Il suicidio, un cuore seccato

Secondo il mio parere, i punti che potrebbero scatenare l’incendio che porta al suicidio possono essere tanti: la delusione di pensare di essere un fallito, per non essere capace di affrontare il problema. Prendere consapevolezza di aver deluso la famiglia, gli affetti, facendoli soffrire per i problemi che hai causato, se non c’è qualcosa o qualcuno che ti aiuta a sopportare questa consapevolezza, porta ad affondare sempre più nella depressione.

Altro punto può essere la delusione sentimentale, può capitare che una donna, dopo tanti anni, dica basta alla sua sofferenza ed alla sua solitudine, decidendo di troncare il rapporto, alleggerendo il peso da portare a causa dei nostri errori. Questo accende in noi la fiamma della solitudine, consumandoci dentro, fino al punto che il cuore, seccato da questa sofferenza, ordina al corpo di farla finita, per spegnere per sempre il dolore.

Premetto che queste osservazioni non sono mie, della mia esperienza personale, ma sono quello che ho visto, ascoltato e sentito in questi anni di detenzione.

Il suicidio non è mai stato nei miei pensieri. Pensando al suicidio andrei contro il mio credo, non sono io che devo decidere quando vivere o morire; non rispetterei mia madre che con dolore mi ha portato in grembo per nove mesi con la sofferenza del parto e col sacrificio poi di nutrirmi e di farmi crescere sano.

Pensando al suicidio, non rispetterei le mie figlie e le farei soffrire ancora di più.

Un solo consiglio: chi ha pensieri di suicidio deve prendere coraggio e farsi aiutare senza alcuna vergogna.

Salvatore Luci

Sul suicidio

Un futuro possibile

Un futuro esiste pure per me
Sono prigioniero in un circolo
vizioso che sembra un vicolo
non vivevo senza te.

In continuazione solamente insoddisfazione
prendevo solo sostanze cariche di illusioni
Se scrivo questi versi
ci scrivo nuove direzioni.

La sofferenza vive dentro di me
prima non sapevo perché
Ora scrivo le rime che
trasformano la sofferenza in me

Ora dimmi se ha senso vivere.
Io lotto qua per riemergere
con il desiderio di vincere.
Ti giuro non voglio più perdere.

Hamadi El Makkaoui

Cittadinanza Attiva alla Fondazione Clerici

La maschera dell’inganno

Ci penso e rimane solo frustrazione
potevo impedire l’autodistruzione.
Non c’è finzione non sono tranquillo
Quello che provavo non riuscivo a dirlo.

Arrivano i problemi mi potevo abbattere
la mia soluzione era metterci carattere,
togliere le maschere se voglio cambiare
per tentare di dirti ciò che so provare.

Mi sveglio con te ma non so darti me stesso
Ciò che vedi è un pezzo di me.
Non posso darti l’intero riflesso
senza mostrarti il peggio di me.

La droga fa volare, è solo un’illusione
sentirsi leggero fra queste persone.
L’effetto finisce e torno nel limbo
Fra il sentirmi vero e l’essere finto.

Svendere la propria verità per le loro smancerie
Ora chiuso in gabbia senza scacciasogni
sento i miei sogni svanire
La mia vita è maledetta, la mia penna è stregata.

Hamadi El Makkaoui

Cittadinanza Attiva alla Fondazione Clerici

La realtà sdoppiata

La sera è arrivata
la mia vita è sfortunata
la mia anima logorata.
Provo a volare al di là.

Lacrime di disperazione
lacrime di liberazione,
del dolore che ho causato
resta questa storia qua.

La luce è spenta
prendo tutta la boccetta.
Ma la corda che si spezza
mi ha lasciato ancora qua.

Si sdoppia le realtà
rimane fuori la felicità.
Alle spalle il paradiso
ora solo lacrime sul mio viso.

Tutto traumatico.
Nella testa solo il panico.
Sono ai margini della società
ma non si è soli in questa realtà.

