Tre barche

Aiuto, fateci salire!

Che cosa ci fate qui? Dov’è la vostra barca?

Era un canotto, si è bucato, stava affondando, così ci siamo buttati.

Ma da quanto state così?

E’ venuto buio due volte.

Più di 48 ore? Sarete esausti.

Lo siamo!

Quanti siete?

Siamo in cinque, ma tanti ce ne sono stati prima di noi e tanti ce ne saranno.

E gli altri?

Gli altri sono in fondo al mare.

Ecco ci siamo, riuscite ad arrampicarvi sulla scaletta?

Ci proviamo.

Ma lui perché non si muove?

Rascid, Rascid! Forza, tirati su!

(Ma Rascid non sente e non risponde. Rascid non c’è più)

Voi chi siete?

Siamo pescatori.

E perché ci avete presi su?

Eravate in pericolo e di questo avevate bisogno, di essere presi su.

Grazie.

E’ una legge del mare. Chiunque sia in pericolo, viene salvato dai marinai.

E se fosse un nemico?

Quando un uomo è in pericolo di vita, prima bisogna salvarlo, le categorie cominciano dopo. Se si scoprirà essere un nemico, avremo salvato un nemico, ma quando l’abbiamo deciso era un uomo che volevamo salvare.

Ma sarà ancora un nemico l’uomo che è stato salvato?

Forse sì. O forse apparterrà prima alla categoria dei salvati che a quella dei nemici. Lui stesso in quanto salvato si sentirà di appartenere alla categoria dei riconoscenti, poi a quella dei nemici.

Ma, che cosa vuol dire sentirsi un riconoscente?

Per esempio scoprire che dopo essere stato aiutato, sentire che a tua volta vorresti aiutare. Così ti succede una cosa strana. Guardi gli altri e, per la prima volta, li vedi davvero. E vedi le loro debolezze e per la prima volta non te ne approfitti. Anzi, cerchi di sostenerle.

Questo è un riconoscente?

Sì, questo è un riconoscente. Questo è un uomo.

Adesso che ne sarà di noi?

A)

Vi portiamo all’isola, vi ripuliamo, vi diamo da mangiare e poi da dormire.

E poi?

Poi, una volta rifocillati e ripuliti sarete liberi di andarvene.

E come faremo senza una guida?

Vi verranno forniti gli strumenti per cavarvela. Avrete imparato un mestiere, conoscerete una lingua nuova per andare nel mondo senza perdervi, per entrare nel mare senza affogare.

B)

Vi portiamo all’isola, vi rifocilliamo.

E poi?

Poi aspetterete

Che cosa?

Che il tempo passi, che arrivino le carte, che vi trasferiscano.

Per portarci dove?

In un’altra isola.

E lì che cosa faremo? Che cosa?

Che passi del tempo.

Quanto tempo?

Quello che sarà necessario.

E poi?

Poi ve ne andrete. Sarete liberi.

Liberi? Forse saremo liberi di andarcene dall’isola, ma non di andarcene dalla parte malata di noi stessi.

C)

Vi portiamo sull’isola, vi rifocilliamo.

E poi?

Poi aspetterete.

Che cosa?

Che il tempo passi, che arrivino le carte, che voi facciate delle scelte.

Che cosa mai dovremmo scegliere?

Vi verranno fatte delle proposte. Potrete seguire dei corsi, a vostro gusto.

E come sapremo quali ci saranno davvero utili? Corsi di cosa?

Un po’ di tutto. Poesia, teatro, scuola…

E’ una specie di scuola ?

Una specie, sì.

Che cosa ci insegnano?

Che cosa vi insegnano, che cosa vi insegnano! Un po’ tutto e un po’ niente. Non siate petulanti.

Ma ci insegnano a nuotare?

Nuccia Pessina

Officina creativa

Aspetto

Aspettu, aspettu.
Ma ch’aspettu?
Oramai n’aspettu
chiù a nuddu
Trasenu tutti i parendi

de me cumpagni.
E chiddi me,
unni sunu?
Taliu, taliu
ma ne viru.

Va bè, non fa nendi
Sugnu cundendu u stissu
Ma bastau viriri a gioia
di mpicciriddu strittu
ndo pettu di so patri.

