L’albero

Durante gli incontri a san Vittore abbiamo provato a riflettere su chi siamo e su cosa vorremmo essere, io avevo pensato ad un albero.

A settant’anni l’albero che sogno vorrei essere io. Radici profonde nel passato, un tronco alto e robusto nel presente, con una folta chioma di foglie, così figli, nipoti, amici, persone, la collettività di coloro che mi conoscono che possano ripararsi e sostare. Un albero capace di perdere e di ricostruire la propria chioma a seconda delle stagioni, con frutti da gustare e distribuire a chi ne abbia bisogno. Insomma un melo, un pero, un albicocco, un ciliegio.

E invece? Talvolta non riconosco le mie radici, anzi alcune volte le vorrei rinnegare, le vorrei diverse, mi colpevolizzo a causa loro, sono quello che sono e non posso cambiare posto né forma; non credo che la mia chioma dia poi così riparo e refrigerio ai miei cari, alle persone che conosco, alla collettività. Anzi, non sarò mica un peso, un onere, o peggio un arbusto inutile e vanaglorioso!

E poi sono davvero capace di imparare, di crescere, di rinnovarmi e di migliorare?

Sono stato in Cechia, in un posto dove la attrazione principale è un albero di circa 1200 anni: lo amano, lo curano, gli vogliono bene perché sta lì, nello stesso posto da così tanto tempo che la sua vecchiezza è diventata un pregio, una cosa da mostrare con orgoglio, non un onere, un peso. E tutti sperano che rimanga ancora per molto.

E poi i frutti, ma sono ancora buoni? Sono davvero ancora capace di produrne? E di distribuirli anche a chi ne abbia davvero bisogno?

E qui arriva il carcere e qui arrivano le persone che incontro a Bollate, a San Vittore, al Gruppo della Trasgressione. Qui arriva il mio impegno con Giuseppe, Giovan Battista, Raffaele… i miei amici che tanto mi danno ed a cui vorrei dare qualcosa anche io. A cosa servo io a loro? Non lo so, ma credo di sapere cosa servono loro a me: mi fanno sentire fortunato, amico, compagno, utile, mi fanno credere di avere anche io un piccolo ruolo e un piccolo posto nella loro vita, di stimolo e di accoglienza dei loro pensieri, delle loro speranze, della loro quotidiana fatica a stare in carcere, a stare in vita, a stare lontani dagli affetti, a pensare al loro futuro e a come potranno e possono essere utili a se stessi ed agli altri anche dietro le sbarre. A come possono recuperare la loro dimensione umana e non criminale a come possono ri-costruire la loro coscienza di uomini finalmente liberi e prepararsi ad una vita davvero libera, senza tornare di nuovo né a delinquere né in carcere. Non posso più fare a meno di loro e dei loro pensieri.

Durante poi gli incontri che facciamo a Bollate e a San Vittore alcuni amici mi regalano i loro scritti, che vorrebbero vedere pubblicati da noi in Voci dal Ponte. Ecco gli ultimi:
Luigi Valguarnera è detenuto in attesa di giudizio nella casa circondariale di San Vittore (ma ha già scontato altre pene), non solo si chiama come me, non solo prova a fare davvero un percorso di autocoscienza e di responsabilità ma scrive da un po’ poesie, testi e canzoni. Eccone uno: Nomademone, Luigi Valguarnera

Ma anche Giuseppe di Matteo, mio amico e carcerato a Bollate con cui condivido passioni ed amori per il mondo e per i nostri nipoti, per la vita, scrive bellissime poesie e talvolta me ne regala qualcuna, eccone due: Da venti anni, Giuseppe Di Matteo. Quest’altra è stata già pubblicata, ma mi piace troppo, ed è sempre di Giuseppe: Io vivo solo, Giuseppe di Matteo

Ma in carcere talvolta giochiamo e scherziamo soprattutto con i miei amici Giuseppe e Raffaele, Bergamasco uno,  Napoletano l’altro, che si e ci prendono in giro su poesia e ispirazione:

Se potessi…..Ma non possi
Se potessi mi pungessi
Con le spine della rosa
Che ti doneressi

Se potessi ti portassi
Lassù dove il vento dell’amore soffiassi

Se potessi io uscissi di corsa da questi posti
Se potessi ti raggiungessi

Ma non possi

Luigi Negrini

 

Da venti anni

Da venti anni abito nel cubo
Questo è il mio sgabello
Questo è il mio letto.

