Viaggio nel tempo

[Dopo il primo incontro del 18 febbraio ed in vista di quello successivo, abbiamo proposto ai 18 padri che si sono candidati al progetto due “esercizi”:

  • scrivo una lettera – con un viaggio nel tempo a ritroso – al “padre inesperto che ero” il giorno prima che nascesse mio figlia/a,
  • rispondo a questa domanda: cosa vorrei mettere nella valigia di mio figlio per il suo viaggio verso il futuro? ]

Caro Papà Samuele!

21 marzo 2010

Anzitutto benvenuto nella categoria dei neo papà… aspetta a scuotere il capo… conosco la tua obiezione mossa dal fatto che hai già tre figli più grandi, anche se una non è più con voi; so che è forse per questo ti ritieni un padre ben navigato, addirittura anche già colpito dal più terribile dei naufragi, l’essere “orfano” di una figlia. Ma proprio per questo ti considero un neo papà, cui però la presunta “troppa esperienza” rischia di produrre l’effetto contrario.

Pensare che l’atteggiamento e la strategia comunicativa usata con un figlio possa valere per i successivi è una grande ingenuità, non solo perché ogni individuo è sempre un unicum, e non la copia dei precedenti, ma soprattutto perchè tu (e il mondo in cui abiti) sei diverso dal papà Samuele del 1998 o del 2001.

Essere neo papà significa che lo sei ogni giorno, ogni volta che si innesca quotidianamente una relazione empatica e non abitudinaria. Te lo avevo già detto in passato. Il pericolo più grande per te è quello di caricare di eccessive tue aspettative la crescita dei tuoi figli, nell’inconscio desiderio di vedere il vostro riflesso in loro. Lascia che seguano il loro dàimon (o la loro vocazione, come si diceva una volta) anche se è diverso dal tuo, senza però privarli del tuo punto di vista e della tua cura.

Ricorda che anche se seguirai tutti questi o altri consigli sbaglierai lo stesso, ma potrai sempre chiedere scusa in buona fede. Non rifiutare un abbraccio, nè pretendilo. Ogni giorno, quando li vedi per la prima volta, sorridi!

Vorrei mettere nella valigia di mio figlio per il suo viaggio verso il futuro un sano e prudente scetticismo circa la veridicità del proprio punto di vista e una grande curiosità e rispetto per quello altrui. Anche una copia con dedica de LA NEVE IN FONDO AL MARE  di M.Bussola.

 

Caro Stefano,

al padre inesperto che ero (?) O che sono?

stai per diventare padre, avverrà presto. Arriverà una nuova vita che sconvolgerà la tua, porterà gioie e preoccupazioni, felicità e tensioni, dovrai cambiare le tue abitudini e riprogrammare le tue quotidianità, il tuo lavoro, il tuo tempo.

Nulla sarà come prima: questo piccolo essere ti costringerà a cambiare, ad essere meno spensierato e più responsabile, meno impulsivo e più paziente, meno incosciente e più prudente.

Dovrai fare delle scelte e non più unicamente per te ma per la tua famiglia, perché con l’arrivo del tuo primo figlio non sarete più solamente una coppia ma diventerete una famiglia.

Il primo figlio metterà sottosopra le vostre vite, metterà anche a dura prova il rapporto basato su equilibri tra due persone molto impegnate.

Ma sarà un’esperienza unica ed irripetibile.

Nessuno ti potrà indicare la strada migliore o dare i consigli più giusti.

Le scelte che farai, corrette o sbagliate, saranno solamente tue e saranno il frutto e le conseguenze di ciò che sei diventato in questi 44 anni.

Affronta questa nuova fase della tua vita con gioia e speranza. Cerca di trasmettere a tuo figlio i valori in cui credi: onestà, lealtà, educazione, rispetto, correttezza, coerenza, resilienza. Ma anche leggerezza, spensieratezza, gioco, curiosità, umorismo, amicizia. E, non per ultimo, la fede cristiana.

E sii tu a dare per primo l’esempio a tuo figlio perché le parole non basteranno da sole.

Ascolta i consigli di tutti ma fai tu le scelte. Non essere solo razionale ma agisci anche d’istinto. Soltanto tu sai quello che sarà meglio per tuo figlio e per la tua famiglia.

Sei all’inizio di una nuova fase della tua vita, stai per intraprendere una nuova meravigliosa avventura, unica ed irripetibile.

Non avere paura, abbi fiducia in te!

Cosa vorrei mettere nella valigia di mio figlio per il suo viaggio verso il futuro?

Molti degli “attrezzi” li ho menzionati nella lettera: onestà, lealtà, educazione, rispetto, correttezza, coerenza, resilienza, leggerezza, spensieratezza, curiosità, gioco, umorismo, amicizia. E la fede cristiana.

Vorrei trasmettere i valori ai quali ho cercato e cerco di fare riferimento nella mia vita affinché lo sostenga nella crescita per diventare un uomo.

Si troverà a fare i conti con la realtà che talvolta è fatta di compromessi, di persone che non potrà scegliere ma con le quali si troverà a studiare, a lavorare, a condividere lo sport e la vita di tutti i giorni.

Persone che talvolta sono diverse per estrazione sociale, etnia, cultura.

Persone che spesso non potrà scegliere.

Come non ha potuto scegliere i genitori e i fratelli.

 

Caro Francesco,

non te lo aspettavi: non era nei programmi diventare, a 42 anni, il “papà” di un ragazzo di 9 che ha avuto una storia travagliata. Te l’avevano detto che “gli uomini fanno progetti e gli dei sorridono”, ma forse non te lo ricordavi più. O forse lo sapevi e, per questo, ai progetti non hai mai creduto.

Ora cosa farai? Sarai capace di abituarti e di nascere tu come genitore? Di rimanere in equilibrio nella relazione in famiglia e con tuo “figlio”?

