Una parola, tanti significati, un <credito> che può essere variamente interpretato, a cui si può dare risposte diverse e da cui possono derivare conseguenze altamente diseguali. Fondamentale dinanzi ad un bivio è riuscire a percorrere il sentiero della bontà e della giustizia, quello del bene, come ha fatto Marisa.
Essenziale nel percorso è trovare un sano e credibile punto di riferimento che possa dare una svolta positiva alla propria vita e ritengo che, per rispondere alla domanda, questo sia l’obiettivo della mia ricerca: poter essere Speranza per chi quel credito ha pensato di riscuoterlo violando le regole di una sana convivenza, poter far loro capire che c’è chi li guarda con occhi diversi, che prova del bene, che è pronto a tender loro la mano per una sana rinascita e una corretta espiazione della pena, affinché sia la più consapevole ed educativa possibile. Cosa meglio di un dialogo che nasce per volere e non per dovere?
Nella vita non è mai troppo tardi per riscoprirsi, per scriversi una lettera di incoraggiamento come ha fatto Stefano, non è mai troppo tardi per scegliere il bene e l’onestà; nella vita non è mai troppo tardi per chiedere aiuto e allora io vorrò essere in questi incontri, e perché no, anche dopo, quel qualcuno che questo aiuto è felice di darlo, con un sorriso, con una parola, con la presenza, con un libro.
Mi piace pensare che, nell’incontro di ieri, chi era lì detenuto ci abbia visti come ragazzi aperti, accoglienti e non escludenti, intenzionati a dare coraggio a chi sta riflettendo sui propri errori per non commetterne più.. credo che tutto questo sia Speranza!
Concerto Trsg.Band – 17/11/2023 Teatro della casa di reclusione di Milano-Bollate
Una selezione delle canzoni di Fabrizio De André combinate con le riflessioni dei detenuti del Gruppo della Trasgressione sui loro periodi più bui e sul lavoro di questi ultimi anni con i componenti esterni del gruppo.
Nel corso della serata Una band di persone detenute esegue alcuni brani evergreen e li accompagna con testi e interventi del Gruppo della Trasgressione.
LE PRENOTAZIONI SONO CHIUSE
Ingresso gratuito; prenotazione obbligatoria entro il 10/11/2023. Per prenotarsi, inviare fotocopia del proprio documento di identità a associazione@trasgressione.net
I minorenni possono entrare solo se accompagnati da uno dei genitori o autorizzati con una dichiarazione firmata da uno dei due.
Presentarsi all’ingresso del carcere di Bollate alle 19:45.Per sveltire le operazioni di ingresso è meglio non avere con sé cellulari e oggetti elettronici.
Concerto Trsg.Band – 18/11/2023 Teatro della casa di reclusione di Milano-Opera
Come un’onda che risveglia le coscienze
Dal carcere di Milano-Opera e poi in giro per l’Italia, una serie di concerti che partono dalle parole di Don Luigi Ciotti (l’indifferenza nei confronti del male lo alimenta) e che, attraverso le canzoni di Fabrizio De André e gli interventi dei detenuti del Gruppo della Trasgressione, danno voce alla fragilità negata e all’importanza di riconoscerla come tratto che accomuna tutti gli uomini.
Le canzoni di Fabrizio De André vengono eseguite con gli arrangiamenti della Trsg.band e con alcuni degli strumenti ad arco che la liuteria de La Casa dello Spirito e delle Arti ha ricavato dal legno dei barconi dei migranti.
I minorenni possono entrare solo se accompagnati da uno dei genitori o autorizzati con una dichiarazione firmata da uno dei due.
Presentarsi all’ingresso del carcere di Opera alle 18:45.Per sveltire le operazioni di ingresso è meglio non avere con sé cellulari e oggetti elettronici.
Nei giorni immediatamente precedenti il concerto verrà pubblicata su questa stessa pagina la lista delle persone autorizzate.
Vale ancora la “pena”? Al di là del gioco di parole, c’è tutto il problema del senso della giustizia penale nella domanda con cui si è aperta la serata organizzata dall’associazione “Carcere Aperto” lo scorso 13 ottobre al Binario 7 di Monza. Pensato per la cittadinanza, l’evento – che ha visto tra gli organizzatori anche le Acli di Monza e di Vimercate, in collaborazione con il ‘Gruppo della Trasgressione’ e con il patrocinio del Comune, ha registrato una grandissima partecipazione di pubblico, a dimostrazione dell’interesse dei monzesi per quello che è stato definito nel corso della serata “uno dei quartieri” della loro città: la Casa Circondariale di via San Quirico.
