Si può combattere l’arroganza?

L’etimologia della parola arroganza è da ricondursi al latino arrogare, formato dalla particella rafforzativa ad- e dal verbo rogare cioè chiedere. Pertanto, arrogante è colui che chiede con insistenza, con presunzione, con altezzosità, spesso anche attribuendosi indebitamente  più ragioni o più diritti di quanti effettivamente ne abbia.

Tralasciando il fatto che secondo la psicologia ciò che genera l’arroganza, di base, è proprio un’insicurezza, quindi in realtà qualcosa di negativo, si può considerare l’arroganza come qualcosa di sbagliato? Come possiamo categorizzare emozioni, sentimenti, atteggiamenti? Chi può decidere cos’è giusto e cos’è sbagliato? Chi crede di potermi dire che non avrei dovuto arrabbiarmi per un atteggiamento che mi ha ferita? Qual è il limite della mia reazione?

Purtroppo non esiste un libretto informativo formato tascabile che categorizzi le cose sbagliate e le cose giuste, ma esiste un principio, che volge proprio a tutela di queste situazioni ed è il principio della libertà. Ma anche da questo punto di vista, cosa possiamo considerare libertà? A chi dovrei affidarmi per sapere l’effettivo significato pratico di questa? Aristotele, Cartesio, Hegel, Marx, Kant, Hobbes, 1000 filosofi che dicono tutti cose diverse, che quindi ti portano o all’indifferenza riguardo la questione, o ancora, all’arroganza. “Io sono un uomo libero e allora ho il diritto di fare quello che voglio”. No sei solo un uomo arrogante!

La sottile linea che separa la libertà, dall’arroganza, è l’altro, Martin Luther King diceva “la mia libertà finisce dove inizia la vostra” e nonostante non sia stato citato tra i grandi filosofi che parlano di libertà dell’uomo, forse è l’unico che ci ha capito realmente qualcosa.

La vera problematicità dell’arroganza sta nella libertà di attribuirsi dei diritti che non sono miei diritti, e che in qualche caso è anche ridicolo chiamare “diritti”, perché come può definirsi diritto la morte, la sofferenza o il terrore. Come può un uomo avere la libertà di credere di poter uccidere un’altra persona, o meglio di avere il diritto di farlo? Questa è la vera arroganza.

Ma come possiamo pensare di sconfiggere atteggiamenti arroganti, se dall’altra parte del mondo ci sono intere popolazioni che coltivano da decenni l’arroganza come un qualcosa di normale? Come posso giudicare una persona come arrogante se in America esiste ancora la pena di morte? Se Putin è stato rieletto con i militari armati fuori dalle urne? Se Israele commette un genocidio solo perché ne ha subito uno?

Come si può combattere l’arroganza, in una società in cui l’arrogante è quello che vince e non quello che perde?

Andrea Lucanto

I sentieri dell’arroganza

Il romanzo dalle mille sfaccettature

Prima di condividere la mia testimonianza ho voluto aspettare il termine dell’ultimo incontro e ora, finalmente, penso di aver maturato un pensiero abbastanza completo e consapevole circa l’esperienza che stiamo svolgendo.

Conclusa una prima lettura del romanzo “I fratelli Karamazov” di Fëdor Dostoevskij, ho provato ad effettuare una seconda ri-lettura, ponendo uno “sguardo trasversale” tra i vari capitoli e ho notato che, paragrafo dopo paragrafo, l’autore indaga numerosissimi aspetti dell’animo umano: la complessità dei rapporti familiari, il contrastato rapporto con Dio, l’ascolto reciproco, i tradimenti, la sofferenza dei bambini, il perdono, la violenza – fisica e verbale- , la capacità di saper scegliere cosa è Bene e cosa è Male, l’attaccamento al denaro, le fragilità ed insicurezze dell’essere umano.

In particolare, mi hanno colpita i numerosissimi intrecci relazionali tra i vari personaggi, con le loro diversità, che contribuiscono a creare una storia dinamica ed appassionante.

Sicuramente, di importanza fondamentale per la narrazione è il rapporto tra il padre ed i quattro fratelli.

Il vecchio Fëdor si mostra da subito tanto superficiale nella gestione della vita privata quanto poco presente nella crescita dei suoi figli. Si pone in contrasto con il suo primogenito per questioni economiche e sentimentali (ha un grande debito da saldare ed entrambi sono innamorati della stessa donna dal fascino misterioso: l’usuraia Grušenka)

Dmitrij mostra in più occasioni una indole violenta e passionale. Cova dentro di sé un forte desiderio di riscatto e vendetta nei confronti del padre per le ingiustizie subite e per l’infanzia negata che, però, non sfoceranno in alcun gesto estremo. In lui batte un cuore buono, ma ancora disorientato ed impulsivo.

