Il masso di Sisifo

A volte mi viene chiesto come funziona il gruppo della trasgressione, cosa faccio, quale metodo uso per coordinarlo. Non ho ancora scritto il libro sul gruppo e non è detto che riesca a farlo; al momento ho solo il titolo: Il corriere dei panni sporchi. Ogni tanto, però, mi sembra di riuscire a individuare qualche aspetto del metodo… uno di questi è che a volte, quasi senza rendermene conto, tratto le persone (e tra queste detenuti che sono in carcere per avere spacciato, ucciso, fatto parte di organizzazioni criminali come Mafia, Ndrangheta e Camorra) come fossero bambini che possono divertirsi andando alla scoperta del mondo e che possono giocare a mettere le mani sul mondo senza toccare pistole, soldi e senza ubriacarsi di potere e di eccitazioni a basso prezzo.

Fra le tante piccole cose, una di questi ultimi giorni riguarda la necessità di costruire il masso di Sisifo, visto che fra meno di due settimane detenuti e comuni cittadini si troveranno a spingere il masso di Sisifo alla fine di due giornate al parco delle memorie industriali.

Per rendere il masso visibile e autorevole, mi sono convinto che debba avere circa un metro e mezzo di diametro. Qualcuno, fra studenti e detenuti, ha suggerito che un volume così grande potrebbe essere riempito con bottiglie d’acqua minerale, piene d’aria e ben chiuse, e dunque con lo stesso volume che le bottiglie hanno da piene. Qualcuno, un Achille pie’ veloce decisamente fuori allenamento, ha suggerito che ne sarebbero occorse un centinaio. A questo punto ho chiesto al tavolo del gruppo quante bottiglie d’acqua da un litro e mezzo sarebbero state necessarie. E da qui il gioco.

L’aritmetica sembra a molti una disciplina che non c’entra nulla con gli obiettivi del gruppo della trasgressione, ma a me diverte stimolare le persone a ingegnarsi per arrivare alla soluzione (se non altro, quando la soluzione riesco a vederla) e così, al tavolo del gruppo del carcere di Opera, con carta e penna, detenuti e laureati in psicologia (per quel che riguarda l’aritmetica, te li raccomando!) tutti a chiedersi (i maschi, ognuno cercando di arrivare prima; le ragazze, aiutandosi l’una con l’altra) quante bottiglie sarebbero state necessarie per riempire una sfera di un metro e mezzo di diametro.

Al gruppo mi servo anche di queste piccole cose per stuzzicare le persone a svegliarsi dal torpore e per stimolare l’affezione al ragionamento, pur se l’obiettivo principale è il ragionamento sulla relazione e, soprattutto, la coltivazione della relazione con l’altro.

Ma anche la matematica è un gioco di relazioni. Inoltre, dopo avere speso tempo per capire quante bottiglie occorrono per riempire il masso di Sisifo, viene più voglia a detenuti, studenti, ma forse anche a comuni cittadini che possono giocare con noi, di raccogliere le bottiglie necessarie a riempire il masso (vanno bene anche da mezzo litro), di provare a dare voce domenica sera a qualcuno dei personaggi del nostro Mito di Sisifo e, infine, di spingere il masso… fino alla montagna dalla quale il masso non torna più giù, cioè “La palestra della creatività”.

Certo, il masso sarà pesante, ma domenica 18 luglio saremo in tanti a spingerlo. A proposito, se fosse pieno d’acqua e avesse effettivamente il diametro di un metro e mezzo, chissà quanto sarebbe pesante…

Dedicato a Gloria Marchesi

Perché il mito di Sisifo? – Angelo Aparo

Parco Memorie Industriali

Il Gruppo della Trasgressione con Municipio 5
sabato e domenica 17 e 18 luglio
al Parco delle memorie industriali

 

L’obiettivo di Municipio 5 è quello di intervenire sul quartiere Spadolini per arginare la deriva che spesso i giovani del quartiere prendono e per valorizzare la zona e il suo parco. A tale scopo, su suggerimento di Municipio 5, si è pensato di intervenire con la Squadra Antidegrado del Gruppo della Trasgressione con un programma di cui elenco i momenti principali:

  • Sabato, ore 10:00: Gruppo della Trasgressione e abitanti del quartiere fanno conoscenza intanto che lavorano a pulire il parco e la roggia;
  • Ore 12:30, Pranzo a sacco comune fra residenti che avranno lavorato e gruppo con cibo acquistato a spese della cooperativa e/o anche offerto dai residenti;
  • Primo pomeriggio, continuazione della pulizia fino alle ore 16:30
  • Ore 17:00, Gruppo della Trasgressione all’aperto per favorire la reciproca conoscenza fra detenuti e abitanti del quartiere;
  • Ore 18:30 fino alle 19:30, esibizione di un gruppo musicale che ha già preso accordi con Municipio 5 e con studenti musicisti del Gruppo della Trasgressione;
  • A seguire, primo approccio col Mito di Sisifo
  • Fine evento alle ore 22:00 circa
  • Domenica mattina ore 10:00, continuazione della pulizia del parco, con approfondimenti sul Mito di Sisifo e mentre giovani e abitanti della zona vengono coinvolti nello studio ed, eventualmente, nella interpretazione di alcuni personaggi del mito;
  • Domenica ore 20:30, rappresentazione del Mito di Sisifo;
  • Domenica, ore 21:30, teatro forum e dibattito sulla rappresentazione
  • Domenica ore 22:00, Componenti del gruppo e abitanti del quartiere spingono il masso di Sisifo e lanciano l’idea della Palestra della creatività per i giovani della zona.

 

Cooperativa Trasgressione.net

Rapporto genitori figli

Sono Gianni Tramontana, vorrei raccontare la mia esperienza carceraria e il rapporto tra un genitore e i propri figli. Sono genitore di due gemelli che oggi hanno tredici anni. Quando mi hanno arrestato i miei figli Silvi e Davide avevano due anni. Dopo un periodo passato in carcere, mi hanno mandato ai domiciliari, ho seguito il processo da casa. Siccome mia moglie lavorava, ai miei figli ho fatto da mamma e papà. Mi sentivo cosi bene che non volevo più uscire di casa per stare in loro compagnia. Ma il sogno è durato solo quattro anni. Quando ho avuto la condanna definitiva mi sono costituito spontaneamente.

Per i miei figli, abituati a stare sempre con il loro papà, gli è crollato il mondo addosso. Quando mi venivano a trovare a colloquio, non avevo il coraggio di dirgli che mi trovavo in carcere, e ogni volta era una continua presa in giro, gli dicevo che ero qui per lavoro e che presto sarei tornato a casa. Più passava il tempo e più mi mancava il coraggio di ammettere la verità, anche perché mia figlia aveva provato a farsi del male e ancora adesso questo mi provoca dolore solo a ricordarlo.

Quando compiono dieci anni, nel silenzio assoluto, sono venuti a conoscenza dei veri motivi per i quali io sono qui a Opera, però non me lo dicevano, pensando di dovere essere loro a cautelarmi. È finita al contrario; adesso sono loro che incoraggiano e proteggono me.

La rabbia che loro avevano addosso l’ho sentita soltanto io, perché si sono sentiti traditi dal loro papà, che nella natura è la persona che non può mai tradirli e allora loro hanno perso fiducia nei miei confronti.

