Una serata di riflessione

Ho sentito spesso parlare del Gruppo della Trasgressione e dei tanti eventi che organizza. Già da qualche giorno si parlava di questa serata del gruppo insieme con l’associazione Libera e con la fondazione De André. Speravo potessimo partecipare e così è stato. Arrivato al teatro, ho trovato subito delle persone che conoscevo: Arnoldo Mosca Mondadori, presidente della “fondazione casa dello spirito e delle Arti” assieme alla sua assistente Greta. Mi hanno elogiato per un intervento che ho fatto alla presentazione di un libro di Giorgio Paolucci dicendomi che avevo commosso con la mia storia. Felicissimo, ho preso posto per assistere all’evento.

Arrivano gli ospiti, il dott. Aparo è stato tra i primi con Don Luigi Ciotti, Dori Ghezzi e la signora Lucilla. Da lì a poco ho capito l’omaggio al grande De André. Conoscevo le canzoni ma non che erano stati scritte su cose realmente accadute. Ascoltando le parole mi sono commosso.

L’intervento di Don Ciotti mi ha colpito molto, alla TV l’ho sentito sempre urlare per giuste cause, ma quella sera ho visto l’umanità di un uomo di Dio che si impegnava a cambiare il male con il bene.

Si è parlato dell’indifferenza e persone come il dott. Paolo Setti Carraro, la sig.ra Marisa, che sono parte attiva del Gruppo della Trasgressione e a loro volta vittime, che giustamente potevano essere indifferenti alle tematiche carcerarie e dei condannati, sono invece presenti nelle carceri per il recupero del reo.

Le testimonianze rese da alcuni del Gruppo della Trasgressione, insieme a alla musica suonata in modo speciale dal maestro Giapponese, con i violini che vengono realizzati dai barconi dove sono saliti ed hanno rischiato la vita persone più sfortunate di noi mi hanno fatto vivere una serata di speranza, di credere nella possibilità che il carcere ci offre, che forse non è solo un brutto luogo in cui si affligge la persona, ma diventa lo spazio per cambiare, realizzarsi per ricominciare liberandosi del male.

Anche se in primis dobbiamo essere noi, il vero motore del cambiamento sono le persone che si impegnano per un lavoro di riflessione con i detenuti. Ringrazio i rappresentanti e il gruppo della trasgressione di avermi arricchito di una bella serata di riflessione.

I violini del mare contro l’indifferenza

Giuseppe Giorgi

Uomini tra gli uomini

Partecipo con entusiasmo ogni qualvolta il gruppo della trasgressione ci invita ai suoi eventi. L’ultimo incontro è stato con l’associazione Libera rappresentata da Don Luigi Ciotti, con Arnoldo Mosca Mondadori, con Dori Ghezzi e la fondazione De André e  le canzoni  che rievocano fatti tragici avvenuti nella seconda meta del secolo scorso: come la “storia di Marinella” giovane donna uccisa da mani assassine e “Hotel Supramonte”, per non dimenticare quello che ha rappresentato l’anonima sequestri.

Durante l’incontro mi hanno fatto riflettere due termini a me particolarmente cari, che sono: “l’indifferenza e la metamorfosi”.

Già, l’indifferenza nelle nostre carceri. C’è un dato impressionate, che è il numero di suicidi più alto di sempre s0lo scorso anno, che è il frutto non solo dell’indifferenza ma anche di sofferenza. E allora, ben vengano persone che ci riaccendono la speranza, ascoltando le nostre grida, le nostre lacrime, le nostre ferite, la nostra disperazione e la nostra adorazione al “Dio – denaro – potere – successo – piacere” calpestando i sogni di troppi.

Sta a noi voler uscire da questo tunnel infernale, e non rimanere nella solitudine. Anche se, come scrisse Dostoevskij, «che benedisse il destino per avergli mandato quella solitudine, senza la quale non sarebbe giunto ad un severo giudizio su sé stesso».

Questi eventi ci fanno sentire uomini tra gli uomini, in nessuna sventura ci si deve perdere d’animo e avvilirsi.

