The Place

CINEFORUM

The Place, di Paolo Genovese – 08/06/2020

Spunti dall’incontro

“Sei un mostro”
“Diciamo che do da mangiare ai mostri”

Mefistofele mostra ai vari personaggi come uno specchio le parti che tutti abbiamo dentro: una spinta più costruttiva e una spinta più distruttiva, non è altro che l’alter ego dei personaggi che di volta in volta si siedono di fronte a lui; tutti, in un modo o nell’altro, fanno i conti con la propria coscienza.

Mefistofele è di fatto la personificazione dei demoni malvagi che fanno parte della coscienza di ciascuno di noi, non riconosciuti come propri, anzi respinti all’esterno e a lui, al mostro, demandiamo poi la responsabilità di dare da mangiare mostri ulteriori.

“Perché chiedi cose così orrende?”
“Perché c’è chi è disposto a farle”

Tutti i personaggi del film hanno la possibilità di scegliere, non c’è nessuna coercizione fisica, tutta la coercizione è di tipo psicologico o di tipo motivazionale: lo sviluppo e la realizzazione progressiva della scelta dei singoli personaggi passano esclusivamente da una serie di piccole scelte consecutive che si sommano, ma non c’è nessuno dall’esterno che impone un certo tipo di comportamento.

Per uno una determinata cosa può essere una sorta di bene, per un altro il male (perché ad esempio viene danneggiata una persona).

È questione di moralità individuale, quindi fino a che punto tu sei disposto ad arrivare, quale è il tuo limite, e il limite può nascere nel momento in cui i soggetti singoli si rendono conto o abbracciano nella loro visione la potenziale vittima, e solo lì trovano dei freni alla perdita di morale.

Attraverso la relazione la possibilità di crescita ed evoluzione esiste: se riesco ad identificarmi con l’altro difficilmente arrivo a uccidere una persona.

In Sisifo ad esempio il disagio di Thanatos cosi come l’abbiamo interpretato a  un certo punto arriva a dire “non ne posso più di essere visto soltanto come portatore di morte”,  non ne può più di stare ad ascoltare tutto il male del mondo.

Nel film tutte le storie in qualche modo si intrecciano, per cui l’idea che ogni nostra azione/gesto in qualche modo può avere delle ricadute sulle storie e le vite degli altri, è qualcosa che ci dimentichiamo a volte di ricordare.

 

SCELTA DELL’OBIETTIVO

l’obiettivo costringe a riflettere e mette alle strette, facendo prendere una determinata decisione. Come un induttore di riflessione, Mefistofele di fatto attraverso l’obiettivo pone queste persone a confrontarsi con se stesse.

A volte la forza del soggetto permette al soggetto stesso di sottrarsi alla seduzione, la seduzione non riesce perché per coincidenza si producono situazioni positive e, se si riesce ad arrivare all’età adulta senza essere stato catturato dalla seduzione che ti fa credere che in un modo onnipotente puoi raggiungere chissà che cosa, hai discreta probabilità di farcela, diversamente sei molto a rischio di arroganza e devianza.

 

CONCETTO DI “GIRO CORTO E DI GIRO LUNGO”   

Il giro corto porta ad ottenere la soddisfazione immediata di un impulso, di un bisogno, di una necessità, di una voglia. Il giro corto rimanda alla scorciatoia, al tema della magia: bruciare le tappe in qualche modo porta a una deresponsabilizzazione perché non metto in campo le mie capacità, è quindi un evitare di mettersi in gioco realmente. Anche se non funziona la magia non è colpa mia, perché io non ho messo in campo nulla di mio per il raggiungimento dell’obiettivo, non viene per cui in qualche modo declassata la mia persona, è un po’ come l’idea che, se non funziona la magia, io non fallisco mai, fallisce la magia, il sistema magico, per cui tutto ciò che riguarda me non viene assolutamente toccato.

Dal momento in cui cerco un giro corto e la magia, mimo quell’onnipotenza che in realtà sto già attribuendo però a qualcun altro o a qualcos’altro a un organo, a qualcosa che mi sta permettendo in qualche modo di poter utilizzare la magia.

Il giro lungo è più connesso al lavoro, ad un senso di fatica o di ottenimento dell’obiettivo con passi, step, scalini saliti uno alla volta.

