Con l’AVIS il sangue per un altro scopo

Milano, 27 giugno 2017

Spettabile AVIS,

parecchie volte abbiamo sentito appelli in radio o in TV con cui invitavate i cittadini a recarsi presso i vostri centri di raccolta a donare il sangue. Non potendo venire da Voi, in quanto detenuti presso il carcere di Opera, con la presente Vi chiediamo di organizzare, qui all’interno dell’istituto, una giornata nella quale alcune decine di detenuti componenti del Gruppo della Trasgressione possano vivere questa esperienza di civiltà e di responsabilità.

Sappiamo che in passato le istanze individuali di alcuni detenuti non hanno ricevuto risposta da parte Vostra; forse esiste una regola che lo vieta. In ogni caso, dopo avere raccolto numerose richieste dei nostri compagni di detenzione e dopo aver consultato la direzione dell’istituto dove siamo detenuti, abbiamo pensato di rivolgerci a Voi con una lettera collettiva per chiederVi, oggi che abbiamo maggiore coscienza delle nostre responsabilità, di poterle onorare.

Come forse sapete, il Gruppo della Trasgressione, grazie alla mediazione del Rotary club Milano-Duomo e del PRAP (Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria) da un paio di anni ha una fattiva relazione con la Croce Rossa Italiana. Molte persone del nostro gruppo, infatti, hanno frequentato il corso di “Primo Soccorso” e ottenuto il relativo attestato e alcuni di noi hanno anche seguito il corso di “Operatore Sociale Generico” e hanno completato proprio in questi giorni il tirocinio per il “soccorso in città” verso i diseredati e i senza tetto.

Per noi sarebbe un onore poter organizzare una giornata AVIS all’interno del carcere di Opera, ormai definito un gioiello di emancipazione e di recupero dei detenuti, grazie ai corsi formativi ed artistici, tra i quali eccelle il nostro gruppo. Inoltre pensiamo che, anche per voi, questa iniziativa potrebbe avere un alto valore simbolico, poiché la presenza di un vostro pullman all’interno adibito alla raccolta sarebbe come affermare che… anche in mezzo agli ultimi si possono scorgere scintille… anzi, gocce di umanità e di senso civico!

Sarebbe bellissimo organizzare una vera domenica di festa nella quale presentare tutti i progetti AVIS e tutte le iniziative del Gruppo della Trasgressione, invitando le Istituzioni Pubbliche e le famiglie, trasformando un luogo di detenzione in un centro di costruzione, di reciproco riconoscimento e di mutuo soccorso.

Molti detenuti vedono in questa possibilità un’occasione per risarcire, almeno in piccola parte, quella società che hanno ferito. Ogni atto o fatto umano lascia tracce nella memoria delle persone e dei luoghi in cui accadono… vi chiediamo quindi di aiutarci a lasciare tracce del nostro passaggio diverse da quelle che hanno contraddistinto il nostro passato.

Cordialmente,
Il “Gruppo della Trasgressione

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Nicola Petrillo, il liutaio

Nicola Petrillo è liutaio presso il laboratorio “Casa dello spirito e delle arti”, interno alla Casa di Reclusione Milano-Opera, dove sta scontando una condanna all’ergastolo.

Nasce nel 1960 a Tricarico (Matera) da genitori contadini, trasferitisi a Milano nel 1967 con l’obiettivo di un lavoro stabile e un futuro migliore per i propri figli. Frequenta le scuole dell’obbligo con scarsi risultati: bocciato sia in seconda elementare che in seconda media, dopo essere stato sospeso per tutto l’anno scolastico, ottiene il diploma di terza media come privatista per gentile regalo del preside, con la promessa di non farsi più rivedere.

Già alle elementari era un bambino problematico, arrogante e prepotente con i compagni di classe e con i professori e dedito a piccoli furti. Alle medie la sua fama di bullo era nota in tutta la scuola e nel quartiere. In continuo conflitto con il padre, autoritario, manesco e alcolizzato, giunge presto alla sua squalifica come guida. Spinto dalla rabbia e dall’odio verso tutte le figure istituzionali, viene facilmente sedotto dal guadagno facile.

Appena compiuti i quattordici anni, fa la prima esperienza nel carcere minorile Beccaria, per ritornarci ancora qualche anno dopo. Nonostante avesse trovato un lavoro come tornitore, svolto poi per più di vent’anni, entra nel carcere di San Vittore ancora nel 1981, dove sconta otto mesi per tentato furto. Nell’82 prende tre anni per una tentata rapina e possesso di armi; nell’86 altri quattordici mesi per spaccio.

Ormai contagiato dal “virus delle gioie corte“, nemmeno il matrimonio con una ragazza onesta, avvenuto nel 1988, e la nascita della figlia l’anno successivo riescono a guarirlo dal delirio di onnipotenza. Col passare degli anni, si dedica ad azioni sempre più rischiose e si allontana sempre più dai propri simili.

Nel maggio del 1999, durante una rapina a un furgone portavalori, contribuisce a togliere la vita ad un poliziotto di 27 anni (Vincenzo Raiola) che interveniva in difesa dei cittadini. Per questo reato dopo due mesi viene arrestato e condannato in via definitiva alla pena dell’ergastolo. Dopo aver girato varie carceri della Lombardia, nel 2004 viene trasferito definitivamente nel carcere di Massima Sicurezza di Milano – Opera.

Nel 2007 accadde qualcosa d’ importante. Il divorzio dalla moglie e l’amore per la figlia, lo costringono finalmente a farsi delle domande, e ogni tanto a porsi anche quella giusta. Dopo un periodo di depressione, deciso a riprendere in mano la sua vita, si rimette in gioco. Nel giugno 2009, gli viene offerta la possibilità di partecipare a un corso di liuteria organizzato da Federica Della Casa, presidente della cooperativa Opera in Fiore, e finanziato dalla regione Lombardia.

La formazione era il meglio sulla piazza: la scuola cremonese. Petrillo  lavora così con grandi maestri del calibro di Valery Kondratoff Prilipko, che forse più di tutti gli trasmette la passione per questo lavoro. A seguire, Robert Glowaschi, che gli lascia le basi per la tecnica. Petrit Koopsaj gli insegna la precisione e le malizie del mestiere. Senza dimenticare i preziosi insegnamenti di Luisa Vania Campagnolo.

Nell’ottobre del 2011, dopo un periodo di scarso lavoro per la mancanza di fondi per le materie prime e per l’assenza del maestro, colpito da uno stato ansioso per la frustrazione di non poter continuare ad imparare le ultime lavorazioni per il montaggio delle corde, le continue promesse non mantenute, con un forte conflitto interiore, rinuncia a proseguire la formazione di liutaio come volontario.