Na muggheri accarizzari
u maritu.
Na matri ka teni
nde razza a so criatura,
ka mi fa pinzari

a maronna co Bamminu.
Sugnu cundendu
pe me cumpagni
ma sugnu cchiù cundendu
pi chiddu ka
m’arrialasturu,

Mi inghisturu u cori.

Aspetto, aspetto,
ma cosa aspetto.
Oramai non aspetto
più nessuno,
sono entrati tutti i parenti

dei miei compagni.
E quelli miei
dove sono?
Guardo, guardo
ma non li vedo.

Va bene, non fa niente,
sono contento lo stesso,
mi è bastato vedere la gioia
di un bambino stretto
nel petto di suo padre.

Una moglie accarezzare
il marito,
una madre che tiene
in braccio la sua creatura,
che mi fa pensare

la Madonna col Bambino.
Sono contento
per i miei compagni
ma sono più contento
per quello che
mi avete regalato,

Mi avete riempito il cuore.

 Officina creativa

Se mi conosci non mi eviti

I detenuti del gruppo della Trasgressione, come libri parlanti, ricostruiscono e consegnano la propria storia ai cittadini presenti nel tentativo di ripartire con questi ultimi per una storia comune.

 

Marte – Andata e ritorno

L’incontro di oggi, 30 Marzo 2022, presso il Liceo Artistico Statale “di Brera” è stato davvero molto emozionante e diverso rispetto ai precedenti incontri con gli studenti, ai quali avevo partecipato i mesi scorsi.

Il viaggio di andata
Il “discorso di presentazione”, chiamiamolo così, del Prof Aparo mi ha piacevolmente stimolato e stupito. Ha usato una metafora semplice ed efficace: il percorso di un detenuto può essere paragonato un po’ ad un viaggio nello spazio, che comincia sulla Terra ma ha come destinazione il pianeta rosso, Marte. Durante questo viaggio avviene un cambiamento, ossia il singolo inizia ad allontanarsi sempre di più, a causa delle sue scelte/azioni, dalla collettività, fino a diventare irriconoscibile agli occhi dei suoi simili, quasi come un extra-terrestre.

In buona sostanza, una persona nasce e cresce in un certo contesto, dove si presentano, ogni volta in percentuali diverse, opportunità per fare le proprie scelte. Qualcuno, a causa di tutta una serie di condizioni e vissuti, intraprende la strada verso la criminalità. Da lì, inizia il vero e proprio distacco: da adolescente insicuro, incerto, senza una propria identità si passa ad un adulto la cui identità si plasma nell’inseguimento di illusioni e di fantasticherie di potere.

 

Il viaggio di ritorno
Nonostante ciò, arrivati su Marte, avendo goduto per anni di quel famoso delirio di onnipotenza di cui tanto si parla, al quale è inevitabilmente seguito il carcere, ad un certo punto ci si rende conto che forse su quel pianeta rosso come il fuoco e come il potere non si sta poi così tanto bene e che forse è il caso di rientrare sul pianeta Terra.

Ma per tornare a convivere con gli altri bisogna crescere, imparare e fare proprie le conoscenze necessarie affinché si possa costruire qualcosa di buono insieme. Insomma, bisogna tornare riconoscibili come esseri umani, attraverso un impegno personale ma anche e soprattutto della società. Questo perché bisogna necessariamente prevenire che adolescenti di 14, 15 o 16 anni si

rovinino allo stesso modo, il che, a mio parere, rappresenta un onore e un dovere verso la collettività.

 

Le testimonianze
Oggi abbiamo potuto ascoltare le testimonianze di diversi detenuti ed ex detenuti e io, personalmente, mi sono commossa nel vedere delle persone così consapevoli di sé stesse, delle proprie azioni ma soprattutto degli obiettivi futuri. E mi sono spesso guardata intorno per vedere se gli studenti avessero avuto la stessa reazione. Con mia grande, anzi grandissima sorpresa i ragazzi erano tutti attenti ad ascoltare Roberto, Nuccio, Mario, Salvatore, Adriano e tutti gli altri presenti. Non avevano telefoni in mano, non parlavano tra di loro, non alzavano gli occhi al cielo. Erano li, fisicamente e mentalmente. E penso che questo sia il più grande dei traguardi, cioè riuscire a coinvolgere, attraverso la propria storia e la propria esperienza, i più giovani e catturarne l’attenzione e lo sguardo.

