Rapporto genitori figli

Sono Gianni Tramontana, vorrei raccontare la mia esperienza carceraria e il rapporto tra un genitore e i propri figli. Sono genitore di due gemelli che oggi hanno tredici anni. Quando mi hanno arrestato i miei figli Silvi e Davide avevano due anni. Dopo un periodo passato in carcere, mi hanno mandato ai domiciliari, ho seguito il processo da casa. Siccome mia moglie lavorava, ai miei figli ho fatto da mamma e papà. Mi sentivo cosi bene che non volevo più uscire di casa per stare in loro compagnia. Ma il sogno è durato solo quattro anni. Quando ho avuto la condanna definitiva mi sono costituito spontaneamente.

Per i miei figli, abituati a stare sempre con il loro papà, gli è crollato il mondo addosso. Quando mi venivano a trovare a colloquio, non avevo il coraggio di dirgli che mi trovavo in carcere, e ogni volta era una continua presa in giro, gli dicevo che ero qui per lavoro e che presto sarei tornato a casa. Più passava il tempo e più mi mancava il coraggio di ammettere la verità, anche perché mia figlia aveva provato a farsi del male e ancora adesso questo mi provoca dolore solo a ricordarlo.

Quando compiono dieci anni, nel silenzio assoluto, sono venuti a conoscenza dei veri motivi per i quali io sono qui a Opera, però non me lo dicevano, pensando di dovere essere loro a cautelarmi. È finita al contrario; adesso sono loro che incoraggiano e proteggono me.

La rabbia che loro avevano addosso l’ho sentita soltanto io, perché si sono sentiti traditi dal loro papà, che nella natura è la persona che non può mai tradirli e allora loro hanno perso fiducia nei miei confronti.

Al Gruppo della Trasgressione è un tema che abbiamo affrontato spesso quello di come comportarsi con i propri figli. Io dicevo tra me e me che prima o poi gli avrei detto la verità del perché mi trovo qui, e intanto il tempo passava, ero consapevole di ciò che poteva succedere, ne avevamo già parlato diverse volte al gruppo della trasgressione.  E infatti dopo si è verificato ciò che non volevo che succedesse.

Se mi sono comportato cosi nei confronti dei miei figli, non era perché volevo crearmi un alibi. Col passare del tempo, sono sicuro che grazie a mia moglie sarebbe stato detto tutto, e infatti lei gli ha raccontato quello che non avevo avuto il coraggio di fare io.  Adesso mi sento molto più tranquillo e spero che i miei piccoli mi perdoneranno per il male che gli ho recato.

Per la mia esperienza personale vorrei trasmettere ai miei compagni di sventura che sono genitori di non comportarsi come mi sono comportato io precedentemente. È meglio raccontargli piano piano come è la realtà, perché da quanto ho capito, è meglio che la verità gliela dice il proprio genitore, invece di sentirselo dire da una persona estranea; anche per essere più credibili in futuro.

Avendo perso la credibilità di padre, la paura mia più grande è che un domani si possano trovare con dei ragazzi che li portano sulla cattiva strada. Io spero che non succeda mai, anche perché mia moglie in questo periodo gli sta facendo da entrambi genitori e spero che al più presto potrò riprendermi il posto di papà.

Giovanni Tramontana

Genitori e Figli

Esplorando Dedalo: scambi in chat

A seguito dell’incontro dell’Officina della Creatività di martedì 30 marzo su zoom, si è innescato uno scambio di riflessioni sulle figure di Dedalo e Icaro, la sua colpa, il suo destino:

Marco: Volevo condividere una riflessione che c’entra col discorso affrontato oggi sulle differenze di genere e allo stesso tempo con il mito di Icaro, così per prendere due piccioni con una fava. Per sgombrare il terreno da possibili stereotipi che intacchino la fertilità del mito e, preso atto del fatto che detenuti ed ex detenuti del gruppo sono di sesso maschile, vi faccio la seguente domanda: che differenza c’è tra la trasgressione di Dedalo e il suo superamento del limite con la trasgressione di Pasifae che supera anch’essa un limite? Accoppiarsi con un essere che non appartiene al genere umano non è anch’esso sintomo di arroganza e di presunzione di chi vuole giocare a fare Dio? Si potrebbe obiettare che l’ha fatto perché Minosse la trattava malissimo, vero, ma allora un sopruso subito giustifica il superamento del limite ?

Juri: Anche io trovo interessante il quesito di Marco. Vi dico in breve che nei miti greci è quasi sempre presente l’idea che l’essere umano diventa colpevole di colpe necessarie per la conoscenza e per lo sviluppo dell’uomo. Questo o quell’altro fanno qualcosa che è male ma che è scritto debba accadere. La cosa somiglia all’idea che in ogni uomo c’è il seme di tutto, ma poi saranno soprattutto alcuni a ricordarcelo diventando i portabandiera della colpa, del peccato, della difficoltà che l’uomo incontra nel vivere e nel suo percorso di emancipazione.

Olga: Ciao Marco. Il tema comincia a lievitare! Adesso sto cucinando e non posso dilungarmi. Di getto, qualche considerazione: 1) perché Dedalo ha sfidato la divinità ? 2) Dove ricavi ciò ? 3) l’ impalcatura delle ali inventate è un bisogno di libertà per se stesso perché trova ingiusto essere stato imprigionato dal suo stesso committente ma anche per dare libertá al figlio. Anche Minosse ha le sue colpe verso la divinità (Poseidone). 3) per Pasifae si, è lussuria, ma non trasgredisce soltanto a causa della tirannia di Minosse (è una donna di quel tipo di società, anzi è la first-lady di un regno, sebbene l’ adulterio sia una colpa. Qui, addirittura è lussuria. Per Pasifae, è come dice il Dottore, “l’essere umano diventa colpevole di colpe necessarie per lo sviluppo dell’uomo, etc…..”

Marco: Ciao Olga, Dedalo “gioca a fare Dio “ secondo me, non sfida nessuna divinità. Si autoconferisce la facoltà di superare un limite imposto prendendo il volo come se fosse un Dio e, dall’alto della sua arroganza, non curandosi delle conseguenze che l’azione avrà per se ma sopratutto per il figlio

Olga: Ci rifletterò un po’ … Al momento Dedalo mi sembra un Narciso superlativo

Ottavia: Ciao Marco, secondo me si può dire che Dedalo sfida la divinità, anche se indirettamente. Cioè se ammettiamo L’esistenza di Dio e Dedalo cerca di superare tutti i limiti giocando a fare Dio, ne deriva che in questo modo sta sfidando la divinità. La sta sfidando perché Dio non ammetterebbe che un essere umano si comporti come se fosse qualcos altro  da sè e quindi appunto un Dio