Dopo un periodo di ozio, casualmente sente parlare del Gruppo della Trasgressione coordinato dal Dott. Angelo Aparo; incuriosito dai discorsi di alcuni compagni decide di fare richiesta per essere inserito. Nell’ottobre del 2012 viene esaudita la richiesta. Dopo le prime difficoltà iniziali, acquistando fiducia nel gruppo e in se stesso, riscoprendo la propria fragilità, partecipa sempre più attivamente, ricostruendosi un nuovo scheletro e una nuova identità.

Ritrovato il proprio equilibrio grazie al Gruppo della Trasgressione, la passione trasmessa dal maestro Prilipko pulsa sempre più forte, nel frattempo il laboratorio di liuteria passa alla gestione della Casa dello Spirito e delle Arti presieduta da Arnoldo Mosca Mondadori. Nel gennaio 2014 chiede e ottiene di poter ritornare come volontario per acquisire le ultime tecniche di montaggio e l’arte della verniciatura degli strumenti. Nel febbraio 2015 torna a frequentare un corso di montaggio e verniciatura con il maestro Enrico Dell’Orto. Costruisce così il suo sesto strumento, ma il primo completo e verniciato: un Guarnieri del Gesù del 1743 mod. “Il Cannone” (così chiamato dal maestro Nicolò Paganini per il suo suono).

Ad oggi Nicola Petrillo ha costruito in tutto 12 strumenti, concedendosi il lusso di inventare un nuovo modello chiamato “Il Milanese”, al momento in fase di costruzione.

Attualmente frequenta il Gruppo della Trasgressione con impegno; da tre anni partecipa attivamente alla prevenzione della devianza, andando nelle scuole a portare la propria esperienza negativa, parlando ai ragazzi di bullismo, tossicodipendenza, spaccio e conflitti con le autorità. Frequenta corsi di criminologia e mediazione dei conflitti con l’Università Bicocca in qualità di tutor. Collabora con l’Istituzione carceraria come componente della Commissione Detenuti, al fine di migliorare la vivibilità nell’Istituto. Lavora dal 2012 come volontario bibliotecario. Fa parte della redazione del giornalino “Prospettiva Oltre” realizzato nell’istituto.

Il suo sogno nel cassetto: aprire un laboratorio di liuteria all’esterno e vivere con i guadagni del suo lavoro.

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Una giornata magica

Sono Pasquale Fraietta e oggi voglio raccontarvi di una giornata speciale, non solo per condividerne le emozioni, ma anche per augurare la realizzazione di un sogno a chi, come me, aveva smesso a un certo punto di sognare per lasciare spazio al delirio.

Ecco quanto di magico è accaduto a una bambina di 10 anni. Il papà di questa bambina, già al mattino, aveva dovuto assumere un calmante per attenuare la tensione. Era uscito dal carcere di Opera, accompagnato da due gentilissimi signori e da una straordinaria donnina, tutte e tre persone che dedicano parte della loro vita ad aiutare il prossimo, in particolare, quel prossimo che nel suo scellerato cammino, la vita l’ha offesa e violata.

Nonostante gli sforzi per giungere in tempo, la celebrazione del Sacramento della Prima comunione aveva avuto inizio con Marianna, unica fra i bambini, senza i genitori a fianco, visto che il papà era in viaggio e la mamma fuori dalla porta della chiesa ad attenderlo.

La Chiesa era gremita di persone e forse qualcuna di loro si chiedeva dove fosse finita la madre di quella bambina o dove fosse il padre che nessuno aveva mai visto prima. Ma a un certo punto il sacerdote fa segno a Marianna di girarsi e anche lei vede dietro le sue spalle papà e mamma con gli occhi lucidi. Sembra una fiaba, ma come per miracolo, è diventata una bellissima realtà per Marianna e per l’intera famiglia, coro compreso.

Ha dato un contributo al colore della giornata anche Il dottor Aparo, giunto con il suo solito ritardo a festeggiare a casa e a parlare con i suoi modi abituali dei sapori antichi di quel c’era a tavola e attorno alla tavola, proprio come facciamo col Gruppo della Trasgressione dentro e fuori dal carcere.

L’unica nota decisamente negativa è stata l’assenza della mia mamma, perché ricoverata in ospedale. Non ho potuto riabbracciarla.

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Adesso sono libero davvero

Angelica Chirulli, Matricola: 801098
Corso di studio: Scienze e tecniche psicologiche
Tipo di attività: Stage Esterno
Periodo: dal 05/04/2017 al 31/05/2017
Titolo del progetto: Adesso sono libero davvero

Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

È difficile descrivere tecnicamente il lavoro che ho svolto durante questo tirocinio. È stata un’attività del tutto inaspettata, sorprendente e anticonvenzionale. Ho trascorso queste 100 ore all’interno di un gruppo composto da detenuti, ex detenuti, studenti e liberi cittadini, discutendo di argomenti importanti e non scontati; abbiamo riflettuto su concetti come la libertà, la trasgressione con le sue premesse e le sue conseguenze di voglia di potere, di fragilità, di pentimento e desiderio di ricominciare.

Sono argomenti che non riguardano solo i detenuti. Ognuno di noi, infatti, si ritrova negli temi discussi con il gruppo, mettendo in gioco le proprie fragilità, trasgressioni piccole o grandi, manifeste o implicite.

Gli incontri avvengono in corso Italia in una sede ATS e nelle carceri di Opera e Bollate. È stata recentemente inaugurata un’altra delle attività ideate dal gruppo e resa possibile grazie alla loro forza di volontà e voglia di costruire: da un terreno abbandonato è stato creato uno spazio piacevole e ben curato, messo a disposizione dei cittadini del quartiere e non solo. Uno spazio in cui famiglie, bambini e ragazzi possono incontrare più da vicino il mondo della trasgressione.

Alcuni detenuti fanno prevenzione al bullismo nelle scuole, parlano di devianza e raccontano la propria storia cercando di fare in modo che i ragazzi si rendano conto di quali sono le conseguenze, spesso sottovalutate, delle proprie azioni.

Non credo si possa individuare un approccio teorico di riferimento: il nostro coordinatore, il dott. Angelo Aparo, ha un modo del tutto innovativo di fare psicologia e di insegnare, se di questo si può parlare. Allo stesso modo chi partecipa ai diversi incontri non arriva con un’idea di quello di cui si tratterà o delle conclusioni che verranno fuori: è tutto oltre gli schemi convenzionali che normalmente si potrebbero immaginare parlando di un tirocinio guidato da uno psicoterapeuta.

