Le zanzare per nostra sfortuna vincono sempre, o quasi.
È una notte d’estate, mentre tutti dormono, sento le zanzare che cercano ostinatamente di attaccarmi: è un combattimento impari, vincono quasi sempre loro. In questa battaglia notturna mi viene in mente mio padre. È molto tempo che non lo ricordavo più, chissà perché. Fa un caldo terribile in queste celle, il caldo toglie il respiro, mi vien voglia di urlare, intanto penso a mio padre. Cerco anche di ricordare i visi delle persone che conoscevo, ma inutilmente; sarà il caldo, penso. Mi sforzo ma è inutile ricordare i loro visi, non ho neppure le foto di tutti coloro che vorrei ricordare e associare alla mia vita passata. Ho trascorso parecchio tempo in carcere e ho incontrato molte persone. Con alcune di loro abbiamo fatto un percorso di confronto culturale e personale, tuttavia ricordo a stento i loro nomi. Ho sempre pensato che è meglio non affezionarsi a nessuno, specie in luoghi come questo.
Mio padre era un semplice contadino, ha cercato per quanto gli fosse possibile di darmi degli insegnamenti; ha fatto di tutto, sono io che non ho fatto nulla per aiutarlo. Ricordo in particolare quando durante l’estate ci svegliava prestissimo per aiutarlo ad irrigare i campi dove lui lavorava, dal momento che il suo turno di erogazione dell’acqua gli veniva concesso durante la notte; ricordo le sue corse con la zappa in mano per tappare i buchi nel terreno, quelli lasciati dalle piccole talpe che fuoriuscivano alla ricerca di refrigerio, onde evitare che andasse persa qualche goccia d’acqua.
A pensarci bene, non ho una foto da adulto insieme a lui. Lo ricordo sempre alla ricerca di una giornata di lavoro, ce la metteva tutta per portare, come si dice, il pane a casa. Abitavamo in una casa colonica, di caldo ne faceva tanto durante l’estate in quel profondo sud. Invece oggi debbo sopportare lo stesso caldo, con la differenza che a casa potevo uscire e dormire fuori all’aria aperta, magari sopra l’erba rinfrescata dalla brina notturna; mentre qua non è possibile, ci sono i cancelli di ferro. Ecco che di nuovo il pensiero corre a mio papà, alla mia infanzia, ai miei quattro fratelli e a mia madre. L’ultima volta che ho incontrato mio padre è stato in carcere, era venuto a trovarmi, forse ad abbracciarmi per l’ultima volta; stava per morire, ho visto gli occhi di mia madre che me lo enunciavano, mentre lui si sforzava di chiacchierare forse per darmi coraggio. Pensava forse che avessi bisogno di quello.
Oggi penso a tutto quello che avrei voluto dirgli, raccontare di me, della mia vita, manifestargli il mio affetto, la mia stima, la mia ammirazione per la sua grandiosità di essere uomo, per la sua umiltà, per non averci mai fatto mancare nulla, né a noi né a mia madre, che venerava. Non ho voluto farlo, forse per non apparire debole ai suoi occhi e me ne rammarico.
Mi bastava guardarlo per capire quello che gli passava per la testa, era una persona semplice, non conosceva cattiveria, malizia, invidia. Non sapeva cosa fossero. Non erano sentimenti che gli appartenevano, per questo molti si approfittavano della sua nobiltà d’animo e della sua incapacità di sottrarsi alle richieste di aiuto; era facile per gli altri circuirlo, approfittando della sua semplicità, per non pagarlo della fatica che svolgeva nei campi. In poche parole era semplicemente una brava persona, perbene, con delle qualità rare, tanto da sembrare anacronistico nei suoi modi di fare. La sua vita sacrificata mi faceva arrabbiare parecchio.
Ho iniziato già da ragazzino ad applicarmi con l’intento di riuscire a dare ed avere qualche soddisfazione in più, ma diventando tutto l’opposto di lui. Ho avuto molte soddisfazioni per il mio carattere, ma questo mi ha anche trascinato fuori dal contesto sociale. Non desidero attenuanti. Invece vorrei parlare a mio padre in questa notte di caldo, chiuso in una cella insieme ad altre due disgraziati come me, che adesso dormono beatamente con il lenzuolo bagnato appositamente d’acqua sopra il corpo. Vorrei chiedergli scusa per la mia assenza al suo funerale, non è dipeso dalla mia volontà; chiedergli scusa per tutte le volte che avrei voluto abbracciarmelo forte per dirgli quanto mi è mancato, quanto mi hanno fatto sentire sicuro i suoi di abbracci, per dirgli “grazie Papà per tutto quello che hai fatto per noi”.
Ieri ho chiamato mia madre e dopo i primi convenevoli, mi ha detto che a breve ricorre l’anniversario della morte di papà. Ho risposto che quella data non la dimentico e che ho pensato di fare recitare una messa dal cappellano. È una bugia, non sono credente e mia madre non lo sa; se lo sapesse ne farebbe un dramma.
Non riesco a dormire ed accendo a volume zero la tv, guardo le immagini di migranti sui barconi; molti non arriveranno a destinazione, altri forse ce la faranno e sono contento per loro. Penso questo perché credo che ognuno abbia bisogno di opportunità, di una chance, per raggiungere la felicità, o perlomeno per tentare di migliorare il proprio stato. Mi rattrista pensare che molti rimarranno delusi nelle loro aspettative non trovando l’isola felice che speravano di raggiungere. Alcuni di loro dopo la lunga attraversata, si ritroveranno in carcere, inghiottiti in questa buia voragine, aggiungendo alla sofferenza passata quella che il carcere riserverà loro, comprese le torride notti di caldo trascorse a lottare contro l’infinito esercito delle zanzare, che cercano continuamente di attaccare e che, per nostra sfortuna, vincono sempre, o quasi.
Vincenzo Martino
Torna all’indice della sezione