Possiamo pensare che l’uomo si dibatte tra seduzione del ricorso alla magia/pensiero onnipotente e impegno sul lavoro.

 

L’ONNIPOTENZA

Invece di divaricare le due polarità di bene e male, è utile soffermarsi sul cosa è nell’uomo il senso di onnipotenza.

Siamo permeabili alla seduzione per la spinta all’onnipotenza e alle volte c’è anche un contributo da circostanze esterne. Il concetto di devianza è complesso, nel film non si fa del male perché si è cattivi, ma perché c’è una condizione di bisogno, e ci possono essere dei “diavoli seduttori” con il pensiero vigliacco che allettano le spinte a risolvere le cose onnipotenti, ed è un modo magico. Non è bene e male, ma bisogno di risolvere le cose e il bisogno di risolvere non arriva necessariamente dal fatto che uno è cattivo ma perché la realtà mette a dura prova.

Uno dei mali per cui ci si lascia sedurre dalle fantasie onnipotenti è la mancanza di fiducia. Nel film tutte le persone che transitano da Mefistofele hanno in questa persona una fiducia incondizionata, è come se avessero bisogno di una presenza salvifica, come se avessero bisogno di qualcuno a cui rivolgersi per risolvere il proprio problema.

 

LA MAGIA

Da bambini la magia ha un bel sapore, tra le braccia di mamma e papà permette ai bambini buoni di vedere desideri realizzarsi, quando si diventa grandi e soprattutto quando si combina col male, la magia diventa estremamente inquinante, inquina la festa. All’uomo la magia fa male, la magia della droga, la magia dello stordire il pensiero, il male, il dolore, ecc.

Nel film, ma non solo, ricorrere alla magia per appagare l’istanza onnipotente porta a uno scivolamento progressivo verso il male, perché se si prende consuetudine e confidenza con la magia ciò induce la persona a perdere il senso del limite e le redini di se stessi.

Il problema diventa più grave via via che  il ricorso alla magia diventa abitudine.

 

STRAVOLGIMENTO D’IDENTITÀ

Si può provare a sostituire l’idea del MALE assoluto con un modello più terreno di pratica del male, cioè con il ricorso all’onnipotenza e alla magia, non nel senso che la magia è cattiva, ma nel senso che prevede un modo di procedere che invece che fare i conti con la realtà, fa capo a un seduttore che ti fa credere che puoi raggiungere la meta non rimanendo la persona che sei, che lavora, ma ricorrendo a qualcosa di magico che interviene nella realtà permettendoti di fare un salto radicale dalla condizione in cui tu sei tu, alla condizione che in realtà sei diventato un altro di  categoria superiore, categoria sovrumana.

Ad esempio la signora anziana del film con il marito malato di Alzheimer prima di decidere di non compiere l’azione terribile della bomba è dibattuta in un labirinto di pensieri che stravolgono la sua identità (“chi sono io per ergermi ad onnipotente sia nei confronti del male, ma soprattutto nei confronti del bene”)

Il ricorso alla magia a maggior ragione quando ti fa cambiare lo status e ti porta dalla condizione di chi non può a quella di chi può, ti mette a rischio di sentirti Dio e, se ti senti Dio, ti trovi anche nella condizione di superare i limiti (come anche nel mito di Sisifo).

Tradire se stessi per raggiungere la meta comporta la fregatura che la si raggiunge dopo essersi trasformati in qualcos’altro: ma per poter godere di qualcosa che desideri, occorre essere se stessi.

Olivia Ferrari e Stella Tonelli

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Cineforum – Presentazione

È partito, lunedì 27 aprile 2020, un appuntamento settimanale su “La banalità e la complessità del male” (tutti i lunedì, ore 14:30-17:00), un’iniziativa che, con meeting on line aperti al pubblico, riprende quella di cui parlavamo in carcere prima del flagello del Coronavirus e per la quale erano previsti diversi appuntamenti.

Con i gruppi on line non avremo bisogno di sale cinematografiche in carcere; ognuno potrà vedere i film concordati con mezzi propri e poi, il giorno della video-chat, parlarne insieme.

Siamo partiti con un paio di titoli utili a stimolare
un cineforum sulle componenti che caratterizzano il male, 
sui fattori soggettivi e ambientali che lo alimentano e su come il male, una volta avviato,  possa insidiarsi nella nostra sonnolenta quotidianità
.