Ancora Dostoevskij in “memorie da una casa di morti” «questa gente, è pur sempre gente straordinaria. Forse la gente più capace, più forte di tutto il nostro popolo. Ma queste forze possenti periscono invano …. »

lo da buon credente credo affinchè avvenga questa “metamorfosi” che basta un po’ di amore, per uscire dalla nostra disperazione, imprigionati in incubi tremendi, tornare a vivere, diventare testimoni di speranza, grazie all’amore.

Si, solo l’amore può scardinare i muri dell’indifferenza che imprigiona l’anima in una solitudine mortale. Distruggere l’angoscia di cuori impietriti dall’odio e dalla violenza, ridare speranza a chi, colpito dalle terribili sferzate della vita, giace prostrato nella disperazione.

Carlo Longo

I violini del mare contro l’indifferenza

In ricordo di Rosario Curcio

Sono dispiaciuto per ciò che è capitato, per la famiglia di Rosario, e per Rosario che ho conosciuto. Non ci sono parole per poter consolarsi o consolare  dopo un fatto così grave, e neanche incolpare le istituzioni e chiedere perché è  successo, perché non si sono accorti, non ci sono educatori, psicologi e figure che possano “prevenire” queste tragicità. Quando scatta quella molla nella testa si è imprevedibili ed è  difficile farsi aiutare.

Pino Amato

 

Mi ricordo ancora la sensazione di quando gli ho stretto la mano

Davide Leonardo

 

Sono sconvolta per questa notizia… Ricordo molto bene Rosario… E l’immensa fatica che ha fatto per iniziare ad aprirsi nel gruppo … un ragazzo speciale… o almeno a me lasciato uno splendido fragile ricordo… Quanto dolore dentro quei silenzi… Sono davvero molto, molto  turbata… E poi i media ci mettono sempre il loro inutile e pesantissimo carico… Pazzesco. Un abbraccio infinito a tutti i miei amici e a lei prof ❤️

Marina Varisco

 

Sono tantissimo dispiaciuto per la scomparsa del nostro amico rosario. Un forte abbraccio alla famiglia. colgo l’occasione per mandare un saluto a tutto il gruppo. Ciao Prof.

 Rocco Ferrara

 

Io mi sento in colpa perché Giuseppe D’Aloja mi aveva detto che stava male e io non l’ho chiamato. Sono 5 giorni che la cosa non mi lascia.

Angelo Aparo

 

Purtroppo prof non si può essere ovunque sempre e comunque. Spiace molto anche a me, ci penso molto da  quando ho saputo di questa triste vicenda, che lascia sgomenti e ammaccati, ma questa è la cruda realtà, siamo persone e in quanto tali limitati dai tempi, dallo spazio fisico e dalle mille faccende che invadono le nostre affollate giornate. Un abbraccio forte a tutti.

Antonietta Ferrigno

 

Buongiorno Prof. Volevo dirle che il più grande insegnamento che mi ha lasciato è quello di stare sempre dalla parte degli ultimi, di coloro che tutti ripudiano e respingono. Rosario vista la sua storia, rientrava sicuramente in questa categoria. Lei lo ha accolto e l’ha fatto sentire parte di qualcosa, nonostante il malcontento di alcuni. Queste cose le sa molto meglio di me, ma sentirsele dire, sinceramente, alle volte aiuta.

Un abbraccio, Davide Leonardo

 

Prof… Vorrei stringerla forte ora.  Io ho proprio ben chiaro Rosario davanti a me, ho ben chiara la storia…. Ho forte in mente la fatica di quell’uomo nell’aprirsi, i lunghi silenzi.. poi i sorrisi, il voler esser seduto a quel tavolo, la forza messa nell’iniziare a raccontarsi… Fino ad un certo punto però, c’era sempre un limite oltre cui non gli era concesso andare, c’erano state anche le lacrime… Io torno indietro di 3 anni, può essere successo il mondo dopo, questo io non lo so… Ma sono certa che lei ha portato forza e stupore nella vita di Rosario, lo ha riconosciuto… Non so se avrebbe potuto fare altro… Ma io l’ho vista fare ed essere tantissimo per lui e sicuramente anche lui ❤️

Marina Varisco

 

È facile vedere, difficile e impossibile prevedere. Ricordo con affetto Rosario, spero possa trovare la sua pace. 🌹

Kety Romeo

 

Ciao, purtroppo non sempre si riesce a fare tutto quello che si vorrebbe e a volte il cuore delle persone nel profondo nasconde malesseri insanabili.