Al Gruppo della Trasgressione è un tema che abbiamo affrontato spesso quello di come comportarsi con i propri figli. Io dicevo tra me e me che prima o poi gli avrei detto la verità del perché mi trovo qui, e intanto il tempo passava, ero consapevole di ciò che poteva succedere, ne avevamo già parlato diverse volte al gruppo della trasgressione.  E infatti dopo si è verificato ciò che non volevo che succedesse.

Se mi sono comportato cosi nei confronti dei miei figli, non era perché volevo crearmi un alibi. Col passare del tempo, sono sicuro che grazie a mia moglie sarebbe stato detto tutto, e infatti lei gli ha raccontato quello che non avevo avuto il coraggio di fare io.  Adesso mi sento molto più tranquillo e spero che i miei piccoli mi perdoneranno per il male che gli ho recato.

Per la mia esperienza personale vorrei trasmettere ai miei compagni di sventura che sono genitori di non comportarsi come mi sono comportato io precedentemente. È meglio raccontargli piano piano come è la realtà, perché da quanto ho capito, è meglio che la verità gliela dice il proprio genitore, invece di sentirselo dire da una persona estranea; anche per essere più credibili in futuro.

Avendo perso la credibilità di padre, la paura mia più grande è che un domani si possano trovare con dei ragazzi che li portano sulla cattiva strada. Io spero che non succeda mai, anche perché mia moglie in questo periodo gli sta facendo da entrambi genitori e spero che al più presto potrò riprendermi il posto di papà.

Giovanni Tramontana

Genitori e Figli

La bancarella di Viale Papiniano

Sabato 19-06-2021 – Milano

Alice Viola

Adriano Sannino, Maddalena Baù

Adriano Sannino, Alice Viola, Anita Saccani, Elisabetta Vanzini, Roberto Cannavò, Arianna Picco,

Adriano, Alice, Anita, Elisabetta, Roberto, Arianna, Khaled Al Waki

Adriano, Arianna, Elisabetta, Angelo Aparo, Alice, Roberto Cannavò, Anita Saccani

Adriano Sannino, Alice Viola, Arianna Picco, Roberto Cannavò, Elisabetta Vanzini

Fabrizio D’Angelo

Fabrizio D’Angelo – Intervista sulla creatività

Fabrizio D’Angelo è consigliere di Municipio 5 a Milano e, all’interno di questa carica, svolge anche il ruolo di presidente della commissione per la gestione dei rapporti istituzionali tra il municipio stesso e gli istituti di pena presenti sul territorio milanese.

 

Elisabetta: cos’è la creatività?

Fabrizio D’Angelo: Parto da una premessa: L’essenza dell’uomo è costituita da due entità opposte, due facce della stessa medaglia potremmo dire: un lato razionale e uno creativo. In alcuni individui prevale l’aspetto più legato al raziocinio, altri invece si esprimono maggiormente secondo il lato creativo. Dei due tratti innati dell’essere umano, la creatività è quello che lo spinge e lo stimola a costruire, creare e comporre elementi che trova nella realtà. Lo scopo di questa azione creativa è il miglioramento della realtà che ci circonda, così da renderla più confacente alle nostre esigenze.

 

Arianna: cosa fa scattare, come si sviluppa la creatività e in quali condizioni?

Fabrizio D’Angelo: Credo che le condizioni che permettono l’espressione della creatività siano da ricondurre a un generale stato di insoddisfazione, curiosità e voglia di migliorare la propria persona e di crescere sempre. Quando è presente questo stato di insoddisfazione, l’uomo analizza ciò che ha intorno, si ingegna, e da qui cerca di realizzare tutti i prodotti creativi possibili, siano essi immaginari o concreti, con lo scopo ultimo di ottenerne giovamento e per godere del risultato finale. Credo che questo valga quando si tratta di un’opera, un disegno, una scultura, ma anche della realizzazione di un gruppo che si unisce per coltivare gli interessi della collettività o i propri.

D’altra parte, la creatività si contrappone alla spinta alla distruzione. A partire da quest’ultima, non può nascere un prodotto positivo e utile, e in questo senso si può dire che la distruttività esprime il senso negativo delle cose e dei fenomeni.

 

Elisabetta: quali immagini possono ben rappresentare l’atto creativo?

Fabrizio D’Angelo: trovo che sia molto difficile per me, individuo maggiormente legato al lato raziocinante, trovare un’immagine che possa ben calzare con l’atto creativo. Comunque, l’atto creativo mi fa pensare a qualcosa che nasce dall’unione e dalla composizione di tutti gli elementi che, secondo l’autore, sono necessari per raggiungere il risultato finale. In concreto, mi immagino la tela bianca di un quadro che, man mano che il creativo procede, si riempie dei colori e delle immagini che egli vuole comporre, fino a raggiungere la raffigurazione finale che si era prefissato.

 

Arianna: che conseguenze può avere l’atto creativo nel rapporto con se stessi e con gli altri?

Fabrizio D’Angelo: dato che la creatività nasce da uno stato di insoddisfazione, una volta che l’autore realizza il suo atto creativo vive una sensazione di appagamento, di soddisfazione e di piacere e, di conseguenza, si sente in pace con gli altri e con il mondo che lo circonda. Tale pace interiore deriva dal fatto che si è riusciti a raggiungere l’obiettivo che ci si era prefissati, lasciando la propria creatività libera di esprimersi.

Sicuramente si può creare anche all’interno di un percorso caratterizzato da regole che vanno rispettate e da un percorso a priori prestabilito. Tuttavia, quello che ne consegue sarà solo un benessere relativo, in quanto derivante da un contesto in cui l’autore non ha avuto modo di esprimere tutto il suo estro creativo e ha dovuto rispettare ciò che gli altri gli hanno imposto di fare.

 

Elisabetta: quanto è importante il riconoscimento degli altri per l’artista?

Fabrizio D’Angelo: il riconoscimento degli altri è fondamentale, in quanto l’arte fine a se stessa è sterile. Sicuramente la creazione di un’opera creativa soddisfa il suo autore ma è una fonte di appagamento non profondo come potrebbe esserlo quando c’è anche il riconoscimento degli altri.

 

Arianna: esiste un modo ideale di fruire del prodotto creativo e chi sono i suoi principali destinatari?

Fabrizio D’Angelo: è il creatore che decide il modo ideale di fruire del prodotto creativo. È egli stesso a stabilire il modo in cui si utilizza l’oggetto da lui creato.

Inoltre, l’autore ha anche il dovere di educare alla comprensione e all’apprezzamento dell’opera il pubblico che ne fruirà. Pensiamo ad esempio ai Promessi Sposi. Il messaggio che l’opera tramanda e le varie identità dei personaggi sono stati stabiliti da Manzoni. Vero è che il lettore può dare in minima parte una sua interpretazione personale, ma fino ad un certo punto, in quanto l’identità, la personalità e le vicende dei personaggi sono già state date dall’autore.

Anche i destinatari del prodotto creativo vengono individuati dal creatore stesso. Egli assegna una funzione alla sua opera e, in conseguenza ad essa, vengono definiti anche i destinatari.

