Aula Dostoevskij. Delitto e castigo al carcere di Opera

Durante i cinque mercoledì di Novembre 2022 abbiamo dato forma – dentro le mura del carcere di Opera – ad una singolare ricerca sul delitto e le sue molteplici conseguenze, invitando 43 studenti di giurisprudenza a dialogare insieme a chi ne ha già commessi parecchi e a chi ne ha subiti alcuni. Traendo beneficio anche dalle autorevoli sollecitazioni di Fausto Malcovati, docente di lingua e letteratura russa.

Magistrati e studenti universitari, familiari delle vittime della criminalità organizzata e detenuti di media e ad alta sicurezza appartenenti al Gruppo della Trasgressione: ad un anno di distanza, i protagonisti di questa significativa ri-lettura collettiva del romanzo di Dostoevskij sentono la necessità di rendere pubblici i risultati e le risposte che, a seguito della ricerca, pensano di avere ottenuto.

Con la partecipazione straordinaria di Paolo Noriscrittore.

Introducono i lavori:

Angelo Aparo – psicoterapeuta, fondatore del Gruppo della Trasgressione
Francesco Cajani – pubblico ministero, comitato scientifico de “Lo Strappo. Quattro chiacchiere sul crimine

Silvio Di Gregorio – direttore casa di reclusione di Opera

Alcuni materiali della ricerca sono disponibili qui .

Ingresso gratuito fino ad esaurimento dei posti disponibili.

CONTRIBUTI VIDEO

o il servizio di Elena Scarrone per il TGR Lombardia:

o la registrazione integrale dell’incontro a cura di RadioRadicale:

Cura o tradimento

Se potessi fare a meno di decidere
non sarei di certo così stanco

Ogni volta è una conquista riconoscere
quale sia la mia metà del campo

Guardo i fogli ancora bianchi sul mio tavolo
non ho idea di cosa farci e quindi sto

come un uomo che è davanti ad un citofono
e non ricorda più il cognome

[Nicolò Fabi, Tradizione e tradimento]

 

Il tratto di strada tra Malaga e Siviglia mi ha recentemente regalato due meravigliose sintesi visive in relazione alle tematiche con le quali ci stiamo confrontando durante gli incontri del Gruppo della Trasgressione, in questo ultimo anno così denso.

Nella ricerca del famoso dipinto di Goya nella Cappella dei Dolori della Cattedrale di Siviglia, mi sono imbattuto – quasi per caso – in questa raffigurazione della Negazione di San Pietro davvero significativa.

La négation de San Pedro, sec. XVII

Balza subito agli occhi, da un lato, la “citazione” ai movimenti dei personaggi che ritroviamo nella Vocazione di San Matteo di Caravaggio. Dall’altro, singolare è il distacco che l’anonimo autore francese vuole farne rispetto alla Negazione di San Pietro che lo stesso Caravaggio dipinse negli ultimi anni della sua vita: tanto “privata” la dinamica di quest’ultimo quadro (in quanto ristretta a tre attori: San Pietro che nega, la donna che lo accusa del contrario avendolo visto insieme a Gesù, il soldato alla quale la donna si rivolge per farlo catturare), quanto “pubblica” invece quella che il pittore francese, seguace di Caravaggio, ha inteso raffigurare.

Qui infatti, almeno da una mia prima impressione, sembra proprio che il soldato non si accontenti del racconto della donna e, per questo, “chieda conto” ad altre persone, sia pure in altre faccende affaccendate.

Ecco dunque l’immagine complessiva che questo dipinto, in maniera plastica, mi restituisce:  non solo “la chiamata a trarre il meglio da sé” ma anche il suo contrario, ossia il “tradimento di sé attraverso la negazione di quello che siamo (stati)”, è questione che non può essere circoscritta ad una dimensione strettamente personale.

Durante il nostro ultimo inverno nel sottosuolo di San Vittore lo abbiamo ripetuto molte volte: è la funzione che noi attribuiamo all’altro ciò che può fare la differenza nel diventare nutrimento profondo per la sua evoluzione.