Sicuramente hai ed avete una missione. Dovete adoperarvi per rompere la catena del disagio, dare un esempio di famiglia che, nonostante le difficoltà ordinarie , he ci saranno, deve essere una famiglia di amore, di sostegno, di coerenza e stabilità, di condivisione, di attenzione all’altro, di crescita reciproca.

Qualcuno a cui ispirarsi lo hai. Lo hai avuto in casa e non solo. Padre, suocero, padri di amici, amici padri e amici figli.

Persone capaci di dosare la dolcezza e l’autorità, ricettive. Ispirati anche a te stesso ed ai valori che hai nel cuore. Non ascoltare chi dice “io mi metto in discussione tutti i giorni”: sei la persona che sei, con capacità e incapacità, per il percorso di vita che hai fatto. Se lo metti in discussione di continuo, ti perdi. Se lo analizzi lucidamente, guadagnerai in consapevolezza.

Sai che a volte dovrai forzare la mano, altre dovrai tenderla.

Sbaglierai, è certo. Ma farai anche parecchie cose giuste. Ci sono l’affetto e l’amore a guidarti.

Dovrai stare vicino a tua moglie. Anche qui sbaglierai, tempi, modi e contenuti. Ma farai anche parecchie cose giuste.

Fornisci strumenti di vita, non ordini disciplinari. Ricorda che esistono anche questi ultimi: potranno esserti utili, anche se potrebbero pesarti.

Garantisci libertà ed evita il lassismo.

Gioca. Evita di essere uno stupido giocherellone.

Scherza senza essere offensivo.

Riprendi senza cattiveria.

Proteggi. Come un faro che protegge le navi dallo scontrarsi sugli scogli. Tieni presente che la nave potrà finire in qualche secca. Capita. L’importante è uscirne.

Coinvolgi, a volte anche obbligando. Perché la conclusione saranno esperienze nel cuore del figlio che, spesso, ti dirà di essere stato contento. Il tempo passato insieme è l’oro della vita.

Cosa è restato di tuo padre e di quelli che consideri simil-padri, nel tuo cuore e nelle tue scelte? Saranno le stesse cose che resteranno in tuo figlio. Lui avrà la propria vita, la ha già avuta. E’ sua. Aiutalo a crescere, sapendo che lui è lui e non sei tu alla sua età. Quello che andava bene per te, potrebbe non andare bene per lui. E’ diverso da te ed il mondo di oggi è molto differente dal tuo di allora.

Da oggi ci sei anche tu nella tua vita. Ci siete anche voi. Vogliatevi bene

Tu sei importante (lo sai, vero?) non solo nelle questioni pratiche da affrontare che, al momento, ti aiutano a nasconderti dall’affrontare la relazione figlio-padre. Piano piano, ti abituerai a questa nuova realtà.

Ricordati, parafrasando un antico testo:

Sii come un padre per i piccoli,
e sarai come un figlio dell’Altissimo,
ed Egli ti amerà più di tua madre.

Tieniti queste parole almeno come auspicio.

Buone giornate, papà neonato.

Cosa vorrei mettere nella valigia di mio figlio per il suo viaggio verso il futuro?

Quella che si chiama educazione. O meglio, garbo ed empatia verso gli altri. Aprono le porte della strada del bene, a lungo periodo.

L’idea che reagire alle situazioni è meglio dell’inerzia. Se non vinci le partite, non fa niente. Se le perdi perchè ti siedi, non avrai una buona immagine di te.

Sviluppare la capacità di leggere le situazioni e, di conseguenza, scegliere quelle che ti aiutano ad essere una persona più felice, sana, libera.

Il discernimento.

La passione per voler lasciare il mondo, il proprio piccolo angolo di mondo, un minimo migliore di come lo si è trovato.

Conoscere che esiste la carità e non solo il narcisismo.

 

Caro Ludovico,

per te la paternità è ancora un concetto astratto.

L’opportunità per realizzare te stesso, il modo di dare un senso alla tua vita.

L’occasione di saldare il debito incommensurabile che senti verso tuo padre.

Sappi che sarà tutto molto diverso da come te lo immagini.

Spesso non sarai all’altezza delle tue aspettative e la realtà sarà più complessa dei tuoi sogni, più difficile, più faticosa.

A volte anche amara. Scoprirai, come mai prima, il significato delle parole “rimpianto” e “rimorso“.

Eppure, incredibilmente, scoprirai una realtà più bella persino del più luminoso dei tuoi sogni.

E sappi che quel debito non esiste. Perché ciò che un padre dà ai figli, poco o tanto che sia, non è un prestito, ma un dono.

Cerca solo di dar loro il meglio di te stesso. Non sarà mai perfetto, ma nessuno può aspettarsi di più.

Non loro, non tuo padre, non tu.

Sii sempre grato alla loro madre.

Neanche lei è perfetta, non lo è stata sino ad oggi e non lo sarà domani.

Ma, se hai l’occasione di diventare un padre ed un uomo migliore, lo devi a lei come a te stesso. Forse di più.

Cosa vorrei mettere nella valigia di ognuno dei miei figli per il loro viaggio verso il futuro?