Hamadi El Makkaoui

Cittadinanza Attiva alla Fondazione Clerici

Il rumore della libertà

Carissimo prof., mi auguro di trovarla in ottima forma sia fisica che morale.  Come siamo rimasti nella nostra telefonata nel giorno della mia uscita per permesso premio, eccomi a lei per raccontarvi la mia emozione dopo 33 anni di non vita. Sì, perché uno stupido come me, che ha buttato la sua intera vita dentro ad un carcere per 33 anni, non ha vissuto veramente.

Prof., non sono tanto certo che si possa capire con una lettera quello che ho sentito dentro di me quando ho messo il piede fuori dall’ultimo cancello che mi separava dalla libertà. Era come andare sulla Luna e mettere il piede sulla Luna. Ma la cosa strana è che percorrendo le strade in auto con mio figlio, mi accorgevo che anche i vicoli di Napoli più degradati, i più tristi, i più bui dove nemmeno il Sole entra, agli occhi miei erano tutti belli. E sì, dopo 33 anni chiuso in un carcere, giustamente dico oggi, anche le cose più brutte ti appaiono belle.

Ma quello che mi ha fatto piangere come un bambino è stato il dolce suono che si crea quando stai a tavola per cenare. Ma prima che vi racconto di questa grande emozione, dovete sapere che io per 33 anni ho mangiato il cibo con piatti di plastica e posate di plastica. Ora vi chiederete: “E questo cosa c’entra con i miei 33 anni di carcere?”. C’entra, c’entra e ora ve lo spiego.

Il vivere da detenuto è un vivere maligno, un vivere da uomo inutile, lontano perfino da un piccolissimo rumore proveniente dalla libertà. E come vi dicevo sopra, mi sono emozionato nel sentire un dolce rumore che si crea quando il cucchiaio di ferro tocca con dolcezza il fondo del piatto di porcellana. E questo dolce e piccolissimo rumore è stato con me fino all’età di 26 anni! Poi un giorno è arrivato il conto dei miei sbagli. Sono stato arrestato e portato via da questo piccolissimo e dolce suono. Attenzione: arrestato per i miei crimini, e non per non avere fatto nulla!

Avevo creduto che quello che facevo mi dava onore e dignità. Ma dopo un po’, ho capito che non era vero niente. No, non ci cadete in questa trappola senza uscita.

Mi rivolgo a tutti i ragazzi che vivono come vivevo io. Credetemi ragazzi miei, l’onore e la dignità li trovate tra le piccole cose. Io dopo 33 anni ho ritrovato quel piccolissimo, dolce rumore tra il cucchiaio di ferro e il piatto di porcellana. Non mi capite vero? Sarò più diretto. Tutte le mafie sono un grande e unico tumore maligno. Vi prego, non fate la mia stessa fine che solo dopo 33 anni di carcere ho risentito quel dolce e piccolissimo rumore…   Il rumore della libertà.

Con tutto il mio cuore,

Giuseppe Amendola

Cittadinanza Attiva alla Fondazione Clerici

Un piccolo albero

Personalmente, credo che tutti abbiamo delle fragilità, dovute ad una situazione, ad un periodo della nostra vita o alle paure che ci portiamo dentro fin da bambini.

Siamo fragili quando qualcosa dentro di noi si rompe e ci troviamo in difficoltà, siamo fragili quando diventiamo cattivi ed aggressivi per una sorta di difesa al limite del buon senso. Crediamo di essere noi a decidere, ma il più delle volte sono le nostre insicurezze e fragilità.

La mia fragilità, dalla quale ho sempre tenuto le distanze, mi ha portato a fare scelte di vita sbagliate, esaltando quello che di più brutto faceva parte del mio animo e della mia natura, tutto per non essere un piccolo albero in balia del vento che rischiava di spezzarsi nella foresta della vita.

Sembra un controsenso, ma la fragilità prende il sopravvento su di noi con una forza immensa nei momenti più duri, la vulnerabilità diventa roccia, devi resistere, e così nascondi la fragilità dentro quello che non vorresti essere o dentro quello che vuoi far credere di essere.

Giuseppe Di Matteo

Cittadinanza Attiva alla Fondazione ClericiReparto LA CHIAMATA

A scuola mi addormento

Quest’anno ci è stata assegnata la cattedra di Cittadinanza Attiva. Cattedra originale, visto che il docente della cattedra è l’intero Gruppo della Trasgressione, comprensivo di detenuti e studenti in tirocinio.