Tra qualche mese, spero, diventerò psicologa a tutti gli effetti e mi rendo conto di avere un’emotività che va immensamente oltre la mia professione, sono consapevole che prima o poi dovrò imparare a dosarla. Ma oggi, davanti a uomini, padri che si emozionavano al punto da avere la voce strozzata parlando del rapporto con i propri figli, non ce l’ho fatta e qualche lacrima di commozione mi è scesa. Sono storie toccanti, è straordinario sentire certi racconti uscire dalla bocca di persone che hanno vissuto quel tipo di vita.

Ed è altrettanto straordinario vedere nei loro occhi la consapevolezza, l’accettazione di sé e delle proprie azioni, che non rinnegano, ma sanno di non doversi rinchiudere all’interno delle scelte sbagliate del passato. Sono consapevoli di aver fatto un percorso che ha permesso loro di arrivare oggi ad essere fieri e orgogliosi delle persone che sono diventate e tutto ciò ha permesso anche ai loro familiari, amici, conoscenti di essere altrettanto fieri dei loro traguardi come esseri umani.

 

Come racconteresti la tua storia ai tuoi figli?
Con questa domanda si è concluso l’incontro. Alcuni hanno cercato di rispondere nella maniera più esaustiva possibile, altri, invece, non ci sono riusciti perché non hanno figli.

Penso che questa sia una domanda molto difficile, alla quale solo un genitore possa rispondere. Per questo motivo, ho pensato di girare questa domanda a mia mamma, chiedendole come avrebbe risposto lei se si fosse ritrovata in una situazione analoga, per esempio come è successo alla compagna di Adriano.

La sua risposta, come tutte quelle che mi ha sempre dato nella mia vita, mi è sembrata molto centrata: i bambini, gli adolescenti o più in generale i ragazzi compiono degli errori, ai quali seguono sgridate o punizioni, con annesse spiegazioni del perché l’azione X viene considerata errore; allo stesso modo, anche i grandi di qualunque età possono commetterne. La cosa importante è riconoscere i propri errori e soprattutto essere consapevoli che questi hanno delle conseguenze, perché ogni nostro gesto, che può anche essere fatto con ottime intenzioni, può causare effetti dolorosi per sé stessi e per gli altri.

E il carcere dovrebbe avere questo ruolo, ossia far capire che ciò che si è commesso è stato un errore, ma dovrebbe anche aiutare, dando la possibilità di riabilitare e reinserire i detenuti all’interno di una società, di formarli, di permettere loro di studiare, per poter tornare ad affrontare la vita quotidiana e le responsabilità che ne seguono in maniera più forte e consapevole rispetto a prima.

Micol Sini                                    Marte, andata e ritorno

Storie in divenire

L’incontro di mercoledì con i ragazzi del Liceo Artistico di Brera è stato  emozionante e coinvolgente. Non ho mai partecipato prima a un incontro simile, con ragazzi così giovani in una scuola, ma devo ammettere che col senno di poi avrei pagato oro per fare un’esperienza del genere nei miei anni di liceo.

La mattinata è partita con l’introduzione dal Prof. Aparo, che ha preparato i ragazzi con una metafora sul percorso di una persona a partire da quando è entrata nel mondo della criminalità – e successivamente nel carcere – e quando invece ne è uscita. Ha paragonato questo percorso a un viaggio di andata verso il pianeta Marte, che rappresenta l’ascesa nel mondo della criminalità e successivamente l’ingresso in carcere, e un viaggio di ritorno sul pianeta Terra, che rappresenta invece il percorso personale di un detenuto per essere pronto alla vita del cittadino fuori dal carcere.

La parte interessante è stata sentire i vissuti dei nostri amici, che hanno raccontato i loro viaggi di andata e di ritorno con un’emozione che ogni volta mi disarma. Quello che è emerso per quanto riguarda il viaggio di andata, di cosa e di chi li ha portati a prendere quella determinata strada, è che purtroppo a volte capita di nascere e crescere in situazioni di violenza, di devianza, di gara al potere e a chi è più forte, di rabbia e di sopravvivenza. Tutto questo ha portato ad abbracciare la dimensione criminale, travolgendo e stravolgendo ragazzini di soli 13, 14 anni che si son ritrovati a doversi conformare a questa vita per sopravvivere, ma anche per trarne vantaggio, perché insomma, agli occhi di questi ragazzini così giovani, inesperti, insicuri, spaventati e deviati, tutto quello che questo tipo di vita promette è decisamente allettante.