Tuttavia, non tutti siamo nella condizione di poter apprezzare un’opera creativa, che sia un dipinto o un ponte. Per esempio, io fruisco del ponte ma, non avendo conoscenze che mi permettano di apprezzare l’opera ingegneristica che vi è alla base, ne fruisco da mero utilizzatore. L’utilità del ponte, quindi, termina nel momento stesso in cui esso viene utilizzato. La responsabilità della persona che crea è anche quella di educare i destinatari all’utilizzo, alla comprensione e all’apprezzamento della sua opera.

 

Elisabetta: la creatività ha o può avere una funzione sociale e, se sì, quale?

Fabrizio D’Angelo: sicuramente la creatività ha una funzione ed è quella di aiutare a comprendere meglio e ad organizzare la società. Avere in mente un progetto o un’idea è già esso stesso un atto creativo. Senza la creatività, noi esseri umani non avremmo modo di immaginare e di comprendere come è organizzata la nostra società e come si dovrebbe svolgere la nostra vita dalla mattina alla sera, all’interno del contesto che condividiamo con altre persone.

Questo concetto può poi essere ristretto ai campi più specifici dell’arte. Pensiamo alle arti figurative: il fatto di essere appassionati alla pittura permette di avere una visione e un pensiero su di essa, ed è proprio questa visione che rappresenta l’atto creativo vissuto interiormente dalla persona.

 

Arianna: parliamo dell’atto creativo nelle diverse età: cos’è per il bambino, per l’adolescente e per la persona adulta?

Fabrizio D’Angelo: nel bambino la creatività è assenza di regole, è essere sé stesso. Nell’adolescente è una lotta continua tra razionalità e creatività, è fare ciò che si sente e ciò che le regole gli impongono. Nell’adulto invece è scoprire chi realmente si è: se ho deciso di essere un creativo, un razionale, oppure né uno né l’altro e sconfino nel distruttivo e nell’irrazionale perché non creo né costruisco e non rispetto le regole della società.

 

Elisabetta: in che modo l’atto creativo può incidere nelle relazioni sociali del soggetto?

Fabrizio D’Angelo: In modo estremamente positivo. Ho contrapposto l’atto creativo alla distruzione. La distruzione affonda la sua logica nell’assenza del rispetto delle regole; il fondamento della distruzione è il disprezzo verso sé stessi, infatti se si distrugge, prima di ledere gli altri si lede sé stessi. La creatività presuppone che oltre ad avere l’idea, si abbia la forza di metterla in atto; inoltre, la creatività è rispetto delle regole. Se si ha coscienza dell’impegno che presuppone l’atto creativo non è possibile non avere rispetto per la creatività degli altri: l’elemento fondamentale della società è il rispetto degli altri perché si ha la percezione dell’altro, del suo impegno e delle sue capacità.

 

Arianna: la creatività è un dono naturale privilegio di pochi o si tratta di una competenza accessibile a tutti e che può essere allenata?

Fabrizio D’Angelo: Io credo che alcune persone abbiano il dono naturale della creatività e in altre invece prevalga la parte razionale. Questo però non significa che non si possa diventare creativi, occorre crescita, educazione alla creatività.

Personalmente, cerco di portare avanti di pari passo il mio lato creativo con il mio lato razionale. Credo che l’obietivo fondamentale della nostra società sia stimolare l’arte e la creatività dentro di noi.

 

Elisabetta: a scuola che ruolo e quali effetti potrebbero avere delle ore dedicate alla creatività?

Fabrizio D’Angelo: la scuola oggi è solo un indottrinamento di concetti in versione sterile, con una prevalenza nelle verifiche di quiz che non danno la possibilità di esprimersi; questo soffoca la creatività, la capacità espressiva. Oggi la scuola è un atto amministrativo che non consegna un nuovo cittadino con una giusta percezione di sé e degli altri e con un’educazione artistica e civica. La scuola dovrebbe educare gli alunni ad apprezzare dell’arte, del bello e della creatività, al fine di favorire il progresso e lo sviluppo della società.

 

Arianna: pensa che la creatività possa avere un ruolo utile nelle attività di recupero del condannato?

Fabrizio D’Angelo: Il condannato ha compiuto un atto che va contro la società, non ha percepito il bene e ha leso il prossimo. Tornando al discorso che facevo poco fa, se una persona non ha voluto essere costruttiva, ha leso un bene ed è stata distruttiva, questo è avvenuto perché non aveva una sua percezione della creatività e il conseguente rispetto di sé stesso e degli altri; per questi motivi, penso che attraverso la creatività egli possa imparare a non ledere più a nessuno.

L’educazione alla creatività è un ottimo atto di prevenzione a monte (motivo per cui ripeto che occorrerebbe farla nelle scuole); è prevenzione ai nuovi delitti in cittadini che prendono consapevolezza di sé stessi e degli altri.

Intervista ed elaborazione di
Elisabetta Vanzini e Arianna Picco

Fabrizo D’Angelo FacebookInterviste sulla creatività

La Trsg.band a Parabiago

Ingresso libero con prenotazione obbligatoria

 

Fra il pescatore e l’assassino
le domande di un’umanità che non muore

Le canzoni di Fabrizio De André, arrangiate ed eseguite dalla Trsg.band, e gli interventi dei detenuti con una finestra sulla vita del Gruppo della Trasgressione:

Associazione Trasgressione.net: interventi di prevenzione al bullismo nelle scuole medie superiori e inferiori e sul territorio; il teatro su Il mito di Sisifo, convegni sui temi del gruppo; concerti della Trsg.band; convenzioni con varie università per il tirocinio di studenti universitari;

Cooperativa Trasgressione.net: consegne di frutta e verdura fresche a bar e ristoranti e a gruppi di consumatori associati, lavori di manutenzione, tinteggiatura, piccola ristrutturazione, sgombero cantine.

Perché dialogare con chi ha tradito il patto sociale?
Perché, alla distanza…

Studiare e lavorare con i detenuti giova alla società
più che lasciarli isolati fra le sbarre del carcere

 

La Trsg.band

  • Juri Aparo, Voce
  • Tonino Scala: Tastiere
  • Andrea Cocilovo: Basso
  • Tommy Bradascio: Batteria
  • Giancarlo Parisi: Fiati
  • Luca Campioni: Violino

 

Gli occhi grandi color di foglia 

Il concerto, mescolando canzoni di Fabrizio De André arrangiate dalla Trsg.band e interventi di detenuti ed ex detenuti che hanno effettuato un lungo percorso col Gruppo della Trasgressione, punta principalmente ad attivare il dialogo fra detenuti e collettività, parti che, quando rimangono sorde l’una all’altra, generano conflitti e contrapposizioni che, alla distanza, producono malessere nel singolo e danni alla società.

La serata a Parabiago prende il nome da un verso di Via del campo, una delle prime e più note canzoni di De André. Una bambina e una puttana vivono entrambe in Via del Campo, tanto vicine l’una all’altra da far germogliare fiori, illusioni e speranze d’amore in chi va a trovarle. La prossimità fra l’una e l’altra c’è, ma per coglierla occorrono “occhi grandi color di foglia”, capaci di accettare parentele nascoste fra personaggi apparentemente incompatibili.

Scritta in collaborazione con Enzo Jannacci, Via del campo è un’anticipazione del tema che rimarrà il filo conduttore di tutta la produzione poetica di F. De André: l’importanza della comunicazione con le proprie parti oscure, con quegli errori, fragilità, insicurezze o, come dice la canzone, con quel “letame” da cui possono nascere progetti e riconoscimento reciproco fra persone diverse.