– un piccolo crocifisso e una bibbia

– un kindle con l’Odissea di Omero, la Divina Commedia di Dante, i Canti di Leopardi, i Miserabili di Hugo, i Fiori del Male di Baudelaire, i Fratelli Karamazov di Dostoevskij e la poesia “If” di Kipling (preferirei dargliene copia cartacea, ma la valigia peserebbe troppo)

– un i-pod con le canzoni “Hello Brother” di Armstrong, “Ragazzo Fortunato” di Jovanotti e “Sin Miedo” di Rosana e col film “Nuovo Cinema Paradiso” di Tornatore (storia di un figlio cresciuto senza padre…)

– una foto di famiglia, con tutti gli zii e i cugini a casa dei nonni

– una copia dei racconti che continuo a scrivere per loro e che, temo, non pubblicherò mai
– una carta di credito con un po’ di soldi

– un messaggio di auguri e di buon viaggio della madre, uno di ciascuno dei fratelli ed uno mio

 

Caro Davide

lettera al “padre inesperto che ero” il giorno prima che nascesse Matteo

Lo hai tanto atteso questo momento, lo hai così tanto desiderato…con Elena ci avete di fatto costruito la vostra storia …e Lui vi ha accontentato…e pensa te, pure quasi davvero il 24 giugno…il tuo Mt 6,24 che ti corre accanto dall’adolescenza…fai attenzione Davide…mammona è sempre in agguato…e come dice Vasco “al diavolo non si vende…si regala” …non provare ad essergli più furbo…ma ricordati che Matteo alla fine è nato il 27 di giugno …9 mesi esatti dal funerale della nonna Edda…e vedi di leggerla bene testone…questo figlio che faticava ad arrivare…e l’ansia cresceva…questa tua foga di “mangiare il mondo”…ma appunto…Matteo 6,27…Matteo…ovvero “dono di Dio”….unisci bene tutti i puntini…ricordi la tua “Regola di Vita”, la tua Redditio Symboli?…ecco la tua serendipity quindi è salva …”va, vendi tutto ciò che hai e compra quel campo”…

Cosa vorrei mettere nella valigia dei miei figli per il loro viaggio verso il futuro:

Mi piacerebbe che Matteo e Stefano portassero sempre con loro la Fiducia nel prossimo e la Curiosità e il Rispetto per ciò che è diverso, insieme al Senso Critico, al senso di Responsabilità…ma uniti ad un pizzico di Follia, di voglia di esplorare, sperimentare, incontrare, crescere…

 

Caro Andrea

A differenza delle prime due figlie, non sai ancora se il prossimo sarà maschio o femmina. Sei così felice, pieno di sicurezze, le cose belle accadono una dopo l’altra senza che te le meriti.

Tra poco sentirai crescere i timori, ti sentirai inadeguato con un maschio, tu che non sai giocare bene a pallone e che della bici sai cambiare solo le camere d’aria.

Se tu potessi ascoltarmi, ti consiglierei di non dartene pensiero, crescendo insieme troverete il modo. Se tu non sei capace di fare una cosa, la farà con altri papà e non sarà un problema.

Se continuerai a volergli bene, l’amore troverà le strade. Capirai che tuo figlio non sa cosa farsene del tuo ideale di paternità.

Gli piacerà giocare a fare la lotta con te, anche quando diventerà giovane adulto, anche quando avrà colto i tuoi tanti difetti, o forse proprio per quello.

Cosa vorrei mettere nella valigia di mio figlio per il suo viaggio verso il futuro? 

La capacità di stare tra amici e di pensare da sè.
Se dovesse scegliere tra essere gentile ed avere ragione, la forza e il desiderio di essere gentile.
Il rispetto verso se stesso.
Lo sguardo rivolto agli ultimi della fila.
Una riserva di sorrisi.
Una fascia da capitano.

 

Caro Peppino

cerca di condividere di più le decisioni con Stefania (mia moglie) basta parlare ed essere chiari, non portare le tue ansie in famiglia e non aspettare il Covid per lavorare da casa, alla fine ti sei perso svariati anni di convivenza diurna e fin da subito (viste le regole che già c’erano) avresti potuto trascorre più tempo con loro.

cosa vorrei mettere nella valigia di mio figlio per il suo viaggio verso il futuro:

Mi piacerebbe che non perdessero il legame tra di loro, hanno tre caratteri diversi e dovranno trovare il modo per restare in contatto e aiutarsi a vicenda

 

Alessandro

Cosa vorrei mettere nella valigia di mia figlia per il suo viaggio verso il futuro:

Un cappello che la protegga dalla pioggia delle incomprensioni e dai falsi soli che abbagliano ma non scaldano;

un paio di scarpe che le preservi asciutti i piedi quando camminerà nel fango – e con i piedi asciutti si ragiona meglio.

Un vestito magico che cambia colore; e sarà nero, quando vorrà nascondersi, e diventerà dorato e luminoso quando vorrà farsi scoprire.

Una carta di credito, con plafond illimitato, che non risolve niente, ma aiuta tanto.

Alla ricerca del padre

Una serata di emozioni e musica

Quarantacinque anni fa un giovanissimo psicologo incomincia a lavorare a San Vittore. È pieno di idee e ideali e inizia subito la sua piccola rivoluzione. Si concentra sul concetto di Trasgressione e porta in carcere, a confrontarsi con i detenuti su questo tema, giornalisti come Enzo Biagi, scrittori, attori, artisti, intellettuali…

Dopo qualche anno il gruppo del quale fanno parte, oltre ai detenuti, universitari, avvocati, magistrati, volontari, parenti delle vittime (sì anche loro) fonda una associazione e una cooperativa (per entrambe il nome è trasgressione.net) dove i detenuti scoprono che nell’impegno (partecipare a spettacoli teatrali, restaurare fontane, vendere frutta e verdura, scrivere sul sito, raccontare la propria esperienza nelle scuole…) si può trovare il riscatto di una vita sbagliata e soprattutto la consapevolezza di non essere stati nella parte giusta della società.