Lina Aparo

 

Ieri ho letto su internet il suicidio di Curcio. Sono molto dispiaciuto e senza sgravare la responsabilità, anche se per lui circoscritta quasi ad una sudditanza, ritengo doveva essere più attenzionato. Quasi sempre le nostre verità, sono figlie della nostra conoscenza ma mi chiedo se la conoscenza umana corrisponde alla verità.  Il circolo di questi vari flussi è veramente complesso e l’uomo- con i suoi stati d’animo- coagula nel percorso.

Roberto Cannavò

 

Partecipo anche io al corale cordoglio ma certamente non si può  e non sempre si riesce ad arrivare a tutto e tutti.

Raffaella Repetto

 

Anche se non ho conosciuto Rosario, lo porto nel cuore assieme ai suoi familiari e condivido il dolore del prof Aparo e di tutto il gruppo Trsg. Di fronte a questo dramma rimango in silenzio perché misteriosa e sacra è ogni persona… a volte si vorrebbe esserci per ogni persona che ci sta a cuore in ogni istante per sollevarla dalla solitudine e oscurità che certi momenti o periodi ci assalgono… Sono certa che anche in ciascuna di queste morti dove sempre prevale -per Grazia- l’impotenza umana, il Signore invece arriva e se la carica sulle spalle per portarsela a casa Sua. Amen!

Suor Anna Donelli

 

Non sappiamo perché sia accaduto, ma è terribile quello che è accaduto, è terribile ma non incomprensibile. Rosario aveva commesso con altri un delitto orrendo e la sua cattura prima, la sua presa  di coscienza, il suo dichiararsi colpevole, l’aver ammesso il reato, l’aver cercato il perdono e la redenzione non sono bastati.

Il peso della colpa, il senso di colpa, la ricerca di un  qualche senso nella continuazione della vita, da ergastolano, la famiglia ed il figlio, non sono bastati, non sono stati sufficienti. Troppo il peso, troppo il passato, troppo il presente con la lontananza dai cari, con la colpa sempre sulle spalle; che la terra gli sia lieve.

E questo a cosa servirà e questo a noi servirà?

Luigi Negrini

Come fa a chiamarmi papà? di Rosario Curcio

È comodo

È comodo dire che è sempre colpa degli altri.

È comodo credere di avere più diritti degli altri, quindi più potere.

È comodo pensare di meritare più potere, quindi permettersi di prendere i diritti degli altri.

È comodo abusare, anche solo a parole: alzare la voce, non ascoltare, fuggire dal confronto.

È comodo negare all’altro la possibilità di farsi conoscere, di esprimersi, di essere: se l’altro non lo conosco non esiste, o se esiste lo fa come decido io nella mia testa. E nella mia testa vinco sempre io.

È comodo pensare che voi siate tutti degli scarti.

Il Gruppo della Trasgressione si chiama così perché si diverte e si impegna a pensarla diversamente.

Per fortuna o per sfortuna, però, esistono delle regole anche per trasgredire, altrimenti è troppo facile crederti tu l’unico paladino della giustizia, della tua giustizia, creata da te, solo per te.

Oltre te però c’è l’altro, lo stesso altro che ti tende una mano non per beneficenza o per desiderio di una coscienza pulita, ma perché crede in un progetto comune: dare un senso al vostro tempo qui, rendere il carcere utile, un posto che faccia crescere le persone invece della loro rabbia.

Quella mano tesa è pronta ad accogliere una mano volenterosa, una mano attiva, non una mano svogliata, non una mano che si comporta da pugno, non una mano pronta a mollare la presa perché vuole solo prenderti in giro. Decidete voi a chi assomigliare.