Il secondogenito Ivàn, al contrario, non condivide le scelte di vita del fratello e del padre e si dimostra una persona intelligente, colta e distaccata. In più occasioni affronta tematiche religiose, morali ed esistenziali, offrendo al lettore importanti spunti di riflessione.

Il terzogenito, Alëša, è il personaggio con cui è più facile entrare in sintonia: rappresenta la forma positiva dell’impetuosità karamazoviana ed è un importante punto di riferimento per gli altri personaggi: ragazzo devoto ed altruista, non volta mai le spalle a nessuno e la sua opinione, sincera e disinteressata, ha spesso un peso molto rilevante nelle scelte altrui.

Infine, abbiamo Smerdjakov, il quarto figlio, considerato come “illegittimo” e trattato alla stregua di un servo. La sua personalità presenta numerosi lati oscuri: instabilità, rancore e pensieri diabolici, che saranno la causa del suo tragico epilogo: l’omicidio del padre ed il suicidio.

Questo romanzo è sicuramente molto complesso ma altrettanto affascinante: nonostante risalga a più di cent’anni fa, rispecchia perfettamente la società odierna. È interessante notare come, all’interno di un nucleo familiare, le medesime origini dei componenti portino ad esiti molto diversi e quanto sia rilevante per la crescita di un figlio ricevere amore incondizionato ed attenzioni da parte dei propri genitori.

Un bambino ha il sacrosanto diritto di essere accudito con affetto, in un ambiente sereno e pacifico ma, qualora ciò non avvenga, da adulto dovrà trovare la forza di reagire e spezzare la catena negativa di soprusi e violenze a cui, suo malgrado, è stato sottoposto, per evitare di infliggere altro dolore.

Ascoltando le preziosissime testimonianze delle persone detenute, ci si rende conto di quanto ciò sia effettivamente reale: la maggior parte dei reati da loro commessi deriva proprio da un grandissimo vuoto affettivo e dal desiderio di gridare la loro esistenza.

All’interno del romanzo è dedicato ampio spazio anche alla tematica religiosa-esistenziale ed, in particolare, al travagliato rapporto Dio-Uomo: si alternano momenti di grande fede a momenti di totale negazione.

Il capitolo sicuramente più rappresentativo è “Il grande inquisitore”, da tutti considerato come il punto sommo dell’opera. Il racconto immaginario, narrato da Ivàn ad Alëša, è ambientato ai tempi dell’Inquisizione Spagnola e si svolge come una parabola il cui protagonista è Gesù in persona, che sceglie di ritornare sulla terra. Il Grande Inquisitore, rappresentante dell’autorità religiosa e politica, cattura Gesù appena arrivato a Siviglia e lo imprigiona. In un lungo monolgo, egli critica fortemente il messaggio di libertà e amore che Cristo vuole diffondere: è troppo complesso e la maggior parte delle persone vanno alla ricerca di sicurezza e controllo. La felicità terrena è sicuramente più realizzabile di quella eterna. Questo era il progetto dell’Inquisizione: portare una felicità che fosse a portata di tutti, poiché l’uomo non poteva ambire a nulla di più. Dostoevskij attraverso la voce del Grande Inquisitore esplora la complessità della natura umana, la nostra tendenza a cercare la sicurezza e l’ordine anche a costo della libertà.

Un altro episodio che merita una menzione è l’incontro al monastero tra i fratelli, il padre e lo Starec Zosima – la guida spirituale. Quest’ultimo tenta di convincerli a riconciliarsi, sostenendo che tutto il loro odio porterà soltanto ad altra violenza e che bisogna essere caritatevoli nei confronti del prossimo, proprio come insegna Dio.

Tra le sue frasi celebri, questa rappresenta al meglio la sua persona: “Ogni filo d’erba, ogni scarabeo, ogni formica, ogni piccola ape dorata conosce stupendamente il suo cammino e, pur non avendo l’intelligenza, testimonia il mistero divino, che si esprime in essi in ogni istante”.

Un terzo momento significativo e carico di tensione è il dialogo tra Ivàn ed il Diavolo. Ivàn era gravemente malato, con forti allucinazioni, e questo incontro avvenne proprio alla vigilia della febbre cerebrale con cui si presenta al processo del fratello. Il Diavolo viene immaginato come un signore dal bell’aspetto con capelli lunghi, brizzolati ed una folta barba.