Però rimaneva sempre nascosta, in questa nostra dialettica volta a far (ri)nascere il sole nelle esistenze di giovani adulti, l’altra faccia della medaglia. E precisamente: che dire invece di chi non vuole rispondere alla chiamata? Di chi non vuole dissotterrare il talento? Di chi non vuole togliere il bavaglio nel quale ha imprigionato la sua coscienza?

Nel pensare pertanto a questo lato oscuro della luna, un altro quadro mi è venuto in soccorso: anche qui sempre grazie ad una “rivoluzione copernicana” rispetto alle nostre corde emozionali che un mese fa avevano vibrato al suono dei violini del mare.

Ed infatti, se le barche che hanno trovato infine approdo al carcere di Opera avevano necessariamente richiamato a ciascuno di noi – per non rimanere indifferenti al male – l’azione riprovevole dei carnefici, questo dipinto di Picasso mi suggerisce l’esatto contrario.

Barque de naïades et faune blessé, 1937

E’ risaputo come il pittore spagnolo avesse tratto anche dalla cultura greca fonte di ispirazione per la sua Arte visiva, ma qui non è tanto il tema della potenza distruttiva del Minotauro (a lui così caro) ad essere presente quanto quello della cura rigeneratrice, incarnata nell’azione delle Ninfe dell’acqua che soccorrono il Fauno ferito.

In altre parole è il mito rovesciato, dove le Ninfe non hanno più motivo di temere chi – fino a quel momento – le aveva fatte oggetto della sua riprovevole caccia.

E non vi ormai più ombra di dubbio che le “nostre” Naiadi siano proprio i Familiari delle vittime: ad iniziare da Marisa Fiorani con quell’incontro nel carcere di Opera del 6 settembre 2016, fino ad arrivare a Paolo Setti Carraro con la sua lettera (quasi un bilancio interiore) dello scorso giugno.

Ma penso anche a Manlio Milani e Agnese Moro, Giorgio Bazzega e alle tante altre donne e uomini che in tutti questi anni hanno fatto una scelta precisa quanto alla propria metà del campo. Perché questo quadro di Picasso ha, per me, la stessa forza evocativa di quel racconto che mi aveva fatto sobbalzare lo stomaco, una sera al cinema:

Di questo racconto, con il passare degli anni, apprezzo non solo la conclusione (quella che più di quindici anni fa mi aveva folgorato) ma anche l’inizio: questi Familiari hanno fatto un percorso interiore strettamente personale, ma in questa loro immensa fatica non sono stati mai lasciati soli.

Perché un altro proverbio africano dice che “per educare un bambino ci vuole un intero villaggio”. Allo stesso modo per curare un essere umano – vittima o carnefice che sia – affinché possa ritrovare sé stesso, senza più tradire la sua più vera natura: orgoglioso di fare parte di questo villaggio, insieme a tutti voi del Gruppo della Trasgressione.

Percorsi della devianzaReparto LA CHIAMATA

No, non c’è tradimento!

San Vittore 16/02/2023

Ascolto con attenzione i contributi dell’eterogeneo gruppo che si riunisce tutti i giovedì al nascente reparto LA CHIAMATA e constato che tutte le idee vengono scambiate, confrontate, criticate, tanto che io dubito spesso anche delle mie.

Tuttavia, quando il prof. Aparo ha aperto l’incontro di giovedì scorso a San Vittore, chiedendo ai presenti se chi s’interessa del benessere della persona condannata stia tradendo i famigliari della vittima o se occuparsi della sofferenza di chi ha commesso un omicidio equivalga a ignorare la disperazione della figlia e della moglie della vittima, ho sentito dentro di me una risposta certa: “No, non c’è alcun tradimento!

Anche se l’argomento è complesso e doloroso, non posso rinunciare a tentare di capire la relazione lega l’uomo al criminale, non posso credere che sto trascurando la vittima quando cerco di scoprire dov’è andata l’umanità di chi è stato carnefice.

