Storia di Camilla

Sono agitatissima. tesa come una corda di violino. E’ la prima volta che nello spettacolo di fine anno ho una parte così importante: la protagonista!

Ma non mento a me stessa. La tensione non dipende solo da questo. Sono tesa perché vengono a vedermi mamma e papà insieme. E’ la prima volta.

Adele sta finalmente meglio. Sono così contenta che ce l’abbia fatta. Voglio molto bene a mia sorella Adele ma ogni tanto vorrei non avere una sorella o averne una normale. Lei è bella, intelligente, sensibile ma ha dentro di sé un dolore senza causa, secondo me, che la lacera, la corrode, la risucchia verso gesti insensati. E’ la seconda volta che tenta il suicidio. Per fortuna siamo arrivati in tempo. L’abbiamo portata al Pronto Soccorso più in fretta che potevamo, abitiamo molto vicini, se avessimo chiamato l’ambulanza ci avrebbe messo di più. Lavanda gastrica immediata e ce l’ha fatta. Questa sera l’abbiamo lasciata con una parente cui è molto affezionata, così io mamma e papà per una volta saremo una famiglia. Andremo a mangiare una pizza dopo il saggio e chiacchiereremo come non capita da tempo. Eccoli, sono arrivati, tra pochi minuti si comincia.

Sento gli applausi che scrosciano. Siamo stati bravi. Sono stata brava. Ho retto la parte con maestria. Ero dentro il personaggio. Sono mesi che ci lavoro. Ho quasi perso la mia identità per calarmi nel mio personaggio. A volte mi trovo a comportarmi come lei, a reagire come lei, a pensare come lei. E, francamente, a volte era un autentico sollievo. Essere lei era meglio che essere me stessa, mi acquietava, perché i suoi travagli erano finti, dunque sopportabili, il solo sforzo che dovevo fare era comprenderli. I miei travagli, invece, sono intollerabili ormai perché non sono miei davvero.

Gli applausi non smettono, è la quarta volta che ci chiamano sul palcoscenico. E’ bellissimo. Ma sono anche tanto stanca. Le luci di scena abbagliano e non mi fanno vedere chi c’è in sala. Chissà come sono contenti i miei. Contenti e orgogliosi che la loro piccolina sia stata così brava. Oh, ecco le luci anche in sala. Non li vedo.  Dove sono?

Sono al ristorante con tutti gli attori. Siamo contenti e sfiniti. C’è un vino molto buono. Va giù che è una meraviglia. Poi fa così caldo fuori e così freddo dentro! Bevo come se non avessi mai fatto altro. Poi una bella scorribanda notturna, tutti insieme. E’ una bella serata. E’ una bella serata?

Mi ritrovo a passeggiare con Andrea, amico del protagonista. Mi mette un braccio sulle spalle e mi stringe a sé. Lo lascio fare. La sensazione è piacevole. Camminiamo a lungo. L’effetto del vino pian piano si attenua. La testa ora è lucida. Troppo lucida. Andrea mi offre un tiro di fumo. Che buon aroma. Tiro un’altra boccata e un’altra ancora. Tutto mi sembra bello, il cielo è più terso, le stelle più lucenti, le gambe mi fanno volare, le persone sorridono amichevoli, parlo senza sforzo, tutti mi ascoltano, mi capiscono. Sono in sintonia con l’universo. Soprattutto il mio corpo è in sintonia con il mio cervello e il macigno sul mio sterno se ne è andato.

Forse anche noi possiamo andare a dormire. E’ quasi l’alba. Salgo in macchina con Andrea. Mi ritrovo le sue mani dappertutto e poi non solo le sue mani. Va bene così. Anche con questo sono in sintonia. Lo sento dentro di me. Mi penetra come se non avesse mai fatto altro, e un po’ mi fa male e un po’ mi piace, un po’ male e un po’ mi piace, un po’ male e un po’ mi piace, un po’ male e un po’ mi piace. E poi mi piace, mi piace, mi piace, mi piace.

Salgo le scale di casa, frugo nella borsa per cercare le chiavi e vedo il telefono che lampeggia. Messaggio. Adele è in ospedale in fin di vita. Si è affettata numerose parti del corpo, quasi fosse un prosciutto, mi dice mio padre con la voce rotta, ha perso molto sangue, forse troppo.