Il Dott. Angelo Aparo ha coinvolto nella sua irresistibile idea anche dei musicisti che lo accompagnano nei concerti/eventi con le canzoni di chi degli ultimi si intendeva: Fabrizio De André. Il prossimo sarà il 24 marzo 2025 all’Auditorium di Milano di Largo Mahler. Ci sarà l’associazione Libera, Dori Ghezzi in rappresentanza della Fondazione De André, detenuti ed ex detenuti che racconteranno le loro storie, associazioni delle vittime, magistrati, direttori di carceri…

Una serata di emozioni e musica da non perdere e dove la parola libero non sarà usata solo per l’ingresso.

Loretta Zecchillo

Anime Salve, Concerto Inverno

La chiamata del Gruppo Trsg

Nicola Nesi, fotografo ritrattista, reportagista e matrimonialista, di pluriennale esperienza, docente di fotografia, https://www.weddingphotographer-lake-como.it/ – info@nicolanesi.it – Instagram @nicolanesi.portrait | @nicolanesi.weddingphotographer

Federica Bentivegna e Paolo Colombo, fotografi ritrattisti e documentaristi emergenti, allievi del Fotografo Nicola Nesi, www.fotografiegentili.com – info@fotografiegentili.com – Instragram @fotografiegentili | @itsfederrica

Eccoci, alla ricerca del padre

Carissimi Alessandro, Andrea, Antonio, Davide, Dino, Fabio, Francesco, Francesco, Giorgio, Giuseppe, Ivano, Lorenzo, Luca, Ludovico, Paolo, Riccardo, Samuele e Stefano.

Ci aspettano una serie di incontri nei quali l’attenzione sarà maggiormente rivolta all’ascolto di sé stessi grazie alle risonanze di alcune sollecitazioni esterne, che potranno anche scaturire dalla condivisione di reciproche esperienze di genitorialità.

Abbiamo costituito un gruppo, di poco più numeroso rispetto all’idea iniziale, di 18 padri tutti con (almeno) un figlio/a tra i 13 e i 18 anni.

Siamo grati di aver ricevuto oltre 20 candidature e ringraziamo tutti per aver ritenuto il nostro progetto meritevole di una vostra partecipazione attiva, con motivazioni che ci sono sembrate tutte davvero importanti e profonde.

Eccone qui alcune:

Alessandro

Ho 58 anni e sono padre di due figli, Lorenzo 22 e Hui 16 anni. È ormai lungo tempo che rifletto sul rapporto che ho con i miei figli. La costante paura e spesso, a posteriori, certezza di aver fatto, detto, trasmesso la cosa sbagliata, l’emozione che dovevo tenermi dentro, la parola di troppo. In più di 20 anni di paternità ho cambiato più volte idea su cosa debba fare un genitore, ma ancora non ho idee compiute. Mi sento un cantiere che non finisce mai. Al contempo, cittadino di Milano da sempre, vedo nelle mura di San Vittore, una presenza ingombrante ed importante della città. L’ho sempre guardato e pensato alle vite che scorrono lì dentro, sospese; e la domanda è sempre quella: perché?

Sono alla ricerca di quadrare il cerchio padre – figlio. Dove un padre ritrova sé stesso figlio e quando capisce le tensioni i desideri, le paure di sé stesso figlio, forse può leggere con più chiarezza quelle dei suoi figli.

 Francesco

Il totem scout di “Tigre gioiosa”, che mi fu dato all’età di diciassette anni, ancora dice molto delle mie spigolature di uomo. Ho 54 anni e insieme a Raffaella sono genitore preoccupato di un figlio di 13 anni e di una figlia di 10 anni.

Amo la musica che sa emozionare per far pensare: così la sera del primo dicembre 2011, preludio dell’ultima notte prima di nascere papà, l’attesa già lasciava trapelare – oltre alle sperate gioie – le temute paure dentro quel verso struggente di Alexi Murdoch. “E se non posso essere tutto ciò che potrei essere …tu, tu mi aspetterai?”: quasi una mia preghiera al figlio che finalmente stavo per incontrare.

Sono grato ad Angelo Aparo per avermi coinvolto, dopo 19 anni di incontri fuori e dentro il carcere, nel progetto del “Reparto la Chiamata” con i giovani adulti detenuti: durante quei dieci giovedì mattina tra febbraio e marzo 2023 inaspettatamente è nata anche l’idea di questa nuova sfida, di cui sono co-autore ma soprattutto vittima predestinata. E sono ugualmente grato agli altri padri che si sono candidati perché credo molto al confronto – anche schietto e crudele, se serve – tra pari e al piacere, che in città caotiche come Milano diventa sempre più difficile coltivare, di ricavarsi spazi e tempi interiori per mettersi in discussione come padri per una qualcosa di più grande ed importante.

Lasciandomi interrogare da questa immagine (“il ritorno del padre prodigo”, quasi un ribaltamento del dipinto di Rembrandt), posso dire che sono alla ricerca di riuscire davvero ad andare al passo con il tempo che fugge via e con i figli che crescono e diventano altro-da-noi, per accettare finalmente il fatto come una vittoria (cit. Francesco De Gregori).

Giuseppe

Ho 49 anni, sono padre di tre figli rispettivamente di 14, 12 e 10 anni. 15 anni fa, durante il corso preparto di mia moglie ho scoperto il ciclo di incontri “È nato un papà”, questo ha segnato l’inizio di un percorso di confronto sulla genitorialità. Da allora, faccio parte del gruppo “Papà, chiacchiere e fornelli“, il gruppo è formato da 18 papà, ci riuniamo ogni tre settimane a Monza per condividere una cena e discutere di paternità e vita familiare.

Il compito di genitore è molto complesso e vorrei cogliere quest’opportunità, credo che il confronto e la condivisione delle esperienze forniscano spunti preziosi di crescita e consapevolezza, soprattutto perché condividiamo un obiettivo comune: “crescere e migliorarci come padri”.

Questo percorso mi aiuterà a comprendere meglio il mio ruolo e ad affrontare con maggiore equilibrio le sfide della paternità.