Mi avvicino alla persona detenuta, sentendo la necessità di rintracciare quali siano i fattori che hanno contribuito a farlo scivolare verso l’assenza da se stesso. E mi preoccupa che siamo in pochi a volerlo fare, a voler capire cosa succede all’uomo. Sento nei racconti dei detenuti la mancanza di qualcosa di cui, invece, mi sembra che noi tutti abbiamo bisogno. E al gruppo si cerca di continuo cos’è: qualcosa che prima c’era? Che non c’è mai stato?

Pur considerando che la figura dei genitori ha un ruolo centrale nella costruzione della personalità dell’adolescente, mi chiedo come abbiano fatto molti giovani a sopravvivere a infanzie infelici con genitori disattenti o assenti e a contesti degradanti, senza per questo autorizzare se stessi all’abuso, senza ricorrere a “soluzioni” devianti.

Comprendere perché alcune persone soccombono e altre sopravvivono in ambienti in cui si vivono le stesse difficoltà, rappresenta un terreno di studio molto interessante per noi componenti del Gruppo della Trasgressione. La direzione che il degrado ambientale e le difficoltà familiari imprimono ai sentimenti e alle scelte dell’individuo non è automatica! Diversamente, come si spiegherebbe che nello stesso nucleo famigliare un figlio prende la strada della devianza e l’atro no?

Mi sembra quindi importante cercare di approfondire cosa sente il giovane deviante, osservare il modo in cui egli reagisce alla frustrazione, quale lettura egli dà degli eventi e delle relazioni che vive, quale impasto si produce nella sua affettività, tale da portarlo al reato.

Quanto più ragiono su questi aspetti, tanto più mi rendo conto degli effetti terapeutici del Gruppo della Trasgressione sulle persone che lo frequentano e del metodo con cui viene perseguito l’obiettivo del reinserimento sociale della persona detenuta. Per questo mi sembra indispensabile sgrovigliare i nodi che compongono i bisogni psicologici dell’autore di reato e ottenere informazioni utili a impostare progetti e operazioni d’intervento.

L’avvicinamento a chi ha operato l’offesa e la sua responsabilizzazione in progetti collettivi sono certamente gli strumenti migliori per contrastare il ripetersi dell’abuso: “Capire cosa induce alla condotta antisociale non è un tradimento nei confronti della vittima, è piuttosto una ricerca di quell’umanità che era stata progressivamente defenestrata lungo il complesso percorso che ha portato all’episodio criminoso” (Aparo, San Vittore, 16/02/2023).

Lara Giovanelli

Reparto LA CHIAMATAIncontri con i familiari delle vittime

Sarei certo di cambiare la mia vita

Mercoledì mattina io non c’ero, dottore Nobili, nell’aula Dostojeskij.

Non ho fatto nulla, non ho visto nulla, non ho sentito. Nulla.

Si, grazie, mio figlio sta meglio oggi, solo ancora un poco di febbre.

Senta, allora gliela voglio dire la verità.

E’ che sono arrivato in ritardo mercoledì, le luci si erano già riaccese dopo il primo interrogatorio di Raskol’nikov a casa di Porfirij. E quando ho visto il dottore Aparo seduto, in silenzio, in mezzo a due Marescialli dei Carabinieri e con accanto un Avvocato mi sono tranquillizzato e ho capito che potevo anche approfittare delle circostanze favorevoli per dare una ritinteggiata alla stanza accanto. Così, giusto per continuare a fare qualcosa di utile anche io.

Sì, dottore Nobili, certo che l’ho vista poi andare via, prima degli altri, verso le 12.20: c’erano altre persone che la aspettavano ma non erano certo affari miei. Però mi sembrava strano tutto quel silenzio, tutto di un tratto dopo un sovrapporsi di voci sempre più accese, come se fosse successo qualcosa. Di inaspettato. O qualcosa che tutti, prima o poi, si sarebbero aspettati. Nervi scoperti, oppure pregiudizi che covavano sotto la cenere da tanto, troppo tempo.

Mi sono seduto, stanco. E anche io ho continuato a fare finta di nulla, sperando che non fosse successo nulla.