Ivàn pronuncia frasi quali: “Sto delirando, non riuscirai a convincermi della tua esistenza. Tu non sei reale! Sei una malattia! Sei una menzogna!” E ancora: “Tu sei me, solo con un muso diverso. Dici esattamente quello che io penso”.

Ed il Diavolo risponde così: “E’ retrogrado credere in Dio ma io sono il Diavolo, in me si può credere. Quando inizi a non credere in me, inizi a credere che non sono un sogno. Io faccio soffrire, ma senza sofferenza nulla esisterebbe”.

Da questi spezzoni del dialogo si può facilmente intuire come vi sia una contrapposizione nella mente di Ivàn: da un lato la negazione, continuando a ripetere che il Diavolo sia solo una fantasia della sua mente malata, dall’altro lato la convinzione di non essere solo nella stanza, che culmina con il lancio di un bicchiere perché “Se non sei reale non ti posso colpire”.

In questi episodi notiamo come l’uomo cerchi di rinnegare l’esistenza di un’entità non terrena ma, allo stesso tempo, ne continua a parlare, come se l’idea della sua esistenza lo tranquillizzasse e, in un certo senso, ammettesse di averne bisogno.

Un ultimo momento, a mio avviso, significativo del romanzo è uno dei dialoghi conclusivi tra l’accusa e la difesa, all’interno dell’aula del tribunale, durante il processo a Dmitrij.

La prima afferma: “Se non lo condanniamo ne va a discapito di tutta la città..” La seconda afferma: “Se anche fosse colpevole, bisogna tenere in considerazione i motivi che lo hanno spinto a compiere tale gesto e tutte le difficoltà che ha dovuto affrontare nel corso della vita,…”

Nella seconda affermazione noto un grande senso di umanità: la considerazione della persona nella sua totalità, non soltanto limitatamente al gesto che potrebbe aver commesso.

Nella prima affermazione, invece, riscontro tanta superficialità, come se fosse più importante trovare un capro espiatorio da sacrificare piuttosto che ricercare la verità. Sicuramente, condannare Dmitrij sarebbe stata la strada più facile e che avrebbe accontentato un maggior numero di persone.

Purtroppo, questo atteggiamento è ancora presente oggigiorno, non all’interno delle aule di tribunale ma tra le strade della città: assisto, sempre più spesso, a giudizi cattivi ed affrettati nei confronti di terze persone, dettati magari soltanto dal differente status sociale o dalla differente etnia di appartenenza.

In conclusione, la lettura del romanzo e, in generale, l’esperienza all’interno del carcere, mi stanno arricchendo moltissimo, dal punto di vista personale e professionale.

Ciò che più mi stanno insegnando è che bisogna avere un punto di vista ampio sulle cose e, soprattutto, non bisogna mai essere indifferenti nella vita – davanti ad una richiesta di aiuto, ad una persona sola o di fronte ad una situazione di violenza.

Nel nostro piccolo, il contributo di ciascuno di noi può essere immenso.

Elena Forzani

I Conflitti della famiglia Karamazov

 

Il seminario sull’arroganza

Dagli incontri in carcere e in sede su “i percorsi dell’arroganza”
Appunti di Elena Tribulato

Il mese scorso è stato avviato al gruppo un seminario permanente sull’arroganza, le sue origini e il suo divenire. Tenteremo un approccio multidisciplinare, in cui arte, mito, letteratura, musica e cinema ci aiuteranno a individuare i diversi aspetti dell’arroganza, nelle diverse fasi della vita e nelle diverse circostanze e relazioni ove essa si manifesta in un modo o nell’altro. Dell’arroganza proveremo ad esplorare gli aspetti che riguardano il mondo interno del soggetto (gli stati d’animo, il dolore, le difese) e quelli che coinvolgono le vittime o i destinatari dell’atto arrogante.

Tra i capitoli centrali, ha un posto di primo piano lo studio dell’arroganza nell’adolescente e, in particolare, nella relazione dell’adolescente con le sue prime autorità di riferimento; è infatti proprio il senso di insofferenza verso un‘autorità percepita come ostile e respingente a costituire la base dell’atteggiamento arrogante dell’adolescente che, se non compreso e non orientato dall’adulto, potrà portare a una ribellione rancorosa, seguita spesso dal bisogno di appoggiarsi a una banda dove trovare conferma alla propria identità, e poi dai primi passi nella delinquenza.

Cercheremo di decifrare le condizioni utili per passare da una arroganza “indomita”, che finisce per divenire distruttiva ed autodistruttiva per gli altri e per se stessi a un’arroganza “addomesticata”. La prima è ciò che riempie le carceri e corrode la società. La seconda è il motore dei grandi risultati nello sport, delle grandi rivoluzioni umane, dalla ruota all’uomo sulla Luna. Tuttavia, la distinzione apparentemente immediata in teoria, risulta più che complessa nella pratica.