Marco: Bello, mi piace ! Interessante punto di vista dalla sfumatura agnostica

Sofia: Capisco in che senso Dedalo possa essere considerato colpevole nella direzione della “übris” tragica, tuttavia non sono d’accordo. Personalmente vedo una differenza sostanziale tra lui e Ulisse, ovvero colui che tenta il “folle volo”, per dirla con Dante, e che, per l’appunto, finisce nei gironi del suo inferno. Per come lo vedo io, Dedalo è l’ennesima (riuscita) rappresentazione che il mondo greco dà dell’uomo che punta in alto per elevarsi e crescere. Dedalo è il labirinto. Secondo una concezione molto greca del “fare”, l’uomo è la sua opera. Non per niente il labirinto creato da Dedalo prende il suo nome. Quando Dedalo supera i limiti dell’opera che lui stesso ha creato,  si dà un’altra occasione per crescere e creare (nel senso della creatività e quindi della libertà). Il labirinto prende il nome da Dedalo ma Dedalo deriva il suo nome dal verbo greco daidàllo che significa “lavorare con impegno”. C’è forse un’attitudine più virtuosa per l’uomo se non quella di lavorare con impegno? Dedalo lavora con impegno per superare i propri limiti, NON i limiti della natura umana. Il suo fine è la libertà, non il sole (dio). Sarà il figlio Icaro, che non possiede la stessa virtù (arte, intelligenza, forza, creatività) del padre, a fare un uso tracotante dello strumento che Dedalo gli ha messo a disposizione portando entrambi alla morte anziché alla libertà. Qui sta secondo me lo straordinario senso del tragico di questo mito greco: ciascuno cresce con gli strumenti che si sa dare, ammesso che qualcuno sia capace di dotarsene è impossibile condividerli. È la storia del mito della caverna: lo schiavo che si libera dalle catene e dalla menzogna delle ombre quando tenta di liberare i suoi compagni viene ucciso. La libertà è una conquista solitaria a cui però la cultura greca cercava di educare tutti e ciascuno.

Alessandra: Mi permetto di domandare: nel momento in cui Dedalo uccide il nipote non ha forse sfidato Dio?

Olga: Ciao, Alessandra. In armonia con il suggerimento di Sofia, faccio questa considerazione:1. Se Dedalo è la sua opera, cioè il lavorare con l’impegno, ha già un obiettivo verso cui tendere; 2.  Così, “l’eroe o semidio” non può prescindere dall’ obiettivo finale che deve portare a compimento; 3. Quindi, secondo me, Dedalo è un “eroe culturale”, che non avrebbe bisogno di confliggere con la divinità; 4. poiché è già “ingegno”, non può tollerare di avere un rivale (umano) nella sua scienza e, quindi, afferma la sua ambizione, eliminando Talo senza velleità divine (è soltanto una mia opinione. Dalle ricerche fatte, al momento, non ho trovato altri collegamenti mitologici o letterari…. però bisogna continuare a studiare e confrontarsi)

Il mondo della devianza

Viaggio di andata e ritorno
nel mondo della devianza

Traccia per un incontro con un gruppo di studenti
alla Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Il Gruppo della Trasgressione è un laboratorio cui prendono parte detenuti, studenti universitari, familiari di vittime di reato e comuni cittadini per

  • chiedersi insieme quali sono gli ingredienti che favoriscono l’ingresso nel mondo della devianza, con i comportamenti e i sentimenti che lo caratterizzano;
  • sperimentare attraverso il lavoro e dei progetti comuni le strade più utili per diventare membri attivi e riconosciuti della collettività.

A tale scopo,  i diversi componenti del gruppo, danno spazio ai sentimenti e alle loro eterogenee esperienze per chiedersi in collaborazione:

 

come si acquista il biglietto di andata:

  • Le condizioni familiari e ambientali, i conflitti, le turbolenze dei primi anni di vita;
  • le fragilità, il bisogno di conferme, la rabbia, il senso di rivalsa dell’adolescenza;
  • La brama di diventare grandi e l’urgenza di accorciare i tempi per sentirsi indipendenti dalle prime figure di riferimento;
  • la seduzione, gli attori, le forme, i meccanismi;
  • I modelli di riferimento e l’ambiente nel quale si ottengono i primi riconoscimenti dal boss, dalla banda;
  • L’iniziazione, la sfida, i gradini dell’ascesa all’interno del gruppo dei pari;
  • I meccanismi di assuefazione all’abuso con “la banalità e la complessità del male”;

 

come si lavora per quello di ritorno:

  • le attività, le aree di interesse e di intervento, i progetti;
  • le collaborazioni all’interno del gruppo e con le istituzioni;
  • le risorse interne e le alleanze possibili.

 

L’incontro con alcuni studenti della cattedra del prof. Francesco Scopelliti è stato registrato su Zoom ed è conservato negli archivi del Gruppo della Trasgressione.

Percorsi della devianza

Le attività di Trasgressione.net

Arianna Picco, Matricola 482607
CORSO DI STUDIO: Psicologia
TIROCINIO CURRICULARE PRESSO: Associazione Trasgressione.net
PERIODO DEL TIROCINIO: dal 17/11/2020 al 30/12/2020

CARATTERISTICHE GENERALI DELL’ATTIVITÁ SVOLTA
Il “Gruppo della Trasgressione” è stato fondato dal Dott. Aparo, psicologo e psicoterapeuta che opera da più di 40 anni in carcere e che circa 20 anni fa ha avuto l’idea innovativa di favorire il confronto tra detenuti, ex detenuti, studenti, famigliari di vittime di reato e comuni cittadini perché ognuno potesse trarne beneficio. Nel 2006 dal gruppo è nata l’Associazione “Trasgressione.net” e nel 2012 una Cooperativa Sociale, che permette, attraverso la consegna di frutta e verdura a domicilio alle persone bisognose e con la vendita nei mercati, un’entrata economica e un lavoro a ex detenuti, favorendo un loro reinserimento “assistito” nella società.

Obiettivi principali del Gruppo della Trasgressione sono il percorso per giungere alla consapevolezza dei propri strappi, dei propri errori; il riconoscimento delle proprie fragilità senza provarne vergogna ma accogliendole e valorizzandole; il recupero del rapporto con i propri cari; la responsabilizzazione e la ricostruzione di una credibilità agli occhi della propria famiglia; il riconoscimento delle proprie emozioni e la condivisione delle stesse. Tutto questo avviene agli incontri del Gruppo della Trasgressione, presieduti dal Dott. Aparo, che si pone come figura guida nella ricostruzione di sé dopo un passato di devianza.

Di norma, gli incontri tra i diversi componenti del gruppo si svolgono ogni settimana presso la sede di via Sant’Abbondio a Milano e nelle carceri milanesi di Opera, Bollate e San Vittore; al momento, a causa della situazione di emergenza sanitaria, sono invece online sulla piattaforma Zoom.

Sono previsti periodicamente incontri con le scuole in cui tirocinanti ed ex detenuti parlano agli studenti degli istituti inferiori e superiori raccontando la loro esperienza e facendo loro comprendere il danno che si crea a se stessi e agli altri attraverso la devianza.