Ma nel pomeriggio è arrivato un messaggio WhatsApp di una Professoressa di un’altra Università:

Si, la verità gliela sto dicendo fino in fondo, dottore Nobili…. perché vede che nella mia risposta c’è l’ammissione che anche io ben sapevo quello che era successo! E, arrivato a casa, sono stato pure contattato dalla Direzione della Libera Università della Responsabilità presso il carcere di Opera riunita a Consiglio su Zoom: fino a quando i miei figli hanno fatto irruzione nella camera da letto perché rivolevano il loro papà e la cena era pronta da tempo.

Ho recuperato la lavagna con le tre parole di Angelica, per ora non me la sento ancora di farle sparire nonostante il dottore Cajani avesse anche portato un cancellino, oltre che i gessetti colorati.

Ho visto i due Carabinieri, così simili nella fedeltà all’Arma come differenti nelle sfumature della voce e del carattere, allontanarsi sulla macchina dell’Avvocato e parlare fitto insieme ad una studentessa.

Ho pensato che anche io ho avuto un padre e una madre, molti bravi maestri fin dalla prima elementare e tanta fortuna.

Ho visto le persone detenute ritornare nelle loro celle, qualcuno ancora con la convinzione di essere anche lui una vittima, o – nella peggiore delle ipotesi – di essere lui la vittima schiacciata tra le pieghe di quella sentenza di condanna.

Ho intravisto Silvia, Martina e gli studenti allontanarsi in due gruppi, a seconda degli stati d’animo contrapposti. E, tra loro, ho notato Angelica e Giacomo che portavano a braccetto il dottore Cajani, come se lo avessero finalmente arrestato. Ma per fortuna non picchiato, perché sembrava che lui fosse davvero sollevato dalla circostanza anche perché in quel modo stavano uscendo, e non entrando, da un carcere di massima sicurezza.

Ho perso di vista Marisa e Paolo, ma sono certo che anche loro stavano pensando a qualcosa perché sono loro i primi ad avere interesse che il ciclo dell’abuso possa finalmente rompersi anche prima dell’ingresso in carcere. E che venga finalmente brevettato, oltre al distributore automatico di conflitti, anche un distributore automatico di umanità.

E mentre cercavo di capire cosa il dottore Aparo avesse pensato in quelle tre ore in cui non ha aperto bocca, ho intravisto spuntare dall’aula di geometria questo appunto sulla teoria degli insiemi:

E in quel momento mi sono ricordato che anche la musica, e non solo la fortuna, mi ha aiutato nel tentare di essere migliore e nel non diventare anche io un carnefice. Come quella strofa che dice “sarei certo di cambiare la mia vita, se potessi cominciare a dire noi”.

Ft. Il bidello

Delitto e Castigo

Delitto e castigo al carcere di Opera

“Cerchiamo 15 giovani studenti/studentesse di giurisprudenza per dare forma – dentro le mura del carcere di Opera – ad una singolare ricerca sul delitto e le sue molteplici conseguenze, dialogando insieme a chi ne ha già commessi parecchi e chi ne ha subiti alcuni”.

 

Qui la lettera di invito: le candidature dovranno pervenire a info@lostrappo.net entro e non oltre il 22 Ottobre pv.

Gli incontri si svolgeranno i 5 mercoledì di Novembre 2022 (ore 9.00-13.00) all’interno del carcere di Opera.

Per iniziare può essere utile il resoconto dell’incontro del Gruppo della Trasgressione con il Prof. Fausto Malcovati su Dostoevskij  (5.7.2005).

Maggiori informazioni anche su la pagina Instagram de “Lo Strappo – Quattro chiacchiere sul crimine”.

PS: in ogni caso c’è anche un altro gesto utile per aiutarci in questa ricerca, considerato che tutti i protagonisti di questa rilettura collettiva parteciperanno a titolo gratuito: regalando una copia di “Delitto e Castigo” alle persone detenute nel carcere di Opera

[anche con una dedica e/o un augurio di buona lettura, se ritieni. Se non sai quale edizione scegliere ci permettiamo di consigliarti Einaudi o Feltrinelli. Indirizzo della spedizione/consegna a mani: Direzione Casa di reclusione di Milano-Opera, via Camporgnago 40, 20141 Milano. Ci faremo personalmente garanti della consegna dei libri alle persone detenute interessate].

Delitto e Castigo