Samuele

Ho sessant’anni, abbiamo quattro figli (Isacco di 26, Noemi di 24, Susanna ne avrebbe avuto 20 ma ci è mancata nel 2008, e Beniamino che ne ha 15). Ho avvertito questa occasione come una “chiamata” su misura e inaspettata in questo Giubileo, anche per “risintonizzarmi” con le complicate adolescenze della mia famiglia più o meno anagraficamente vissute. Sono appassionato di riciclo, riuso e recupero e credo che la pratica di dare una “seconda chance” alle “cose” alleni chiunque a maturare atteggiamento analogo con se stessi e nelle relazioni. Talvolta per età e storia sono stato nei panni del formatore, e vi sono molto grato per partecipare ad un’esperienza che ritengo invece fin d’ora formativa per me. Lavoro in Rai come assistente di studio e ho collaborato per decenni con la Federazione Oratori Milanesi.

Sarà questa un’occasione per ascoltare altri papà che mi aiuti a rimodulare quell’atteggiamento di “asimmetria educativa” che tante volte nella mia esperienza mi ha fatto commettere passi falsi. Un modo per sperimentare l’esser figlio dei miei figli, senza peraltro rinnegare il mio ruolo. Far pace col mio essere un padre anziano. Un padre che torna e un padre che parte.

Stefano

Sono padre di Filippo (quattordicenne) e Tommaso (undicenne). Entrambi sono componenti del Gruppo Scout Milano 34. Nella mia richiesta di partecipazione ho segnalato che vorrei affinare “gli strumenti” che ho a disposizione per poter meglio comprendere i forti cambiamenti che i miei figli stanno compiendo. Spesso nel mio manuale d’uso non trovo risposte adeguate per comprendere il loro stato d’animo e per affiancarli nelle loro scelte. Ritengo il confronto con altri genitori di fondamentale aiuto e molto interessante la proposta di interazione con ragazzi che non siano i miei figli.

La sensazione ed impressione che mi trasmette l’immagine è quella di un padre che, sotto lo sguardo di altre due persone che possono sembrare il padre e la madre del genitore, accoglie il proprio figlio dopo un allontanamento. L’immagine è toccante e mi fa riflettere per quelle volte che per le cause più disparate (tempo, fretta, impegni professionali o per scarsa attenzione) non dedico la giusta concentrazione alla mia famiglia.

Alla ricerca del padre

Sisifo e la cassetta degli attrezzi

Per allenare il pensiero e il mondo emozionale, il Gruppo della Trasgressione si avvale di diversi attrezzi. Uno di questi è il mito di Sisifo, che riflette le dinamiche delle relazioni umane e il loro substrato emotivo. Questo mito non è solo un racconto del passato, ma un mezzo efficace di analisi e prevenzione, soprattutto nei contesti scolastici, dove il rapporto tra studenti e insegnanti, così come tra giovani e adulti, rappresenta il cuore delle interazioni quotidiane.

Al centro di queste relazioni c’è sempre un’autorità che detiene un potere e che può scegliere come esercitarlo: può utilizzarlo come strumento di crescita e valorizzazione dell’altro oppure di repressione e annientamento. Dall’altra parte ci sono individui che rispondono a queste scelte, modellando il proprio atteggiamento in base al modo in cui l’autorità agisce. Ed è proprio in questo scambio, quasi sempre conflittuale, a volte costruttivo, a volte bellicoso, che prendono forma i comportamenti di ognuno.

Un elemento centrale del mito di Sisifo è l’arroganza, che però non va intesa come un semplice tratto individuale, ma come il risultato di una relazione disfunzionale tra l’individuo e un’autorità respingente, repressiva e punitiva. Il mito di Sisifo lo esemplifica perfettamente: Sisifo sceglie di umiliare Asopo, il dio dell’acqua, perché lo considera e lo conosce come un’autorità fallimentare, incapace di prendersi cura dei cittadini di Corinto. La sua arroganza, quindi, non è un semplice atto di superbia, ma una reazione alle mancanze di chi lo avrebbe dovuto proteggere e guidare. Lo stesso può accadere nei rapporti tra genitori e figli o tra studenti e insegnanti. La ribellione dei più giovani non è solo una fase di crescita o un tratto caratteriale, ma spesso il riflesso di un conflitto con un’autorità percepita come distante, ingiusta o inefficace.

Oltre all’arroganza e alla ribellione, nel mito di Sisifo emerge un’altra risposta a un’autorità carente e disattenta: l’autodistruzione. La mancanza di riconoscimento e le carenze affettive di Asopo nei confronti della figlia spingono Egina su un cammino oscuro, dove l’assenza di sostegno e comprensione la portano a cercare rifugio in scelte autolesioniste. Egina si lascia sedurre dalle promesse di Giove, una figura autoritaria e dissoluta che le offre solo illusioni di piacere senza chiederle nulla in cambio e, meno che mai, di fare qualcosa per migliorarsi. Rinunciando ai propri sogni e alle proprie potenzialità, Egina si avvia verso un percorso di perdizione alla ricerca di soluzioni autodistruttive. Un meccanismo simile si ritrova nelle scelte che conducono alla delinquenza, dove il desiderio di guadagni facili e immediati spesso si trasforma in un cammino di autodistruzione, alimentato dall’illusione che il potere possa essere ottenuto senza il lavoro su se stessi.

Il mito di Sisifo si trasforma in uno strumento universale per comprendere le reazioni di giovani, studenti, detenuti e, più in generale, di tutti noi di fronte all’autorità. Esprime in modo universale le emozioni e i meccanismi che ci spingono a scegliere tra la ribellione o l’autodistruzione quando ci confrontiamo con un’autorità castrante, sia essa esterna o interna, e della responsabilità insita all’interno di tale relazione. Chi esercita il potere ha la responsabilità di fornire strumenti di crescita a chi è sotto la sua influenza, mentre chi subisce tale potere è chiamato a riflettere sugli elementi che scaturiscono da questo legame. Tale responsabilità richiede dunque un riconoscimento reciproco, tanto dell’altro quanto di sé stessi.