Alle pareti appeso con ordine maniacale
Il resto della mia vita

Da venti anni conosco ogni crepa
Del muro e del mio cuore

Ho paura di quello che troverò fuori
Fuori da mio cubo di cemento.

Da venti ani parlo
Alla luna e alle stelle

Nei lunghi silenzi delle notti
Cercando di far evadere il dolore.

Da venti anni penso
Al giorno che sarò libero

Allora avrò bisogno
Di altri venti anni
Per abituarmi a vivere

Giuseppe Di Matteo

Officina creativa

NOMADEMONE

Dalla vita, alla muta, al vento nel mentre, nel tempo.

Con un gemito senza peccato, sono nato, tra fatiche, delusioni di svariate perdizioni, fitte di illusioni….

Nel fango degli inferi sono finito.

Come i templi dentro di me di ceri accesi su altari spenti, di lacrime di sangue su salici piangenti, perparole dette come fendenti…

Ora mi fisso davanti ad uno specchio, stringendo nelle mani un crocefisso.

Confesso i miei peccati a me stesso.

Luigi Valguarnera

Officina creativa

 

 

I violini del mare contro l’indifferenza

Il 21 marzo scorso, dal palco di piazza Duomo, don Luigi Ciotti, ricordando le vittime del naufragio di Cutro, ha lanciato anche un intenso messaggio contro l’indifferenza al male. Angelo Aparo e Silvio Di Gregorio hanno voluto rilanciare quel messaggio con un progetto che ha coinvolto rapidamente altri partner e che è stato presentato ad Opera il 13 giugno.

Partner del progetto sono:

  • Issei Watanabe con due suite di Bach al violoncello
  • Don Luigi Ciotti, presidente di Libera
  • Dori Ghezzi, presidente della Fondazione Fabrizio De André
  • Arnoldo Mosca Mondadori, presidente della Casa dello spirito e delle Arti
  • Enrico Allorto, maestro liutaio della liuteria del carcere di Opera
  • Lucilla Andreucci, referente e anima frizzante di Libera Milano
  • Francesco Cajani, co-autore de Lo Strappo. Quattro chiacchiere sul crimine
  • Cristina Cattaneo, Medico legale, Coordinatrice scientifica del MUSA
  • Paolo Setti Carraro e Marisa Fiorani, entrambi familiari di vittime della criminalità e ponti tra Libera e il Gruppo della Trasgressione
  • Juri Aparo con la Trsg.band e il Gruppo Trsg
  • Le canzoni di Fabrizio De André

Servizio RAI NEWS

E nulla perisce nell’immenso universo, credete a me, ma ogni cosa cambia e assume un aspetto nuovo (Ovidio, Metamorfosi)

La trasformazione è anche l’attività principe del Gruppo della Trasgressione, con i detenuti che avevano fatto del disconoscimento dell’altrui fragilità il proprio mestiere e che oggi, in collaborazione con le istituzioni e con i diversi componenti del gruppo, si impegnano per riconoscerla dentro di sé, nelle scuole e sul territorio.

Il ritorno

Ieri mattina a San Vittore, mentre il nostro coach chiedeva a gran voce cosa ce ne possiamo fare di Hamadi, Roberto e di tutti gli altri giovani adulti del Reparto La Chiamata, ripensavo ad uno scritto di Armando Xifai del 2004 che ispirò poi un nostro primo esperimento da proporre in un laboratorio tematico per educatori scout del 2007 a Napoli.

Il titolo di quella sperimentazione era “Sulla cattiva strada” ovvero “appunti per una pedagogia della trasgressione”: un percorso alla fine del quale anche l’altro (che si è sempre considerato imperfetto in quanto “marchiato” dal sigillo di delinquente) diventa strumento di redenzione per sé stesso e, allo stesso tempo, per noi che amiamo farci chiamare società civile.

Buona Festa della Repubblica e buona (cattiva) strada.

Musica: La cattiva strada (F. De André – F. De Gregori), 1975 – by. Trsg. Band
Immagini: The Blues Brothers, USA, 1990                         
(edit by cescacuore, 2007)

Reparto La Chiamata

Il mio buio

Guardare il cielo di notte mi trasmette delle belle emozioni, guardo le stelle e la più luminosa mi fa pensare a mia mamma, provo a ricordare come è stata la mia vita con lei, immagino una passeggiata, un gelato o qualsiasi altra cosa che si possa fare con la propria mamma, ma da lì a poco la mia immaginazione svanisce, si spengono tutte le stelle, ora il buio totale non vedo più nulla, tutto diventa vuoto, torno alla realtà.