A confrontarsi e dialogare sul palco in merito alla possibilità e ai modi per ricucire lo “strappo” che ogni reato causa all’interno della società sono stati Felice De Chiara, comandante dirigente della polizia penitenziaria della Casa Circondariale di Monza, Fabrizio Annaro, giornalista del Dialogo di Monza, Paolo Setti Carraro, fratello di Emanuela, vittima di strage di mafia, Adriano Sannino e Antonio Tango, ex detenuti.
La discussione, condotta da Angelo Aparo, psicoterapeuta e fondatore del Gruppo della Trasgressione, e da Francesco Cajani, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, ha preso le mosse dalla proiezione di alcuni spezzoni del documentario intitolato proprio “Lo strappo” di cui lo stesso Cajani è stato co-autore.
Il punto di vista delle istituzioni
In rappresentanza delle istituzioni, il comandante De Chiara si sofferma su quella che deve essere la missione di ogni operatore carcerario: “restituire alla città persone migliori”. De Chiara ha spiegato che la durata media della permanenza in carcere è di un paio di anni e che quando i detenuti escono tornano a frequentare la città e la società. “Per questo in carcere è necessario promuovere la cultura della legalità, del rispetto delle regole e dei propri doveri”.
Nel corso della serata vengono interpellati anche due altri rappresentanti delle istituzioni presenti in platea: Massimo Parisi, ex direttore del carcere di Monza e attualmente direttore generale del personale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a livello nazionale, e il sindaco di Monza Paolo Pilotto.
“Al di là della retorica della “rieducazione”, l’aspetto decisivo è l’intervento sulle persone: per noi è cruciale avere il personale educativo che sia in grado di attivare un percorso di cambiamento nei detenuti”, ha sottolineato Massimo Parisi.
Alla domanda su cosa chiedano i cittadini alle istituzioni carcerarie, Parisi risponde che da una parte l’istituzione deve essere “credibile”, anche agli occhi dei detenuti, ma dall’altra diventa però importante creare una cultura del carcere diversa e parlare di carcere con la cittadinanza. Per esempio attraverso progetti come il ristorante del carcere di Bollate, aperto a tutti i cittadini e voluto dallo stesso Parisi quando ne era direttore.
“Come sindaco e come cittadino io mi aspetto dalle istituzioni carcerarie un avvicinamento, una riconciliazione”, risponde a sua volta il sindaco Paolo Pilotto. “Però nella mia esperienza di tutti i giorni l’attesa maggiore che i cittadini hanno verso il carcere è quella di una separazione netta”. La sfida, anche per le istituzioni, è quella di scardinare i luoghi comuni: “L’obiettivo a cui lavorare dev’essere quello della convergenza e dell’incontro, che può essere favorito anche dalle relazioni tra istituzioni”.
Il punto di vista dei giornalisti
Spesso, di fronte a un reato, il giornalismo si limita al racconto del fatto di cronaca nei suoi particolari più terribili. “E’ importante, però, raccontare anche ciò che avviene dopo”, sottolinea Fabrizio Annaro, parlando del docufilm girato qualche anno fa all’interno della casa circondariale di Monza. “Il titolo che abbiamo scelto è “Tempo libero” perché proprio il tempo vuoto del carcere favorisce il pensiero. E proprio dalle realtà di fragilità come il carcere emergono pensieri critici e valori che possono essere un’ancora di salvezza per noi tutti nei momenti di crisi”. L’idea di raccontare la fragilità, e tutto il bello che da essa può scaturire, fa parte di un movimento che sta crescendo nel mondo dell’informazione, che lavora per un giornalismo che sia costruttivo e che dia spazio anche alle buone notizie.
Il punto di vista dei detenuti
“A cosa serve la pena?” domanda provocatoriamente Angelo Aparo, per introdurre il punto di vista dei detenuti. “Secondo la nostra Costituzione serve a migliorarsi. La pena è quindi una condanna a migliorarsi”, conclude. Ma come si ottiene questo miglioramento? “Si ottiene”, risponde Aparo, “con la coscienza di sé e dell’altro e con la consapevolezza della propria fragilità, che permette di aumentare la consapevolezza del bisogno dell’altro”. Il problema, spiega lo psicoterapeuta, sono gli strumenti attraverso cui può procedere questo miglioramento. Nel documentario “Lo strappo” un detenuto racconta che per lui diventare adulto significava diventare forte al punto di picchiare suo padre. “Per chi commette reati non esiste nessuna autorità credibile”, spiega Aparo. “L’autorità è considerata come una maschera per coprire il desiderio di potere di singole persone. E se l’autorità non vale nulla, anche le regole dell’autorità non valgono nulla”.