Poi ad un certo punto, però, tutto questo finisce: arriva il carcere, l’astronave atterra su Marte e niente è e sarà più come prima. Si entra in un mondo nel quale si fanno i conti con la persona che si è stati fino a quel punto, con ciò che si è commesso e con i mille pensieri che distruggono e che straziano l’anima. In quel momento però una scelta la puoi prendere: rimanere la persona che sei stato fino a quel giorno, rimanere nel buio, rimanere su Marte, oppure far rinascere quel bambino che è rimasto dentro di te, che hai voluto o hai dovuto bloccare lì dentro, rinascere nella luce e prendere quel biglietto di ritorno per la Terra.

Mercoledì, come in realtà tutte le volte che partecipo agli incontri del gruppo, ho visto davanti a me persone con una forza d’animo che mai penso di aver incontrato prima, persone con una conoscenza e coscienza di se stessi che disarma sempre; persone che hanno sofferto tantissimo per aver fatto soffrire, ma che, lavorando giorno dopo giorno per anni, oggi riescono a guardarsi allo specchio e ad essere fieri delle persone che sono oggi, persone che con enorme fatica ma con altrettanta volontà d’animo sono riuscite ad accedere alla vita della legalità, della luce, della bellezza.

L’ultima parte dell’incontro è stata credo la più difficile. Il Prof ha posto una domanda a dir poco complicata: “come racconteresti la tua storia, quello che hai fatto e come sei diventato oggi ai tuoi figli?” E qui ho ceduto.

Ho ceduto davanti a Pino, che per la prima volta ha parlato di tutto questo davanti agli occhi della figlia. Ho ceduto davanti a Roberto, con il racconto di suo nipote. Ho ceduto davanti ad Adriano e Francesca, con la storia di questa nuova meravigliosa famiglia. E ho ceduto davanti alle magiche e strazianti parole di Nuccio, mirabile poeta.

Ho ceduto davanti alla commozione, alle lacrime e all’umanità di queste persone, che come sempre mi lasciano nel cuore una bellezza indescrivibile. Grazie a tutti per quello che ogni giorno mi regalate.

Camilla Bruno

Marte, andata e ritorno

Uomini che si raccontano

Quando senti alla televisione o ti capita di leggere sul giornale che una persona ha ucciso qualcuno come reagisci?”

… “Mi chiedo il perché, provo paura e rabbia” rispondono alcuni studenti.

Inizia così, la nostra mattinata al liceo artistico di Brera.

Quando andiamo nelle scuole l’obiettivo del Gruppo della Trasgressione consiste nel riportare esperienze devianti vissute da persone che oggi si impegnano e sono lì per raccontarle. L’obiettivo è proprio quello di lasciare un segno per contrastare il rischio che i ragazzi ripetano gli stessi errori dei detenuti. Credo proprio che ciò sia arrivato; gli studenti, con gli occhi fissi su chi parlava, lo hanno dimostrato.

… “Ma tu, saresti mai capace di commettere reati e di uccidere? E secondo te come e perché una persona può arrivare a commettere crimini fino al punto di uccidere? Cosa gli scatta nella testa?”

Ho qui citato alcuni quesiti posti nel corso della mattinata. Il primo è stato posto in particolare ai giovani, i quali sostengono che ciò sarebbe possibile nel caso in cui si dovesse crescere in un contesto di degrado, senza una figura genitoriale credibile e rispettabile e, di conseguenza, privi di strumenti per potersi difendere.

Rabbia mischiata a fragilità, dolore, arroganza e voglia di sentirsi potenti.

Il potere affascina, ne ottieni un po’, ne vuoi di più e non ti sazi mai. Un po’ come i tossicodipendenti cercano la dose; in quel momento non ti interessa guardare in faccia nessuno ed è lì che l’arroganza prende il sopravvento. Così lo descrivono i detenuti.