Il seminario sarà quindi occasione per riflettere sui personaggi più noti del mito (Icaro, Sisifo, Prometeo, Apollo e Marsia, Ulisse, ecc.), della letteratura (Faust, Frankenstein, Dorian Gray, dottor Jekyll e mister Hyde), su alcuni eventi storici che possono risultare controversi (colonialismo, Resistenza, terrorismo delle BR, ecc.), fino a giungere a delle riflessioni su di sé e sul propri vissuti.

Obiettivo esplicito del seminario è la prevenzione del bullismo e della tossicodipendenza nelle scuole, nonché la rieducazione dei detenuti e la prevenzione della recidiva. Ma non sarà meno importante l’obiettivo di giungere alla collaborazione tra persone e ruoli diversi.
Si confida che a trarre beneficio dall’iniziativa saranno sia gli studenti universitari del gruppo, i detenuti e gli ex detenuti che da anni fanno parte della squadra, i familiari delle vittime della criminalità sia gli studenti delle scuole dove portiamo la nostra esperienza e i giovani detenuti di San Vittore e del IPM Beccaria (destinatari che nelle nostre previsioni dovrebbero diventare essi stessi co-protagonisti della ricerca) .

I sentieri dell’arroganza

Caterpillar Radio RAI2 19/03/24

Signori, presto ci separeremo. Per qualche tempo io sarò con i miei due fratelli, dei quali uno sarà deportato e l’altro giace malato, in pericolo di morte. Ma ben presto lascerò questa città e, forse, per molto tempo. Stringiamo un patto qui presso il macigno di IlJusa: che non ci dimenticheremo prima di tutto di Iljuseeka e poi l’uno dell’altro. E qualunque cosa ci accada in futuro nella vita, anche se non dovessimo incontrarci per i prossimi vent’anni, dobbiamo sempre continuare a ricordare il giorno in cui abbiamo sepolto il povero ragazzo, al quale in passato avevamo tirato i sassi presso il ponticello – ve lo ricordate?- e di come poi abbiamo tutti preso ad amarlo. E, per quanto possiamo essere impegnati in cose della massima importanza, per quanto possiamo avere ottenuto grandi onori o essere precipitati in qualche grande disgrazia, in nessun caso dobbiamo dimenticare di come siamo stati bene un tempo, qui tutti insieme, uniti da un sentimento così nobile e buono, che ha reso anche noi, per il periodo in cui abbiamo amato il povero ragazzo, migliori forse di quello che siamo in realtà.

Aleksej da I Fratelli Karamazov

I Conflitti della famiglia Karamazov

 

Sui Sentieri dell’arroganza

I SENTIERI DELL’ARROGANZA

  • Venerdì, 10 maggio, Fondazione Clerici, Viale Lombardia 210, Brugherio,  10:00-13:00
  • Venerdì, 17 maggio, Fondazione Clerici, Viale Lombardia 210, Brugherio,  10:00-13:00
  • Mercoledì, 29 maggio, Teatro del carcere di Opera 10:00-13:00

I Sentieri dell’arroganza

Caterpillar 18/03/24

CATERPILLAR 18/03/24
Introduzione alla diretta del 19/03 dal Carcere di Bollate

Piero Dorfles propone una stringata sintesi dei Fratelli Karamazov nella puntata del 18/03/24 di Caterpillar

Con Massimo Cirri e Sara Zambotti
Regia di Francesca Dal Cero
A cura di Fabrizia Brunati

I Conflitti della famiglia Karamazov

Il terreno di coltura del parricidio

I Fratelli Karamazov è un romanzo che parla di scelta, di libertà, di Dio, di esigenza di un’autorità, facendo emergere questi temi dalle relazioni tra i quattro fratelli e dal rapporto dei fratelli con il padre, Fedor.

Fedor è un uomo egoista, che passa la vita a pensare a sé scialacquando il denaro e cercando in ogni modo di incrementare il proprio capitale. Dal suo matrimonio con Adelaida nasce Dmitrij, primo dei quattro fratelli. La donna, però, scappa abbandonando il figlio che, trascurato anche dal padre, viene cresciuto prima dal servo Grigorij e poi da un cugino della madre.

Fedor si risposa quindi con un’altra donna, Sofija: da questo matrimonio nascono Ivàn e Aleksej. La donna muore però precocemente e i bambini, ignorati dal padre e anche loro cresciuti dal servo Grigorij, si trasferiscono poi dalla vedova tutrice di Sofija.