Lo scopo quotidiano che il gruppo si propone è quello di servirsi della conoscenza, dello studio, della filosofia, della letteratura, della cultura in genere, per discutere di temi importanti della vita, per portare tutti i partecipanti alla riflessione innanzitutto su se stessi, ma anche sulla società, sul mondo e sulle relazioni che ogni giorno ci definiscono.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Lo studente tirocinante è parte integrante del Gruppo della Trasgressione. A differenza degli altri tirocini non è posto lì su una sedia ad osservare, ascoltare o servire qualcuno con più competenze. Uno studente del Gruppo è chiamato in prima persona a mettersi in gioco, spogliarsi delle proprie armature, rispondere alle provocazioni lanciate durante la discussione.

Chi partecipa al gruppo si cimenta nella discussione critica degli argomenti trattati e dice la propria sulle questioni proposte. Non sono argomenti che si esauriscono nella durata dell’incontro, ma sono quesiti che ci si porta dietro per tutta la giornata o settimana, ciascuno cercando di ricavare quella verità profonda più adatta alle proprie esigenze.

Ci è stato chiesto anche di partecipare ad alcune delle attività esterne del gruppo. Abbiamo aiutato i detenuti a vendere frutta e verdura ad una bancarella su un terreno bonificato dai detenuti stessi. Il nostro compito però non si limitava a quello di fruttivendoli o giardinieri: abbiamo parlato con i cittadini del quartiere del Gruppo della Trasgressione, delle tante proposte in ballo, della nostra esperienza al gruppo e della forza di volontà che ha mosso molti di noi in questo progetto. La festa di inaugurazione organizzata nei giorni scorsi è stata la prova di un corretto compimento di questo proposito: la gente è arrivata incuriosita ed è tornata a casa divertita dalla buona musica, dai discorsi, dagli interventi e dalle iniziative portate avanti dal gruppo.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Per tutto il tempo del tirocinio, gli strumenti che abbiamo avuto a disposizione erano la nostra testa per ragionare e la nostra parola per esprimere quello che abbiamo sentito, non lasciandoci fermare dai pregiudizi o preconcetti. Tutto era lì per arricchirci, per guardarci dentro e per portare alla luce quello che abbiamo scacciato, tenuto nascosto o su cui non ci siamo mai soffermati più di tanto a riflettere.

I detenuti hanno raccontato le loro storie in modi differenti: si sono confrontati con ragazzi del liceo, hanno tirato fuori il loro lato più mostruoso, quello che difficilmente si vede nella realtà di ogni giorno. Si sono rivelati nudi e fragili, mostrando tutta la loro umanità anche in questo: un’umanità alla quale non si può credere se non la si vede con i propri occhi. Si sono inoltre espressi attraverso il teatro, nella rappresentazione del mito di Sisifo: una rappresentazione senza copione, dove ognuno di loro ci mette del proprio, dove ognuno si riconosce nel personaggio che rappresenta sul palco davanti a centinaia di persone. Improvvisano, riversando nella performance tutto il loro essere, le loro emozioni, le loro motivazioni e tutto ciò che hanno imparato negli anni.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Il coordinatore del gruppo, il prof. Aparo, è sicuramente una delle persone più ricche di conoscenze che io abbia incontrato nella mia ancora breve vita. È un uomo che difficilmente si arrende davanti alle cose. Qualsiasi spunto, anche quello che può sembrare il più banale, diventa fonte di discussione, di riflessione, di coinvolgimento al 100% delle nostre capacità emotive e non solo. Chiunque intesse un rapporto con lui sa che alla base vi è totale sincerità e schiettezza, che se guardata solo superficialmente può sembrare dura, fastidiosa o offensiva, ma in realtà è questo l’elemento che rende effettivamente due amici tali: la totale libertà di trattarsi con lealtà. Toccare quello che ci fa più paura o quello che riteniamo essere per noi inviolabile ci fa sentire di più parte del mondo in cui viviamo, più sinceri con chi ci è vicino e più svincolati dalle gabbie da noi stessi imposte.

È grazie a questa sincerità che il gruppo cresce e si arricchisce di persone che invece di sentirsi offese da questo atteggiamento, ne riconoscono il bene sincero e spesso decidono di restare per crescere e guardarsi con la stessa onestà con cui lui guarda ognuno dei partecipanti.

 

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Ho imparato cos’è l’articolo 21, ho più o meno capito come è organizzato un carcere e ho scoperto cos’è la vera contentezza quando ho visto un detenuto ricevere la chiamata che lo informava dell’inizio del suo affidamento sociale. Ma tanto altro oltre questo. Ogni minuto passato al gruppo è un aumento di conoscenze dalla letteratura alla filosofia, alla psicologia e allo studio della devianza. Non era scontato tornare a casa con una risposta, anzi spesso il gruppo ha contribuito ad affollare nella testa altre domande, altri dilemmi a cui probabilmente nessuno potrà dare una risposta, ma il fatto stesso di aver posto l’attenzione su determinati argomenti mi ha migliorato e aperto la mente su alcune questioni. Ho inoltre imparato che niente è definitivo e che nella vita si può cambiare totalmente e in tutti i sensi possibili

 

Abilità acquisite (tecniche, operative, trasversali)

Nel periodo trascorso con il gruppo ho avuto la possibilità di conoscere un modo del tutto nuovo di parlare, fatto di parole spesso non semplici da comprendere e con più significati, ma anche un modo di comunicare fatto di silenzi. Ho imparato a osservare e a stupirmi; ho imparato a lasciarmi istruire da tutto, ad ascoltare e, anche se spesso mi è ancora difficile, a giungere al nocciolo delle questioni, rielaborare delle mie opinioni e organizzare un discorso in modo da risultare chiaro a tutti. Ma su questo c’è ancora un bel po’ da lavorare

 

Caratteristiche personali sviluppate

In senso pratico non so in cosa sono cambiata. Vorrei poter dire di aver imparato ad ascoltare anche quello che non viene detto, di leggere fra le righe, percepire emozioni ed espressioni, ma questo lo scoprirò solo con il tempo. Ho sicuramente ancora più in mente quali sono i miei limiti e quali strumenti ho per superarli in senso costruttivo. Ho imparato che le critiche sono utili e possono servire a migliorarsi (e per una permalosa come me averlo capito è un grandissimo passo in avanti).