La serata, seguendo questo filo conduttore, proporrà poi una dozzina di canzoni fra le più note di De André (La guerra di Piero, La città vecchia, La canzone di Marinella, Disamistade, Fiume San Creek, Khorakhané, ecc), canzoni in risposta alle quali i detenuti del Gruppo della Trasgressione, consegnano al pubblico le loro antiche fragilità, per molto tempo negate e oggi in cerca di una funzione grazie alla quale diventare risorse per la città: storie di vita vissuta, storie di degrado e di criminalità, ma anche storie di persone che, dopo anni di introspezione e di lavoro sui propri errori, partecipano oggi a progetti in favore del bene collettivo che in passato era stato gravemente offeso.

 

 

Giulio Guerrieri

Giulio Guerrieri – Intervista sulla creatività

Giulio Guerrieri ha seguito un percorso di studi nel settore fotografico. Ha partecipato ad alcune manifestazioni artistiche nel settore dello spettacolo, dove ha potuto sviluppare la sua professione di fotografo. Ha iniziato così a documentare eventi, situazioni, ambienti di vita. Negli anni si è cimentato nel cortometraggio, col quale ha trattato temi sociali sulla lotta alla illegalità e per la sensibilizzazione alla memoria storica. Tra l’altro, ha prodotto un corto per i quarant’anni della scomparsa di Peppino Impastato e uno per i dieci anni della scomparsa di Lea Garofalo.

 

Alice: cos’è per te la creatività?

Giulio Guerrieri: direi che la creatività implica e alimenta uno sviluppo dell’intelletto, della fantasia e della manualità; questo processo può portare alla fotografia, a un percorso musicale, al cinema, a una delle tante attività artistiche.

 

Asia: quali sono i principali ingredienti del processo creativo?

Giulio Guerrieri: credo possano essere infiniti: la fantasia, le emozioni. Poi, l’ordine in cui si pongono può cambiare ogni volta. Ora come ora, mi sento di mettere al primo posto l’emozione e la passione. Nel processo creativo c’è bisogno anche di impegno, di preparazione, ci vuole una ricerca e uno studio. Ci vuole un’osservazione, un “guardarsi intorno”: a volte non ci si inventa nulla di nuovo, ma semplicemente si osserva il mondo. Non deve esserci un semplice copia e incolla, ma bisogna prendere spunto da una determinata situazione, mettere la propria creatività e trasformare.

 

Alice: cosa avvia e come si sviluppa la tua creatività, in quali condizioni?

Giulio Guerrieri: per creare qualcosa ci vuole una scintilla. Come quando si avvia il motore a scoppio, che ha quattro fasi: aspirazione, compressione, scoppio e scarico. Io penso che le stesse fasi ci sono nel processo creativo. C’è il momento dell’ispirazione, quello in cui cresce qualcosa dentro che fa aumentare la pressione, poi c’è la scintilla creativa e, infine, l’esplosione, come una liberazione nel vedere la tua arte realizzata. Conclusa la gravidanza, l’artista torna alla relazione col suo pubblico e a cercarne la reazione.

 

Asia: che conseguenze ha sulle tue emozioni e sul tuo stato d’animo la produzione creativa?

Giulio Guerrieri: il processo creativo scatena un trasporto, un viaggio. Il processo creativo è come un viaggio in cui c’è una scoperta. Buona parte del processo creativo è inconscio, come viaggiare su un treno e guardare, rapiti, dal finestrino: passano davanti agli occhi immagini e situazioni, lo stato d’animo viaggia e a un certo punto ci si imbatte in un’idea che ti viene incontro.

 

Alice: che incidenza ha l’atto creativo sulla percezione di te stesso?

Giulio Guerrieri: c’è una piccola trasformazione, a volte ci può anche essere un isolamento, un’introspezione. Non è detto che ci sia sintonia tra ciò che succede nel mondo esterno e ciò che l’artista sta vivendo. Dopo che hai portato a termine l’atto creativo può cambiare la percezione che hai di te stesso, nel senso che ci può essere un’insoddisfazione o una soddisfazione. Il processo creativo, nel momento in cui si sta creando, genera sempre un dubbio, è una continua ricerca, perché sai che c’è sempre qualcosa di meglio di ciò che hai creato ed è difficile accontentarsi.

 

Asia: nel rapporto con gli altri cosa determina il tuo atto creativo?

Giulio Guerrieri: secondo me il processo creativo può aver bisogno di complicità oppure può aver bisogno di isolamento. Alcuni scrittori, ad esempio, hanno bisogno di appartarsi in un contesto, magari naturale, quando devono scrivere, hanno bisogno di uscire fuori dalla routine. Per altri, invece, il processo creativo può scattare in una situazione normale, ad esempio mentre si è in fila per fare la spesa. Nel rapporto con gli altri, quindi, ci può essere la necessità di isolamento o la ricerca di complicità con gli altri, con la vita quotidiana che si unisce al processo creativo. Io preferisco la seconda.

 

Alice: quanto è importante il riconoscimento degli altri per il prodotto creativo?

Giulio Guerrieri: il riconoscimento degli altri ha sempre una grande importanza. Nessuno nasconde che c’è un ego artistico che desidera il riconoscimento degli altri. Però non bisogna avere paura di questo. Nel processo creativo bisogna credere in quello che si sta producendo e aver cura che sia spontaneo e naturale. Il riconoscimento è importante, ma non bisogna abbattersi se non c’è. La mancanza di riconoscimento può anche aiutare a proseguire la propria ricerca e a migliorarsi nel processo creativo.

 

Asia: chi sono i principali fruitori del prodotto creativo e come ne traggono giovamento?

Giulio Guerrieri: tutti siamo fruitori attivi e passivi dell’arte e tutti possiamo trarne giovamento, sia chi la crea, sia chi la riceve. Tante volte mi capita di essere colpito e coinvolto da quello che è stato creato da altri e che fa scattare anche in me un impulso creativo, come una sorta di rispecchiamento. Penso che l’obiettivo di chi crea qualcosa sia proprio questo: coinvolgere. Dunque, tutti siamo potenziali fruitori. Ognuno, però, beneficia dell’arte in modo differente, poiché una stessa opera può essere percepita in modo diverso da ciascuno.

 

Alice: quale immagine ti viene in mente che possa ben rappresentare l’atto creativo?

Giulio Guerrieri: l’immagine della maternità mi ha sempre affascinato; unisce uomini e animali e descrive il vero, primo atto creativo.


Foto di Tina Modotti

 

Asia: pensi che esista una relazione tra depressione e creatività?

Giulio Guerrieri: chi sta vivendo una fase di depressione può essere in un polo opposto a quello della fase creativa, ma non escludo che anche la depressione possa condurre ad un processo creativo, magari anche come forma di terapia. Ci sono tanti artisti che in fase depressiva hanno prodotto opere importanti; dunque, depressione e creatività possono certamente avere un legame, anche se non diretto: in una fase depressiva, il processo creativo non si ferma.

 

Alice: quando per te un prodotto creativo è davvero concluso?