L’obiettivo, come nella tradizione del Gruppo della Trasgressione, è far discutere insieme (stavolta senza confini geografici) detenuti ed ex detenuti, studenti tirocinanti, professionisti della materia (magistrati, sociologi, psicologi, ecc.),  allievi di scuole medie inferiori e superiori.

Un intrattenimento che speriamo possa diventare, se le istituzioni ci daranno una mano, uno strumento utile per:

  • allenare l’attenzione verso la propria e l’altrui fragilità;
  • la formazione di studenti universitari;
  • la prevenzione nelle scuole del “Virus delle gioie corte“.

Per essere aggiornati sugli sviluppi dell’iniziativa, per comunicare con le persone che vi partecipano, per inviare i propri commenti sui film di cui si parla o per proporne di nuovi, scrivere a associazione@trasgressione.net. La vostra mail, dietro vostra esplicita richiesta, verrà aggiunta alla mailing-list già operativa.

Per gli incontri on line utilizziamo la piattaforma di ZOOM e una stanza virtuale del Gruppo della Trasgressione. Il dibattito prosegue sulla nostra pagina Facebook e, come si può vedere dall’indice al fondo della pagina, anche su Voci dal ponte.

Con lo stesso strumento, terremo periodicamente degli incontri on line allargati, aperti a studenti delle scuole medie primarie e secondarie su “Lo Strappo, quattro chiacchiere sul crimine“. Prenderanno parte agli incontri gli autori del documento e ospiti chiamati per l’occasione.

Angelo Aparo

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Rinascita

Io e i miei compagni abbiamo partecipato a due incontri con il Gruppo della Trasgressione coordinato dallo psicologo Angelo Aparo, che si occupa del recupero dei detenuti del carcere di Opera.

Durante questi incontri, avvenuti via web, abbiamo discusso delle trame e delle tematiche dei film “Strane storie” e “I Cento passi” (visti in precedenza). Il primo film è stato scritto e diretto da Alessandro Baldoni e vuole raccontare, attraverso una serie di storie e in modo ironico, la vita moderna, fatta di contraddizioni e mostruosità; il secondo film si svolge in un paesino siciliano schiacciato tra la roccia e il mare. Cento passi separano la casa di Peppino Impastato da quella di Tano Badalamenti, il boss locale. Peppino è un bambino molto curioso che non accetta il silenzio opposto alle sue domande, al suo sforzo di capire. Nel 1068 egli si ribella come tanti altri giovani al padre.

Trovo che questa esperienza ci ha aperto la mente su realtà a noi lontane, come la vita in carcere o sui motivi per cui queste persone hanno compiuto queste azioni.

Sentendo parlare persone che hanno vissuto in prima persona questa esperienza, non certo facile, ho capito che è giusto che a ognuno di noi venga data una seconda possibilità per rimediare agli errori commessi, che io vedo come una sorta di rinascita.

Eleonora Penna

I contributi del Liceo Brera al cineforum

Spaesamento

Ho creato un ‘collage digitale’ raggruppando ciò che mi ha colpito e fatto riflettere sul percorso intrapreso.

Il tema centrale affrontato nelle ore di educazione civica è la banalità (e complessità) del male: ho deciso di intervenire sulla copertina del libro di Hannah Arendt (per l’appunto, ‘La banalità del male’).

A questo concetto ho unito un’opera di Banksy, simboleggiante la solitudine, che secondo me si collega all’idea di ‘male’ in maniera implicita ma assolutamente centrata, come è emerso dalle riflessioni durante gli incontri.

Il cemento, le texture ed i colori sono richiami al percorso, mie citazioni dei film analizzati: il cemento per la città; i colori per la passione, il dolore e le emozioni; la carta strappata per la mancanza generalizzata di un pensiero condiviso, di una riflessione comune e approfondita sul concetto di male.

Il fatto di aver inserito l’immagine in un francobollo riporta all’idea dell’emigrazione e dello spaesamento che porta alla crisi della propria identità (altro tema affrontato in “Rocco e i suoi fratelli”)

La scritta ‘banalità’ rappresenta ciò che si potrebbe pensare guardando l’opera finita, è l’espressione del concetto di male, affrontata nella nostra attività.

Ma è davvero banale come sembra, il male, o c’è una complessità dietro ad un gesto sbagliato?