La fine di questo tirocinio non corrisponde alla fine di un percorso, come un libro da chiudere e riporre in libreria. È invece solo lo schizzo iniziale di quello su cui c’è da impegnarsi davvero, un abbozzo di quello che ho in mente per me e di quello che voglio essere

 

Altre eventuali considerazioni personali

La sfida di questo tirocinio è stata quella di esserci con la testa più che mai, esserci tutta al 100%. Con le parole non sono mai stata brava, né sono abituata a dire la mia: anche quando mi viene chiesto di farlo, faccio particolarmente fatica a sentirmi sicura di quello che ho da dire o ad esprimerlo in modo chiaro. Il prof in questo è stato un grandissimo esempio. Lo abbiamo sentito “fare l’amore con le parole”, riconoscere il bisogno della persona che si ha davanti e soddisfarlo così, con naturalezza e spontaneità.

Con il Gruppo ho imparato che ognuno conserva dentro uno scheletro posto in chissà quale botola recondita del nostro cuore, un esserino misterioso che tentiamo di nascondere anche se cerchiamo di convincerci che non è così e che siamo indistruttibili. Con i detenuti questo emerge chiaramente. Chi decide di parteciparvi sa che queste debolezze vanno tirate fuori, per conoscersi meglio: solo così lo stare al mondo diventa sincero, oltre a rendere più veri noi stessi.

Concludo con una parte di un discoro espresso al gruppo qualche giorno fa che mi ha davvero colpita perché secondo me esprime chiaramente l’aiuto che i partecipanti del gruppo vi hanno trovato: “il gruppo mi ha salvato. Mi dato la libertà mentale che va al di là dei confini della cella: mi ha aperto la mente. Non ho più il bisogno di imporre niente a nessuno perché adesso sono libero davvero

Il giorno nasce dalla notte oscura

Silvia Quattro, Matricola: 790108
Corso di studio: Scienze e tecniche psicologiche
Tipo di attività: Stage Esterno

Periodo: dal 01/04/2017 al 30/04/2017

Titolo del progetto:
TIROCINIO PRESSO “GRUPPO DELLA TRASGRESSIONE”

Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

Ho svolto la mia esperienza di tirocinio presso l’associazione e la cooperativa Trasgressione.net. Il Gruppo della Trasgressione, che definirei del tutto “rivoluzionario”, è composto da detenuti, studenti e cittadini sotto la guida del Dott. Angelo Aparo, ed è caratterizzato da un clima creativo e vitale nel quale coesistono differenti realtà. Gli obiettivi del gruppo riguardano:

  • l’intervento sul trattamento penitenziario ovvero come fare in modo che il rapporto con i limiti sia motivo di costruzione, di sviluppo e non di devianza;
  • la prevenzione del bullismo e della devianza, che avviene attraverso incontri tra detenuti e studenti (soprattutto adolescenti) nelle scuole;
  • la formazione dei tirocinanti e la creazione di un modello culturale nel quale detenuti, studenti e tirocinanti possano collaborare.

All’interno della realtà del gruppo, infatti, si assiste a tre percorsi diversi ma paralleli: l’evoluzione del condannato; la formazione dello studente universitario; la prevenzione alla devianza nei confronti degli adolescenti.

Per raggiungere tali obiettivi il gruppo si serve di molteplici strumenti, fra i quali spiccano in assoluto la cultura, il piacere di conoscere e il lavoro. A ciascun membro del gruppo è richiesto dunque di mettersi in gioco tanto nelle riflessioni quanto nelle attività più concrete.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Nel corso di questa esperienza ho cercato di apprendere il più possibile in ogni occasione. Ammetto che le prime volte che ho partecipato agli incontri ho fatto fatica ad entrare nelle dinamiche del gruppo; mi sono ritrovata con persone che non conoscevo, non sapevo bene cosa aspettarmi ed ero un po’ smarrita. Mi è servito del tempo ma devo dire che, una volta sintonizzata sulla frequenza del gruppo, è come se avessi scoperto un nuovo modo di vedere le cose.

Essendo un tirocinio poliedrico mi sono anche trovata a vendere frutta e verdura alla Bancarella allestita presso il terreno del “Coming Out” nel quartiere Barona di Milano, a consegnare nei locali cassette di frutta e a fare da cicerone con i clienti per raccontare le iniziative del Gruppo e far conoscere il suo spirito rivoluzionario.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Cosa si fa al Gruppo della Trasgressione? Beh di tutto e di più… si riflette, ci si esprime, si dialoga come accade in molti altri gruppi. L’eterogeneità del gruppo, data da età, cultura e ruolo dei suoi membri, dà luogo a una alchimia particolare grazie alla quale le diversità  diventano ricchezze, promuovono lo scambio di idee e la costruzione. Per far parte del gruppo l’unico requisito è avere una testa pensante ed essere disposti a indagare l’opera incompiuta che è l’essere umano. Cercare di capire le spinte che portano l’uomo alla devianza e alla regressione e quanto la presenza di uno “scheletro morale” dentro di noi invece ci indichi la strada del progresso; imparare ad ascoltare l’altro saper raccontare la sua storia in modo da riconoscerlo come fratello.

L’Associazione del Gruppo della Trasgressione si occupa anche di iniziative culturali come convegni, incontri con le scuole per la prevenzione al bullismo, rappresentazioni teatrali come il Mito di Sisifo. Una delle ultime conquiste del Gruppo è la bonifica del terreno del “Coming out” un luogo che rappresenta un punto di riferimento per il gruppo stesso, in quanto sede della bancarella di frutta e verdura della Cooperativa, e che speriamo diventi uno spazio di libera espressione anche per i cittadini del quartiere.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Guida e fondatore del Gruppo è il dottor Angelo Aparo, uno psicologo che lavora da circa 40 anni con i detenuti e ha creato con il suo “multiforme ingegno” il Gruppo della Trasgressione. Non posso fare a meno di associarlo alla figura di Ulisse che è stata anche oggetto di uno degli incontri a cui ho partecipato. In quella circostanza si era parlato di Ulisse come uomo della conoscenza, egli per amore della conoscenza è disposto anche a oltrepassare i limiti del mondo conosciuto, rappresentati dalle Colonne d’Ercole, sfidando cosi gli Dei e scatenando la loro ira. Anche nell’episodio delle sirene si riscontra la volontà di Ulisse di conoscere il fascino del canto delle sirene, egli infatti non esita a farsi legare all’albero della nave pur di raggiungere il suo obiettivo. D’altro canto però priva i suoi compagni di questa opportunità ordinando loro di tapparsi le orecchie. Nella mia mente il Gruppo della Trasgressione ha assunto le fattezze di un equipaggio che ha come guida il Dottor Aparo il quale utilizza la bussola della conoscenza, conoscenza che al contrario di Ulisse non tiene per sé ma condivide con il resto del gruppo. Ed è proprio perché vuole sapere quanto abbiamo capito dei suoi “sproloqui”- come lui li definisce- che non perde occasione di interpellarci e di scuoterci per vedere fino a che punto abbiamo compreso il suo messaggio e quali siano le nostre idee a riguardo. Lo stile del Dottor Aparo con noi studenti, per quanto mi riguarda, è una maieutica diretta, a volte incazzata, ma che ha sempre come obiettivo la nostra crescita come persone e studenti.