Giulio Guerrieri: ogni prodotto creativo arriva ad una conclusione, che però rimane sempre aperta. La conclusione coincide con il riconoscimento del pubblico, con l’apprezzamento, che può essere manifestato, ad esempio, con un applauso dopo una pièce teatrale o dopo un concerto. Ci sono però alcuni prodotti artistici (come libri, dipinti) che per l’autore non si concludono mai, rimangono aperti a continue modifiche, anche dopo tanto tempo dall’apprezzamento del pubblico.

 

Asia: pensi che la creatività possa avere una funzione sociale? Se sì, quale?

Giulio Guerrieri: la creatività ha sicuramente una funzione sociale; deve averla, altrimenti è esclusivamente commerciale, è una creatività su commissione. Dopo che l’artista ha vissuto l’urgenza che scatena il processo creativo, il prodotto che ne viene fuori diventa stimolo di riflessione e discussione per altri. L’artista, in questo modo, ha messo a disposizione di tutti la sua urgenza, facendo sì che altri possano interrogarsi su problematiche di interesse comune. Credo che la funzione sociale della creatività sia proprio questa: fare scattare negli altri la voglia di approfondire temi a volte di attualità a volte senza tempo e di innescare altri processi creativi.

 

Alice: pensi che la creatività sia un dono naturale, un privilegio di pochi oppure una competenza accessibile a tutti che può essere allenata?

Giulio Guerrieri: tutti abbiamo le caratteristiche e gli ingredienti giusti per poter far tutto, ma ci sono anche delle differenze. C’è dunque sicuramente una predisposizione alla creatività, che abbiamo tutti in modo diverso, ma ciò che è fondamentale è rendersene conto, scoprirla e svilupparla. In questo, i genitori sono fondamentali: riconoscere una passione nei propri figli e riproporla, senza imporla, è il miglior modo per iniziare a coltivarla.

 

Asia: la creatività può avere un ruolo utile a scuola? E nelle attività di recupero del condannato?

Giulio Guerrieri: certo, la creatività ha un ruolo utile a livello sociale (sia per chi la produce, sia per chi ne usufruisce), è utile a scuola per far comprendere la soddisfazione che deriva dalla realizzazione di un prodotto. È importante che i bambini vengano allenati fin da piccoli a utilizzare il loro potenziale creativo. Per quanto riguarda l’utilizzo della creatività per il recupero del condannato, penso che in uno stato mentale e fisico di una persona condannata, che si trova in una condizione non naturale, utilizzare il proprio lato creativo possa essere utile per poter agire al meglio.

Intervista ed elaborazione di 
Asia Olivo e Alice Viola

  La cartolina, di Giulio Guerrieri –  Interviste sulla creatività

Francesco Scoccimarro

Francesco Scoccimarro – Intervista sulla creatività

Franco Scoccimarro ha lavorato nell’ambito della produzione industriale, ma al cuore della sua attività, fin da bambino, ci sono sempre stati il disegno e la pittura. Ricorda con simpatia che alle scuole elementari ebbe anche un premio per un disegno raffigurante il Duomo di Milano. La consapevolezza della sua passione per l’arte figurativa, tuttavia, si fa chiara molto più tardi, quando comincia a collezionare i numeri de “I maestri del colore”. Da adulto, ha seguito la sua passione spesso lavorando di notte, riuscendo a volte a vedere i colori nella luce naturale soltanto nel fine settimana.

 

Alice: Cos’è per lei la creatività?

Franco: La creatività può essere diverse cose: un percorso che produce una novità; la capacità di connettere categorie estranee tra loro; l’invenzione di antichi strumenti di sopravvivenza per rispondere ad una emergenza; possiamo anche dire che è  selvaggia dell’intelligenza.


Ciro – Franco Scoccimarro

 

Ottavia: Cosa avvia, come si sviluppa la sua creatività e in quali condizioni?

Franco: Premesso che per me non esiste un ambito preferenziale per esercitare questa specie di gioco, mi capita in ogni momento di avvicinare idee o cose di genere diverso, di assemblarle, rivoluzionandone finalità, architettura e logica, e questo per creare un oggetto nuovo. Forse le migliori occasioni in cui scatta l’impulso creativo sono quelle in cui scoppia il conflitto che a volte vivo con il “comune sentire”. Altre volte nasce da un contrasto fra l’oggetto che ho davanti e quello di cui avrei bisogno. A quel punto si attiva una ricerca di soluzioni per farlo diventare quello che desidero.


Disordine e armonia – Franco Scoccimarro

 

Ottavia: c’è un’immagine che per lei rappresenta bene l’atto creativo?

Franco: l’atto creativo è soprattutto negli occhi di chi guarda, non sempre è clamoroso, a volte basta una piccola armonia inedita (che si può scovare, peraltro, in qualsiasi momento della vita) per rinnovare vecchi equilibri omologati o giungere, attraverso sentieri imprevisti, a una nuova consapevolezza personale. A volte l’ultimo granello di sabbia della duna, rotolando giù, innesca lo spostamento totale.


Periferie di leggerezza precaria (OTAITTAB) – Franco Scoccimarro

 

Alice: Che incidenza ha l’atto creativo sulle emozioni e sulla percezione di se stesso?

Franco: Mi piace e mi fa star bene costruire uno scaffale con vecchie imposte o una lampada con il cocco a far da paralume e un tendicavo per alzarla ed abbassarla. Questo stesso meccanismo si ripete con i concetti e le idee; allora vengono le battute, gli accostamenti trasgressivi. E’ bello scoprire contraddizioni, oppure, se le cose vanno troppo lisce, inventarle. Pensiamo, ad esempio, ai tagli di Fontana. Da parte mia, Quando finisco un’opera sono contento perché mi sono impegnato nel portare avanti una sfida. In linea generale, riconosco che mantenere una certa continuità con la mia attività artistica e tentare di fare al meglio ciò che faccio mi aiuta a stare in pace con me stesso…  anche nei periodi in cui con me stesso non sono in ottimi rapporti.

Schegge – Franco Scoccimarro

 

Ottavia: E che effetto ha nel rapporto con gli altri?

Franco: Non sempre la mia creatività entra nel rapporto con gli altri. Ho figli e nipoti, un soddisfacente e normale rapporto con gli altri. Se la conversazione si sposta sui miei lavori, il discorso ha ogni volta le sue peculiarità e prende pieghe diverse.

 

Alice: Quanto è importante il riconoscimento degli altri verso il suo prodotto

Franco: È importante perché mi gratifica, indubbiamente, ma non è un’ossessione, non è la ragione per cui dipingo. Non penso mai a come una mia opera possa essere accolta. Io stesso sono critico con i miei lavori e capisco che anche gli altri possano esserlo.


Frammenti – Franco Scoccimarro

 

Ottavia: pensa che esista una relazione tra depressione e creatività?

Franco: Non mi sembra che mia creatività sia correlata in un senso o nell’altro con la depressione, parlo della depressione che in qualche misura tutti vivono di tanto in tanto. Ma penso che entro certi limiti possa esistere fra le due cose una relazione. La depressione è entrare di più in sé stessi ed evitare, per diverse ragioni, la comunicazione con l’esterno per periodi più o meno lunghi. Questo, a volte, è anche il mio atteggiamento: l’atteggiamento di chi frequenta la creatività. Dunque, ci sono delle analogie. Ma che io sappia, nel mio caso, non ci sono ricadute negative: non considero il mio cercare in me stesso un modo per escludermi dall’ambito sociale. Ognuno ha le sue attitudini.