La maggior parte di coloro che si sono raccontati hanno affrontato questa fase di delirio di onnipotenza nell’adolescenza, quando è loro mancata una figura solida, credibile, rispettabile, insomma una guida che li mettesse sulla giusta via, e che non per forza deve essere un genitore.

Il potere ti dà rispetto, quello che magari fino a quel momento non hai mai avuto, e tutto ciò per un adolescente inizia a diventare la sua realtà. Una realtà in cui cominci ad avere un ruolo, ad essere qualcuno, ma che pian piano ti distrugge. Non avere un ruolo nella vita ti disorienta. Ti domandi quale sia il tuo scopo, ma nel frattempo sei privo di difese che ti possano proteggere e sei facilmente manipolabile da coloro che vogliono approfittare di te.

Tu non hai i mezzi per andare contro corrente, e il fatto che qualcuno comincia a darti un posto, a farti sentire importante e bravo nelle cose che fai, per te diventa un obiettivo allettante, seducente: “… amavo il potere più dei soldi. Non pagavo da nessuna parte perché le persone, sapendo quello che facevo, avevano paura di me”.

Alcuni si chiedono se sia effettivamente possibile un viaggio di ritorno da Marte sulla terra, altri ancora sono conviti che ciò non sia possibile menzionando il famoso detto “il lupo perde il pelo, ma non il vizio”. Ad oggi so per certo che ciò è possibile. Bisogna sicuramente affrontare un lungo e faticoso viaggio, ma d’altronde solo con la fatica e l’impegno si ottengono risultati.

Non si nasce delinquenti, lo si diventa, ma come lo si diventa, così si può smettere di esserlo.

Come hai raccontato il motivo per cui sei in carcere ai tuoi figli?”

Dalle risposte piene di dolore dei detenuti ed ex detenuti è stato possibile distinguere due diversi tipi di reazioni, ossia da una parte un figlio che non ha capito gli errori del padre, non ha preso le distanze dai suoi comportamenti e, anzi, ne è orgoglioso, emula il suo comportamento e usa il nome del padre per vantarsi ed essere rispettato nel suo paese; dall’altra parte sono invece emersi degli atteggiamenti di presa di distanza dalle azioni devianti del padre e dal padre stesso.Emerge qui la vera importanza del ruolo di un padre nell’educare il proprio figlio, in quanto è inevitabile che i figli prendano esempio dai genitori.

Dai racconti mi è stato possibile percepire anche quella forza e quell’amore di una donna nell’aspettare il proprio uomo anche se condannato all’ergastolo; la sensibilità e l’intelligenza di una donna nell’andare oltre ciò che il suo uomo era ed amarlo per ciò che è oggi; l’innocenza di un bambino di dodici anni che apprezza suo nonno e riesce a sentire la sua anima pentita; la felicità di un uomo di cinquant’anni che prova ad essere per la prima volta un “padre” e che si sente al sicuro nelle braccia di una bambina di cinque anni…

… ma anche l’anima distrutta di un uomo che oggi non ha più la possibilità di dimostrare al proprio figlio che oggi guarda il mondo con altri occhi.

Ho ucciso il bambino che era in me

Questa frase detta da un detenuto mi ha particolarmente colpito. Ma io credo che il bambino che è in lui non è mai stato ucciso, ma è sempre stato soffocato, privato di parola, così come la sua coscienza, che non veniva ascoltata.

Ad oggi vedo degli uomini che si raccontano, a cui è stata strappata l’infanzia, l’adolescenza, la vita, ma hanno gli stessi occhi dei bambini, il primo giorno di scuola, felici di imparare a leggere e a scrivere, così come loro stanno imparato a vivere.

Grazie dell’immensa opportunità,

Ilaria Pinto

Marte, andata e ritorno

Al liceo artistico di Brera

Incontro studenti e detenuti Liceo Artistico di Brera (Via Camillo Hajech, Milano, MI) di Mercoledì 30.03.2022

Durante l’incontro di Mercoledì 30 Marzo è stato affrontato il delicato tema della prevenzione della devianza giovanile. A tale scopo è stato organizzato un incontro tra detenuti (in gran parte provenienti dal carcere di Opera) e due classi di studenti liceali.