Il lunedì le attività online sono improntate sul Progetto di Cineforum “La Banalità e la Complessità del Male” durante il quale si discute di film inerenti la tematica della devianza, cercando di analizzare i fattori di rischio e di protezione nello sviluppo di delinquenza, tossicodipendenza e bullismo. A questi incontri hanno partecipato anche gli studenti del Liceo Artistico Brera di Milano, collaborando attivamente nell’esprimere le loro riflessioni e dare i loro contributi. Durante questi incontri si tratta anche il tema della Criminalità Organizzata, su cui vengono visti alcuni film di cui si discute; durante un incontro abbiamo avuto modo di confrontarci con la dott.ssa Monica Forte, Presidente della Commissione Antimafia della Lombardia.

Il martedì si svolge il progetto “Genitorialità responsabile”, grazie al quale ci si confronta sulla tematica della spesso difficile relazione tra genitori detenuti e figli: i figli infatti fanno fatica a vedere un genitore detenuto come punto di riferimento, provano sentimenti contrastanti nei suoi confronti, oppure maturano rabbia verso gli agenti penitenziari e verso l’autorità che considerano ingiuste nei confronti del proprio genitore. La situazione di disagio che spesso questi giovani vivono può condurre alla devianza di seconda generazione. Occorre per questi motivi agire per favorire maggiori momenti di incontro tra genitori detenuti e figli, aiutando i genitori a ricostruire una credibilità agli occhi del figlio, attraverso attività svolte insieme ai propri cari.

A tal proposito si è ideato un progetto di cucina in carcere, nel quale i genitori detenuti possano preparare e consumare un pranzo con i loro figli e con gli agenti penitenziari, per facilitare attraverso un’attività creativa come la cucina un rapporto funzionale tra le tre parti.

Il giovedì si tratta invece il progetto “Palestra della creatività”, discutendo di possibili iniziative di prevenzione della devianza, del bullismo e della tossicodipendenza attraverso la creazione e la valorizzazione di elaborati artistici (musica, poesie, disegni, sculture). L’idea di fondo è che un ambiente dove le risorse individuali vengono accolte e coordinate per coltivare obiettivi comuni possa essere utile a prevenire il disagio e i vissuti di marginalità, che sono non di rado anticamera della devianza.

Un altro obiettivo del Gruppo della Trasgressione è favorire l’integrazione delle persone straniere in Italia: a tal proposito si è pensato di facilitare dei momenti in carcere in cui i detenuti a turno cucinino un piatto tipico del loro Paese di provenienza per offrirlo a tutte le altre persone. Questo si pensa possa facilitare i rapporti difficili che spesso si vengono a creare in carcere tra detenuti, rendendo ancora più complicato e quindi disfunzionale il periodo di detenzione.

A seguito di ogni incontro era mio compito redigere dei verbali insieme ad altri studenti tirocinanti, riportando tutto ciò che veniva trattato durante la giornata. Era richiesto inoltre ai tirocinanti di partecipare attivamente agli incontri, dando contributi e idee inerenti ai progetti in programma.

Ho avuto modo di partecipare alla preparazione e realizzazione dello spettacolo teatrale “Il mito di Sisifo” con la collaborazione di Municipio 5 di Milano. Questa rappresentazione, attraverso il mito greco, permette di trattare tematiche legate alla devianza, al delirio di onnipotenza di chi delinque, al rapporto contrastato tra genitori e figli, fino alla presa di consapevolezza da parte del detenuto del proprio percorso e dei propri errori e alla formazione del cittadino, cioè della persona interessata alla “Cosa pubblica”. Questo spettacolo permette a studenti tirocinanti, cittadini, famigliari di vittime di reato, detenuti ed ex detenuti di dialogare, confrontarsi ed interagire in maniera creativa e produttiva.

Durante il mio tirocinio ho avuto la possibilità inoltre di partecipare come membro attivo del Gruppo della Trasgressione a incontri con la comunità Oklahoma di Milano, un centro di accoglienza di giovani in messa alla prova o con problematiche famigliari, con i quali si è pensato di svolgere attività creative e azioni socialmente utili in collaborazione con Municipio 5 di Milano per prevenire la devianza ed il disagio.

 

OBIETTIVI RAGGIUNTI
Grazie a questo tirocinio ho acquisito più sicurezza in me stessa, più consapevolezza delle mie risorse e potenzialità. Ho avuto modo di aprirmi a riflessioni e punti di vista differenti, collaborando insieme agli altri membri dell’Associazione per obiettivi comuni, dando il mio contributo per idee di progetti in ambito sociale e potenziando le mie capacità di ascolto attivo, fondamentali per la professione di psicologo.

Ho imparato a riconoscere i fattori di rischio e di protezione del disagio e della devianza, ed a progettare piani di intervento e di prevenzione degli stessi. Ho conosciuto una realtà, quella carceraria, le cui problematicità riguardano tanti settori e sono ancora poco prese in considerazione dalla società: l’applicazione effettiva della funzione rieducativa della pena; il reinserimento sociale del detenuto durante e dopo la conclusione della pena; un supporto nella coltivazione di rapporti famigliari e, soprattutto, nel rapporto con i figli.

Ho conosciuto persone con vissuti differenti dal mio, che attraverso le loro parole mi hanno portato estremo arricchimento interiore, utile a livello personale e formativo per il mio futuro lavoro di psicologa. Attraverso questa esperienza ho imparato a dialogare e non solo a litigare con la mia timidezza e ho ampliato le mie conoscenze, confrontandomi costantemente su tematiche come l’importanza della figura genitoriale per un figlio, il rapporto con l’Autorità, la presa di coscienza dei possibili “strappi” subiti durante l’adolescenza e l’infanzia e la rielaborazione degli stessi, i sensi di colpa, l’importanza del riconoscimento dell’Altro, il percorso di cambiamento, di maturazione e di responsabilizzazione.

Il Gruppo della Trasgressione è uno strumento fondamentale per la società, in quanto permette un confronto sano e funzionale tra le persone favorendo l’emergere delle risorse insite in ognuno. Reputo di estrema importanza gli interventi svolti da questa Associazione all’interno ed all’esterno delle carceri in quanto permettono la prevenzione della devianza ed il recupero e la ricostruzione di un Cittadino.

Come citato dalla nostra Costituzione infatti, la funzione della pena deve essere rieducativa: questo appare in profonda contraddizione con la situazione reale delle carceri italiane e le modalità di detenzione; la chiave per il recupero di una persona, affinché una volta uscita dal carcere possa contribuire attivamente al benessere della società, non è l’emarginazione sociale ma il confronto attivo con la società civile che permetta un suo graduale reinserimento lavorativo nella società stessa attraverso il riconoscimento delle sue risorse. La ricostruzione di un cittadino è un processo lungo ma realizzabile e i cui effetti benefici si ripercuotono sul singolo, sulla sua famiglia (anche prevenendo la devianza di seconda generazione) e sulla società intera.

Poiché reputo i progetti del Gruppo della Trasgressione utili e innovativi, ho deciso di restare come membro attivo dell’Associazione.

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Genitorialità

Uno dei temi più trattati al Gruppo è il rapporto tra padri e figli o se si preferisce la genitorialità.

 

CAPITOLO I
Un puzzle

Mi si è affacciato alla mente un puzzle formato da molti tasselli, ciascuno portatore di una diversa sfumatura.