 

Alice: Quando un prodotto creativo è concluso?

Franco: Mai. Molte volte, anche a distanza di anni, torno a mettere le mani su miei lavori vecchi.


Tangenze – Franco Scoccimarro

 

Alice: secondo lei la creatività è un dono naturale o una competenza che si può allenare?

Franco: La creatività non è un dono, come non lo sono i peli del naso o l’intestino cieco; tutti noi siamo l’esito del sacrificio selettivo di chi ci ha preceduto; la creatività è l’eredità della selezione di cui siamo potatori e beneficiari e alla quale siamo giunti, una generazione dopo l’altra, mentre alcuni dei nostri antenati venivano sopraffatti dalle avversità e altri riuscivano a venirne a capo. La creatività è una delle nostre abilità e certamente può essere stimolata e allenata.

 

Ottavia: Chi sono i principali fruitori del prodotto creativo?

Franco: penso che ogni lavoro artistico abbia dentro di sé la capacità di coinvolgere qualcuno; ma perché ciò accada è necessario che l’osservatore abbia una sensibilità che possa entrare in comunicazione con l’opera. Cerco nell’armonia un mezzo di per comunicare. Se non fossimo in un ragionevole equilibrio fisico e armonico non potremmo esistere. Tutto l’universo è costruito su queste singolarità e tutto il resto viene di conseguenza; l’armonia è il linguaggio dell’universo e, forse, come sostengono i fisici, l’universo è linguaggio.


Coriandoli – Franco Scoccimarro

 

Ottavia: secondo lei la creatività può avere una funzione sociale? Se sì, quale

Franco: Si, eccome! Spesso le immagini e le sintesi creative arrivano molto più rapidamente ed efficacemente al destinatario. Ad esempio, il quadro “La zattera della medusa” – di Géricault – esprime il dramma di un naufragio come nessun’altra descrizione.

Non è possibile trasmettere così direttamente il senso di un naufragio raccontandolo a parole.

Anche il “Guernica” di Picasso rappresenta un dramma come delle parole non riusciranno mai ad esprimere.

 

Allo stesso modo, la foto di Robert Capa del soldato sulla collina che sta per cadere a terra dopo essere stato colpito da un proiettile.

Oltretutto, un linguaggio attraente spesso è fondamentale nella comunicazione, come ben sanno i pubblicitari che hanno il creativo come figura professionale…

 

Ottavia: la creatività può avere un ruolo nelle scuole o nelle attività di recupero del condannato?

Franco: Si, sicuramente. La creatività può contribuire all’autoconsapevolezza, alla capacità di apprezzare, riconoscere e alimentare il proprio impegno nei confronti della società, delle relazioni. Chiunque si ponga nei confronti delle relazioni in modo consapevole ha una chance, una carta in più. Riconoscere, educare e allenare le proprie capacità cambia profondamente la propria immagine e concorre considerevolmente a positive relazioni sociali.


Residui – Franco Scoccimarro

Credo che la creatività, intanto che viene coltivata, permetta all’individuo sia di migliorare il rapporto con se stesso sia di avere una relazione funzionale con la collettività. Sono importanti entrambe le cose anche se qualche volta l’una si sviluppa in contrasto più o meno aspro con l’altra. A volte, la spinta che motiva a ottenere il riconoscimento degli altri va a discapito del rapporto con le nostre peculiarità e l’esplorazione delle nostre risorse.

Intervista ed elaborazione di 
Alice Viola e Ottavia Alliata

Galleria F. ScoccimarroInterviste sulla creatività

Coscienze esiliate e procedure per il rimpatrio

In questi giorni, a seguito della recente pronuncia della Corte costituzionale riguardo all’ergastolo ostativo, si sono riaccesi i riflettori su un tema che, oltre ad essere molto complesso, è anche molto discusso. Ne abbiamo parlato più volte anche al Gruppo della Trasgressione e mi sono resa conto che per i non adddetti ai lavori si fa un po’ di confusione tra l’art. 4 bis e l’art. 41 bis O.P.

Da giurista, credo dunque utile, come prima cosa, puntualizzare che c’è una differenza tra l’art. 4 bis Ordinamento Penitenziario (il c.d. ergastolo ostativo) e l’art. 41 bis Ordinamento Penitenziario, che prevede misure più restrittive di detenzione (c.d. regime di carcere duro), anche senza la condanna dell’ergastolo. In secondo luogo va chiarito che non è solo la pena dell’ergastolo che può diventare “ostativa”, ma anche qualsiasi altra pena che venga inflitta per uno dei reati elencati dal suddetto articolo 4 bis. Tutte le condanne con l’ostatività escludono i normali benefici di legge, le misure alternative, ecc.

Nel nostro ordinamento sono previsti attualmente due tipi di ergastoli: quello “ordinario” e quello “ostativo”. Quest’ultimo è un tipo di pena che è stato introdotto dal Decreto emanato all’indomani della strage di Via D’Amelio (D.L. n. 306/1992) e si affianca alla norma codicistica che prevedeva l’ergastolo ordinario. Ciò comporta che chi viene condannato all’ergastolo per i delitti “ostativi” indicati dall’art. 4 bis della Legge sull’Ordinamento Penitenziario non può avere accesso ai benefici penitenziari, a meno che non collabori con la giustizia ai sensi dell’art. 58 ter della medesima legge.

La conseguenza è che questo tipo di ergastolani (c.d. ostativi) sono condannati di fatto a una pena perpetua che non promuove un percorso rieducativo, quando invece sappiamo che chi viene condannato alla pena dell’ergastolo ordinario, dopo ventisei anni di detenzione e un percorso di confronto e di seria rivisitazione del proprio passato (che può essere avviato fin dai primi anni di carcerazione), può (se il Magistrato di Sorveglianza competente lo ritiene opportuno e acconsente) accedere ai benefici penitenziari.

Le polemiche che si sono susseguite intorno al tema dell’ergastolo ostativo traggono origine da ciò che ha stabilito la pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, divenuta definitiva il 7 ottobre del 2019, dove si sentenzia che la legge italiana debba prevedere che il giudice possa stabilire – trascorso un congruo numero di anni –  se la persona che sta scontando una condanna all’ergastolo rappresenti ancora un pericolo per la società esterna e abbia o meno ancora legami con la criminalità organizzata, anche in assenza di una sua collaborazione.

La recente decisione della Corte Costituzionale, di cui ancora non conosciamo i dettagli perché vi è solo un comunicato stampa, sulla scia già tracciata dalla Corte Europea, dichiara che l’ergastolo ostativo è incostituzionale e dà al legislatore italiano un periodo di tempo di circa un anno e mezzo per provvedere alla modifica di tale disposizione.

Premesso ciò, vediamo che: da un lato abbiamo la Costituzione, prima fonte del nostro ordinamento giuridico, che afferma nell’art. 27 Cost. che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”; sullo stesso versante abbiamo l’art 3 della Costituzione che, come noto, sancisce il diritto all’uguaglianza, nonché l’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che ribadisce il principio secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti degradanti o inumani; dall’altro, siamo di fronte ad una norma che permette che vi sia una discriminazione di fatto e che trasforma la pena di un ergastolano condannato per reati ostativi in una pena senza fine, che ostacola la possibilità di acccedere agli strumenti utili alla “rieducazione del condannato“.