Quella mano tesa è una Chiamata all’impegno e alla responsabilità. È una Chiamata al fare la tua parte, che però puoi fare solo se sai qual è la parte dell’altro.

E da che parte sta l’altro, cosa pensa, cosa vuole fare, come vuole collaborare e crescere con te, lo scopri solo se lo lasci parlare, se lo ascolti, se non fuggi per paura di qualcuno che ti vuole aiutare solo se ti impegni anche tu, soprattutto tu.

Esisti solo se l’altro ti riconosce, quindi solo se tu lo riconosci.

Vivi davvero solo se lo rispetti.

Elena Tribulato

Reparto LA CHIAMATA

Strumenti da un legno vecchio

L’evento che si è svolto al teatro il 13 giugno è stato molto emozionante: ero molto curioso perché era la prima volta che assistevo ad un evento organizzato dal Gruppo della Trasgressione, poi c’erano altre associazioni come Libera e la Fondazione De André, rappresentata da Dori Ghezzi.

Mi è piaciuto ascoltare gli interventi di Don Luigi Ciotti e di Dori Ghezzi, hanno parlato a favore dei detenuti che hanno il diritto di essere reinseriti nella società e avere nuove opportunità per cambiare vita e per questo devono essere aiutati e coinvolti nei vari progetti di recupero.

C’era il maestro giapponese che suonava il violoncello costruito con il legno dei barconi recuperati dopo i naufragi dei migranti, molto bravo a suonare lo strumento e anche il resto della band: erano tutti molto abili nell’eseguire le canzoni del cantautore De André. Il dott. Aparo che con la sua voce ha cantato le più belle canzoni di Fabrizio e devo dire che ho provato a chiudere gli occhi e mi è sembrato di sentire la sua voce, molto bravo.

La serata era in un certo senso l’inizio di un percorso e il simbolo di questa rinascita era proprio il violoncello, già perché dimostra che dal male può nascere il bene e, se ci si impegna tutti insieme, si possono fare anche le cose che sembrano impossibili, come da un legno vecchio e inutile possono nascere strumenti musicali dal suono perfetto. Se si vuole si possono anche recuperare le persone e renderle migliori.

Molto belli gli interventi dei ragazzi che fanno parte del Gruppo della Trasgressione: Nunzio, Sergio, Francesco, Pasquale e gli altri di cui non ricordo il nome; parole di cambiamento e voglia di riscattarsi dopo anni di introspezione.

Spero che ci saranno altri eventi con altri strumenti musicali e tante persone con lo spirito giusto per dare una possibilità a persone come noi affinché possiamo ritornare nella società e vivere in modo responsabile.

  Johnny Buongiorno

I violini del mare contro l’indifferenza

Una stella anche per noi

L‘evento del 13 giugno 2023 al teatro di Opera

Sono Schirripa Rocco, detenuto in questo istituto da 8 anni e mi piacerebbe fare una riflessione sulla serata trascorsa al teatro il 13 giugno 2023 organizzato dalla direzione, dall’associazione libera, dal gruppo della trasgressione e da Mondadori.

Mi ha fatto piacere che a sorpresa hanno fatto scendere anche chi non è inserito nel Gruppo della Trasgressione; è stata autorizzata a partecipare tutta la sezione (cosiddetta a trattamento avanzato). lo sono uno di quelli che non fa parte del gruppo della trasgressione.

Devo dire con molta franchezza che sono rimasto piacevolmente sorpreso che si è parlato dell’indifferenza. Quello che mi ha colpito di più è stato sentire suonare quel violoncello, ricavato dal legno di quelle barche naufragate nel nostro bellissimo mare Mediterraneo, dove da parecchi anni stanno morendo troppe persone per l’indifferenza di tutti noi.