Freud: “La morte del padre è la perdita più decisiva nella vita di un uomo”

Il poeta Caproni rinviene tra le rovine bombardate di piazza Bandiera a Genova una statua di Anchise sofferente che si aggrappa ad Enea che lo trasporta come un fagotto, mentre accanto cammina il piccolo Ascanio. Caproni: “Enea sono io, siamo tutti”.

Crono divorava i suoi nati per paura di perdere il potere e qualcosa di simile fa Laio. Quando Laio decide di sacrificare il figlio Edipo, davvero vuole solo neutralizzare una profezia nefasta?

A un crocevia Edipo uccide uno sconosciuto viandante anziano il cui cammino incrocia casualmente. Quel crocevia si pone fuori dalla civiltà, perché Edipo e Laio si rivelano incapaci di esprimere la propria umanità. Danno invece sfogo a violenza, rabbia, paura, incapaci di incarnare la pietas che contraddistingue l’umanità.

Telemaco subisce la presenza dei Proci che protervamente abitano la sua casa aspettando minacciosi che Penelope scelga uno di loro per marito. Senza l’aiuto e la guida di un padre è inerme. E così parte alla ricerca di Ulisse, ha bisogno che Ulisse ritorni, che torni a fargli da padre. Paradossalmente la sua adultità si manifesta proprio in questa ammissione di bisogno.

Nell’Iliade Ippoloco, padre di Glauco, consegna al figlio in partenza per la guerra l’armatura, dicendogli: “Ricorda di essere sempre il primo e non svergognare la generosa razza dei tuoi avi”. Con questo monito non gli dà solo un’armatura ma un’etica dell’esistenza. E’ con questa duplice consegna che incarna appieno il suo ruolo di padre, affettivo e normativo.

Priamo, canuto, rugoso, tremante di dolore e di paura, osa avvicinare Achille, nemico e uccisore del figlio Ettore, e lo supplica di restituirgliene il corpo. Achille guarda Priamo, la sua canizie, il suo dolore, la sua tristezza e non vede più il nemico, ma il proprio padre Peleo. Riconosce nel dolore di Priamo il dolore di Peleo, il proprio dolore, il dolore del mondo. E piange con lui per la tragicità dell’esistenza, per la fragilità dell’umana stirpe.

Non è dunque solo un legame di sangue che ratifica il ruolo di padre e figlio.

 

CAPITOLO   II
La nascita di un figlio

La nascita di un figlio a volte si colloca in una sala parto, a volte in una stanza d’albergo ai tropici.

Rivedo una salopette di jeans e una maglietta azzurra, una massa di riccioli neri, uno sguardo serioso e un accenno di sorriso. Mi sono inginocchiata per mettermi al suo livello e ho spalancato le braccia.

Rosy gli ha dato una spintarella e il bimbo è venuto a farsi stringere. Questa è stata la prima volta con mio figlio.

E’ entrato nella mia vita in quella stanza d’albergo e non ne è più uscito.

La genesi di un amore comincia molto prima della nascita di un figlio.

Nel desiderio di accoglierlo.
Nel desiderio di farsi accogliere.
Nel fantasticare di come sarà.
Nel lasciarlo essere ciò che è.
Nel lasciarsi vedere per come si è.
Nell’insegnargli a ridere e piangere.
Nel lasciarsi insegnare a ridere e piangere.
Nell’amarlo e nel lasciarsi amare.
Nel farsi sorprendere e nel sorprenderlo.

La nascita di mio nipote è avvenuta in sala parto, ma la genesi del mio amore per lui è cominciata molto prima.

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Mia figlia e suo figlio

Quando gli occhi subiscono il rapimento di un incanto che nel suo splendore cede ad una poesia, frammenti di coscienza si fondono e danzano con la vita.

Ho aspettato questa danza per quasi 27 anni . Chissà quante volte è sfuggita ai miei occhi e quante notti ai miei tormenti.
Attimi d’intimità rubati da uno scatto fotografico.
Mia figlia e suo figlio…

Lei ed io, così distanti per decenni, così distinti e amanti oggi.
Sembra un passaggio di seme non vissuto, quasi surreale. Non metabolizzante per una coscienza vigile ai sentimenti e attenta alla perdizione.

Il mio passato degradante annientato da quest’attimo che oggi riconosco e vivo con la consapevolezza che proprio in questi frammenti ci si apre alle fragilità e ci si consegna ad una identità certificata dall’amore.

Mi ero assentato, ma non mi sono perso.

Roberto Cannavò

Genitori e Figli

Pratica di cittadinanza

Lunghe fasi dominate dal distanziamento sociale, a cavallo tra due anni scolastici, nell’impossibilità di toccarsi, mesi a dannarsi per imparare nuove piattaforme, con ansie vissute in solitaria. Perdere per strada ragazzi più fragili o demotivati, smarriti nei labirinti dei supporti digitali inadeguati o mancanti, delle connessioni che saltano. Scoprirsi una timidezza nel guardarsi in uno specchio, nell’usare un microfono davanti ad una platea spesso invisibile e impiegare mesi a preparare materiali didattici adatti alla nuova situazione.

Insegno lettere nel liceo artistico di Brera, ho faticato a padroneggiare la didattica a distanza e, nella mia antichità, mi sono posta quest’obiettivo: usare ogni strumento per realizzare il “non uno di meno”. La domanda è stata: come trasformare il problema in una risorsa? La risposta possibile: scegliere tra le pratiche didattiche quelle che sono risultate, nel tempo, più coinvolgenti.  Gli studenti avvertono se quello che fai è per passione o per forza. La condivisione del piacere che nasce dalla curiosità per gli altri, dalla conoscenza è il privilegio del mestiere di insegnante, è una delle rare scintille che si accendono nei ragazzi quando qualcosa ha funzionato oltre l’apprendimento della nozione.

Ho sentito così che in questo periodo di pandemia in cui la reclusione è divenuta, nelle differenze, condizione comune, aveva senso portare avanti il gemellaggio Brera in Opera che conduciamo da anni tra il nostro liceo e il carcere nelle due attività del Laboratorio della trasgressione per il triennio e del Laboratorio di poesia per il biennio. Sapevo che il dottor Aparo (generoso psicologo fuori dagli schemi, con lunghissima esperienza nelle carceri milanesi e coordinatore del gruppo della trasgressione), nell’impossibilità di continuare le attività in carcere, aveva dato inizio nel lockdown ad un cineforum che promuovesse una riflessione su banalità e complessità del male. Sua ambizione era estendere ad una dimensione geografica più allargata il gruppo, costituito da studenti del liceo, detenuti ed ex reclusi, studenti universitari, vittime di reati comuni o di mafia, operatori culturali e sociali, insegnanti. Il tema richiama il testo di Hannah Arendt, che s’intende declinare in chiave di attualità e nei vissuti di ciascuno.