Francesca Casarini

I contributi del Liceo Brera al cineforum

Ingoia il mio vuoto

Durante il terzo anno, molto prima che iniziasse la pandemia, siamo andati ad incontrare i detenuti direttamente a Opera. Ci siamo disposti tutti in cerchio, gomito a gomito, una cosa che ora non si può più fare.

Mi ricordo che è stato strano pensare di essere a contatto così ravvicinato con persone così diverse,, con un passato carico di azioni colpevoli.

Non ricordo di cosa abbiamo parlato sinceramente, ma ricordo benissimo la sensazione che ho provato durante la testimonianza di uno di loro. Mi ha scossa per la crudezza del racconto, la calma e la consapevolezza delle azioni e delle conseguenze che raccontava. Ho sentito l’intensità di quelle parole fino alle ossa e mi sono messa a piangere in silenzio, mi sono immedesimata a fondo nelle emozioni che mi ha trasmesso la storia di quell’uomo e ho scritto ascoltando il suo racconto, come se parlassi per lui, queste esatte parole sul mio telefono:

 

Ti urlo contro,
ti svuoto,
ti privo del tuo sangue e della tua pelle.

Avverto solo un forte vuoto,
lo sento scivolare in fondo alla gola e
stringere da dentro il mio stomaco.

Così, a mani nude, disperato e arrabbiato
lo tiro fuori e te lo faccio ingoiare.

E non sono insensibile.
Sento cosa provi.

Ma la tua paura aumenta la mia rabbia.
Non chiedermi di smettere perché!
Non mi fa smettere.

In preda a una fame nervosa
lascio scivolare dentro di me granellini di soddisfazione.
Sono piccoli ma pesanti,
mi provocano la sensazione di pienezza
di cui sento il disperato bisogno,
anche se so che tra poco mi abbandonerà.

Non mi accorgo di nulla.
non vedo
non sento
non percepisco questa pazza ricerca interna
che sbatte che sbraita.

Non sento perché non voglio sentire
la ricerca dell’amore e dell’affetto
che mi mancano da una vita,.

L’ho scavata io ho questa voragine?
Mi sono costruito io la mia cella?
Granello dopo granello,
per ingabbiarmi  solo
nel mio stesso vuoto.

È un grande Circuito spento, tutto nero.
Sono schiavo del mio stesso bisogno, della mia stessa fame.

Una bestia arrabbiata,
con il vuoto nella testa e nella pancia.
Distrutto attacco la mia preda
per placare la fame
che mai
mai potrà soddisfarsi.

Rebecca Sucameli

I contributi del Liceo Brera al cineforum

Una giornata particolare

I film che abbiamo analizzato nel cineforum con il gruppo della trasagressione sono: Rocco e i suoi fratelli, Ladri di biciclette, Strane storie, I cento passi, Una giornata particolare.

Ho deciso di concentrarmi sull’ultimo, perché è quello che durante la visione mi ha stupito più volte, mi ha coinvolto e mi ha fatto immedesimare di più.

Con la mia opera scelgo di rappresentare la scoperta dello spettatore durante la visione del film, ma anche la riscoperta interiore dei protagonisti in quella che diventerà una giornata particolare. Sono inserite alcune citazioni e immagini dal film e alcune frasi da me trascritte durante l’incontro del cineforum con il Gruppo della Trasgressione.

I fogli da lucido rappresentano i passaggi e le evoluzioni del nostro pensiero attraverso l’analisi del film. Le due immagini sono posizionate in modo da coprire gli occhi di Antonietta, dapprima succube di un’ideologia di discriminazione, ma girando le pagine e avanzando con la lettura delle riflessioni che nascono si rivela il volto della protagonista che prende consapevolezza di se stessa.

Un’evoluzione ulteriore è rappresentata dai disegni semplificati e man mano acquistano forma. In conclusione la forma del mio elaborato vuole ricordare un libro, ad evidenziare l’elemento di cultura e di conoscenza mortificato nel contesto storico fascista e che è uno dei motivi che unisce i nostri due protagonisti.

Giulia Napodano

I contributi del Liceo Brera al cineforum

Il danno e la parola

Il danno precede un affanno
Il panno squarciato:
spaccato sull’anima e sulla ragione
il cui sonno genera mostri.
Mostri difficili da placare se non
Con il danno, panno squarciato.
Cura la parola più pura
Che nel tempo dura
nonostante il danno
che perdura.