L’ultimo dei fratelli Karamazov è Smerdjakov, tenuto in casa come un servo in quanto frutto di una relazione di una notte tra Fedor e una serva.

I quattro fratelli sono molto diversi l’uno dall’altro, ma tutti condividono l’odio e la disistima nei confronti del padre, nonché la sensazione più o meno apertamente espressa di sentirsi in credito con lui.

Il primogenito Dmitrij è quello che più assomiglia al padre: è aggressivo, vizioso, casinista, superficiale, spende molti soldi e si indebita. Tuttavia, è meno viscido e cattivo rispetto a Fedor, e alle volte si mostra persino generoso. Egli si sente fortemente in credito nei confronti del padre, ed è in aperto conflitto con lui in quanto sa che il padre ha utilizzato i soldi dell’eredità materna per degli investimenti di cui non lo ha reso partecipe. Ad acuire il conflitto tra padre e figlio è il fatto che si innamorano della stessa donna, Grusenka. La rabbia di Dmitrij si traduce in aperta violenza – verbale e fisica – nei confronti di Fedor.

Ivan, secondogenito, è un uomo colto, intellettuale, filosofo e contestatore. Anche Ivan odia il padre, ma in modo meno “fragoroso” ed apertamente violento rispetto al fratello maggiore: l’odio di Ivan diventa pensiero. Ivan si professa ateo, ma ha un evidente bisogno di fede; riflette molto su Dio e sul tema della libertà, confrontandosi con il fratello Aleksej. Il forte bisogno di riflettere su questi temi è strettamente legato all’esperienza d’essere stato abbandonato dal padre. In particolare, Ivan si interroga sul tema della libertà, mettendo in luce una grande contraddizione: da un lato, l’uomo proclama di volere la libertà; dall’altro, ha bisogno di una guida, che necessariamente limita tale libertà in cambio di protezione e assistenza. Ivan ha bisogno di Dio e dell’infinito, ma lo rifiuta, e questa contraddizione lo fa soffrire: sostiene che senza l’eternità non possa esistere l’amore, che è possibile solo se si ha una guida che permetta di riconoscersi nell’altro, e soffre in quanto lui non ha avuto tale guida che gli permetta di amare.

Aleksej è un giovane che decide di entrare in convento per diventare prete. Anche lui è stato abbandonato dal padre e ha vissuto gli stessi traumi dei suoi fratelli; tuttavia, tramite la religione e la fede è in grado di trasformare l’odio in una ragione per elevarsi e perdonare, per migliorarsi. Gli altri fratelli si confidano con lui, grazie al suo atteggiamento accogliente e tollerante. In monastero, Aleksej si lega fortemente allo starec Zosima, che diventa per lui la guida e il punto di riferimento che Fedor non è riuscito ad essere: Aleksej è il prodotto dell’assenza di suo padre, la quale lo porta a ricercare un punto di riferimento in qualcuno che non è lui, sottraendosi dai conflitti e svincolandosi dal peso dell’odio.

Smerdjiakov prova un forte senso di rancore nei confronti del padre e dei fratelli, in quanto non viene riconosciuto come figlio, si sente respinto. A differenza degli altri, non esterna mai il suo odio nei confronti del padre, ma lo accumula internamente.

All’inizio del romanzo Fedor, per cercare di risolvere il conflitto con Dmitrij, propone ad Aleksej di recarsi presso il monastero, davanti allo starec Zosima e alla presenza dei tre fratelli legittimi, per rimettere allo starec il giudizio sulla disputa, in un incontro chiarificatore. In questa occasione, però, esplode un forte scontro verbale tra Fedor e Dmitrij.

I conflitti sul denaro e per l’amata Grusenka continuano tra i due in modo aperto, con aggressioni e minacce da parte del figlio. Per questo motivo, quando Fedor viene trovato morto nella sua abitazione, la polizia arresta Dmitrij, accusandolo dell’omicidio. Ma a commettere l’omicidio è stato in realtà Smerdjacov.

L’ultima parte del romanzo si concentra sul processo a Dmitrij e sull’analisi psicologica dei personaggi, in particolare sul tormento interiore di Ivan che – parlando con Smerdjacov – si convince della propria responsabilità nell’accaduto.

Infatti, anche se non hanno materialmente commesso l’omicidio, Dmitrij e Ivan sono corresponsabili: Smerdjacov non è altro che la mano che uccide, ma viene influenzato dai due fratelli.