In questo contesto, il mito diventa uno strumento per esplorare le radici dei sentimenti che conducono a comportamenti distruttivi. Si parte dal presupposto che non siamo noi a “scegliere” ciò che sentiamo, ma reagiamo a un substrato emotivo che può essere indagato attraverso il vocabolario e i simboli offerti dal Gruppo. Gli strumenti del Gruppo della Trasgressione condividono un nucleo centrale che, una volta afferrato, può essere applicato e riconosciuto in un’infinità di situazioni. Ed è solo quando riusciamo ad accedere a questo nucleo e ad interiorizzarlo che possiamo trasformare la nostra consapevolezza emotiva in uno strumento di cambiamento e crescita, sia personale che collettiva.

Martina Mutti

Il mito di Sisifo

My father’s eyes

La musica ci salverà

  1. Father and Son (Cat Stevens), 1970
  2. Sei forte papà (Gianni Morandi), 1976
  3. My father’s eyes (Eric Clapton), 1998
  4. Father, son (Peter Gabriel), 2000
  5. Io sono Francesco (Tricarico), 2000
  6. PadreMadre (Cesare Cremonini), 2002
  7. Sometimes You Can’t Make It On Your Own (U2), 2004
  8. Wait (Alexi Murdoch), 2006
  9. Per sempre (Ligabue), 2013
  10. Daddy (Coldplay), 2019
  11. Lettera a Draco (Shiva), 2024
  12. L’albero delle noci (Brunori SAS), 2025

Ci vediamo martedì sera…

Alla ricerca del padre

Giustizia riparativa per non soccombere al dolore

E sento che non posso finire senza dire una parola ai grandi assenti, oggi, ai protagonisti assenti: agli uomini e alle donne mafiosi. Per favore, cambiate vita, convertitevi, fermatevi, smettete di fare il male! E noi preghiamo per voi. Convertitevi, lo chiedo in ginocchio; è per il vostro bene. Questa vita che vivete adesso, non vi darà piacere, non vi darà gioia, non vi darà felicità. Il potere, il denaro che voi avete adesso da tanti affari sporchi, da tanti crimini mafiosi, è denaro insanguinato, è potere insanguinato, e non potrete portarlo nell’altra vita. Convertitevi, ancora c’è tempo, per non finire all’inferno. E’ quello che vi aspetta se continuate su questa strada. Voi avete avuto un papà e una mamma: pensate a loro. Piangete un po’ e convertitevi“.

[Papa Francesco, 21 marzo 2014 – incontro con i Familiari delle vittime della criminalità organizzata]

 

Quale sia stata l’idea che mi ha portato a tentare il concorso in magistratura è difficile indicarla in poche parole.

[continua: qui]

Tratto da Avvenire- inserto culturale Gutemberg “Prega per il tuo nemico”, 24.1.25

Tradimento

Il concetto di tradimento mi pare strettamente legato a quello di aspettativa.

Se non si nutrono aspettative non si può sperimentare la delusione, né il dolore che nasce dalla mancata realizzazione delle attese, dalla frustrazione che chiamiamo tradimento. In altre parole la sensazione di essere traditi è l’emozione negativa che si prova quando una persona per noi importante si comporta in maniera non consona ai nostri desideri o contraria ad essi, tradendo le nostre attese.

A determinare l’intensità del vissuto doloroso che il tradimento comporta, concorrono diversi fattori. Innanzitutto l’investimento affettivo che noi facciamo o abbiamo fatto nella persona che viene meno alle nostre attese col suo comportamento attivo od omissivo.  Quanto più ammiriamo, amiamo, dipendiamo da questa o dal suo giudizio, quanta più fiducia abbiamo investito nel soggetto che ci delude, quanto più esso è per noi importante, tanto maggiore sarà il dolore provocato dal tradimento.

Esiste quindi un rapporto diretto tra il nostro investimento affettivo e la dimensione del dolore causato dalla delusione. In altre parole, l’intensità del dolore riflesso dipende direttamente dall’intensità affettiva del legame e dalla quantità di credibilità che noi attribuiamo alla figura che ci delude.

Inoltre, se innalziamo agli altari una persona che amiamo, se le attribuiamo qualità esagerate, se le neghiamo limiti umani, fragilità o difetti, se le nostre aspettative sono irrealistiche sarà tanto più probabile che queste possano essere deluse e che ci si possa sentire traditi. Anche un minimo scostamento dai comportamenti desiderati ed attesi, magari insignificante o addirittura inconsistente, sarà causa di intenso dolore proprio perché spropositata era l’attesa. E questo scostamento sarà vissuto come tradimento, umiliazione e ferita da chi è per primo responsabile, magari inconscio, di queste fantasie. Il concetto stesso di tradimento, il vissuto del tradimento, dipende quindi sia dall’investimento emotivo del soggetto, sia dall’entità dello scostamento dalle attese. È quindi importante comprendere se le aspettative che abbiamo riposto nella persona che ci delude sono realistiche oppure no.