Ci siamo inseriti come progetto Brera in Opera con la proposta di un pacchetto orario sullo stesso tema ma calibrato su un percorso curricolare e interdisciplinare di italiano, storia, filosofia, educazione civica. Abbiamo proposto una rosa di film su neorealismo e “dintorni” in cui il male banale e complesso assumeva una dimensione storica, sociale, individuale nelle declinazioni delle sopraffazioni o della riduzione consumistica degli uomini ad oggetti. E così, anche se non è stato possibile avere nel nostro liceo il gruppo dei detenuti di Opera, né andare nel carcere dove sono cessate durante la pandemia le visite degli esterni, come quelle dei familiari (reclusione nella reclusione) abbiamo scoperto che lavorare con il gruppo della trasgressione poteva riservare sorprese anche nella didattica a distanza.

L’obiettivo ambizioso di far comunicare mondi diversi ha funzionato ancora una volta. Ci si è parlati, ci si è preparati vedendo film, leggendone recensioni, ragionando insieme. Cosa rende così importante il contatto tra i detenuti e i ragazzi? L’intensità dell’esperienza con cui il mondo degli adolescenti ha colto la differenza tra il delinquente di un tempo e l’uomo di adesso che ha fatto una scelta di campo: passare dentro il lancinante percorso di coscienza del male compiuto, che non era percepito come tale, quando il processo di empatia era inibito, il dolore della vittima non avvertito.

Questo hanno testimoniato i ragazzi nel raccontare l’esperienza. Il laboratorio della trasgressione, nei lunghi percorsi psicologici condotti nelle carceri milanesi dal dottor Aparo, libera l’umano sepolto nel carnefice anestetizzato al dolore dell’altro. Non è un percorso facile, si diventa infami agli occhi dei detenuti irriducibili, che etichettano con questo termine chi entra nei percorsi di recupero e sceglie di dare un senso all’educazione come uscita dal lager dell’assenza della propria anima, della propria umanità. Qualcuno può iniziare per tornaconto, per abbreviare la pena o avere permessi, ma il calcolo è sbagliato, il conto non torna: guardarsi dentro, andare al centro del male prodotto ad altri fa male al nuovo sé stesso, quello che sente com-passione.

Salvarsi vuol dire perdere il sé stesso di prima, è il lutto di chi ha prodotto lutto. È una lingua nuova appresa oltre l’odio che albergava tra vittima e carnefice ferendoli entrambi. In questa lingua parlano oggi Roberto, Adriano, che attraverso la cooperativa di frutta e verdura in cui lavorano durante i permessi dal carcere, prestano soccorso in questo tempo di nuove povertà da covid, distribuendo gratuitamente a chi non ha. E’ una pratica nuova il gratuito, è il senso dell’umano ritrovato.

La presenza negli incontri di persone molto diverse ha portato valore aggiunto, una ricchezza inestimabile a detta degli studenti, che raccontano la loro. Ed ecco il bilancio: ragazzi che non intervengono in classe hanno parlato davanti a una platea virtuale di 70 persone. Lo stesso è accaduto nel laboratorio di poesia per il biennio (con il poeta Vittorio Mantovani, ex recluso di Opera e la regista teatrale Roberta Secchi) sul tema “la ferita e la cura”: una ragazza ha rivelato che si taglia, cosa che nessuno sapeva; lo studente con sordità ha parlato di questa sua ferita. A me e alla mia collega veniva da piangere. E ancora un paio di miracolose situazioni, inattese. Come se il silenzio intorno consentisse una concentrazione diversa, come se un’esposizione paradossalmente meno diretta producesse qualcosa di inconsueto. Insomma, non ho una teoria rigida sulla didattica a distanza, dipende da che tipo di scuola si fa.

Credo che vadano considerate alcune varianti che ci sfuggono, situazioni nuove. Indubbiamente un liceo ha uno spaccato familiare privilegiato rispetto ad altre scuole e la didattica in presenza è insostituibile perché fuori dalle aule cresce il divario sociale. In dad i più piccoli non accendono la videocamera, continuano a sfuggire, ragazzi fragili e in condizioni di svantaggio si perdono. Siccome sono una stalker, uno di loro, introvabile in altro modo, vado a cercarlo su instagram nella disapprovazione di mia figlia a cui chiedo aiuto per usare il mezzo: “Claudia, secondo te mi risponderà? E lei di rimando:” Secondo te? Ma ti pare che rispondono alla professoressa su Instagram?” Infatti aveva ragione lei: non mi ha risposto. Però è venuto all’incontro di poesia e mi ha mandato sue composizioni. Insomma, mi sembra utile osservare tutto e valutare con sguardo sgombro.

Ora che nella scuola l’educazione civica è divenuta oggetto di valutazione, sta a noi riempire di significato non nozionistico questa “disciplina” trasversale, evitando di creare un controsenso. Cosa è educazione civica se non pratica di cittadinanza attiva?

Cosa vuol dire apprendere la Costituzione? Non fare recita arida di articoli scritti con il sangue di chi ha pagato per consegnarcene l’eredità, ma attuare i suoi articoli. Per noi fare cosa viva della Costituzione significa praticare l’articolo 27 che fa dell’educazione dei detenuti riscatto e ricostruzione di sé, che rende lo scambio di conoscenze, attraverso una comunicazione sensibile, il valore più fecondo.

Giovanna Stanganello

I contributi del Liceo Brera al cineforum

Il progetto

Premessa

Il progetto nasce dalla constatazione che molto spesso il detenuto, soprattutto quando i figli sono molto piccoli, mente sulla propria condizione, non dichiara di essere detenuto in carcere.

Spesso con il consenso della moglie, egli racconta ai figli di vivere per esigenze di lavoro in una struttura non meglio specificata. Quando i figli diventano abbastanza grandi, il padre ammette di essere in carcere, ma omette le proprie responsabilità sulla condanna, racconta di errori giudiziari, di essere in attesa di un prossimo chiarimento e di una prossima scarcerazione.

Questo, inevitabilmente, stimola nei ragazzi rancore nei confronti di chi tiene il padre segregato. In una prima fase avviene di solito che il padre venga idolatrato; più avanti, quando le sue bugie diventano plateali, l’immagine paterna viene squalificata, anche se questo, per i figli, non corrisponde a un incremento della fiducia nelle istituzioni che lo tengono ristretto.

Una complessa combinazione di fattori ambientali (le distanze, i tempi esigui delle telefonate, la difficoltàn, un ambiente rumoroso e poco intimo, di comunicare altro oltre ai saluti e alle raccomandazioni di rito) e soggettivi (l’immaturità, la paura di far male, l’incapacità del genitore di capire cosa è bene per i figli) fa sì che i colloqui in carcere siano vissuti all’insegna della superficialità.

In questo modo i genitori, intanto che danno versioni poco verosimili della loro condizione, sentono di avere sempre meno il diritto di esercitare la loro funzione genitoriale e di chiedere ai figli di comportarsi bene; da parte loro, i figli sentono il dovere di lasciar credere ai genitori di non avere capito come stanno le cose. L’impasto di menzogne, di attese continuamente deluse, di compromessi farà sì che i genitori non abbiano alcuna autorevolezza quando i figli, giunti all’adolescenza, cominceranno qualche volta a prendere la strada della droga e della devianza; allo stesso tempo darà luogo ad adolescenti violenti e spesso autodistruttivi.