Dmitrij non ha commesso il delitto però lo ha pensato: vuole morto il padre e afferma esplicitamente l’intenzione di ucciderlo per avere il denaro, se necessario. Ivan, invece, influenza Smerdjacov, condividendo con lui la filosofia secondo cui in un mondo senza Dio “tutto è permesso” e lasciando intendere che non è contrario all’omicidio: Smerdjacov ammonisce Ivan, suggerendo di non partire perché teme che Dmitrij abbia intenzione di uccidere il padre quella notte, ma Ivan decide di partire lo stesso, facendo intendere un suo assenso per la morte di Fedor.

Dopo aver parlato con Smerdjacov, Ivan crolla, auto-accusandosi dell’omicidio, ma nel pieno di un delirio, quando confessa la propria responsabilità durante il processo, non viene creduto.

Dmitrij viene quindi condannato ai lavori forzati, ma comincia a maturare in sé un “uomo nuovo”, che può risorgere anche attraverso la punizione: accetta la condanna e si avvicina alla fede.

Smerdjacov, invece, si toglie la vita impiccandosi.

Durante la fase processuale, emerge l’intento di Dostoevskij di ricondurre la responsabilità di un evento non solo al singolo, ma al più ampio contesto, all’ambiente: come suggerito dal delirio di Ivan e dagli avvocati difensori di Dmitrij: il gesto finale è il risultato del terreno in cui viene coltivato.

Olivia Serio

I Conflitti della famiglia Karamazov

Sintesi sui quattro fratelli Karamazov

Fëdor Pavlovič Karamazov è un uomo strambo, ottuso ma furbo, che vive una vita di vizi e sperperamenti. Ha quattro figli da tre donne diverse, con nessuno dei quali svolge la propria funzione di padre. Tutti i fratelli rimangono orfani della madre, e a tutti viene negato il bisogno di essere accuditi. Ciascuno di loro ha il proprio modo di vivere i conflitti col padre:

Dimitrij è un giovane di 28 anni, nato dal primo matrimonio di Fëdor Pavlovič, e da lui abbandonato alla morte della madre. Cresce senza la possibilità di accedere agli studi, e accusa il padre di averlo derubato della sua eredità materna. Mitja e il padre si sentono reciprocamente in credito, ed entrambi rispondono al conflitto alimentandolo con la violenza. Nonostante il suo odio nei confronti della figura paterna, completamente assente durante la sua infanzia e che adesso pretende da lui soldi e rispetto, Mitja è quello, tra i quattro fratelli, che meglio incarna le caratteristiche di Fëdor Karamazov; anche lui infatti, come il padre, conduce una vita piena di eccessi e, sostanzialmente, autodistruttiva. Oltre ai conflitti di natura finanziaria, Dimitrij e il padre si innamorano della stessa donna, e sarà questo che spingerà il ragazzo ad aggredire e più volte a minacciare di morte il padre.

Ivan è un ragazzo di 24 anni, primo dei due Karamazov nati dal secondo matrimonio di Fëdor. Dopo essere rimasto orfano della madre e abbandonato dal padre, ha la possibilità di accedere agli studi, frequentando il ginnasio e l’università. A differenza di Mitja, Ivan non materializza mai il suo odio nei confronti del padre, e ciò gli impedisce di trovare pace. Trasferisce la sofferenza derivante l’abbandono da parte della figura paterna sulla figura di Dio; da essa si sente tradito come si sente tradito dal padre. Ivan indaga incessantemente sulla necessità dell’uomo di avere una guida che lo accompagni nella sua (apparente) libertà, guida della quale lui si è sentito doppiamente privato. Allo stesso tempo, sente la necessità di trovare un modo per amare senza dover ammettere l’esistenza dell’eternità, di una figura di riferimento che lo accompagni nell’amore. Nonostante abbia passato la sua vita negando la propria relazione col padre e con Dio, sente l’esigenza di riconoscerli e di riconoscersi in loro.

Aleksej, fratello di Ivan e figlio della seconda moglie di Fëdor, è un ragazzo di 20 anni; a differenza degli altri fratelli, compensa l’assenza della figura paterna attribuendo allo starec Zosima (figura più alta del monastero nel quale prende i voti) la funzione di guida. Apparentemente il più tranquillo e pacifico dei quattro Karamazov, Alëša si isola nel monastero per sottrarsi ai conflitti che, in realtà, vive come gli altri. Così facendo, si svincola dal peso dell’odio, evitando di affrontarlo, ed è lo stesso Starec ad ordinargli di tornare nel mondo reale per dare ai suoi sentimenti la possibilità di manifestarsi.

