tra vittime di reato e detenuti/ex detenuti è stato un mezzo prezioso, che ha aiutato anche a mettere da parte il pregiudizio che spesso si ha nei confronti di coloro che hanno commesso qualche reato; con le stimolanti conversazioni emerse nel corso degli incontri si è andati al di là della ‘’crosta’’ di tutti i membri del Gruppo, non solo dei detenuti/ex detenuti, mettendo in luce come vari aspetti e fattori della vita abbiano portato a imboccare strade diverse, acquisendo poi la successiva voglia di riscattarsi in positivo.

L’avere ragionato su un tema come la banalità del male di Hannah Arendt, a partire da film anche molto diversi tra loro, ha sicuramente permesso di andare al di là della mera visione, stimolando il ragionamento critico su temi complessi e delicati.

Inoltre, nel corso dei vari incontri è stato portato avanti un tema altrettanto delicato, quello del rapporto tra Genitori e figli: in questo caso è stato indagato non solo il difficile rapporto dei padri detenuti con i loro figli, ma anche quello di tirocinanti, studenti e altri membri del gruppo con la loro propria famiglia. Il coinvolgimento è sempre stato per tutti, proprio per permettere ad ognuno di trarre beneficio dalle esperienze altrui, sia quelle positive, sia quelle negative.

L’aspetto più positivo del Gruppo è quello di voler coinvolgere tutti coloro che ne fanno parte; ammetto che la mia timidezza non sempre mi ha aiutato ad esporre le mie idee, soprattutto all’inizio, con la paura di non riuscire a dire niente di interessante. Probabilmente ho più assorbito idee piuttosto che averne esposte, ma comunque il Gruppo mi ha aiutata a capire di poter sempre dire ciò che si pensa rispetto a un argomento, per quanto delicato sia. La potenza del Gruppo della Trasgressione, secondo me, sta proprio nella sospensione del giudizio nei confronti degli altri e della libertà di espressione di idee anche diverse tra di loro. Ogni esperienza è importante, sia quella di chi ha vissuto tanti anni di carcere, sia quella di chi ha subito un reato e sia quella di chi ha intrapreso una strada priva (o quasi) di dossi e scorciatoie.

Alla fine di questa esperienza sento di aver interiorizzato tante testimonianze, tante esperienze, tanti racconti di percorsi di vita anche molto diversi dal mio che porterò nel mio bagaglio personale; inoltre, il pregiudizio, quello che la società inculca nei confronti di chi ha commesso un reato, è scivolato via e si è fatto da parte di fronte alle storie difficili e variegate dei diversi componenti del Gruppo.

Alessia Adorni

 Relazioni di Tirocinio