Un lavoro sulla relazione fra genitori e figli, capace di portare i genitori detenuti ad un costruttivo esercizio delle loro funzioni parentali, promette di ridurre quello che forse è il danno più grande che il reato e la conseguente lontananza fra genitori e figli producono: le spinte devianti della 2° generazione.

locandina di Adriano Avanzini

 

Obiettivi

L’obiettivo ultimo del progetto è evitare che la detenzione dei genitori porti automaticamente ad adolescenti arrabbiati contro i genitori e a futuri cittadini sfiduciati verso le autorità e le istituzioni.

In relazione a questo, si punta nell’immediato ad accrescere fra i detenuti che partecipano al progetto la consapevolezza delle dinamiche relazionali fra genitori e figli e delle proprie responsabilità verso i figli e la collettività.

È parte integrante dell’obiettivo coltivare una serie di attività culturali che permettano ai padri di acquisire l’autorevolezza senza la quale i detenuti si sentono facilmente ricattabili dai figli (“Se pretendi che io faccia così, non vengo la settimana prossima a trovarti”).

Nel tempo, è previsto che, grazie a incontri allargati in carcere, i detenuti che abbiano fatto un percorso appropriato possano gradualmente estendere ad altri ristretti le competenze, la sensibilità e le motivazioni acquisite.

 

Tempi e procedure

Il progetto prevede:

  1. incontri settimanali durante i quali viene dato spazio a riflessioni e a scritti dei detenuti sulla loro relazione con i figli e sul progetto. Nel corso degli stessi incontri viene anche dato ampio spazio ad alcuni dei temi di cui il gruppo si occupa da sempre e, in particolare, a quelli più utili per stimolare l’importanza della comunicazione fra genitori e figli e “il piacere della responsabilità”;
  2. attivazione su Voci dal Ponte di un’area nella quale vengono riportati:
    • gli scritti dei detenuti sul tema
    • ove ve ne fossero, gli scritti sul tema dei loro congiunti
    • la documentazione degli sviluppi dell’iniziativa
  3. incontri trimestrali fra il gruppo della trasgressione e i familiari di tutti i componenti del gruppo, che sono a volte accompagnati da interventi musicali e sono sempre seguiti da un pranzo durante il quale i detenuti stanno con i loro familiari;
  4. Incontri allargati ad altri ristretti dell’istituto nel corso dei quali i detenuti del gruppo della trasgressione possano presentare i risultati ottenuti e svolgere verso gli altri detenuti il ruolo di Peer support.
  5. In tutti gli incontri del progetto e, a maggior ragione, nel corso degli incontri allargati agli altri detenuti dell’istituto, si intende promuovere delle situazioni in cui i genitori detenuti possano essere visti dai figli come persone che oggi stanno imparando a collaborare costruttivamente con la società e con le istituzioni.

Ancora in piedi [I’m still standing]

Dice bene quel grande genio di William Kentrigde:  “il suono cambia quello che vediamo e quello che vediamo ha un effetto su quello che sentiamo”.

Uno stesso suono può dunque essere diversamente veicolato nella nostra mente a seconda delle immagini alle quali esso viene abbinato. E così può accadere che, per i casi della vita, una canzone che mi aveva sempre parlato – per tanti anni fino a quel preciso momento – di un amore disperato tra un uomo e una donna possa assumere, meravigliosamente quanto imprevedibilmente, il significato diverso di un legame tra un padre ed un figlio.

https://www.youtube.com/watch?v=pHZneOidj9A

Don’t you know I’m still standing better than I ever did /non lo sai che sono ancora in piedi meglio di quanto non lo sia mai stato ?

Looking like a true survivor, feeling like a little kid / sembrando un vero sopravvissuto, sentendomi come un bambino piccolo

I’m still standing after all this time / sono ancora in piedi dopo tutto questo tempo

“Papà, ma se era così tanto forte non poteva scappare prima dalla prigione?”

“Non credo, lo ha potuto fare solo grazie al potere della musica”, ho abbozzato io come risposta alla curiosità di mio figlio.

Devo ammettere che prima di scoprire il Kentrigde regista teatrale mi aveva colpito il Kentrigde disegnatore “in bianco e nero”, e più ancora quanto l’artista sudafricano è solito raccontare nelle interviste in merito a quella scatola che vide sulla scrivania di suo padre quando aveva l’età di 6 anni. Credendo contenesse cioccolatini, la aprì e vi trovò invece “immagini di una donna con la schiena spazzata via dai colpi d’arma da fuoco, di qualcun altro di cui la metà del viso era visibile”. Questo perché il padre, Avvocato di Johannesburg, un anno prima aveva assunto la difesa delle famiglie delle vittime del massacro di Sharpeville (21 marzo 1960 – la polizia sparò sui dimostranti, uccidendo 69 persone di colore).

Nell’osservare le animazioni di Kentridge si nota come la cancellatura di un tratto di matita non viene utilizzata per eliminare un errore quanto per dare costruzione al filmato. Allo stesso modo mi ha sempre colpito il fatto che l’artista difficilmente utilizzi un foglio bianco per i suoi disegni ma parta sempre da qualcosa già realizzato in natura. Come se per riprendersi da quello shock avesse trovato nell’Arte il giusto vaccino per restituire al dolore subìto un significato più profondo, che nulla ha a che fare con il dimenticare quanto piuttosto con il lasciare riemergere quello che è stato senza che di conseguenza quello che sei diventato  venga per ciò stesso rimesso sullo sfondo.

Allo stesso modo anche questo 2020 ci ha regalato, anche recentemente in diretta Zoom e sempre complice l’infaticabile Juri Aparo, testimonianze di padri che riescono a cogliere – nel tempo lungo della pena detentiva – l’occasione per tentare recuperare il loro rapporto con i figli (anche essi, in questo senso, vittime dei reati da loro commessi e congelati negli affetti di un tempo passato).

Ed è così che, alla fine di quest’anno così difficile per tutti (vittime o carnefici poco importa anche durante questa pandemia) e così inaspettatamente faticoso anche per me, ho pensato fosse utile ripartire da quelle parole rosa scritte da mia figlia per la Giornata della memoria e dell’impegno, rimaste appese sulla porta della nostra cucina nelle settimane successive del nostro lungo lockdown milanese.

E custodire tra le cose che mi hanno più utilmente sconvolto l’immagine di Ulisse in un letto di ospedale, alla quale – nel mezzo del mio cammino che è stato fortemente segnato dall’esperienza del Gruppo della Trasgressione e dall’incontro di molti Familiari di vittime – oggi posso anche io aggiungere un suono (potere della musica, altra medicina di questo triste 2020): “sono ancora in piedi”.

Una scena dell’opera lirica «Il ritorno di Ulisse in patria» di Monteverdi [allestimento di William Kentridge]

Ma, potendo scegliere, non voglio “sembrare un vero sopravvissuto” quanto piuttosto “sentirmi come un bambino piccolo” che è stato (ri)generato da una esperienza terribile. Perché – davvero – sono le nostre fragilità, se affrontate, a renderci più forti.

Con affetto e riconoscenza, nella speranza di rivedervi tutti di persona nel 2021 per continuare insieme il nostro viaggio finora così fecondo.