Vado in camera mia e mi stendo sul letto.

L’effetto del vino è ormai un ricordo, l’effetto del fumo se ne è andato tra le spire, l’effetto della vita, invece, c’è tutto ed è tutto qui appoggiato sul mio sterno. Per fortuna c’è qualcosa che mi può aiutare. Allungo la mano, apro il cassetto, trovo il blister, ingoio.

Buona notte Camilla! Sogni d’oro!
Domani riprende lo spettacolo della mia vita. Devo essere forte, devo stare bene, devo essere sorridente ed empatica, devo andare a trovare Adele in ospedale, devo rallegrarla, devo risollevare il morale dei miei. Non devo pensare, non devo sentire. Cercherò con impegno un altro personaggio cui dare vita, cui prestare corpo e spirito. Spero di trovarlo in fretta. E’ una questione di sopravvivenza.

L’altro giorno ho pianto per ore. E’ stato un pianto liberatorio. E non è un modo di dire. Ero così sfinita che non riuscivo a smettere, avevo perso i contatti con la realtà. A un certo punto, quando ho aperto gli occhi, ho visto la mamma che mi guardava desolata, l’ho sentita avvicinarsi, si è seduta accanto a me sul letto e ha cominciato ad accarezzarmi i capelli, me li ha accarezzati per ore, o così mi è parso e, dopo molto tempo, una sensazione di benessere mi ha pervaso.

Sopravviverò, imparerò a tenere a bada il dolore, ma non dovrò più farlo di nascosto. Condividere il mio dolore lo attutirà e renderà più sopportabile anche agli altri provare il loro.

Storie

Strumenti di libertà

Una delle cose più difficili che mi è toccato fare in queste prime volte che sono uscito dal carcere in permesso, è stato spiegare ad alcune mie vecchie amicizie e anche a mio fratello, ancora adolescente, che cosa mi è successo nella vita che mi ha portato a commettere i reati di cui sto espiando la pena. Ho dovuto riaprire alcune porte che una volta mi facevano paura, che mi facevano fuggire, ho dovuto toccare alcune corde che un tempo mi causavano molto dolore.

Ma quando mi è stato chiesto come è stata fino ad oggi la mia carcerazione, ho risposto che mi considero fortunato perché nel lungo percorso che ho effettuato all’interno degli istituti di reclusione in cui sono stato, ho avuto la fortuna di incontrare figure istituzionali e volontari, molto credibili e affidabili, che con la loro capacità di ascoltare e di saper giungere al fulcro del problema, mi hanno aiutato a lavorare sulle mie fragilità e su ciò che mi ha fatto male, a liberarmi della corazza che mi ero costruito, ma soprattutto a capire quali meccanismi mi avevano portato a farmi sedurre dal male.

Una volta queste figure erano molto lontane da me e oggi capisco che io utilizzavo la loro lontananza come alibi, per giustificare le mie azioni o alcune delle decisioni che prendevo ai tempi. Erano bersaglio del mio odio, disprezzo e arroganza. Preferivo affidare la mia vita ai diversi venditori di maschere che incontravo nel mio cammino. Giorno dopo giorno, questi venditori di maschere hanno contribuito a farmi innalzare un muro di incomunicabilità e a farmi vivere in una bolla in cui la mia immagine andava sbiadendo fino a non essere più riconoscibile.

Quando arrivò il momento di pagare il peso delle mie azioni, la condanna per me fu come uno schiaffo e dissi a me stesso che, se dovevo pagare per il peso delle mie azioni, io volevo vedere dove risiedeva la mia responsabilità. Pertanto, quando iniziai la mia carcerazione, cominciai a cercare delle figure che potessero darmi una risposta. Non pensavo che per trovare le risposte ,per prima cosa, avrei dovuto lavorare sulle mie fragilità e bonificare le figure del mio passato che mi avevano fatto sviluppare una conflittualità verso le autorità e il riconoscimento del loro ruolo.

Incomincio pertanto a stringere delle alleanze, giungo al tavolo del Gruppo della Trasgressione, dove un giorno ci domandiamo “che cosa permette a un detenuto di ignorare le responsabilità verso se stesso“.