 

Questa poesia l’ho composta durante il primo lockdown pensando al gruppo della trasgressione e alla giustizia riparativa, ma penso che possa essere tanto più attuale in questa seconda reclusione vissuta in cui ho perso, in soli 13 giorni, uno zio a cui ero particolarmente legato e i miei due nonni.

Ho deciso di raccontare con questo testo le cose che  ho capito e che ho recepito dai vari incontri di cineforum con il gruppo della trasgressione. Forse c’entra poco con la banalità e la complessità del male. Ma forse no, questa domanda la faccio perché la giustizia dovrebbe creare pace tra gli esseri umani e non rispondere all’odio e alla violenza semplicemente punendo il criminale, il quale va reintrodotto e rieducato alla pace e alla giustizia, in tutte le loro declinazioni.

Nella mia poesia c’è una citazione per un’incisione del preromanticismo di Goya:”il sonno della ragione genera mostri”.

Davide Mastrolia

I contributi del Liceo Brera al cineforum

Nodi da sbrogliare

L’esperienza con il gruppo della Trasgressione si è svolta a partire dalla terza superiore. Gli incontri con i detenuti sono stati emozionanti.

Mi ricordo in particolare un momento, in uno dei primi incontri in terza, nel quale uno dei detenuti che era venuto in visita a scuola, aveva recitato una sua poesia. Non ricordo di cosa parlasse, ma ricordo che avevo vividamente percepito l’umanità di chi mi trovavo di fronte. I detenuti sono in diversi casi disumanizzati e ridotti soltanto al crimine che hanno commesso.

L’elaborato grafico che ho realizzato prende ispirazione da una frase di Stephen King, che recita “monsters are real, ghosts are real too. They live inside us and sometimes they win

Penso che questa frase possa racchiudere efficacemente il concetto di banalità e complessità del male, in quanto i “mostri” che tutti noi ci portiamo dentro possono essere frutto di un milione di cose, anche se spesso sono ridotti semplicemente a poche frasi, o addirittura soffocati, fingendo che non ci siano.

La giustizia riparativa a mio parere serve proprio a questo: non soffocare semplicemente i mostri perché non tornino ad uscire violentemente, ma piuttosto capirli nella loro essenza, sbrogliando i fili che li annodano alle persone.

Amanda Manfredini

I contributi del Liceo Brera al cineforum

La forza della comunicazione

Ho trovato molto potente la scelta dei film per il laboratorio con il gruppo della trasgressione e ho composto questa immagine perché scopro sempre di più, anche attraverso questa nostra attività, che la comunicazione è alla base di tutto.

Strane storie di Sandro Baldoni ha reso perfettamente, con la sua ironica esagerazione, i concetti di mercificazione, indifferenza e ‘’assurdo’’ che, nonostante il lungometraggio sia stato girato più di vent’anni fa, continuano ad essere terribilmente attuali; abbiamo, inoltre, avuto la possibilità di discuterne direttamente col regista, rendendo la conversazione davvero stimolante.

Durante l’incontro sui Cento passi, invece, si è sviluppata una discussione su come il male riesca facilmente ad entrare nella vita di tutti, diventando quotidianità; è in parte questo, infatti, il concetto del film di Marco Tullio Giordana; anche quel giorno abbiamo avuto il piacere di ascoltare le parole di una persona fortemente impegnata sulla questione trattata: Monica Forte, presidente della Commissione antimafia della Lombardia.

Con il terzo film, di Ettore Scola, quello che ho personalmente preferito, si è parlato maggiormente della violenza nei confronti della donna e di chiunque non fosse un ‘’vero uomo’’ (padre, marito e soldato, come scriveva Antonietta nel suo album) ai tempi del fascismo.

In parte grazie all’invito della Prof.ssa Stanganello e del Dottor Aparo, in parte perché è un argomento che ho particolarmente a cuore, è stato l’unico incontro in cui ho trovato il coraggio di intervenire e di esprimere la mia opinione; ho tenuto a far notare quanto fosse disturbante e insistente l’abuso psicologico subito dalla protagonista, nonché da tutte le donne del tempo, tale da non permetterle nemmeno di rendersene conto; di come, inoltre, Gabriele non venisse riconosciuto uomo, per via del suo orientamento sessuale, ma venisse estraniato dalla società perché, a differenza delle ‘’macchine’’ che un tempo venivano considerate persone, sentiva il bisogno di essere se stesso, di esternare le proprie emozioni; ma è questo che, a parer mio e di molti, rende realmente un uomo tale, umano.