 

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Quando si pensa alle attività legate a scuola e Università si sa che le nozioni abbondano. Potrei dirvi che ho imparato che in Paesi Europei come Danimarca e Norvegia la pena dell’ergastolo non è contemplata, che Melanie Klein con le sue teorie psicodinamiche ha indagato il legame tra i comportamenti dei bambini e la devianza o che per concederti i permessi il carcere ci impiega mesi e mesi. Certo è che, seppur siano cose interessanti, non sono queste le conoscenze che sento di aver acquisito. Mi sento di dire che le mie conoscenze riguardano le persone con le quali ho iniziato e ora condivido un cammino che ho intenzione di proseguire, dato che sento di avere ancora molto da dare al gruppo.

 

Abilità acquisite (tecniche, operative, trasversali)

Partecipando al Gruppo della Trasgressione ho imparato a interrogarmi sempre, a mettermi in discussione e ad andare a fondo sulle questioni che si presentano nella vita di ogni giorno. Ho capito che spesso ci poniamo nei confronti dell’altro con un sacco di pregiudizi ma che bisogna guardare più lontano e trovare anche nel mostro quella parte di umanità che ci rende più simili di quanto pensiamo. Ho compreso che è importante ascoltare le fragilità altrui, per riconoscere le mie e che è giusto concedersi la libertà dei colori emotivi e quindi sperimentare ogni tipo di emozione.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Attraverso questo tirocinio sento di aver acquisito un nuovo modo di vedere le cose e di ragionare. In genere mi definisco e gli altri mi conoscono come una persona sicura di me, molto centrata sull’obiettivo; devo dire che nel gruppo è uscita la parte più timida di me e per me è stata un po’ una sorpresa. Riconosco di non aver mai parlato più di tanto di mia spontanea volontà non perché non avessi nulla da dire anzi… per questo spero in futuro di sfruttare al meglio l’opportunità che offre il gruppo per confrontarsi.

 

Altre eventuali considerazioni personali

Questa citazione la trovo particolarmente interessante e mi ha portato a riflettere su come debba rapportarmi con le mie crisi e volevo condividerla con voi del Gruppo. Finché saremo disposti a metterci in gioco e ad adoperarci per trovare soluzioni alle crisi non ci sarà mai una crisi di cui preoccuparsi!

Non pretendiamo che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi può essere una grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e disagi, inibisce il proprio talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza. Il più grande inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita ai propri problemi. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. L’unico pericolo della crisi è la tragedia che può conseguire al non voler lottare per superarla.” Albert Einstein

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Curiosità e arrovellamenti

Cecilia Braschi, Matricola: 788994
Corso di studio: Scienze e tecniche psicologiche
Tipo di attività: stage esterno

Periodo: dal 01/04/2017 al 30/04/2017

Titolo del progetto:
STAGE ESTERNO PRESSO “GRUPPO DELLA TRASGRESSIONE”

Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

Ho svolto il mio tirocinio presso il Gruppo della Trasgressione, un’associazione e cooperativa assolutamente innovativa e fuori dagli schemi ideata vent’anni fa dal dott. Angelo Aparo, psicoterapeuta che da quasi quarant’anni lavora all’interno delle carceri milanesi. Le attività del Gruppo sono molto variegate, ma tutte finalizzate al coinvolgimento ad un pari livello di detenuti, studenti universitari, adolescenti e liberi cittadini. Il Gruppo opera con le persone che vi partecipano, indipendentemente da età, status di detenuto o provenienza sociale, studiando e interrogandosi su tutto ciò che attiene alla sfera umana e relazionale, dal rapporto con le autorità al dialogo con se stessi, dal rispetto per gli altri al riconoscimento delle proprie fragilità, dal pericolo di cadere nella mediocrità all’importanza della relazione e tanto altro ancora.

Non so se il dott. Aparo abbia una corrente psicologica di riferimento, ma se dovessi definire l’approccio teorico/pratico adottato nel corso delle attività sicuramente lo etichetterei come “apariano” e niente di più. A chi non conoscesse il suddetto metodo lo spiegherei sintetizzandolo in tre parole: curiosità, arrovellamento e schiettezza, mentre per ulteriori dettagli suggerirei di partecipare in prima persona, perché solo così si può capire davvero.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Il ruolo richiesto a noi studenti è (tutt’altro che semplicemente) quello di partecipare ad ogni attività, quale che essa sia, dando il nostro personale contributo, cercando di metterci in gioco il più possibile e avendo il coraggio di mettere a nudo le nostre fragilità davanti agli altri membri del gruppo. Quest’ultimo aspetto è forse quello che viene maggiormente incoraggiato, poiché, sebbene possa sembrare destabilizzante per la persona, nei fatti è ciò che ci fa sentire vivi e uniti gli uni agli altri: un aspetto che mi ha colpito fin da subito nei detenuti è proprio il valore che attribuiscono al riconoscimento delle loro fragilità più profonde, riconoscimento che li rende più degni di stare al mondo invece che indebolirli. Ecco, da questo sforzo non è esente nessuno di noi, ognuno deve impegnarsi a tirar fuori ciò che di più profondo possiede, perché così facendo arricchisce il gruppo ma soprattutto se stesso. In un’accezione più pratica invece potrei aggiungere che nel mio ruolo rientravano compiti quali la stesura di verbali relativi alle attività svolte e la gestione di una bancarella di frutta e verdura di cui parlerò qui di seguito.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Le attività del Gruppo sono molto varie ed in continua evoluzione: alla base ci sono le discussioni che si svolgono tutte le settimane all’interno delle carceri di Opera e Bollate e in un ATS di Milano, momenti di studio, analisi e discussione di molte tematiche tra cui quelle prima citate. Sempre più consistenti e soddisfacenti stanno diventando inoltre le attività di prevenzione al bullismo e alla tossicodipendenza svolte nelle scuole, momenti in cui i detenuti insieme agli studenti offrono i racconti delle loro storie e crescite personali a ragazzi adolescenti che hanno già mostrato qualche segno di devianza, cercando di instaurare un sano rapporto di fiducia reciproca a due scopi: allontanare l’adolescente da un mondo che lo farebbe affondare e dare la possibilità al detenuto di ripagare in parte il danno commesso nei confronti del bene comune.