Le risposte erano state molte, in certi casi in contrasto l’una con l’altra, ma l’essere umano è un mix perfetto di contraddizioni. lo penso che uno dei maggiori input che può alimentare il senso di responsabilità sia la cultura, l’istruzione, che oltre a risvegliare la nostra coscienza, aiuta un detenuto a intraprendere progettualità, a stringere alleanze per il futuro e ad assumere una posizione consapevole nei confronti delle proprie scelte.

Molto importanti per la crescita sono anche i riconoscimenti di chi ti segue nel cammino. La valorizzazione dei risultati che un detenuto ottiene è fondamentale per far sì che non ci si allontani dalle istituzioni e dai buoni alleati. Io credo che tutti i detenuti dovrebbero venire incoraggiati attivamente a intraprendere percorsi di formazione e di acculturazione.

Nella pianificazione del mio futuro, io interpello le diverse figure istituzionali, le rendo partecipi delle mie decisioni e concordiamo insieme il da farsi, lo stesso faccio anche con le figure non istituzionali che nel lungo cammino hanno creduto in me. Oggi piano piano sto riprendendo il controllo della mia vita. Ho sconfitto il mio Minotauro e sono riuscito a costruirmi il mio GPS per potermi muovere in armonia tra regole e paure in questo labirinto della vita, insomma ho trovato un filo d’Arianna 2.0, ma soprattutto sono riuscito a trovare il mio equilibrio grazie a questo filo sottile che seguo per orientarmi fra il mio DELIRIO e la mia RIUSCITA.

Oggi sono felice delle mete che ho raggiunto e sto raggiungendo, ma sono anche consapevole che gran parte del merito dei miei traguardi sono dovuti alla cultura e allo sport, entrambi utili come strumento di emancipazione.

Mi sono purificato nel Lete, e ora potrò volare senza bruciarmi le ali come Icaro, conquistare emozioni e vivere esperienze uniche.

Concludo ringraziando tutti quegli alleati che in questo lungo cammino di cambiamento mi hanno aiutato con i loro strumenti a sorreggere il peso della mia realtà. Alcuni di loro sono diventati oggi colonne portanti nella mia vita e fari per poter ritrovare il porto sicuro nei momenti di tempesta, ma soprattutto grazie per avermi dato gli strumenti per poter diventare faro per altre persone che stanno intraprendendo questo lungo cammino.

Emmanuel Huaranga

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La peggiore sconfitta

La libertà è sacrosanta, è il valore più prezioso che l’uomo ha mai avuto dalla vita. Tutta la terra e i mari con i loro tesori non sono paragonabili al bene della libertà. La peggiore sconfitta per un uomo è perdere la propria libertà per averla disamata.

Spesso, da quando sono qui in carcere, mi sento un idiota perché penso che le persone che conoscerò non vorranno relazionarsi con me perché potranno pensare che, se io non ho saputo amare la mia libertà, non sarò nemmeno capace di amare e rispettare i loro valori.

Adesso che sono qui, bloccato dal mio passato, ho cominciato a chiedermi cosa posso fare per allargare i miei spazi e forzare le mie sbarre mentali, per illuminare altri pezzi della mia vita e scoprire risorse dentro di me. Come posso liberarmi dalle cose negative che mi hanno portato a perdere la mia libertà?

Massimo Strazzullo

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Necessità e libertà

Ogni uomo nasce, ma non decide dove, quando e da chi nascere. Ogni uomo sa di dover morire, ma non sa quando e come.

Una rappresentazione grafica per esprimere queste affermazioni può essere quella di due punti nello spazio e una linea che li congiunge. I due punti, la nascita e la morte, sono espressione di uno stato di necessità; la linea che si snoda tra di essi, l’esistenza, è espressione di una continuità di momenti aperti alla condizione di libertà.

Tali momenti danno forma alla linea. Qual è la forma possibile? Quale la sua lunghezza? Entrambe varie La linea può essere retta, spezzata, sinuosa, mista. A determinare in larga parte la forma della vita e la sua lunghezza sono le scelte che si compiono.

Le scelte sono libere? Relativamente! Le scelte dipendono da condizionamenti inevitabili derivanti da indole, ma anche da impulsi, educazione, esperienze, frequentazioni, relazioni personali, casualità, solo in parte frutto di libere scelte. Poi c’è la componente della volontà, una volontà che va allenata se si vuole che compia scelte libere e giuste.