Sentire il suono del violoncello è come sentire un grido di aiuto di chi in quel momento stava annegando. Ecco! Qui, sì che c’è indifferenza… in questo caso, non tanto la nostra personale, ma di chi è al potere e ha il dovere di fare qualcosa per far sì che questo non accada; fino ad adesso abbiamo sentito solo belle parole quando succede l’irreparabile, (ci indigniamo quando vediamo i morti sulle nostre spiagge) e poi non si fa niente! E questi poveretti tutti i giorni continuano a morire.

Mi è piaciuto sentire le canzoni di Fabrizio De André, ma ancora di più mi è piaciuta l’interpretazione e la gradazione che ha dato il coordinatore del Gruppo della Trasgressione.

Devo dire che ho apprezzato molto il discorso di Don Ciotti, ammetto che io avevo qualche pregiudizio, percepivo che “ce l’avesse” con il mondo intero e in particolare con noi detenuti, ma, mi sono ricreduto quando l’ho sentito dire delle belle parole su di noi e sulle nostre famiglie.

E quando senti una persona come Don Ciotti che invita a non mollare e che c’è una stella che luccica pure per noi… Sembrerà strano, ma dopo quella sua affermazione, persino uno come me, che ha un fine pena mai, quella stella la sente più vicina.

Schirippa Rocco

I violini del mare contro l’indifferenzaL’infinito senza stelle

Gli altri raccontano di sé e io capisco me stesso

L’impatto che ho avuto la prima volta con il carcere credo di averlo già un po’ scritto, ma sarò più dettagliato. La prima emozione è stata di paura, non sapevo cosa mi sarebbe successo, se essere picchiato dagli agenti stessi o dai detenuti per il reato commesso. Durante il tragitto per arrivare al carcere capii subito che era un posto isolato, ai margini della società.

Credo che il carcere sia il posto peggiore dove stare se si vuole stare soli. Appena arrivati, all’interno del carcere notai subito il cancello chiudersi e la realtà divisa in due pezzi: da una parte la felicità, come una foto di una spiaggia paradisiaca; dalla parte, dove ero io, non era una spiaggia ma una struttura cupa, piena di povertà e tristezza.

Entrato, dopo le pratiche di burocrazia, fui controllato, spogliato e dovetti fare persino dei piegamenti come se avessi qualcosa da nascondere, pur se la mia situazione era nota. In pratica, sin dall’inizio ti tolgono dignità e se chiedi spiegazioni la risposta è sempre la stessa, in primis dicono che è la normativa.

Una volta conclusa questa fase, fui spostato nel reparto di osservazione, furono giorni di desolazione con un logoramento interiore. In quei giorni mi frullava in testa un unico chiodo fisso cioè l’unica via di fuga per il mio pentimento; pur perso nella desolazione, escogitai, se così si può definire, un piano per il raggiungimento del mio scopo, il suicidio. Non sapendo neppure cosa fossero gli psicofarmaci, me li feci prescrivere in modo da averli per poi prenderli tutti; aspettai il giorno decisivo.

Quella sera, aspettai che le guardie facessero il giro e cercai di sfuggire agli sguardi del mio compagno di cella, Quando si spensero le luci mi rifugiai in bagno, iniziai a versare lacrime di disperazione e allo stesso tempo anche di liberazione: finalmente sarebbe finito tutto, tutto il dolore che avevo causato. Presi coraggio mandando giù le pillole e feci una corda, ma si spezzò. Subito dopo giunse l’appuntato che si accorse di tutto, anche delle lettere di addio che avevo scritto prima.

Sfortunatamente per me, il destino, la fortuna o qualcuno dall’alto, aveva deciso che non era il mio momento. Dopo quel fatto, qualche giorno dopo l’isolamento, fui trasferito a San Vittore. Ormai non prendevo in considerazione la possibilità di un riscatto positivo, tanto che anche qui, all’inizio, non pensavo ad altro che a tagliarmi le vene con una lametta da barba. Continuai a passare le notti in lacrime ma stranamente non avevo più il coraggio di suicidarmi.

Nel nuovo carcere trovai una serenità, era strano per me concepire di apparire un “detenuto modello” dopo quello che avevo causato, credo che abbia giocato a mio favore il fatto di essere sincero con me stesso e con gli altri.