Esperienze che (in)Segnano

Andrea Martina Sinigaglia, Matricola: 848264
Corso di studio: Scienze e Tecniche Psicologiche
Tipo di attività: Stage esterno

Periodo: dal 5/10/2020 al 15/12/2020
Titolo del progetto: Il Gruppo della Trasgressione, Esperienze che (in)Segnano

 Caratteristiche generali dell’attività svolta:
istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

Il Gruppo della Trasgressione è una associazione che si occupa della tematica della devianza agendo sia all’interno degli istituti penitenziari che all’esterno. L’obbiettivo è quello di ideare e mettere in pratica progetti di prevenzione e contrasto alla delinquenza, ma anche quello di una ‘riabilitazione’ dei detenuti che, grazie al contatto umano e all’interscambio di emozioni ed esperienze, hanno la possibilità di interfacciarsi con una realtà extra-carceraria culturalmente e intellettualmente appagante così da costruirsi le basi per un futuro migliore. C’è tanta possibilità di crescita e di miglioramento, sia per i detenuti che per gli altri componenti del gruppo (professionisti del campo e famigliari delle vittime) ma anche, e molto, per gli studenti e tirocinanti che si affacciano a questa piccola realtà con un grande progetto, il Gruppo della Trasgressione.

Il tutto si fonda per lo più sulla partecipazione ad incontri settimanali di vario tipo. Al momento, causa pandemia, non è risultato possibile svolgere incontri all’interno delle carceri con cui il Gruppo collabora (Opera, Carcere di Bollate e San Vittore) ma si è rimediato a ciò tramite l’utilizzo della piattaforma Zoom. In particolare, gli incontri fissi svolti settimanalmente erano/sono: il Cineforum sulla Banalità e Complessità del Male il lunedì pomeriggio, il Progetto sulla Genitorialità Responsabile il martedì pomeriggio e, a settimane alterne, la Palestra della Creatività e il Mito di Sisifo il giovedì pomeriggio. Nel corso della settimana vengono poi saltuariamente svolte ulteriori attività di vario tipo legate al fatto che l’associazione è attiva sul territorio milanese e regionale e prende parte a diverse attività/progetti culturali di varia natura.

Elemento fondamentale di tutto è la comunicazione e condivisione dei propri pensieri, emozioni ed esperienze; non solo da parte dei detenuti/ex-detenuti ma anche di tutti gli altri componenti del gruppo, compresi gli studenti e tirocinanti passeggeri. È difatti richiesta e ben accolta la piena partecipazione di tutti in quanto è solo così che si può attuare, e anche solo pensare, una possibile crescita e miglioramento personale e sociale.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Ciò che viene chiesto, e caldamente consigliato, ai vari tirocinanti è di mettersi nel ruolo di partecipante attivo. Un vero e proprio membro che, assieme al gruppo, collabora nei vari progetti e può aiutare sia fisicamente tramite la stesura dei verbali dei vari incontri, la recitazione-improvvisazione all’interno della rappresentazione teatrale del gruppo, il Mito di Sisifo, eccetera; sia concettualmente condividendo le proprie idee, opinioni ed esperienze sulle varie tematiche affrontate dal gruppo.

La partecipazione attiva al gruppo non è una regola imposta ma una opzione alla quale si viene incoraggiati, pur nella libera scelta del singolo tirocinante. Io, per mio avviso, penso di essermi messa molto in gioco e mi sento di consigliare anche ad altri eventuali stagisti di fare lo stesso in quanto non comporta null’altro che un beneficio umano e professionale. Il gruppo nella sua totalità è in grado di metterti in contatto con te stesso come persona con le proprie fragilità e punti di forza e metterti anche in contatto con gli altri così da aiutarsi reciprocamente ed evolvere insieme.

Il ruolo che ho svolto è quindi quello di membro del gruppo e per il gruppo: partecipando attivamente agli incontri, contribuendo alla stesura dei verbali degli incontri, lavorando in gruppo per la realizzazione di alcune interviste, recitando-improvvisando per la rappresentazione teatrale ed infine contribuendo scrivendo e leggendo un testo personale per il progetto sulla violenza contro le donne in cui il gruppo è stato coinvolto.


Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Le attività concrete svolte dal/con il Gruppo della Trasgressione riguardano in primis la partecipazione agli incontri settimanali fissi, già precedentemente citati. In particolare, il lunedì pomeriggio si svolge il cineforum sulla Banalità e Complessità del Male. Questo è un progetto che consiste nella scelta e visione di alcuni film inerenti alle tematiche della devianza, del male e della fragilità umana e successiva discussione degli stessi tramite dibattito. Il periodo socialmente difficile che stiamo vivendo a causa della pandemia ha costretto allo svolgimento degli incontri settimanali in versione online, tramite la piattaforma Zoom. Vi è quindi un incontro in cui solitamente una ventina di persone si interrogano sul film visto cercando delle corrispondenze tra quest’ultimo è il tema principe del progetto che è la complessità e banalità del male.

Importante sottolineare come il titolo del cineforum viene estrapolato dall’omonimo libro di Hannah Arendt in cui con il termine ‘banalità’ non ci si riferisce al significato enciclopedico più conosciuto di superficiale, semplice, eccetera; ma si vuole invece far riferimento alla capacità del Male di essere così pervasivo e insidioso che, come una erbaccia infestante, si fa largo nella quotidianità di ognuno di noi.

Il progetto prevede la possibilità di condividere gli incontri e ciò che ne viene estrapolato con gli studenti delle scuole così da poter essere strumento di dialogo, riflessione e prevenzione nei giovani, motori della futura società. Nel mio percorso di tirocinio ci sono stati 3 incontri che hanno visto coinvolti gli studenti del liceo artistico di Brera – Milano e, in uno di essi ha partecipato anche il regista del film scelto. Ritengo che per i ragazzi coinvolti possa essere un progetto molto interessante anche perché si fonda su due strumenti (il cinema e la tecnologia) entrambi a loro molto congeniali e ne evidenzia le possibilità di utilizzo e crescita.

Il secondo incontro settimanale fisso riguarda invece un progetto nuovo intitolato ‘Genitorialità responsabile’. Quest’ultimo si basa sul fatto che spesso il rapporto tra figli e genitori detenuti incontra molte difficoltà, in primis date le limitazioni spazio-temporali legate all’ambiente carcerario e strutturazione dei colloqui con i figli e, in secondo luogo, perché capita spesso che i figli di detenuti sviluppino un senso di odio e rancore verso le autorità penitenziarie, e non, e le istituzioni. È un progetto volto a sfruttare la condivisione di proposte ed esperienze personali al fine di trovare metodi per creare una migliore possibilità di rapporto genitoriale nelle carceri e per prevenire l’eventuale devianza dei figli di detenuti.