Forse per questo l’esistenza può essere paragonata a un agone dove si confrontano continuamente due avversari tenaci: lo stato di necessità e la condizione di libertà. Poiché non è del tutto stabilita a priori la forza dei due avversari, ognuno deve lottare per togliere campo allo stato di necessità e conquistarlo alla propria libertà.

E’ una lotta continua; può essere estenuante ma anche entusiasmante, dipende da noi. Soprattutto richiede allenamento. E tanta attenzione. Bisogna dare attenzione alle situazioni, alle persone. Bisogna fare attenzione a ciò che si legge, si ascolta, si guarda, a chi si frequenta, a chi si ama, a come ci si diverte, alle persone con le quali si condivide il proprio tempo. Faticoso? Sicuramente ma interessante. Tale allenamento riguarda da vicino ogni essere umano, perché  le scelte che si compiono costruiscono o distruggono l’esistenza. Le scelte hanno, sempre, delle conseguenze e ognuno ne deve rispondere.

Riflettendo al riguardo, ho ricordato come presso i Greci antichi sia andata cambiando la cultura: da una concezione che attribuisce agli Dei la responsabilità di moti dell’animo e conseguenti azioni non in linea con le aspettative morali e sociali, a una concezione in cui tali moti si originano nell’interiorità a seguito di carattere, indole, sensibilità individuale. Anche se in entrambe le fasi non si toglie all’individuo la responsabilità del gesto compiuto, l’azione viene percepita in modo diverso.

Nell’Iliade nessuno accusa Elena per la guerra di Troia, ma la colpa viene attribuita alle dee  (addirittura gli anziani che la incontrano sulle mura non possono non ammirarne la bellezza), mentre ne “Le troiane” di Euripide, Ecuba, madre di Ettore e Paride, rivolgendosi a Elena le dice “Non fare le dee così stolte, per abbellire la tua colpa… Mio figlio era di una bellezza straordinaria e, contemplandolo, il tuo desiderio diventò Cipride!”

Mi chiedo: ai nostri giorni qual è l’atteggiamento prevalente? Soprattutto negli ambiti preposti all’educazione c’è attenzione alla responsabilità che consegue al compimento di un’azione? Tale attenzione è sufficiente, è adeguata?

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Grazie Andrea

Ebbene sì.
Sono passati 11 anni da quel sabato 29 gennaio 2011 che ti ha portato via da noi e dal nostro amore .

Se torno indietro col pensiero non so come abbiamo fatto e dove abbiamo trovato la forza per andare avanti senza di te.
… e come facciamo ancora adesso …

Ed il pensiero che fra qualche anno sarà più il tempo passato senza te di quello che ci è stato concesso di vivere in tua presenza è del tutto insopportabile…

Qui Andrea si va avanti.
In qualche modo.

Non riusciamo più a correre ma camminiamo.
Non riusciamo più a ridere ma ti giuro che ogni tanto ci proviamo.

Quaggiù cerchiamo di vivere con dignità e di fare cose che tu, son certa, avresti fatto.

Ci proviamo a stare sereni.
A volte ci si riesce, a volte è veramente dura.

Che sia un passaggio noi lo sappiamo, ma questo passaggio dovevamo farlo insieme il più a lungo possibile.
Ma non è stato così.
Abbiamo fatto un piccolo pezzetto di strada poi la tua si è interrotta e la nostra sta andando avanti.

In qualche modo.
Nel migliore che sia possibile.

Non te la prendere se un velo di tristezza ci appanna gli occhi.
Non te la prendere se ci sono giorni che si fa veramente fatica.
So bene che non lo vorresti, ma cerca di capire, senza te era ed è inevitabile.

Sei stato un figlio meraviglioso.
Sei e sarai per sempre il nostro amore assoluto.

Noi quaggiù continuiamo questo cammino, amando infinitamente il tuo gemello.

Perché l’amore si moltiplica e moltiplicandosi ci rende sopportabile la tua assenza.

Grazie di tutto Andrea.

Elisabetta CIpollone

Sui confini della libertà

Vorrei porre a chi abbia il piacere di dire la propria qualche domanda che mi pesa molto e che negli ultimi giorni, a causa dell’ingorgo negli ospedali, mi pesa anche di più.