Smerdjakov, ragazzo di circa 24 anni, è figlio illegittimo di Fëdor Pavlovič, nato dalla relazione con una donna del paese; cresciuto dalla famiglia del servo Grigorij, non viene mai riconosciuto dal padre. Smerdjakov è riservato e rancoroso, definito ‘’misantropo’’ dal padre adottivo; egli passa la sua vita sopportando i conflitti col genitore, accettando di fargli da servo nonostante gli venga negata la possibilità di avere un padre. É proprio Smerdjakov che, dopo essere entrato in contatto con gli altri fratelli e leggendo in loro l’odio che li accomuna (in particolare a seguito di una discussione col fratello Ivan), uccide il padre. A seguito del parricidio si suicida, subito dopo aver attribuito ad Ivan la responsabilità dell’omicidio da lui compiuto (definendolo la mente che ha guidato le sue mani).

Beatrice Ajani

I Conflitti della famiglia Karamazov

Gli intrecci della famiglia Karamazov

“I fratelli Karamazov” è un libro di Fëdor Dostoevskij, autore russo vissuto nell’Ottocento e di importanza internazionale. Vi si narra la storia dei quattro fratelli Karamazov e del loro complesso rapporto con il padre Fëdor.

A ben guardare, le difficoltà emergono nei rapporti con la figura paterna in generale, non solo con il loro comune padre biologico. Ciascuno dei quattro fratelli, infatti, per fuggire ora dall’insofferenza nei confronti di un padre inconsistente, ora dalla rabbia verso un padre volontariamente deludente, si rifugiano ciascuno nella ricerca di una figura che possa sostituirlo.

Dmitrij è il primogenito, figlio della prima moglie di Fëdor Karamazov, ed è il più apertamente in conflitto col padre. Che sia a causa di denaro, dell’amore per la stessa donna o dell’affetto mai ricevuto dal padre stesso, i conflitti con quest’ultimo sono sempre accesi. Burrascoso, facilmente violento e senza freni inibitori, Dmitrij è forse il figlio che ha il rapporto più “sano” col padre, proprio perché non nasconde la propria aperta e profonda avversione nei suoi confronti.

Ivan, secondogenito e figlio della seconda moglie di Fëdor Karamazov, è il fratello intellettuale. Si dedica alla scrittura e a ragionamenti sui massimi sistemi, pur di sfuggire alla brutalità della realtà materiale. Non a caso, le sue riflessioni più dolorose riguardano proprio la fede e Dio, cioè quanto di meno materiale ci sia. Ivan cerca disperatamente una figura paterna che possa sostituire Fëdor, ma per Ivan Dio non si comporta in modo adeguato o semplicemente non esiste. Ivan si rifiuta di accettare un disegno superiore di bene in cui possa rientrare il dolore degli innocenti, così, pur rinunciando all’idea di eternità, cerca riagganciare l’amore e l’idea di amore per l’uomo in quanto tale. I conflitti di Ivan col padre sono perlopiù interni e non sempre esplicitati, ma non per questo meno intensi.

Alëša, figlio della stessa madre di Ivan, è il fratello minore. Viene presentato come quello più in pace con sé e con il padre, ma ciò è dovuto unicamente al fatto che non riconosce più Fëdor come il suo vero unico padre. Non soltanto, infatti, è interamente proiettato nella dimensione spirituale della fede (riconoscendosi quindi innanzitutto figlio di Dio e non di Fëdor), ma si è anche totalmente affidato allo starec Zosima, guida spirituale che supplisce egregiamente alle mancanze del vero padre di Alëša. Egli, in apparenza più risoluto e disteso nei suoi rapporti con chi e quanto lo circondano, riesce in ciò solo tentando di fuggire dai conflitti del mondo. Inizialmente rinchiusosi in monastero, sarà grazie allo starec Zosima che inizierà realmente a vivere il e nel mondo, con una buona parte dei conflitti interiori che ciò comporta.

Smerdjakov è l’ultimo dei fratelli Karamazov, figlio illegittimo e non riconosciuto di Fëdor, avuto da una donna che viveva per strada e morta di parto. Nato (letteralmente) in una latrina, cresciuto da uno dei servi di Fëdor ed educato ad essere tale, cioè al servizio del padre e poi dei fratelli, soffre di epilessia ed è la figura più oscura tra i quattro. Si tratta del figlio nei cui confronti il padre e la vita hanno il debito più consistente, ma che, nondimeno, sembra riuscire a mascherare meglio o a convivere apertamente con il suo stabile disagio nei confronti del mondo intero. Sarà proprio lui l’assassino del padre e morirà suicida.

Il romanzo contiene al suo interno narrazioni e riflessioni che avrebbero potuto costituire libri autonomi, come “Il Grande Inquisitore”, poema scritto da Ivan.