Recentemente alla cooperativa è stata affidata la gestione di un terreno in zona Barona a Milano che, ripulito e vivificato, oggi ospita la bancarella di frutta e verdura gestita dalla cooperativa stessa e mira a diventare luogo di ritrovo e libera espressione per detenuti, studenti, comuni cittadini del quartiere e non, ospitando eventi ed attività legati a teatro, musica, fotografia, orticoltura ecc.; il nome del terreno, “Coming out”, indica appunto la possibilità offerta da questo spazio di “venire fuori”, esprimersi liberamente e creativamente, superare la paura di esporsi.

Altra attività interessante coltivata negli anni dal Gruppo è la rappresentazione teatrale del mito di Sisifo, che per i temi affrontati ben si adatta alle vicende dei detenuti e infatti sono essi stessi ad andare in scena insieme agli studenti improvvisando di volta in volta le parti che vengono loro assegnate, proprio perché avendone studiato a fondo i significati non necessitano di alcun copione. Infine, non perché meno importanti ma semplicemente perché non vi ho mai assistito in prima persona, il gruppo svolge diverse attività di restauro a Milano e dintorni, al fine di trasmettere ai detenuti quell’idea di lavoro come gratificazione e costruzione personale, idea che in passato molti di loro avevano rifiutato scegliendo di vivere nella mediocrità.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Nonostante lui non ami identificarsi in tale figura, il coordinatore del tirocinio è stato il dott. Angelo Aparo, il quale, al di là di ogni definizione, si è rivelato una figura a tal punto “trasgressiva”, ispiratrice e quasi comica da aver in qualche modo segnato il mio percorso di formazione in quanto psicologa ma soprattutto in quanto persona. Ciò che fa continuamente, anche partendo dalle piccole cose, è di spingerci a riflettere oltre i normali limiti e le frettolose conclusioni cui si giunge la maggior parte delle volte. Innumerevoli sono state le occasioni in cui, in seguito alla riflessione di un qualsiasi membro, lui ha risposto senza tanti complimenti “no, non sono d’accordo” e con tutta la calma e le parole necessarie ha accompagnato tutti noi un po’ più in là rispetto al punto in cui ci eravamo assestati fino a quel momento. Lui è colui che si fa ispirare dalle piccole cose, dalle semplici emozioni e dalle belle immagini dando poi vita a ciò che il gruppo concretamente fa. Il suo modo di assicurarsi la nostra partecipazione consiste nel farci “pagare il biglietto”, per citare le sue parole, ovvero stuzzicarci e stimolarci per farci sempre dare un nostro contributo personale, se questo non avviene già spontaneamente. Inoltre ci è richiesta la redazione occasionale di verbali piuttosto che di qualsiasi genere di scritto, sia esso in poesia o in prosa, che insieme alle produzioni dei detenuti vanno ad alimentare il bagaglio di testimonianze provenienti dal gruppo.

Aparo è sicuramente il motore del Gruppo della Trasgressione, ma ci si augura che negli anni abbia saputo trasmettere le sue idee a tal punto da lasciare dietro di sé una traccia che possa essere ricalcata da chi meglio l’ha conosciuto e apprezzato.

 

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Le conoscenze che ho acquisito durante questo periodo di tirocinio sono senza dubbio molto consistenti sul piano personale, hanno contribuito e stanno contribuendo a farmi capire chi sono e solo in conseguenza di ciò imparo come dovrei lavorare in futuro. Effettivamente potrei dire di aver partecipato ad ogni incontro come ad un momento di studio da cui ogni volta sono uscita arricchita, talvolta turbata ma sempre con qualcosa in più su cui riflettere. Ora riconosco che per ascoltare e capire veramente le storie delle persone l’attenzione e l’empatia non sono mai abbastanza; che per guadagnarsi la stima e la fiducia del gruppo oltre che dei singoli bisogna impegnarsi costantemente, anche con piccoli contributi, ma cercando di esserci sempre e di farsi sentire.

Ora ne so un po’ di più di un mondo che mi era completamente estraneo, quello carcerario, ma soprattutto vedo quanta necessità vi è di rivoluzionare questo stesso mondo, promuovendo a braccia aperte iniziative come quella del dott. Aparo, alla base della quale c’è il tentativo di relazionarsi con le persone, evitando di lasciarsi ingabbiare da categorie ideologiche. Ho scoperto che chiunque può tornare indietro e cambiare, apprezzare cose che prima nemmeno vedeva e gioire di emozioni molto più semplici di quelle che per una vita ha ricercato. Inoltre ho capito che i modi che usiamo per relazionarci agli altri sono giusti solo se in linea con la persona che siamo, con il nostro modo di essere, con l’esperienza che viviamo in prima persona e che ci permette ogni giorno di affinarli.

 

Abilità acquisite (tecniche, operative, trasversali)

Le abilità che sento di aver acquisito durante questo tirocinio riguardano principalmente le dinamiche di gruppo, in quanto ho potuto sperimentare pro e contro di un’attività che va avanti se e solo se è il gruppo a darle continuo carburante. Inoltre ho potuto mettere alla prova me stessa all’interno di queste dinamiche, provando tutto quel continuum di sensazioni che vanno dal senso di estraneità e inadeguatezza iniziale al sempre più forte senso di complicità che si sviluppa col tempo e la conoscenza delle persone.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Ciò che mi porterò dietro da quest’esperienza è la spinta a riflettere con più attenzione innanzitutto su di me, sulla mia storia e la mia evoluzione, individuando le fragilità che mi porto dietro per poterle meglio affrontare. Sono proprio i detenuti ad avermi mostrato le difficoltà e le soddisfazioni legate a un percorso di scoperta di se stessi: sebbene per loro si tratti di un sentiero più tortuoso e doloroso, nessuno di noi dovrebbe sottovalutare le piccole cose che ci permettono giorno per giorno di evolverci e di conoscerci meglio, presupposto fondamentale per poter lavorare con gli altri.