A questo punto vengo a contatto con volontari, educatori e psicologi che ogni volta che guardavano i miei documenti, la mia storia, intravvedevo nei loro occhi dello sconcerto, mi guardavano come se si chiedessero “ma davvero ha fatto questo” e, anche se non era verbalizzato dentro di me, scavavo una buca ancora più profonda.

Ma la spinta determinante a intraprendere un percorso è nata dalla mia partecipazione a moltissime attività, con l’ascolto di tante persone diverse e con la voglia di riempire il mio bagaglio, di acquisire termini, concetti, ragionamenti e argomenti su cui poi riflettere. Non solo la mia conoscenza si sarebbe ampliata ma anche le mie relazioni ne avrebbero avuto un giovamento.

È stato il confronto con il gruppo “a farmi capire” che per andare davvero fino in fondo non sarei potuto sfuggire dal fare i conti con me stesso. Ancora non ne ero consapevole, ma quello è stato l‘inizio del percorso di cambiamento di me stesso. Ogni volta che nel gruppo si racconta di qualcosa di Sé, prendo più coraggio e capisco qualcosa in più sul mio passato.

Hamadi El Makkaui

Reparto La CHIAMATA

Caro Don Luigi

Caro Don Luigi Ciotti,

quando ti ho sentito parlare guardavo intensamente il tuo viso e i tuoi occhi da vicino.

Parlavi di quei migranti disperati che scappano dalla guerra, dalle violenze o dalla dittatura e attraversano il mare con dei barconi vecchi, cercando una vita migliore. Parlavi della gente che guadagna soldi su questo, non capendo, o facendo finta di non capire, che quei barconi sono pericolosi, che affondano e che ci sono tanti bambini, donne incinte, ragazzi giovani e padri di famiglia che perdono la vita.

Il tuo discorso mi ha fatto tornare al mio passato, perché non si può dimenticare, nessuno può.

Io ho avuto la fortuna di conoscere Paolo Setti Carraro e Marisa Fiorani, che fanno parte del Gruppo della Trasgressione. Paolo ha perso sua sorella Emanuela e suo cognato, il Generale Carlo Alberto della Chiesa e Marisa Fiorani ha perso sua figlia Marcella. Quando ho sentito le loro storie sono rimasto senza parole per il male che ho causato.

Marisa Fiorani una volta mi disse: “Vito, vai sempre avanti, quando sento parlare di Lea, vedo un pezzo di mia figlia Marcella”. Marisa Fiorani mi è stata vicina nei momenti tristi.

Il giorno 13 giugno 2023, dopo lo spettacolo del Gruppo della Trasgressione e di Libera, al Teatro di Opera, sono andato a salutare Marisa e lei, quando mi ha visto, mi ha detto: “Vito, ma non ti vedevo!”, io le ho risposto che l’avevo vista quando era salita sul palco. Era contenta, mi ha preso per la mano come un bambino e mi ha fatto conoscere Don Ciotti.

Come ci siamo incontrati, ci siamo guardati e di istinto ci siamo abbracciati. È stato come se mi stesse abbracciando mio papà.

Mi ha chiesto come stavo, come mi trovavo e gli ho risposto che stavo bene, che mi aveva dato tanta forza e tante emozioni forti; gli ho detto che sono padre di tre figli e nonno di quattro nipotini e che vorrei dargli un abbraccio e un bacio e invece gli ho dato solo sofferenza e dolore.

Oggi penso che anche mia nipote Denise avrebbe potuto dare un abbraccio a sua madre, così come Lea avrebbe potuto abbracciare i suoi familiari. Penso al dolore e al male che ho creato togliendo a una figlia sua mamma.

Quando si fece il mio processo, vedevo l’Associazione Libera a tutte le udienze e mi chiedevo: “Ma questi cosa vogliono? Perché sono qui al mio processo?”. Li guardavo male. Poi ho saputo che era di parte civile ed io ero molto arrabbiato, gli dicevo di andare via. La vedevo come un’avversaria.

