Caro fratello
Noemi Ottaviani
ti scrivo perché da un po’ tempo mi sta succedendo una cosa strana: sento il bisogno di condividere la mia vita con la mamma! Tu sai perfettamente quali sono stati in passato i miei sentimenti verso di lei e sai quanto abbia sofferto la sua assenza e la sua distanza.
Spesso ripenso a quando eravamo bambini, all’Orfea, la nostra baby sitter, ricordo che quando tornava nostra madre a casa io, invece di salutarla, correvo ad abbracciare e a dare il bacio della buona notte all’Orfea e, guardandola che se ne andava, mi si riempiva il cuore di tristezza perché io avrei voluto che lei mi rimboccasse le coperte quando era ora di andare a dormire.
Ricordo le ore che passavo da adolescente attaccata alla finestra alle 9 di sera, guardando fuori, nel buio della notte d’inverno e nel profondo della nebbia della pianura, aspettando di vedere la macchina della mamma che tornava da lavoro, qualche volta la vedevo, altre, le più numerose, non la vedevo tornare perché ad un certo punto mi arrendevo e andavo a dormire. Ricordo i tanti pensieri che mi passavano per la testa: perché torna così tardi? Perché non torna a ora di cena per stare con noi? Chissà se la mamma ha un altro uomo! Come mai non è ancora arrivata, avrà avuto un incidente? Ricordo come fosse oggi il vuoto che mi pesava sul petto e quella sensazione che mi faceva sentire così poco importante per una donna che per me avrebbe dovuto essere la Mia Mamma.
Ricordo quando lei e il papà litigavano, urlando da una stanza all’altra per ore, tutte le poche ore che la mamma passava a casa. Il sabato e la domenica erano due giorni di urla e insulti, io più di una volta ho scritto un bigliettino che recitava: “smettetela di litigare per favore!”, e la risposta puntualmente era: “noi non litighiamo, discutiamo. La mamma e il papà si stanno solo confrontando su alcune cose. E’ il nostro modo di parlare”, e allora io, non esattamente convinta della loro risposta, me ne andavo, fiera di averli fatti smettere per cinque minuti e triste per la breve durata di quegli stessi cinque minuti.
Ricordo tante cose poco felici e che mi hanno fatto crescere con un senso di odio nei confronti di quella donna che avrebbe dovuto essere la Mia Mamma, ricordo i suoi tentativi di separazione e la sofferenza che ci ha fatto vivere, potrei andare avanti ore a elencare cose di questo tipo, ma non ti sto scrivendo per questo.
Ti sto scrivendo perché in questi giorni al gruppo abbiamo parlato di cosa dovrebbero fare i figli per diventare adulti pur avendo pessimi rapporti con i propri genitori. Il Dott. Aparo, che per me è come un secondo padre e spesso mi rattristo pensando a te che non hai nella tua vita una persona come lui, ci ha parlato di bonifica dei genitori, cosa vuol dire?
Ognuno di noi nasce figlio di genitori incompleti e imperfetti e questo può far si che la vita dei loro figli venga segnata profondamente da queste loro imperfezioni. Per questo motivo ogni figlio ha il compito di bonificare il ruolo dei propri genitori perché è un’illusione che le persone di 30 o 40 anni possano diventare uomini veri senza un padre e una madre interiorizzati. Per diventare un adulto capace abbiamo bisogno di interiorizzare una figura che sia credibile, dobbiamo riuscire a far diventare l’immagine dei nostri genitori un’immagine positiva. Fino a quando conserviamo rabbia e rancore nei loro confronti non possiamo diventare persone adulte e quindi dobbiamo bonificare la loro figura. Dobbiamo rintracciare quello che di buono hanno fatto per usare questi ricordi come piccoli semi per far crescere dentro di noi un’immagine sufficientemente positiva di mamma e papà. Diversamente siamo condannati a replicare l’immagine distruttiva che abbiamo interiorizzato.
Io credo di essere sulla buona strada, perché, oltre ai ricordi di cui ti ho scritto sopra, sempre più spesso ricordo di quando la mamma nel periodo natalizio mi portava in tutte le chiese della città a vedere i presepi, insieme vivevamo quella magica atmosfera del Natale e dopo un intero pomeriggio di camminate mi portava a fare merenda in un bar dove bevevamo un thè caldo e mangiavamo un toast. Che buono quel toast in quel bar! Non sono mai più riuscita a ritrovare il gusto di quelle semplici fette di pane tostate da nessuna parte.
Ricordo di quando ci portava a comprare le scarpe e dopo ci comprava il gelato in Piazza Garibaldi, al Master Cream, la gelateria migliore di tutta Mantova, e poi ci sedevamo sulle panchine del parco contenti delle nuove scarpe e ancora di più, del fantastico gelato che avevamo tra le mani.
Ricordo di quando la domenica mattina prima di andare a pranzo dalla nonna mi faceva la doccia e con una rara dolcezza, o forse una dolcezza da me immaginata, mi metteva lo shampoo nel capelli e mi diceva di guardare gli uccellini sul soffitto in modo che non mi andasse il sapone negli occhi.
Ricordo quando passavamo le serate a fare assieme i puzzle di 5000 pezzi facendo a gara a chi riusciva ad incastrarne di più.
Ricordo quando la domenica mattina ascoltava le canzoni di De Andrè e di Gaber mentre preparava da mangiare e noi insieme sul divano giocavamo e puntualmente finivamo col picchiarci, ma va beh… noi eravamo bambini!
Da un po’ di tempo dedico i miei pensieri a questi ricordi e da un po’ di tempo ho voglia di telefonarle per raccontarle le cose belle o meno belle che mi stanno succedendo!
Con affetto,
tua sorella.
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