C’è infine l’incontro del giovedì pomeriggio dove vengono alternati due progetti: il Mito di Sisifo e la Palestra della creatività. Quest’ultima si pone come obbiettivo quello di confrontarsi su varie tematiche e dinamiche organizzative di gruppo per poter ideare nuovi progetti o eventualmente migliorarne di già avviati. Il Mito di Sisifo è invece una rappresentazione teatrale del Gruppo della Trasgressione. Nasce dall’idea che il mito greco di riferimento possa essere una buona rappresentazione del percorso di un adolescente, che commette prima atti delinquenziali e che poi intraprende un percorso che lo metterà di fronte alla propria coscienza e gli permetterà di ritornare un uomo nuovo e utile alla società.

Il mito permette di affrontare molteplici tematiche care al gruppo quali: l’arroganza dell’uomo, il conflitto con le figure autoritarie e genitoriali, la necessità dei genitori di essere figure credibili agli occhi dei figli, la seduzione e tentazione del male, il bisogno degli adolescenti di credere in un progetto futuro, eccetera. Il tutto si svolge attraverso la recitazione improvvisata dei vari membri del gruppo che, dopo aver conosciuto la narrazione del mito e compreso i concetti principali che devono trapelare all’interno del recitato, si immedesimano in un personaggio ed improvvisano dei dialoghi. Il fatto stesso di recitare una parte permette all’attore del momento e agli ascoltatori di comprendere e riflettere sulle tematiche prima evidenziate.


Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Il coordinatore del Gruppo è il dottor Angelo Aparo che è la figura principale di riferimento per ciascun membro del gruppo. È per i detenuti colui che gli tende la mano e offre la possibilità di mettersi allo specchio e riflettere su sé stessi, ma anche mettersi di fronte agli altri e affrontare il proprio passato. Per gli studenti e tirocinanti è colui che coordina gli interventi all’interno degli incontri, che ci spinge alla partecipazione attiva e che nei suoi interventi condivide le sue conoscenze ed esperienze sulla psiche umana. In generale, il dottor Aparo è il collante del gruppo senza cui non sarebbero mai stati possibili tutti i progetti e interventi sociali avviati.

La modalità di verifica delle attività svolte si basa per lo più sulla partecipazione del tirocinante all’interno degli incontri del gruppo e sulla stesura dei verbali degli incontri che vengono condivisi in una cartella drive e controllati dal coordinatore.


Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Tra le conoscenze acquisite all’interno di questo percorso di stage vi sono in primis quelle relative al contesto fisico carcerario e le dinamiche psicologiche e sociali che avvengono al suo interno. Su questo tema, all’interno del Gruppo, ne discorrono per lo più i detenuti/ex-detenuti portando al centro della discussione le proprie esperienze personali. Interventi di questa tipologia inoltre vengono spesso stimolati e intavolati dalle curiosità dei tirocinanti. A me in primis è capitato più di una volta di chiedere quali dinamiche si istaurassero nei rapporti tra i detenuti dopo che uno di essi entrava a far parte di una realtà come il Gruppo della Trasgressione.

Il dottor Aparo stesso è stata un’immensa fonte di conoscenza perché in ogni suo intervento inserisce nozioni e concetti psicologici su varie tematiche. Anche nella stesura dei verbali mi sono spesso resa conto che la trascrizione dei suoi interventi risultava un passo fondamentale. Ha la grande abilità di saper mettere la propria esperienza e conoscenza al servizio degli altri o, per meglio dire, al servizio di chi vuole e agisce per usufruirne.

Oltre a tutte le conoscenze generali e professionali strettamente legate al lavoro dello psicologo nelle carceri e nel sociale, ritengo di aver appreso anche moltissime conoscenze sulle dinamiche di gruppo, l’organizzazione che un gruppo può e dovrebbe avere, l’eventuale struttura gerarchica, il rispetto che ci deve essere all’interno di un gruppo e anche la forza della condivisione e collaborazione per un progetto comune.


Abilita acquisite (tecniche, operative, trasversali)

La principale abilità che ritengo di aver acquisito, non ancora del tutto, da questo percorso è quella di saper interloquire con gli altri e mettersi in gioco portando al centro dell’attenzione e della discussione sé stesso con le proprie opinioni, esperienze, proposte. Come già detto, il Gruppo sprona alla partecipazione e, se questa occasione viene colta, ciò permette al tirocinante di imparare a mettersi in discussione e magari acquisire anche maggiore sicurezza in sé stesso. Si impara in primis a parlare in pubblico con persone che non ti conoscono e che tu non conosci, fattore non scontato, e a condividere con loro in modo chiaro i propri vissuti e credenze personali.

Altro pacchetto di abilità che mi sento di aver acquisito grazie a questa esperienza riguarda tutto ciò che ha a che fare con le dinamiche e la vita di un gruppo. I gruppi richiedono dei modi di confrontarsi e relazionarsi con gli altri e di rispettare le persone che ne fanno parte e i ruoli che ricoprono. Saper lavorare in gruppo è un’abilità molto importante sia in ambito professionale che di vita sociale in generale. Altra abilità fondamentale nel lavoro di gruppo e negli incontri con il Gruppo è stata la capacità di ascolto attivo.

Non mi sento però di aver acquisito abilità complete in quanto c’è sempre da migliorare e da poter imparare ed è anche per questo che ho deciso di rimanere all’interno del Gruppo anche una volta terminato il mio percorso di tirocinio.


Caratteristiche personali sviluppate

Il Gruppo della Trasgressione ha la capacità di metterti di fronte a te stesso; grazie al Gruppo impari a conoscerti con le tue debolezze, fragilità e punti di forza e impari a conoscerti anche in relazione agli altri. Non sei da solo, sei circondato da persone che ti accolgono e si rendono disponibili a prenderti per mano e accompagnarti in una tua crescita professionale e umana. Soprattutto per i giovani penso che il gruppo abbia una potenzialità enorme sotto questo aspetto.

Penso di aver imparato una cosa molto importante dal Gruppo: non c’è bisogno di fare tutto da soli e non è sbagliato chiedere aiuto agli altri. Sono sempre stata molto reticente nell’affidarmi al prossimo in quanto spesso i risultati ottenuti sono stati il fatto che mi venissero rinfacciate determinate situazioni piuttosto che il rifiuto aperto. Ho però capito che il problema non risiede nell’affidarsi al prossimo e credere in lui ma piuttosto nello scegliere adeguatamente la persona/persone e ciò per cui chiedere aiuto. Il Gruppo è un’entità completa che si rende disponibile ad accogliere le richieste di aiuto dei suoi membri, anche le richieste non esplicite o che magari la persona in questione non sa nemmeno di avere. Ma il Gruppo c’è, sempre e incondizionatamente.


Altre eventuali considerazioni personali

Il Gruppo della Trasgressione è possibilità. Possibilità di crescita, cambiamento e maturazione. Non solo per i detenuti/ex-detenuti ma per chiunque ne entri a far parte.

La cosa più bella è che spesso gli studenti e tirocinanti iniziano questo percorso con l’idea di dover aiutare gli altri, del resto il progetto lavorativo legato alla psicologia si fonda spesso sul lavoro per il prossimo. Questo Gruppo però ti mostra come spesso sono gli altri ad aiutare te, anche quando questo aiuto non lo stai cercando.

Per concludere è stata un’esperienza molto bella e stimolante che mi sento di consigliare caldamente a chiunque stia cercando un percorso di tirocinio.