L’incontro è partito con una metafora: il detenuto come un astronauta, per il quale il viaggio verso Marte rappresenta la via della delinquenza, mentre il ritorno sul pianeta Terra la riabilitazione e la reintegrazione all’interno della società civile.

Tra le diverse testimonianze di vita dei detenuti, un elemento è stato più volte identificato come una delle principali cause che portano sulla strada della devianza: il contesto familiare e socioculturale.

Il progetto genitoriale, così come l’ambiente culturale, sono, infatti, fondamentali per lo sviluppo emotivo, sociale e affettivo del giovane e, in presenza di relazioni sociali problematiche e traballanti, aumentano di molto le probabilità di diventare un delinquente.

Tutto ciò porta il giovane ad assumere modelli di riferimento non rispettabili, che, attraverso la seducente promessa di una vita facile (senza necessità di lavorare e faticare), piena di denaro, macchine e altri beni di consumo, lo conducono alla pratica delinquenziale.

Queste esperienze di vita, a loro volta, si riverberano anche nei rapporti tra i detenuti e i loro figli. Questo è sicuramente uno degli aspetti più complessi e pregnanti dell’incontro di mercoledì, poiché il padre, che si trova in carcere, da un lato ha paura che il figlio ripercorra le sue stesse orme (ad esempio spendendo il suo nome per ottenere rispetto e indebiti vantaggi) e dall’altro prova imbarazzo e pudore a raccontare al figlio cosa ha fatto, il perché della sua condanna e il carcere.

Per interrompere questo circolo vizioso e per scongiurare la possibilità che il figlio segua lo stesso percorso del padre-detenuto, è necessario che quest’ultimo si assuma le sue responsabilità e cerchi di dare al figlio ciò che lui, in molti casi, non ha mai avuto: un modello rispettabile.

Durante l’incontro è emersa la riflessione che, per diventare un modello rispettabile, il padre, in primo luogo, deve comprendere cosa ha fatto, poi deve spiegarlo al figlio e, infine, chiedere scusa (del fatto che la sua condotta lo ha portato alla reclusione e quindi all’interruzione del rapporto).

Fra le tante, la testimonianza più struggente è stata quella di Nuccio, che ci ha raccontato dell’improvvisa decisione di sua figlia di interrompere il rapporto con lui, cosa che poi lo ha spinto a diventare un poeta. Questo elemento emerge chiaramente nella lettura della sua splendida poesia intitolata “Perché scrivo poesie” e in particolar modo nelle ultime due terzine: “Perché voglio diventare poeta? Forse perché solo l’animo di un poeta è degno di riconquistare il tuo cuore”.

L’incontro al liceo Brera è stato molto istruttivo anche se si è volto con tempi molto stretti. Spero che quello del prossimo 7 aprile, anche per il tempo più ampio di cui disporremo, possa avere una partecipazione più attiva e corale da parte degli studenti.

Leonardo Esposti

Marte, andata e ritorno

Tra palco e realtà

Ho avuto il piacere di partecipare all’incontro al liceo artistico Brera con il Gruppo della Trasgressione. Inevitabilmente ogni volta sono portata a guardarmi dentro, ma non è facile per me perché mi rendo conto di quanta strada ho ancora da fare per raggiungere quella consapevolezza e presa di coscienza che Adriano e gli altri detenuti ed ex detenuti hanno acquisito.

Nel percorso di andata su Marte per questi uomini è chiaro che, in qualsiasi modo si venga contattati, è importante il ruolo della guida, per noi sbagliata, ma che in quel momento in un ambiente giovanile, adolescenziale fatto di degrado, di abbandono scolastico, di nessuna prospettiva futura, l’offerta da parte della guida di soldi facili, moto, auto e donne, si presenta particolarmente allettante. La strada si spiana e il carattere del singolo prende il sopravvento fino a illuderlo facendolo diventare un leader negativo col suo sentimento di onnipotenza e delirio.

Poi l’atterraggio,  la resa dei conti con la giustizia,  la permanenza in carcere, la presa di coscienza che ciò che si è fatto è stato un errore, un sentimento come il rimorso che inizia a serpeggiare e nessuna via di fuga dalle proprie responsabilità. Quando ad un tratto la speranza si incarna in una nuova guida che propone una via d’uscita da quell’inferno di dolore e sofferenza e porta l’uomo a credere che ci siano alternative di vita migliore, allora si incomincia a prendere coscienza.