Quando c’è stata la prima sentenza e sono stato condannato, in aula c’era pure Don Ciotti. Lo guardavo con occhi diversi e gli dicevo: “Tu che sei un prete, cosa ci fai qua?”. C’era anche Marisa Fiorani, la prendevo a parole: “Ma perché non te ne vai?”, lei mi guardava, io mi mangiavo le caramelle e ridevo.

Dopo tutti questi anni di carcere, di sofferenza e di solitudine, ho riflettuto molto sul male e sul dolore che ho causato a Lea e alla sua famiglia, oggi ne sono consapevole e mi prendo la mia responsabilità.

Oggi sento sentimenti forti e prendo coscienza; oggi capisco perché Libera e Don Ciotti vennero al mio processo e fecero le manifestazioni e le fiaccolate contro la mafia e la violenza sulle donne e capisco perché aiutano i migranti che vengono nel nostro paese.

Oggi vedo Libera e Don Ciotti come una grande risorsa e li voglio ringraziare per il lavoro che fanno e per essere venuti al Carcere di Opera.

Ringrazio anche il Gruppo della Trasgressione, coordinato dal Dott. Aparo, che in questi anni mi sta aiutando molto, Marisa Fiorani e Paolo Setti Carraro che nel mio percorso mi sono stati vicino e sono due grandi stelle e infine l’Istituto di Opera che mi ha dato questa opportunità.

Chiedo scusa alla famiglia di Lea, a mia nipote Denise, alla mia famiglia e a tutta la società civile.

Vito Cosco

I violini del mare contro l’indifferenzaIncontri tra vittime e autori di reato

 

Sotto il testo originale di Vito Cosco

Il mio infinito senza stelle

L’infinito mi inquieta. Pensare a un’entità in continua espansione che non ha limiti temporali  e spaziali mi fa vacillare.

Anche l’infinito interiore che ogni uomo ospita dentro di sé mi dà un senso di vertigine: un gorgo di emozioni, sensazioni, sentimenti, pensieri, ragionamenti, desideri e pulsioni che si mescolano in un turbinio frenetico e spesso inestricabile.

Dunque che cos’è per me l’infinito senza stelle?

È l’interminabile catena di ingiustizie gratuite cui assisto ogni giorno.
È l’africano senza tetto massacrato senza ragione ma con grande gusto da due adolescenti nostrani.
Sono le vittime di Cutro che avrebbero potuto essere vive e, magari, anche felici.
Sono gli annegati di Pilos, morti per niente. Più di cento bambini i cui occhi non si spalancheranno più per la meraviglia, non brilleranno più di desiderio.
Sono gli operai pagati due euro l’ora.

Sono gli arbìtri commessi sui loghi di lavoro, dove padroni senza decenza esercitano i loro poteri di vita e di morte sugli schiavi contemporanei.
È una corruzione estesa e profonda e apparentemente inarrestabile che ostacola l’andamento lineare della vita delle persone.
Sono i mutamenti di linguaggio che facendo mostra di modernità oscurano l’indecenza delle situazioni lavorative che li generano e così il quiet quitting e il quiet firing sembrano accettabili.

Sono i richiedenti asilo che vengono respinti o ignorati.
È l’ipocrisia della UE che con convinzione sostiene che i richiedenti asilo vanno aiutati a casa loro e pagano cifre miliardarie perché a casa loro venga impedito loro di partire.
È l’ipocrisia con cui fingiamo che i campi profughi in Libia non sono l’inferno che sono, avallando così stupri, sevizie, torture di ogni genere.
È ancora l’ipocrisia per cui se i richiedenti asilo sono biondi e con gli occhi azzurri si accolgono, mentre per gli altri sono indispensabili dei distinguo.
È ancora l’ipocrisia con cui distinguiamo tra migranti economici e migranti politici come non sapessimo che in alcuni luoghi partire è l’unica possibilità per sopravvivere.