Lo stato, che per legge “deve” garantire che il condannato abbia gli strumenti necessari per poter dialogare con la sua coscienza e poi con la società che in passato ha tradito, permette che il detenuto sia trattato come irrecuperabile quando, in conseguenza di reati particolarmente gravi, vengono applicate le suddette misure restrittive. Il contrasto fra le due cose è riconoscibile sia sul piano morale sia sul piano giuridico ed è evidente che occorre porvi rimedio.

Mi lascia però perplessa constatare che molto spesso le argomentazioni sulla questione fanno perno soprattutto sulla violazione dei diritti dei detenuti e, in particolare, sul loro impedimento ad accedere ai benefici di legge previsti per chi non abbia l’ostatività. A me sembra che in questo modo passi in secondo piano la funzione che la nostra Costituzione assegna alla pena e cioè “tendere alla rieducazione”.

Comprendo che, distinguendo tra l’abuso commesso dal criminale e l’abuso commesso dallo stato con una pena dichiarata oramai incostituzionale, venga ritenuto più grave l’abuso posto in essere dallo stato perché in contrasto con i suoi stessi principi fondamentali, ma in questo modo, per il cittadino che legge, credo rimanga un po’ in ombra che l’obiettivo principale cui deve tendere la pena secondo i dettami della Costituzione, nonché il compito principale che deve assolvere lo Stato, è il recupero del soggetto e della coscienza che egli stesso aveva esiliato. In altre parole, il recupero di quella coscienza civica che mancava o che non aveva avuto sufficiente autorevolezza nel soggetto deviante all’epoca dei reati e di quello stile di vita all’interno del quale questi erano stati concepiti e attuati.

In questo senso, mi sembra che il danno principale che viene inflitto al detenuto in regime ostativo (con o senza ergastolo) sia costituito dalla difficoltà o dalla impossibilità che egli possa fruire dello scambio col mondo esterno, quello scambio che a suo tempo la persona aveva scelto di tradire e/o negare, legandosi a quella criminalità organizzata per cui aveva poi subito la condanna. Trovo paradossale che questo tipo di pene ostative (4 bis) ed i loro supplementi (41 bis) portino lo Stato a ratificare quell’esilio della coscienza che la persona aveva avviato e mantenuto fino ad arrivare all’apoteosi della sua condotta criminale. Quante probabilità ci sono che la persona dialoghi fattivamente con le parti migliori di sé mentre se ne sta per anni a odiare chi lo ha condannato e chi lo tiene isolato?

Se non esponiamo al cittadino comune (che spesso è estraneo a ciò che succede in carcere e che magari è influenzato dal bombardamento mediatico che alimenta la disinformazione generale sul tema), gli obiettivi della pena e gli strumenti per raggiungerli, si corre il rischio di alimentare rabbia contro rabbia e disconoscimento reciproco fra cittadini, istituzioni e condannati.

Occorre, io credo, promuovere, supportare e, quando arriva, valorizzare la rielaborazione dei sentimenti realizzata da questo o quel condannato; come pure il lavoro che ha dovuto fare (e che sta facendo) sua moglie/sua madre/suo figlio/suo fratello per recuperare il marito/figlio/padre/fratello di cui ha bisogno per andare avanti a vivere.

Tali argomenti sono cari a me, in quanto figlia di un ex detenuto, ma sono anche il lavoro costante che il Gruppo della Trasgressione porta avanti da anni (vedi, per esempio, l’area tematica “Genitori – figli” su www.trasgressione.net e lo sviluppo del progetto “Genitorialità responsabile” su www.vocidalponte.it).

L’evoluzione del condannato non può prescindere dal lavoro su di sé e da un confronto adeguato con la società esterna in ambiente protetto. Questo è quel che accade di continuo con i gruppi di volontari che entrano in carcere e questo è quello che accade con gli studenti, i liberi cittadini, i familiari di vittime di reato, gli insegnanti che compongono il Gruppo della Trasgressione e che permettono al condannato, se lo vuole, di intraprendere un percorso di risocializzazione serio.

In conclusione, io credo che nella battaglia contro l’ergastolo ostativo debba essere ricercata ed evidenziata la imprescindibile sinergia con la lotta per promuovere la coscienza, anche perché entrambe richiedono aperture e scambi utili a superare l’isolamento dagli altri e da se stessi.

Alessandra Cesario

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Tonino Scala

Tonino Scala – Intervista sulla creatività

Tonino Scala è un musicista, scrive canzoni, commedie musicali e parodie. La sua passione per il mondo delle musica emerge da bambino, quando si esercitava in casa con il pianoforte della sorella. Ha studiato architettura, ma quella non era la sua strada. Ha sempre fatto il musicista suonando in diversi gruppi.

 

Arianna: che cos’è per lei la creatività?

Tonino Scala: La creatività è la capacità che ognuno di noi ha di creare con la fantasia, con il proprio estro. Tutti siamo in possesso di fantasia e ognuno di noi la manifesta in un modo diverso: chi con il disegno, chi con la musica, chi con la scrittura.

 

Asia: quali sono i principali ingredienti del processo creativo?

Tonino Scala: Gli ingredienti per aver un buon prodotto finale sono innanzitutto l’ispirazione, la ricerca delle cose che ti fanno stare bene e la fantasia. Un altro ingrediente principale è la tecnica che si usa per dare forma e organicità alla parte creativa, quindi lo studio. Lo studio permette di acquisire tecniche per realizzare la propria opera: ad esempio, nel mio campo devo sapere la teoria musicale, come si accostano le note in modo da creare un motivo melodioso.

 

Arianna: che cosa avvia, come si sviluppa la sua creatività e in quali condizioni?

Tonino Scala: Il mio non è un lavoro di ufficio; non mi alzo al mattino e dico “adesso creo una canzone”, ma devo essere ispirato. Anche solo guardando un quadro, ascoltando una canzone, mi metto a creare qualcosa. Non ho un orario preciso e dei vincoli, non è schematico il mio lavoro, ma devo trovare ispirazione. In questo periodo ad esempio non sono ispirato, sono arrabbiato con il mondo intero, e quindi non potrei scrivere della buona musica. Guardo delle foto, ascolto la radio e ogni tanto mi viene l’ispirazione. A Luigi Tenco, un cantautore, avevano chiesto perché scrivesse cose tristi e lui ha risposto ‘Perché quando sono allegro esco e vado a divertirmi’. Lo stesso vale per me: quando ascolto qualcosa che mi ispira scrivo, però deve essere il momento adatto.

 

Asia: che conseguenze ha sulle sue emozioni e il suo stato d’animo la produzione creativa?

Tonino Scala: Io sono una persona che vive tranquilla, con la mia famiglia, ho una moglie, due figli fantastici, è tutto bello. Ho vissuto una gioventù fantastica in Sicilia, in un posto bellissimo sul mare. Quindi il mio stato d’animo è tranquillo e pulito e questo secondo me è fondamentale per fare musica. Quando scrivo musica lo faccio perché vivo delle sensazioni positive, anche quando può sembrare che scriva una canzone triste. La musica è l’espressione dell’animo, quindi scrivendo musica esprimo il mio stato d’animo. Io vivo dei momenti belli con la mia famiglia, con i miei amici e scrivo di conseguenza. L’animo è importante per esprimere la propria parte creativa.