“I fratelli Karamazov” è la storia dei complessi e dinamici intrecci tra i membri della famiglia Karamazov, che guidano anche i loro rapporti con tutte le figure circostanti, ognuna delle quali resterà, in misura diversa, incastrata in tali nodi e intrichi. Le complessità dei rapporti umani, il peso della responsabilità collettiva, il senso di colpa dovuto non ad atti ma a intenzioni, il peso e il dolore della fede e dell’assenza di fede, la difficoltà di intendere cosa sia e come vivere la libertà, l’elaborazione di dolori diversi per origine e intensità, l’inquietudine del dubbio. In questo romanzo c’è proprio tutto.

Elena Tribulato

I Conflitti della famiglia Karamazov

Sisifo, l’adolescente, l’autorità

Dagli incontri in carcere e in sede su “i percorsi dell’arroganza”

Nell’uso comune del termine, quando si parla di arroganza si fa riferimento ad un tratto individuale: si definisce arrogante una persona prepotente, che si crede migliore degli altri o che indossa una maschera per nascondere la propria fragilità.

È possibile e utile, però, inquadrare l’arroganza in termini relazionali, in particolare, come tratto caratterizzante una comunicazione conflittuale tra il soggetto e la sua autorità di riferimento, tratto che diventerà facilmete nel tempo una modalità distintiva della comunicazione tra il soggetto e l’immagine dell’autorità che egli ha interiorizzato.

Il tratto dell’arroganza emerge spesso in modo dirompente durante l’adolescenza, periodo in cui l’autorità con cui il soggetto si confronta è prevalentemente quella genitoriale: il ragazzo ha bisogno di affermare a sé e al mondo la propria indipendenza, di emanciparsi, ma, al contempo, ha la necessità di sentirsi protetto e di interfacciarsi con una guida credibile che lo supporti nella crescita.

L’adulto può rispondere in modi diversi alle azioni del ragazzo: quando quest’ultimo si confronta con un’autorità respingente, non in grado di rispondere al suo bisogno di protezione e di essere accompagnato nel suo percorso di crescita e di affermazione di sé, si consolida l’arroganza. 

In una situazione di questo tipo l’autorità inizia ad essere vista come un persecutore, l’adolescente si carica di rabbia e, nella fantasia più o meno fondata di dover lottare per ottenere il riconoscimento della propria identità e del proprio valore, trasforma la propria rabbia in arroganza. Questa potrà poi essere diretta verso l’interno, provocando danni a sé stesso (come nel caso, ad esempio, dell’autolesionismo o della tossicodipendenza), oppure verso l’esterno, aprendo la strada al comportamento anti-sociale e all’abuso.

Quando l’adolescente si sente respinto dall’autorità, egli è indotto a soddisfare il proprio bisogno di appartenenza e di essere riconosciuto altrove, tendenzialmente nel gruppo di pari: soprattutto per chi cresce in contesti degradati, diventa quindi facile che l’emergere dell’arroganza porti a commettere reati e, di conseguenza, a ridefinire la propria identità in termini di “persona autorizzata a commettere abusi”. 

Il tema dell’arroganza e del suo divenire è quindi strettamente legato sia al periodo dell’adolescenza, sia al tema della delinquenza. La centralità di questo tema è rintracciabile in numerose opere d’arte, nella letteratura, nella musica, nella mitologia, e può quindi essere utile rivolgersi a tali opere per riflettere sui diversi possibili modi di porsi nei confronti dell’arroganza e di elaborarla.

Si può fare riferimento, in tal proposito, al mito di Sisifo e alla elaborazione teatrale che ne ha realizzato il Gruppo della Trasgressione: Sisifo è un adolescente deluso e arrabbiato, che si sente abbandonato dall’autorità, trascurato e respinto da chi avrebbe dovuto proteggerlo. È proprio in conseguenza a questo senso di abbandono che emerge l’arroganza del giovane re di Corinto, il quale non si accontenta più di ottenere l’acqua di cui aveva bisogno per risolvere il problema della siccità che sta distruggendo la sua città, ma pretende che Asopo, divinità delle acque fluviali che ha trascurato il proprio dovere verso la città, venga umiliato e sottomesso.

Sisifo, nella rappresentazione teatrale che ne viene fatta dal Gruppo della Trasgressione, è un adolescente come molti altri, le cui caratteristiche trascendono il tempo e lo spazio, e che può essere ben utilizzato per riflettere su questi temi: come molti giovani, si sente abbandonato dall’autorità, e ciò lo porta a sviluppare un senso di rivalsa e di aggressività, a usare la violenza per ottenere ciò di cui ha bisogno e a sentirsi in diritto di squalificare l’autorità e persino di umiliarla.

Olivia Serio

I percorsi dell’arroganza