Adriano ci crede e questo percorso non facile lo fa suo e la pena diventa un purgatorio di espiazione delle proprie colpe, studia, si prepara fino ad essere pronto ad affrontare gli altri affinando capacità comunicative, diventando di fatto un leader positivo e fa della comunicazione il suo scopo di vita.

Adriano con la sua simpatia napoletana mi ha conquistata e mi ha portata ad ascoltarlo. Abbiamo parlato tanto e le nostre storie si sono incrociate fino a prendere forma in un progetto di famiglia. Così piano piano è arrivato il momento di farlo conoscere ai miei figli che avevo preparato dicendo loro la sua storia di uomo cambiato.

È  stata magica l’empatia che si è creata tra di loro e a chi mi chiede come ho potuto accettare l’idea che un ex assassino possa tenere tra le braccia la mia bambina, giocare e parlare con i miei due grandi, posso dire che probabilmente i miei figli hanno per prima avvertito l’accettazione da parte mia e quindi è venuto naturale anche a loro, ma questo grazie all’ umiltà, alla disponibilità e alla collaborazione di Adriano.

Certamente non è sempre facile, soprattutto per mio figlio grande, nel pieno dell’adolescenza, ma piano piano il progetto di famiglia sta prendendo forma.

Francesca Zani

Perché scrivo poesie          Marte, andata e ritorno

Il piacere della responsabilità

Fino a ieri, il numero dei posti della sala Alessi era drasticamente ridotto (55 su 150). Oggi la sala torna ad avere tutti suoi posti disponibili e si riaprono le prenotazioni.

Gli avvocati possono prenotarsi scrivendo all’indirizzo riportato sulla locandina; le persone del gruppo della trasgressione scrivano a Elisabetta Vanzini: e.vanzini@campus.unimib.it

 

Spara, Juri, spara

Il guerriero, il ricercatore, l’esploratore, l’archimandrita, l’anacoreta.

Spara, Juri, spara. Spara le tue parole, spara i tuoi discorsi, manda la maschera in pezzi e rivela l’uomo.

Proiettili le tue parole, armi i tuoi discorsi. E’ una strana guerra la tua, una guerra di ricerca, una guerra di ascolto.

Da sempre sei alla ricerca dell’uomo in coloro che incontri. Interroghi, indaghi e ascolti. Ascolti le voci di Freud, Lacan, Winnicott… e le voci da dentro. Le voci si intrecciano, si sommano, si accordano, stridono. Diventano storia. Ascolti la storia e spari i tuoi colpi. La ascolti di nuovo e poi ancora ed ancora. La storia è la stessa ma è anche diversa. Cogli nodi ed intoppi, sbrogli matasse intricate, arruffate da lapsus e mascherate da raptus. Metti in fila gli eventi, metti ordine nelle emozioni e nei sentimenti. E ancora e ancora. Interpreti le voci e spieghi la storia a chi, raccontandola, credeva di averla capita. Ti fermi quando l’aderenza tra forma e sostanza ti sembra raggiunta. Ti fermi quando la storia coincide con l’uomo. Ma poi ricominci.

Ascolti le voci, ascolti la storia, cominci a esplorare le scelte e i percorsi, i paesaggi e le mete.

Le scelte sbagliate, le mete fasulle, la realtà delirante di paesaggi inesistenti con una bussola nuova riacquistano senso, te ne servi per costruire mappe chiarissime.

Da bravo pastore non dimentichi pecore, pur riottose, se ti seguono attente. Sulla strada ritrovata avanzano lente, si nutrono delle tue parole e dei tuoi discorsi, strada facendo si scoprono un vello folto e lucente, vanto insperato e molto ammirato.

Ogni tanto il ricercatore ha un dubbio di troppo, l’esploratore si trova smarrito, il pastore perde una pecora. Ma è un attimo, poi si riprende. Riprende il cammino. E’ un po’ solo, a volte si chiede chi sbroglierà la sua matassa arruffata, chi spiegherà a lui quel pezzo della sua storia che non riesce a capire, chi gli rivelerà il percorso migliore per la bellezza, perché sa che la bellezza è una forza potente, cui nessuno resiste.

Nuccia Pessina

Le storie