Se alle persone viene lasciata la facoltà di non vaccinarsi e di esporsi ai rischi che ne discendono, perché, una volta contratto il virus, non viene loro lasciata anche la responsabilità di vivere le conseguenze della loro scelta?

E’ capitato più volte che persone in prima linea nelle manifestazioni No Vax, giunte in ospedale dopo essere state contagiate e in serio rischio di vita, abbiano rifiutato le cure e siano morte tenendo fede ai propri principi. Altri No Vax, constatato che le cose volgevano al peggio, hanno invece chiesto e ottenuto di essere curati.

Ma se è vero che non vaccinarsi equivale a mettere a repentaglio la propria e altrui salute e, nei casi peggiori, la propria e altrui vita, perché un No Vax viene curato come se non avesse fatto nulla di male?

Una risposta potrebbe essere: per la stessa ragione per cui un ammalato di cancro ai polmoni viene curato nonostante abbia fumato per 40 anni o quella per cui un rapinatore ferito viene curato nonostante abbia quasi ucciso un paio di persone in uno scontro a fuoco con la polizia.

Osservo che per il fumatore ammalato e per il rapinatore a rischio di vita erano stati trovati due posti liberi in ospedale. E se di posti, invece, ce ne fosse stato solo uno e ad aver bisogno di cure con la stessa urgenza fossero stati il rapinatore e una delle persone che il rapinatore aveva ferito nel conflitto a fuoco?

Di solito, quando uno opera un tentato omicidio non succede che va davanti al giudice e, una volta dichiarato il proprio pentimento, se ne torna a casa. E se si va contro mano in autostrada perché ubriachi, la conseguenza non sarà una piccola multa… e la ragione è il rischio o il danno effettivo per gli altri.

Perché, invece, si può essere liberi di praticare il principio del No Vax e poi tornare, come se si fosse dei figliol prodighi ritrovati, a beneficiare del supporto della stessa medicina e delle stesse strutture che in precedenza ci avevano ripetutamente inviatato a vaccinarci?

Forse il mio è un pensiero appesantito dal fatto che qualcuno a me caro non trova posto in ospedale per un’operazione di cui avrebbe bisogno o forse è un pensiero sostenuto dal fatto che qualcuno a me caro non ha avuto le cure che avrebbe potuto avere se l’ospedale fosse stato meno intasato a farmi chiedere su quali territori, con quali nessi ed entro quali confini si esercita la libertà personale via via che mutano le condizioni generali della nostra esistenza.

Ringrazio, in ogni caso, chi vorrà contribuire alla dialettica.

Angelo Aparo

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La nave di Teseo

Rimescolando quotidianamente le riflessioni fatte con il Gruppo della Trasgressione e leggendo, qualche volta, passaggi di libri “casuali”,  sono stato affascinato dalla narrazione della nave di Teseo: una imbarcazione rimasta intatta nel suo splendore, pur avendo affrontato viaggi impegnativie le inevitabili logorazioni del tempo.

Allora mi sono chiesto: ma com’è possibile mantenersi integri malgrado tutto questo tempo? La risposta è stata semplice nella sua complessità.

La nave godeva di accudimento e manutenzione. Ogni pezzo consumato veniva sistematicamente sostituito. Ecco la ragione della sua perfetta integrità e della sua immutata bellezza nel tempo.

Ma si tratta ancora della stessa nave costruita all’epoca o, pian piano e in conseguenza delle manutenzioni e delle sostituzioni delle componenti usurate, si tratta di un’altra nave, un’altra identità?

La cosa certa è che la nave è rimasta quella di Teseo, pur se le vicende le difficoltà affrontate l’hanno indubbiamente modificata. Il tempo trasforma, sostituisce e a volte riesce a cambiare l’identità di un uomo, pur rimanendo l’uomo, la sua identità e i suoi primi obittivi riconoscibbili.

Se le istituzioni riuscissero a concepire ciò, forse avrebbero meno difficoltà ad aiutare le persone che passano dal carcere a rinnovare ciascuna la propria nave.  In questo modo potrebbero restituire alla collettività nuove identità con nuove e consapevoli responsabilità.

Roberto Cannavò

  • Quanti sogni, di Vito Cattaneo
  • Invincibili, di Cristiano De André

Abbiate Guazzone, Marzo 2010- La Trsg.band e il Gruppo della Trasgressione