Il primo giorno è stato impegnativo e, a giudicare dalla fatica, si prevede un anno difficile; d’altra parte, a giudicare dai risultati, l’anno appena avviato sembra anche promettente.

Ecco il primo testo:

A scuola mi addormento
La scuola non serve a un cazzo
Dentro a 4 mura di cemento
Mi sento ogni giorno diventare pazzo

Prima di entrare a scuola fumo una bomba
Mi rilasso in terza in pace come una colomba

In questo casino mi fa male la testa
Quando faccio musica mi sento in festa

In 15 gatti guardando fuori dalla finestra
Senza ancora un obiettivo in testa

Jeorge Vincente Quinde

Il Gruppo della Trasgressione

Cittadinanza Attiva alla Fondazione Clerici

 

 

GIUSTIZIA E CARCERE

La mano di Gesù non esita

Il dipinto è un olio su tela realizzato da Caravaggio e rappresenta il momento in cui Gesù chiama Matteo a diventare suo discepolo.

La scena si svolge all’interno di una stanza, ci sono 5 uomini tra cui Matteo seduti a un tavolo. Egli faceva l’esattore delle tasse, infatti i due personaggi sulla sinistra sono intenti a contare dei soldi. Gesù sulla destra indica con la mano Matteo, che come confuso indica l’uomo accanto a sé.  Al fianco di Gesù è presente san Pietro, visto di spalle, raffigurato anch’egli che indica con il dito qualcuno.

Il particolare che più di tutti attira l’attenzione in questo dipinto è la luce: una luce calda arriva da destra, forse da una finestra e che va ad illuminare la mano di Gesù e i volti dei personaggi, in particolare il volto di Matteo.

È come se la luce invitasse Matteo a uscire dalla sua vita buia, piena di peccato e ad avere un nuovo inizio positivo e guidato da Gesù.

Altro particolare che mi ha colpito è la mano di Gesù, che mi ricorda la mano di dio nella creazione, affresco realizzato da Michelangelo sul soffitto della Cappella Sistina.

La mano di Gesù non è esitante, Egli sa precisamente chi scegliere tra i cinque uomini presenti al tavolo ed è contrapposta al gesto di Matteo che, non credendo sia veramente lui il prescelto, indica il compagno alla sua destra, intento a contare il denaro, compagno che non si accorge nemmeno dell’arrivo di Gesù e di questa luce, rimane statico in una vita al buio (= male?).

Francisca Cosentino

Gli Scout AGESCI su “LA CHIAMATA”

Movimento e mistero

A primo impatto descrivere l’immagine senza farsi condizionare da quanto studiato non è semplicissimo.

L’opera è caratterizzata da colori scuri, così come tutta la scena è rappresentata in ombra. I personaggi danno l’impressione che ci sia molto movimento all’interno dell’episodio, infatti mentre guardo il dipinto ho la sensazione che stia succedendo qualcosa di improvviso.

Sia i colori che il dinamismo della scena contribuiscono a trasmettere un senso quasi di inquietudine, o meglio di mistero, che mi porta a chiedermi quale possa essere il vero motivo di tutto questo movimento.

La scena sembra descrivere il momento in cui, mentre cinque uomini sono riuniti, uno di questi è ricercato o viene chiamato per qualche azione commessa.

Questa impressione nasce dal fatto che l’uomo sulla destra lo indica e allo stesso modo sta facendo l’uomo al centro della scena.

Invece, colui che sembra essere il presunto “colpevole” non alza neanche la testa dal tavolo, come se fosse consapevole delle sue colpe.

Mentre accade ciò, oltre agli uomini sopra descritti, ci sono altri due ragazzi che sembrano estranei alla vicenda e inconsapevoli di quello che sta succedendo.

Facendo poi più attenzione al titolo, “La vocazione di San Matteo”, è facile pensare che l’episodio non tratti di un arresto o un richiamo da parte delle forze dell’ordine ma proprio del momento in cui Matteo viene chiamato da Gesù per seguirlo.

Giulia Mutti

Gli Scout AGESCI su “LA CHIAMATA”