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Homo sum…

Cristina Brioschi, Matricola: 801356
Corso di studio: Scienze e Tecniche Psicologiche
Tipo di attività: Stage esterno

Periodo: dal 13/03/17 al 4/05/17
Titolo del progetto:
Il Gruppo della Trasgressione
Homo sum, humani nihil a me alienum puto

Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

Il Gruppo della Trasgressione opera all’interno del carcere in modo del tutto singolare. Si tratta di un gruppo in cui detenuti e liberi cittadini hanno modo di confrontarsi, portando il proprio punto di vista e servendosi delle personali esperienze di vita, su tematiche di ampio respiro, come ad esempio la relazione con l’autorità, la responsabilità di ciò che si fa, la costruzione della propria libertà. Tutti possono partecipare agli incontri in modo costruttivo poiché ciascuno ha una vita che è stata portata in una certa direzione grazie alle scelte prese, ha delle spinte regressive ed evolutive che deve amministrare, ha trasgredito le regole, ha dentro di sé luci e ombre da riconoscere. Ciascuno cioè ha nella propria esperienza elementi che può mettere in campo e condividere con gli altri: ciò è faticoso, ma utile per il singolo che vuole conoscersi meglio e arricchire il gruppo collaborando con la ricerca che si fa. Questi incontri hanno luogo al SerT e all’interno del carcere di Bollate e di Opera.

Ci sono poi occasioni (ovvero gli incontri di prevenzione al bullismo e alla tossicodipendenza nelle scuole e la rappresentazione del mito di Sisifo) in cui il gruppo si mette in dialogo con la società nel tentativo di portare un cambiamento concreto. I detenuti in questi casi mettono a disposizione la loro esperienza, che comunicano a comuni cittadini e agli adolescenti delle scuole medie con delle sottolineature un po’ diverse rispetto a quel che accade in altri gruppi: in questo caso, l’obiettivo della comunicazione non è quello di mettere in guardia dalle conseguenze negative del trasgredire in modo impulsivo e disordinato, ma piuttosto ricostruire la gamma di scelte che li ha portati sulla strada della devianza e gli sforzi che oggi stanno facendo in favore della propria evoluzione. Grazie a questo lavoro, ciascuno può riconoscersi in tali spinte e rintracciarle nella propria esperienza e i detenuti si sentono parte attiva e utile di una società che in passato hanno ferito.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Non saprei dire con precisione quale ruolo ho svolto, il gruppo non ha una struttura e un’organizzazione rigida in cui è possibile sentirsi parte che dà un contributo chiaro e riconosciuto da tutti in modo univoco. Come componente, ho cercato di condividere le mie riflessioni e di partecipare con costanza ai gruppi in modo da riuscire ad avere più familiarità con i contenuti e con il livello del confronto, sempre alto e in alcuni casi difficile da approcciare.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Per riuscire ad orientarmi nelle dinamiche del gruppo e a pormi in modo costruttivo ho innanzitutto considerato con serietà i contenuti trattati e mi sono messa in discussione cercando sempre dentro di me o nella mia storia qualcosa che corrispondesse a ciò di cui si stava parlando. Sono così riuscita a cogliere più in profondità alcuni degli aspetti umani su cui il gruppo si interroga.

Inoltre mi sono impegnata nel redigere i verbali di alcuni incontri: mi è stato utile per chiarirmi i concetti trattati e per tenere una traccia dei passi fatti nell’avanzare della ricerca.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Spesso faccio fatica ad accettare e riconoscere come tale il ruolo di chi “supervisiona” su ciò che faccio negli ambiti in cui mi sperimento, lo percepisco come un intralcio alla mia autonomia, della quale sono molto gelosa. In questo caso però con il dottor Angelo Aparo (fondatore e coordinatore del gruppo nonché tutor del mio tirocinio) ho avuto meno difficoltà: ha trattato la questione come un gioco ed io ci ho trovato più gusto nel cercare un equilibrio tra ciò che voglio liberamente fare e i limiti che non posso oltrepassare… Mi sono divertita! L’ho trovato edificante per la mia crescita personale.

I modi che il dottore ha di verificare il lavoro dei tirocinanti sono principalmente la lettura dei loro verbali oppure la richiesta di una rielaborazione orale durante lo svolgimento degli incontri. In questi casi si è sempre posto con una certa severità nei confronti della trasmissione dei contenuti e della forma in cui questi vengono espressi, ciò mi ha spronata a fare sempre più attenzione ai dettagli, a cogliere le differenze e a provare a rendere attraverso le parole la complessità del reale e delle questioni trattate.

E’ successo più volte durante i gruppi che mi invitasse a dire la mia, mi è stato d’aiuto per andare un po’ oltre la mia chiusura e riservatezza solite. Ho imparato grazie a questa cosa a chiedere più spesso a me stessa che cosa io abbia di tanto segreto e inconfessabile da doverlo nascondere agli altri e da tenere imprigionato dentro di me, il risultato è che mi esprimo con più facilità, lo considero come un valore e perciò riesco ad avere meno timore di quello che gli altri potrebbero pensare o a eventuali giudizi.

 

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Trovo difficile identificare delle conoscenze nozionistiche o circoscritte apprese al Gruppo della Trasgressione; più che altro ho acquisito molti spunti di riflessione in più sulla natura umana, sull’equilibrio tra la persona e l’ambiente circostante e sulla società in generale. Spesso mi trovo ad approcciare situazioni del quotidiano utilizzando spunti o coordinate appresi al gruppo, le trovo molto concrete come conoscenze perché vive e aderenti al reale, al contrario di molte delle cose apprese dai libri all’università.

Nel corso del mio tirocinio non ho puntato però ad acquisire un corpus di conoscenze e di risposte da calare nelle situazioni, piuttosto ho visto nascermi dentro molte domande, le trovo più nutrienti, mi spingono a continuare a cercare e sperimentare ancora.

Inoltre ho scoperto che cos’è una nevrosi.

 

Abilita acquisite (tecniche, operative, trasversali)

Ho acquisito maggior fiducia in me stessa per quanto riguarda la rielaborazione dei contenuti trattati e la capacità di trasmetterli ad altri in modo chiaro. Mi sono impegnata nel riflettere sulle tematiche e nel lasciarmi interrogare, credo di essere diventata più abile nel venire a capo di questioni espresse in modo non lineare o addirittura contorto, cercando sempre di scovare l’essenza, il nocciolo.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Durante la mia permanenza al gruppo ho sfruttato l’occasione succosa del tentativo delle persone di portare fuori ciò che dentro di sé è difficile da accettare ed esporre agli altri per affinare le mie capacità di ascolto, cercando di porre l’attenzione sulle emozioni e le sensazioni che queste cose mi provocavano dentro, per stabilire una connessione diversa con chi parla e per espandere la mia comprensione. Ciò è stato possibile anche perché ho riconosciuto nei processi e in alcuni stati interiori descritti dai componenti del gruppo (detenuti e non) qualcosa della mia storia, perciò mi sono sentita simile, vicina, appartenente.