Non ricordo più niente di quel periodo, se è stato bello, ma penso di no, questo non ricordare mi sembra infinito mi ha logorato per tutti questi anni, sin da piccolo penso di aver imparato a dimenticare, lo faccio con semplicità, mi proteggo da quel buio incondizionato che c’è nella mia testa.

Ho passato la maggior parte della mia vita a proteggermi dal male, il mio, mi anestetizzavo per controllarlo ma quando inevitabilmente prendeva il sopravvento non mi interessava più di nessuno, non provavo più  niente, non mi interessava il loro dolore, i loro sentimenti anche se facevo del male, era come una vendetta, a nessuno è mai interessato di me e io me ne fottevo di tutti voi e facevo quello che volevo; tutto questo non mi faceva stare bene, anche la mia voce risultava squallida in questo mio nulla, non volevo neanche essere io, non mi sentivo a mio agio, dovevo nascondermi, non volevo più essere il soldato con le nike.

Questo mi ha portato agli eccessi, a consumare qualsiasi tipo di droga, che mi permetteva di non essere più io, a distaccarmi dalla realtà, la droga non mi faceva paura, è cresciuta con me, sono arrivato al punto di chiamarla la mia fidanzata, dico questo perché uscivo solo con lei, volevo stare solo con lei, quando non c’era la cercavo finché non la trovavo, eravamo sempre insieme, quante volte ogni giorno mi promettevo che la lasciavo, che volevo farla finita con lei e con me, ma era solo un prendermi in giro, quante volte litigavamo ma poi tornavamo sempre insieme.

Questo era il mio infinito senza le stelle, il mio buio, il mio nulla, dico era perché adesso qualche stella si è accesa ed è il significato della speranza della mia vita; mi piacerebbe accenderle tutte come un interruttore proprio come quelli che usi per accendere una lampadina e poi ti accorgi che funziona anche il ventilatore (allude al film “La Parola ai giurati; ndr), così come basta vedere oltre, vedere i dettagli, i particolari, sentire le ragioni altrui per capire la verità. Molte volte sento dire che non si hanno gli strumenti adatti per fare quello o quest’altro, ma oggi mi sono reso conto che il vero strumento siamo noi stessi, dobbiamo decidere come suonarlo, vivere e scegliere, preferire, sentire i sentimenti degli altri, sapere che non hai il diritto di fare del male, che la vita va vissuta e non subita, avere paura e avere la capacità di stare lì, fare un altro passo, saper prendere le opportunità che ci vengono offerte, che ci aprono altre porte, come quella che oggi è stata aperta a me, ovvero essere seduto a questo tavolo, grazie a tutti.

Cristian

L’infinito senza stelle

La rabbia

La rabbia rende sordi, la disperazione ciechi.
La rabbia serve a renderti efficiente.
Questa è la sua funzione per la sopravvivenza.
Ecco perché ti è stata data.
Gli occhi arrabbiati sono l’espressione di un cuore che soffre.
La rabbia si nutre ogni giorno del nostro dolore
ed è cosi che brucia ogni Speranza.
Magari potessi piangere, sarebbe bello
liberarsi della delusione con le lacrime.

Amir

L’infinito senza stelle

Cos’è la vergogna

Vergognarsi del proprio passato
Vergognarsi delle cose fatte in passato
ma senza quel passato noi chi saremmo?
saremmo un altra persona,
forse migliore o addirittura peggiore
sicuramente diversa
da quello che siamo ora.

Se solo in quel passato
avessimo riflettuto
prima di agire
magari il nostro presente
non sarebbe questo

Simone

L’infinito senza stelle

Le belle parole comprano chi costa poco

Un vero uomo sopporto tutto il dolore,
HO PERSO LA LIBERTÀ ma ci sta il mare fuori
Tengo il cuore pieno ma la tasca è vuota

Sono morto prima di vivere
Non hai  visto niente simile
Pensavo fosse impossibile
Ma tra 2 anni sarò invincibile

Paolo

Uno enojado dice muchas cosas
K son Flechas K salen da tu puta boca
Lei lo ******* per unpo’ di coca
Lascia stare quella roba
Tu te matas sola
Andavo da solo
Non con tutti loro
Siamo diversi in ssto gioco
io non mi consolo

Cris

L’infinito senza stelle

 

L’infinito senza stelle

Officina creativa