Arianna: che incidenza ha, che conseguenza ha l’atto creativo sulla percezione di se stesso o dell’autore in genere?

Tonino Scala: Quando creo qualcosa che piace agli altri e che suscita in loro delle emozioni io sto bene. Vuol dire che ho creato un buon prodotto e ho fatto una bella cosa. Gli altri usufruiscono della mia musica e questo è un successo, mi fa stare bene. Se invece faccio qualcosa che agli altri non piace cerco di capire dove ho sbagliato e cerco di correggermi. Se faccio qualcosa che agli altri piace e fa stare bene loro allora sto bene anche io. Io ho fatto per tanti anni l’animatore nei villaggi turistici e la cosa fondamentale era divertirsi per fare divertire gli altri, perché se io mi diverto riesco a far divertire gli altri. Allo stesso tempo se faccio una bella canzone, che piace agli altri, io sto bene.

 

Asia: nel rapporto con gli altri la sua musica che cosa determina?

Tonino Scala: Mi permette di dialogare con gli altri, mi permette di confrontarmi. Quando faccio ascoltare una mia canzone agli altri, non mi importa che la ascoltino e basta, per me è importante che la ascoltino e che poi se ne parli insieme. Ieri, ad esempio, ero in studio a registrare e siamo stati più di quattro ore a discutere e confrontarci su una frase. È giusto che ci sia un confronto, perché altrimenti scriverei solo per me stesso. Invece secondo me il successo sta nel confrontarsi con gli altri sui propri prodotti.

 

Arianna: e quindi quanto è importante il riconoscimento degli altri per il prodotto creativo?

Tonino Scala: Il riconoscimento degli altri è importante. Ci sono stati dei periodi, quando ero più giovane, in cui scrivevo ma non facevo ascoltare le mie canzoni. Ancora oggi quando devo far ascoltare ad altri la mia musica ho una certa apprensione, ad esempio quando suono nei locali: le altre persone ascoltano la mia musica ma non mi conoscono davvero. Quindi per me è importante che gli altri ascoltino le mie canzoni, ma soprattutto che mi conoscano, che capiscano quello che penso, quello che sento, quello che vivo. Penso che se non conosci questi aspetti di me non puoi realmente apprezzare il brano che ho scritto. Tuttavia, in generale il fatto che gli altri ascoltano la mia musica e si emozionino per me è molto importante.

 

Asia: Chi sono i suoi principali fruitori del prodotto creativo e come ne traggono giovamento?

Tonino Scala: Direi quelli che vengono nei locali in cui suono e gli amici. Quando confeziono un brano lo mando soprattutto ai miei amici per avere un giudizio prima ancora di inviarlo al pubblico che non conosco. Quindi i miei amici, coloro che mi conoscono e che sanno cosa faccio, sono i miei principali ascoltatori da cui voglio un’approvazione prima di pubblicare un brano. Allo stesso tempo suono anche nei locali, dove c’è gente che non mi conosce e a cui magari non interessa ascoltare la mia musica. Però se c’è anche solo una persona che mi sta ascoltando per me è importante; possono anche essere uno o due su mille, ma l’importante è che ci sia qualcuno che ascolti perché significa che sto comunicando qualcosa.

 

Arianna: quale immagine le viene in mente che possa ben rappresentare l’atto creativo?

Tonino Scala: Penso al mio cane che ho perso da due mesi, mi ispirano tanto le sue foto. Mi piace in generale guardare le foto e farmi ispirare dai ricordi, quindi un’immagine di una persona cara, di un amico… Ora l’immagine di Maki, il mio labrador bellissimo che non c’è più. L’immagine è importante.

Asia: pensa che possa esistere una relazione tra depressione e creatività?

Tonino Scala: La depressione è una brutta cosa, non penso che aiuti la creatività. Quando mi capitano momenti di depressione non ho la testa per creare, l’unico pensiero che ho è di stare bene. Non credo ci siano delle persone depresse che abbiano prodotto delle belle cose, la depressione per me non favorisce la creazione. Nei momenti depressivi una persona deve pensare a curarsi soltanto, non credo ci sia una relazione con la creatività. In questo periodo ho scritto “Si troverà una sera”, perché spero che si tornerà presto a condividere momenti tutti insieme; non ho scritto altro perché non ho voglia di pensare ad altro, ho desiderio di stare bene e per me stare bene significa tornare a lavorare.

Arianna: quando il suo brano può dirsi davvero concluso?

Tonino Scala: Quando lo cantano gli altri. Quando un prodotto arriva agli altri, lo cantano, lo usano per un documentario, quel prodotto è finito. Se invece lo tengo in casa mia è finito ma non concluso del tutto perché per poterlo definire tale devono usufruirne gli altri provando le emozioni che ho sentito io mentre lo scrivevo.

 

Asia: pensa che la creatività possa avere una funzione sociale, e se sì, quale?

Tonino Scala: La creatività deve avere una funzione sociale, tutti dovremmo avere la possibilità di esprimerci con creatività, soprattutto i giovani nelle scuole. La creatività è importante perché, come la musica che è lo specchio dell’animo, fa entrare in contatto con la propria essenza. La creatività aiuta a comunicare, per cui tutti dovremmo avere la possibilità di creare ed essere aiutati in questo. Ad esempio, nelle scuole la musica è importante perché aiuta a creare, unendo delle note si crea un brano. È importante aiutare tutti a crescere con della creatività.

 

Arianna: la creatività è un dono naturale privilegio di pochi o si tratta di una competenza accessibile a tutti e che può essere allenata?

Tonino Scala: È accessibile a tutti e deve essere allenata. Tutti abbiamo la possibilità di creare, anche quelli che creano delle cose brutte sono allenati per questo; in base agli allenamenti che si fanno si creano delle cose più o meno belle. Il Gruppo della Trasgressione si occupa di recuperare degli allenamenti giusti e di portare delle persone che hanno creato in passato delle cose sbagliate, per allenarsi a creare delle cose positive. L’allenamento è importante. È fondamentale aiutare tutti a creare degli allenamenti positivi.


Dentro ognuno di noi“, eseguita da Juri Aparo e da Tonino Scala (che ne è l’autore) e commentata da Roberto Cannavò al Festival dell’Arte Negletta del 2017.

Asia: la creatività può avere un ruolo utile a scuola e/o nelle attività di recupero del condannato?

Tonino Scala: Certo, la creatività è importante a scuola. Gli insegnanti devono aiutare i ragazzi a creare delle cose belle nella vita, non solamente ad assimilare le nozioni scolastiche; non serve imporre il proprio insegnamento, l’insegnante deve aiutare a far crescere l’alunno. La stessa cosa vale per il condannato, occorre aiutarlo a crescere, a cambiare stile di vita, a fargli capire che qualunque persona può creare qualcosa di buono. L’allenamento va fatto da piccoli, ambienti malsani producono allenamenti negativi, per cui in questi casi devono intervenire la scuola e la società.

Intervista ed elaborazione
di Arianna Picco e Asia Olivo

Tonino Scala Facebook –  Interviste sulla creatività