Esistono attese che consideriamo naturali, ad esempio ci aspettiamo che un genitore responsabile provveda al soddisfacimento delle necessità elementari di un figlio minore, che da lui dipende interamente. Qualora non lo facesse potremmo concordare sul fatto che quel genitore tradisce le comuni aspettative. Allo stesso tempo non possiamo ragionevolmente attenderci che il genitore provveda a soddisfare i capricci dei figli o i bisogni che superano le sue capacità materiali di soddisfarli. Ci attendiamo che gli fornisca il pane, ma non necessariamente i dolci. Ci aspettiamo che un padre mandi un figlio a scuola, ma non necessariamente all’università, se le condizioni familiari e sociali in cui vive non lo consentono, che si assuma il compito di educare un figlio alle regole della società in cui vive, affinché ne conosca i limiti, le obbligazioni e i diritti, che accudisca il figlio con amorevole attenzione, protezione e cura, che un padre aiuti suo figlio a crescere dotandosi degli strumenti utili a confrontarsi con la realtà, modificandola a proprio vantaggio. Esistono quindi bisogni basici che un genitore responsabile è tenuto a soddisfare, il tradimento dei quali può segnare la vita e le scelte future dei figli.

Per comprendere quanto realistiche sono le attese che si possono nutrire occorre quindi confrontarsi da un lato con il senso comune, e dall’altro sforzarsi di mettersi nei panni di chi pensiamo ci abbia tradito.

Occorre innanzitutto prendere le distanze dal nostro dolore, riconoscendolo come esperienza di vita comune, diffusa, ordinaria e non eccezionale. Dovremo quindi valutare onestamente il vissuto di chi pensiamo ci abbia tradito, le ragioni del suo comportamento, le scelte che si è trovato a fare nel corso della vita, le condizioni in cui ha operato, le opportunità che ha avuto, la somma di eventi che lo hanno forgiato nella forma che gli riconosciamo. In sostanza, tutto ciò che concorre a formare il suo punto di vista.

In effetti, unire tra loro punti di vista estranei ci permette di avvicinarci quanto più possibile alla verità oggettiva e a meglio comprendere le motivazioni sottostanti a scelte che ci deludono, che non soddisfano le nostre attese. Se osserviamo la realtà con i nostri soli occhi, appagando il nostro egoismo, non vediamo né riconosciamo gli altri, i quali finiscono con l’esistere solo in funzione dei nostri bisogni, veri o presunti che siano. Disegnando una mappa dei nostri bisogni ipertrofica ed irrealistica, aumentiamo a dismisura le nostre aspettative, pretendiamo dagli altri prestazioni sproporzionate se non sovrumane, e con le nostre stesse mani moltiplichiamo le occasioni di frustrazione.

Rimane comunque la possibilità che chi vorremmo che soddisfacesse le nostre ragionevoli aspettative si comporti in maniera irresponsabile, tradendo la fiducia che gli abbiamo consegnato, in quanto incapace di gestirla responsabilmente, di valorizzarla adeguatamente, di accettarla come segno di amore, con il solo scopo di punirci attribuendoci la colpa dei suoi fallimenti.

Accettare di valere per qualcuno, di poter essere oggetto di amore è la principale difficoltà che si incontra in un rapporto d’amore, poiché significa accettare di dipendere da qualcuno, di essergli in qualche modo debitore, di non bastare a sé stessi, significa vedere e riconoscere i propri limiti, le proprie fragilità, i bisogni reali negati alla propria consapevolezza e volutamente inespressi.

Rifiutando di assumersi questa responsabilità, per la quale si sente impreparato o inadeguato, consente inoltre di riaccendere il circolo vizioso del risentimento che autorizza pratiche antisociali e criminogene. L’oscillazione tra questi estremi, l’arrogante autosufficienza e l’accettazione della dipendenza dagli altri, riflette le contraddizioni della condizione umana e ci ricorda quanto a fondo occorre scavare per trovare un equilibrio e con esso la pace interiore.

Paolo Setti Carraro

Sisifo e i suoi archetipi

Nel cuore di Corinto, mentre la siccità piega la città, si svolge una vicenda che porta con sé temi familiari a ciascuno di noi. Al centro troviamo Sisifo, re di Corinto, impegnato in una disperata ricerca di salvezza per il suo popolo, mentre Asopo, dio delle acque, resta sordo a ogni supplica, rifiutandosi di porre fine al tormento della città, nonostante abbia il potere di farlo.

Nella sua indifferenza, Asopo incarna l’archetipo dell’autorità che ha smarrito la propria essenza: quella di nutrire, sostenere e promuovere la crescita. Mentre Corinto soffre la sete, egli si abbandona al piacere e alla sregolatezza, senza preoccuparsi di chi lo circonda.

Oltre che verso i mortali di Corinto, manifesta la medesima noncuranza verso la figlia: Egina; il loro legame è ridotto a un freddo scambio di doveri, e in questo deserto emotivo cresce la giovane, schiacciata da pretese paterne che non trovano riscontro né nell’affetto né nella guida.

La seduzione di Giove si manifesta ai suoi occhi come un miraggio di libertà senza vincoli, proposta irresistibile per chi, come lei, ha conosciuto solo il peso degli obblighi. Ed è proprio il comportamento sregolato all’insegna della ricerca di fuggevoli piaceri del padre a legittimare implicitamente la scelta di seguire Giove.

Ma la sua fuga con Giove rappresenta anche altro, non è solo un atto di ribellione: è la ricerca di riconoscimento e attenzione che il padre le ha sempre negato.

In questo intreccio di relazioni emerge Sisifo, acuto osservatore delle dinamiche in gioco. La sua astuzia trasforma l’informazione sulla seduzione di Egina in una potente arma di ricatto contro Asopo, ribaltando repentinamente gli equilibri di potere, portando il Dio in una posizione vulnerabile di fronte al mortale.

Ma proprio nel momento del trionfo Sisifo rivela la propria fragilità. Non pago di aver ottenuto l’acqua per la sua città, esige l’umiliazione di Asopo. Il desiderio di vedere una divinità in ginocchio tradisce un’esigenza di affermazione che oltrepassa la necessità pratica, sconfinando nell’arroganza e nella brama di onnipotenza, che sarà poi causa della sua eterna pena.