La parola passa ai due ex detenuti, che sottolineano come l’incontro in carcere con il Gruppo della Trasgressione abbia messo in moto in loro un cambiamento. “Sono riuscito a sentire me stesso come una persona, a sentire la mia fragilità, a non sentirmi più una vittima dell’autorità ma un colpevole”, racconta Adriano Sannino. “Oggi sono libero ma mi sento colpevole di ciò che ho fatto. Io ho scontato 30 anni di carcere, ma chi perde un familiare vive un ergastolo a vita”.
Gli fa eco Antonio Tango: “Inizialmente ho deciso di frequentare il Gruppo solo per avere dei vantaggi rispetto alla pena che stavo scontando. Però le parole che sentivo erano come un sasso in un lago, si espandevano in tanti cerchi dentro di me. Cominciarono a martellarmi in testa. E alla fine, grazie a questi incontri, sono riuscito a guardare la debolezza dentro di me e, attraverso il dolore che provavo io sono riuscito a comprendere il dolore delle vittime. È stato così”, conclude, “che ho smesso di sentirmi defraudato dalla vita e dall’autorità che mi ha condotto in carcere. Ho capito che, nel corso della mia vita, la galera me l’ero costruita io stesso. Così ho cominciato a sentirmi libero, proprio quando in carcere”.
Il punto di vista della vittima
Lo strappo per il familiare della vittima di un reato consiste nel congelamento improvviso della propria esistenza. Lo spiega bene Paolo Setti Carraro: “Un dolore così forte rischia di condannarti a camminare nella vita con la testa rivolta all’indietro, ti sottrae energie emotive e psichiche, ti fa sentire come ingabbiato, prigioniero in una ragnatela”. Anche le vittime hanno bisogno di emanciparsi: “Questo cambiamento richiede tempo, ma un percorso di dialogo con gli autori di reato può portare a un cambiamento. Il dolore è ciò che ci unifica e da lì bisogna ripartire. Purtroppo però molti familiari di vittime vivono in un carcere psicologico costruito sull’odio e il risentimento”. Paolo Setti Carraro rimarca poi il concetto della sicurezza in relazione all’educazione del detenuto: “Se vogliamo vivere in maggiore sicurezza bisogna che il carcere restituisca alla società dei cittadini migliori”.
Adriano e Antonio, i due ex detenuti, oggi hanno un lavoro che ha dato loro un posto nella società: il primo lavora in una cooperativa, l’altro come “tuttofare” in una scuola brianzola. Ma, chiedono dal pubblico, come si fa a credere nella rieducazione di fronte alla reiterazione di un reato?
Angelo Aparo a questo proposito precisa che spesso in carcere non si tratta di ri-educare la persona ma di “inventarla” da zero, soprattutto nei casi in cui la storia personale, educativa e familiare in cui il detenuto è cresciuto non gli ha permesso di avere gli strumenti per comprendere i suoi errori. Questo passa attraverso incontri e dialoghi con persone capaci di ascoltare e guidare verso percorsi di cambiamento vero: “La creatività dovrebbe avere maggior spazio in carcere. Non esiste la rieducazione, ma il nutrire in queste persone la fiducia che si possa credere in qualcuno che si spende per te!”
Al termine di una serata ricchissima di riflessioni ed emozioni, ciò che rimane è un “senso” di complessità. Per far cambiare le persone che commettono reati e spingerle a seguire le regole della legalità non bastano le pene più dure. Dall’altra parte, la punizione dei colpevoli non “risolve” la sofferenza delle vittime.
Nella complessità dello “strappo” causato da ogni crimine, l’unica via percorribile sembra essere proprio quella più difficile, quella lunga e tortuosa del dialogo con l’altro, della riflessione su sé stessi e del tentativo di comprendersi. Una strada che passa attraverso il dolore delle vittime e quello dei colpevoli, attraverso il riconoscersi fragili, attraverso il riconoscere la fragilità dell’altro.
E, per avvicinarsi gli uni agli altri, occorre per prima cosa aprire le porte, anche quelle del carcere, e provare ad entrare. Non può che essere questo il primo passo per provare a ricucire lo “strappo”.
Il Gruppo della Trasgressione riapre nella sede di via Sant'Abbondio
Grazie alla sede di recente acquisizione, avuta in affitto dal comune di Milano e sulla quale stiamo lavorando in questi giorni per renderla operativa, tutti i martedì, dalle 14:00 alle 17:00, a partire da martedì 29 settembre, detenuti, studenti universitari, familiari di vittime di reato e comuni cittadini riprendono i classici incontri del gruppo.
La sede è in Via Sant’Abbondio 53A (MM Piazza Abbiategrasso) e ha le dimensioni necessarie per mantenere senza difficoltà fino alle 20 persone le distanze anti Covid 19. Va da sé che è d’obbligo l’uso della mascherina e che, laddove dovessimo correre il rischio di superare le 12 persone, interverranno prontamente le nostre cantanti per disperdere l’assembramento.