Sono i tagli alla sanità pubblica che hanno decurtato la possibilità di essere curati a coloro che sono socialmente deboli.
Sono gli inquinamenti tollerati che hanno causato e causano decessi evitabili a Casale Monferrato e a Taranto, per citare i casi più noti.
Sono i guadagni faraonici della Società Autostrade  macchiati del sangue di chi è perito per il crollo del ponte Morandi.
Sono i carcerati picchiati e umiliati senza ragione.

Sono le migliaia di permessi di costruzione concessi illegittimamente che hanno contribuito alla devastazione dell’ambiente.
È l’incessante consumo di suolo che in Italia divora ogni giorno un’area equivalente a un campo di calcio.

Sono le classi pollaio dove professori sempre più inermi tentano di insegnare, educare, includere, riuscendoci sempre meno.
Sono tutti i fragili violentati fisicamente o moralmente per come sono, per il loro orientamento religioso, politico, sessuale o a volte solo perché ci sono.

Sono i crimini e le uccisioni perpetrati a qualunque titolo.
Sono gli abusi esercitati su qualunque soggetto.
Sono i fiumi di droga che scorrono e che obnubilano le menti di chi ne fa uso.

Ogni volta che uno di questi fatti accade si spegne una stella e il mio infinito è un po’ più buio.

E poi vengo a sapere che quattro bambini sudamericani sono sopravvissuti 40 giorni in una delle foreste più impenetrabili del pianeta e sono stati ritrovati in buona salute.
E poi mi dicono che con il legno dei barconi dei naufraghi sono stati costruiti violini.

E allora accantono il pessimismo della ragione e accolgo l’ottimismo della volontà e riprendo a sperare. A sperare che l’armonia dei violini superi lo stridore degli schianti. A sperare che il mare torni a profumare di salsedine e non più a odorare di morte.

In fondo dipende da noi, da ognuno di noi fare in modo che l’infinito torni ad avere le stelle.

Nuccia Pessina

L’infinito senza stelleI violini del mare contro l’indifferenza

Rinascita e trasformazione

Egregio Dottore Aparo, frequento da poco il suo gruppo e il 13 giugno scorso ho potuto assistere allo spettacolo “I violini del mare contro l’indifferenza”.

Credo che il progetto che lei chiama “Gruppo della Trasgressione” sia qualcosa di eccezionale e penso che nemmeno lei si rende veramente conto di cosa ha creato, facendo sedere allo stesso tavolo vittime e carnefici. Quando vengo al corso e stringo la mano a una persona come il Dottor Paolo Setti Carraro avviene qualcosa che mai avrei creduto possibile nella mia vita.

 Il gruppo della trasgressione è una realtà che vive solo negli istituti di Milano e aggiungo che, se mentre ero detenuto in altri istituti mi fosse stato raccontato da altri l’esistenza di questo corso, non ci avrei creduto. E’ una realtà troppo difficile da immaginare per chi è detenuto altrove.

 L’evento del giorno 13 giugno è stato bellissimo, con vittime e carnefici allo stesso tavolo. Tutti gli interventi sono stati gradevoli e sentiti, ma quello che mi ha colpito di più è stato quello di Padre Ciotti, forse anche perché da lui non mi sarei aspettato (essendo padre Ciotti coordinatore dell’associazione Libera) parole cosi profonde e incoraggianti verso noi carnefici.

 Inoltre il nostro progetto punta sulla rinascita, sulla trasformazione e, proprio per questo, la presenza di uno strumento come il violoncello costruito con il legno proveniente dai barconi affondati è stata la ciliegina sulla torta.

Vedere con i propri occhi che il legno che in un primo momento ha dato morte alle persone è stato trasformato in strumenti musicali che regalano invece momenti di gioia, è meraviglioso e dimostra oggettivamente che il cambiamento è possibile.

Tra un intervento e l’altro, tra una canzone e l’altra, guardavo il violoncello e più di una volta ho pensato che, se c’è l’ha fatta il legno della barca a passare da strumento di morte a strumento di piacere, può farcela anche l’essere umano.

Oscar Pecorelli

  • Don Luigi Ciotti e Dori Ghezzi
Da Andrea Spinelli

I violini del mare contro l’indifferenza