 

Altre eventuali considerazioni personali

Or ti piaccia gradir la sua venuta:  
libertà va cercando, ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.”

Grazie a questa esperienza mi si è aperta una finestra su un aspetto della società e della realtà interiore delle persone che troppo spesso non viene considerata: la libertà è soprattutto una condizione interna che dobbiamo costruire e tutelare, ha poco a che fare con i limiti fisici come ad esempio le mura del carcere. Capisco di aver avuto dentro già da tempo questa consapevolezza, certo è che poterla toccare con mano e poter andare a fondo nei vari aspetti della questione con i detenuti (i quali in molti casi nella loro vita hanno portato all’esasperazione conflitti che tutti hanno, rendendoli così più facilmente osservabili) mi ha svegliato il desiderio di prendermi cura di questa cosa dentro di me, e di combattere per un mondo che non sia di persone libere nei fatti ma prigioniere nella sostanza.

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Il mito di Sisifo a San Donato

Il mito di Sisifo a San Donato milanese
Scuola Santa Maria Ausiliatrice
Via Sergnano, 10

Qualche notizia sul nostro mito di Sisifo

www.mariausiliatrice.it

 

 

Raccontare una storia

In questo periodo di tirocinio ho affinato le mie capacità di ascolto e di empatia. Ascoltare non vuol dire semplicemente sentire la storia dell’altro distribuendo consigli, ma essere vicino a quella persona, nel qui e ora del racconto, cercando di intercettare e abbracciare ciò che l’altro vive. Sembra una cosa semplice e quasi scontata, soprattutto per noi studenti di psicologia, ma in questo periodo mi sono sempre più resa conto di quanto sia difficile. Tante volte ci auto-imponiamo di dare la risposta “giusta”, come se di risposta giusta si potesse parlare, perdendoci la ricchezza emotiva che solo un reale coinvolgimento nella discussione può dare.

Ho imparato che per conoscere e capire l’altro ci si deve armare di strumenti; primo tra questi è l’emozione che l’altro suscita in noi. Ogni giorno capisco qualcosa di nuovo rispetto a questa nuova modalità di sentire l’altro e sto imparando quanto sia divertente e, clinicamente utile, raccontare la storia di un’altra persona.

Mi sono cimentata, anche se pochissime volte, nella narrazione di una storia, ma ho già ripetutamente constatato che narrare una storia vuol dire farla nostra, vuol dire creare un legame, una relazione con il personaggio della storia.

Inoltre, chi narra una storia tende inevitabilmente a enfatizzarne alcuni aspetti e a minimizzarne altri; in questo modo viene offerta all’altro una lettura delle sue scelte e una direzione che possono anche essere diverse da quelle che il protagonista ha pensato fino a quel momento.

Non va trascurato, infine, che narrare una storia permette a noi stessi di riflettere sulla nostra.

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Vulnerabilità e fragilità

Ivan Puppo

Le otto del mattino di un lunedì qualunque, nel tragitto che separa la mia cella dal luogo di lavoro sguardi di facce assonnate mi sfiorano per estorcermi un buongiorno. Ne concedo sì e no una manciata. Come al solito, la giornata mi scivola addosso, piatta e avara come un corpo di donna ostile. Tutto regolare, salvo un pensiero che mi incalza, come un accordo musicale ripetuto all’infinito, mi perseguita. A volte i pensieri sono come ragnatele, si attaccano addosso e non li scrolli più via. L’ossessione ha un nome: “vulnerabilità e fragilità”. Un tema che ultimamente è oggetto di discussione al gruppo.

Scrivine, dice, e me lo scaraventa addosso come un regalo ormai sgradito. È una parola. Ho con questi concetti la stessa confidenza di un gorilla e un gorilla maschio per giunta. Poi sono pigro, scrivo se ne so di che. Però eccomi qua, chino sul tavolo, sigarette e penna tra le mani, deciso a liberarmi di questo tarlo.

Vulnerabilità e fragilità, due quasi sinonimi, in quanto siamo vulnerabili perché possiamo essere danneggiati da persone o da eventi esterni e siamo fragili in quanto soggetti alle debolezze e alle umane passioni. Vulnerabilità e fragilità sono proprietà intrinseche dell’essere umano che però, a seconda di come vengono coltivate, hanno implicazioni e sviluppi differenti.

Vivere sotto costante minaccia distorce la visione del mondo, induce ad attaccare per primi e, infine, traccia la rotta per un naufragio. Attaccai per non essere attaccato, così smisi di sentirmi vulnerabile, una corazza mi permise di sopravvivere, dove sopravvivere era il massimo consentito, ma una corazza indossata troppo a lungo diventa parte di te: a causa di essa non sei parte degli altri, non ti riconoscono, non li riconosci; ma non sai più farne a meno.

È una ragazza intrappolata in una fotografia. La guardo, è lì, così giovane e immobile nella fissità di un tempo perduto, sorride all’obiettivo. Mi ricorda quei soldati che a guerra finita non vollero o non seppero smettere di combattere. Forse perché combattere, qualche volta, è la sola cosa che ti resta. Bisogna cambiare, dice, ma cambiare implica possedere gli strumenti, il tempo, lo spazio per impiegarli. Senza strumenti e progetti in cui spendersi, so adesso, l’uomo è perduto. La guerra non ha mai fine.

Un filo sottile tesse una parentela tra vulnerabilità e fragilità, ma la fragilità trova il suo valore nella consapevolezza e nell’accettazione, ci permette di riconoscerci uomini negli altri uomini. Sì, la fragilità si impara. Qui, nella penombra di questa cella mi riconosco fragile, di una fragilità che non seppi mai. Proiettata dalla lampadina nuda, l’ombra sul muro fa la giusta supplenza di una donna che non c’è. Immaginandola, mi procuro il calore di un’illusione.

Guardo fuori dalla finestra, c’è un albero al limitare del campo: anche lui prigioniero, le sue radici nodose lo ormeggiano al terreno, a questo posto, come una nave in disarmo alla banchina del porto.

Con l’amarezza di chi ha distolto lo sguardo, soffoco un’imprecazione. Ma poi un pensiero si affaccia alla mente: “e se mi sbagliassi? Se ci fosse ancora in serbo per me una fortuna inaspettata?”. A proposito di illusioni necessarie.

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