Un’altra piccola considerazione che mi preme fare riguarda proprio l’orientamento sessuale, forse per dare uno spunto di riflessione a chiunque sia contrario a ciò che non è eterosessualità: con tutto il male di cui si discute durante gli incontri e che fa purtroppo parte della nostra storia, perché dovremmo sentirci straniti o addirittura schifati quando finalmente c’è l’amore? quando finalmente c’è un po’ di umanità?

Beatrice Ajani

I contributi del Liceo Brera al cineforum

Cento passi dal male

Nelle ultime settimane la mia classe ha partecipato a degli incontri con il gruppo della trasgressione. Il tema principale è stato la banalità e la complessità del male, considerando il significato attribuitogli da Hannah Arendt nell’opera omonima del 1963.

La filosofa e storica tedesca ha sollevato la questione che il male possa non essere radicale, ma possano essere invece l’assenza di radici e la privazione del proprio pensiero a trasformare personaggi spesso banali in artefici del male stesso.

È questa stessa banalità a rendere, com’è accaduto nella Germania nazista, un popolo esecutore di terribili eventi della storia e a far sentire l’individuo non responsabile dei propri crimini e incapace di comprenderne la gravità. Ed è così che una persona normale può ritrovarsi a fare del male se inserita in un meccanismo politico–sociale che la spinge ad agire senza pensare.

Se inizialmente non avevo compreso cosa si intendesse realmente per banalità e complessità del male, con il corso degli incontri e dei contributi da parte dei partecipanti, il tema si è delineato sempre di più, diventando più chiaro. Ad arricchire questi colloqui e me stessa sono stati i numerosi interventi di uomini e donne che hanno raccontato frammenti della propria vita e che, grazie alla loro esperienza, sono stati capaci di comprendere dei significati più profondi dei film, che a volte non ero riuscita a cogliere.

Ancora di più, però, mi hanno colpito gli interventi dei carcerati e degli ex detenuti: essi hanno condiviso in modo emozionante le loro esperienze. Questo è stato per me un enorme regalo. Mettendomi nei loro panni, ho potuto comprendere la difficoltà e la vergogna a parlare di capitoli dolorosi del proprio passato. Loro in realtà portano con sé questi ricordi tutti i giorni e ne hanno parlato con una tale naturalezza e sincerità che mi ha affascinato e arricchito.

È grazie alla condivisione di esperienze altrui che l’uomo, ma soprattutto noi ragazzi apprendiamo, impariamo a dare significato alle cose, miglioriamo, mettiamo in discussione noi stessi e il nostro pensiero. Quello che più mi rimarrà di questi incontri sono la consapevolezza che il male è ovunque, qualcosa di infido con cui è molto facile entrare a contatto, e la coscienza di come esso possa assumere diverse forme.

Abbiamo visto come nel film “I cento passi” viene sottolineata la vicinanza con il male, che, appunto, si trova metaforicamente e letteralmente a soli cento passi da noi. Ognuno può fare esperienza del male, ma tutti possiamo salvarci anche grazie a una persona che ci aiuta e che ci guida. Un genitore, un figlio, un amico o istituzioni come la scuola, chiunque può essere fondamentale in questo percorso. Ci sono tante persone che possono indirizzarci verso una via migliore, che ci influenzano positivamente e che portano con sé un senso di speranza per il futuro; queste figure le abbiamo individuate in Ciro in “Rocco e i suoi fratelli” o nel piccolo Bruno in “Ladri di biciclette”.

Questo è il significato del mio disegno: una persona di spalle, quindi irriconoscibile perché rappresenta ognuno di noi, con lo zaino in spalla che percorre un sentiero che simboleggia la vita, un cammino e una continua scoperta di cose nuove. Sul fondo una figura che tende la mano, che ci guida e che ci tiene lontani dal male, rappresentato da delle mani inconsistenti e piatte, ma molto potenti, che si insinuano nel nostro cammino.

Celeste Nardelli

I contributi del Liceo Brera al cineforum