La forza del mito di Sisifo risiede nella sua capacità di rispecchiare l’esperienza umana attraverso i secoli. Ogni personaggio incarna aspetti della natura umana ancora oggi attuali. Sisifo ed Egina rappresentano gli adolescenti di ogni epoca, alle prese con un’autorità – Asopo – che incarna le possibili degenerazioni del potere.

La loro risposta alla freddezza emotiva si manifesta in modi antitetici: in Sisifo, la rabbia esplode in un crescendo di rivalsa e sopraffazione, replicando inconsapevolmente la violenza subita. In Egina, rabbia e dolore implodono in un’autodistruttiva ricerca di libertà, che nasconde però nuove catene.

Queste dinamiche riflettono alcune delle diverse strategie con cui gli adolescenti in particolare possono affrontare un’autorità percepita come oppressiva o situazioni di sofferenza, di mancato riconoscimento: alcuni attraverso aperta ribellione o violenza, altri attraverso comportamenti autodistruttivi. Entrambi i casi sono manifestazioni della rabbia e del dolore generati dal disconoscimento dei loro bisogni.

Il mito, nella rivisitazione che ne propone il gruppo, porta alla luce temi estremamente familiari, ed è difficile non riconoscersi o non riconoscere una passata versione di noi stessi, in almeno uno dei personaggi che lo costellano.

Questo processo di identificazione va oltre il semplice rispecchiamento: diventa un’occasione per validare le proprie esperienze emotive e comprendere che certi vissuti, spesso percepiti come profondamente personali e isolati, sono in realtà parte della comune esperienza umana.

Il linguaggio simbolico crea uno spazio interpretativo dove ognuno può trovare significati personali: le figure di Sisifo, Egina e Asopo diventano archetipi attraverso cui esplorare dinamiche universali nella relazione tra genitori e figli, insegnanti e studenti.

L’aver portato la rappresentazione e la discussione di alcuni aspetti del mito all’istituto della Fondazione Clerici assume una funzione particolarmente pregnante, dato il suo rivolgersi a una comunità educativa.

Per gli studenti, offre un modo per elaborare e dare voce alle proprie esperienze di conflitto con l’autorità (e non), dando espressione alla complessità delle loro emozioni e cercando di dare un significato alle loro reazioni. Attraverso le figure di Sisifo ed Egina, possono riconoscere la propria rabbia e sofferenza, i propri impulsi di ribellione e autodistruzione, comprendendone meglio le origini e le possibili conseguenze su di sé e sugli altri.

Ma anche per gli insegnanti, il mito presenta una potente riflessione sulla natura dell’autorità educativa. La figura di Asopo serve da monito sulle conseguenze di un potere esercitato attraverso la mera forza e l’indifferenza emotiva, e sottolinea come le gerarchie basate esclusivamente sul potere formale siano intrinsecamente fragili e destinate al fallimento.

Anna Bigotti

Il mito di Sisifo

Anime Salve, Concerto

Il concerto è un omaggio a Libera per i 30 anni dalla sua fondazione e per i tanti risultati fino a oggi raggiunti. Tra questi, anche il contributo degli ultimi anni alla evoluzione dei detenuti del Gruppo della Trasgressione.

Nel corso della serata, alcune delle più note canzoni di Fabrizio De André, arrangiate ed eseguite dalla Trsg.band, vengono accompagnate da interventi di componenti di Libera, di detenuti del Gruppo della Trasgressione e da contributi di magistrati e operatori del settore, professionisti e studenti che contribuiscono a rendere il carcere palestra di cultura e di emancipazione e non semplice luogo di restrizione della libertà.

Per lo spettacolo del 24/03 le prenontazioni sono chiuse. Il prossimo concerto della Trsg.band e del Gruppo della Trasgressione sarà al teatro Da Silva di Rho, il 16 maggio.

Se volete, potete scrivere a associazione@trasgressione.net, lasciare il vostro nome e cognome e la richiesta per essere inseriti nella mail list del Gruppo della Trasgressione.


Istruire una prossimità

La lacerazione dovuta a una grave perdita affettiva, giunta traumaticamente e senza una comprensibile ragione, per potere essere tollerata, deve diventare seme di una storia: il terremoto non ha volontà, traumatizza, ma non chiude i sopravvissuti nella prigione dell’odio; quando la morte viene determinata da una mano assassina, invece, i parenti più stretti della vittima rischiano di rimanere chiusi per molti anni nella gabbia di un odio permanente verso l’omicida.

Per potere sopportare la perdita del congiunto e uscire dalla loro prigione personale, i familiari della vittima hanno bisogno che la volontà dell’omicida cambi direzione. Ma perché questo processo possa essere avviato, occorre la ricostruzione di una storia che, di fatto, non conosce nemmeno il carnefice, se non nei suoi risvolti più superficiali e comunque non nei nodi che sono all’origine delle sue scelte; occorre una storia che conduca chi ha commesso l’abuso e chi lo ha subito alla libertà di entrare in relazione con l’altro.

La serata del 24 marzo e le iniziative che ne deriveranno rispondono allo scopo di avviare un percorso di riconoscimento reciproco fra chi ha prodotto e chi ha subito l’abuso e questo per permettere a entrambi di uscire contemporaneamente da due ergastoli invalidanti: quello del detenuto che si sente vittima dello stato e quello del familiare della vittima, che a volte rimane per tutta la vita prigioniero del proprio rancore.

Le canzoni di Fabrizio De André e la serata del 24 marzo sono una scintilla per istruire una prossimità, per attivare emozioni e riflessioni che aiutino a riconoscersi e a superare due ergastoli.

Juri Aparo

La Trsg.bandIstruire una prossimitàInverno