Aleksej – week 2

Egli allora aveva appena vent’anni (suo fratello Ivan ne aveva ventiquattro e il maggiore, Dmitrij, ventotto). Prima di tutto dirò che questo giovane, Alëša, non era affatto fanatico e, almeno secondo la mia opinione, neppure un mistico. Esporrò subito la mia opinione per intero: egli era semplicemente un precoce filantropo, e se aveva imboccato la strada del monastero, era unicamente perché in quel tempo solo essa lo colpì e gli si presentò, per così dire, come l’ideale dell’esodo della sua anima che lottava per liberarsi dalle tenebre della malvagità umana per andare verso la luce e l’amore. E questa strada lo colpì unicamente perché su di essa incontrò una creatura straordinaria, secondo la sua opinione, il famoso starec Zosima del nostro monastero, al quale si affezionò con tutto l’ardente primo amore del suo cuore insaziabile. Del resto, non discuto che anche allora egli fosse piuttosto strano, lo era stato sin dalla culla. […] Nell’infanzia e nella prima giovinezza, egli era stato introverso e persino taciturno, ma non per diffidenza, né per timidezza o cupa misantropia, anzi era persino il contrario, ma per qualche altra ragione, per qualche inquietudine interiore, strettamente personale che non riguardava gli altri, ma così importante per lui che, a causa di essa, quasi dimenticava le altre persone. Tuttavia amava la gente: in tutta la sua vita aveva sempre avuto fiducia nelle persone e, nel contempo, nessuno mai lo aveva considerato uno sciocco o un ingenuo.

✏️ Fëdor Dostoevskij, gennaio 1879 - novembre 1880

🎨 Luca Lischetti, gennaio 2024


["La vita ci toglie qualcosa, rendendoci orfani. Come reagiamo?" I conflitti della famiglia Karamazov al carcere di Bollate - week 2]

I Conflitti della famiglia Karamazov

 

Dmitrij – week 1

Dmitrij Fëdorovič, un giovanotto di ventotto anni, di media statura e dal viso gradevole, sembrava tuttavia molto più vecchio della sua età. Era muscoloso e si poteva intuire che fosse dotato di una notevole forza fisica, eppure il suo viso aveva un’espressione poco sana. Era piuttosto magro, le guance erano incavate e nel loro colorito c’era una sfumatura giallastra. I suoi occhi scuri, abbastanza grandi e sporgenti, avevano uno sguardo di ferma determinazione, eppure in essi c’era qualcosa di vago. Persino quando era agitato e parlava con irritazione, il suo sguardo sembrava non ubbidire al suo stato d’animo, ma tradiva un qualcos’altro, talvolta persino in contrasto con la situazione. “È difficile capire a che cosa stia pensando”, dicevano a volte quelli che parlavano con lui. Altri, che avevano colto nei suoi occhi un’espressione pensierosa e tetra, erano poi colpiti dalla sua inattesa risata, che testimoniava i pensieri allegri e giocondi che occupavano la sua mente proprio nel momento in cui aveva un’aria così cupa. Del resto, l’aria poco sana del suo viso in quel periodo era abbastanza comprensibile: tutti sapevano o avevano sentito parlare dello stile di vita inquieto e “dissipato” al quale egli si era abbandonato negli ultimi tempi nella nostra cittadina, come del resto era noto il livello di ira furibonda che raggiungeva nelle dispute con il padre sul denaro conteso.

✏️ Fëdor Dostoevskij, gennaio 1879 - novembre 1880

🎨 Luca Lischetti, gennaio 2024


["Ognuno di noi ha un credito verso un altro. Come intendiamo riscattarlo?" I conflitti della famiglia Karamazov al carcere di Bollate - week 1]

I Conflitti della famiglia Karamazov

 

Materiali per I fratelli Karamazov

Abbiamo trovato 63 studenti/esse (di giurisprudenza, psicologia ed altre facoltà) per dare forma – dentro le mura del carcere di Bollate – ad una singolare ricerca sul delitto e le sue molteplici conseguenze, dialogando insieme a chi ne ha già commessi parecchi e chi ne ha subiti alcuni.

Dopo la nostra lettera di invito, sono giunte ben 81 candidature anche grazie ad un articolo di Luigi Ferrarella pubblicato sul Corriere della Sera.

Siamo, allo stesso tempo, ugualmente soddisfatti per avere ricevuto il dono di alcune copie de I fratelli Karamazov necessarie al progetto e destinate alle persone detenute.

Giovedì 1 febbraio abbiamo iniziato …. ecco i materiali per seguire la nostra ricerca anche fuori dal carcere:

I ritratti dei quattro fratelli Karamazov sono stati realizzati, appositamente per questa nostra ricerca, da Luca Lischetti.

Grazie anche ad Andrea Spinelli, illustratore giudiziario in Tribunale e visual soul painter per i nostri progetti in carcere, per aver accettato di aiutarci nella realizzazione della serata di restituzione pubblica del 9 marzo.

Qui la intervista a RAI Radio2 Caterpillar (puntata del 25.2.2024 – grazie a Sara Zambotti, Massimo Cirri e a tutta la redazione):

Chi sono io? Esercizio di Martina Intano

 

Let it be, Karamazov! (by cescofrancobolli)

La serata di restituzione pubblica del 9 marzo 2024, al teatro del carcere di Bollate, è stata interamente ripresa da Radio Radicale ed è visibile qui

A coronamento del progetto di ricerca, RAI Radio2 Caterpillar vi ha dedicato l’intera puntata del 19 marzo 2024 con una diretta nazionale “un po’ dentro, un po’ fuori” visibile, anche in visual radio, qui

I Conflitti della famiglia Karamazov

 

Aula Dostoevskij. Delitto e castigo al carcere di Opera

Durante i cinque mercoledì di Novembre 2022 abbiamo dato forma – dentro le mura del carcere di Opera – ad una singolare ricerca sul delitto e le sue molteplici conseguenze, invitando 43 studenti di giurisprudenza a dialogare insieme a chi ne ha già commessi parecchi e a chi ne ha subiti alcuni. Traendo beneficio anche dalle autorevoli sollecitazioni di Fausto Malcovati, docente di lingua e letteratura russa.

Magistrati e studenti universitari, familiari delle vittime della criminalità organizzata e detenuti di media e ad alta sicurezza appartenenti al Gruppo della Trasgressione: ad un anno di distanza, i protagonisti di questa significativa ri-lettura collettiva del romanzo di Dostoevskij sentono la necessità di rendere pubblici i risultati e le risposte che, a seguito della ricerca, pensano di avere ottenuto.

Con la partecipazione straordinaria di Paolo Noriscrittore.

Introducono i lavori:

Angelo Aparo – psicoterapeuta, fondatore del Gruppo della Trasgressione
Francesco Cajani – pubblico ministero, comitato scientifico de “Lo Strappo. Quattro chiacchiere sul crimine

Silvio Di Gregorio – direttore casa di reclusione di Opera

Alcuni materiali della ricerca sono disponibili qui .

Ingresso gratuito fino ad esaurimento dei posti disponibili.

CONTRIBUTI VIDEO

o il servizio di Elena Scarrone per il TGR Lombardia:

o la registrazione integrale dell’incontro a cura di RadioRadicale:

I conflitti della famiglia Karamazov al carcere di Bollate

“Cerchiamo 30 giovani studenti/studentesse di giurisprudenza e di psicologia per dare forma – dentro le mura del carcere di Bollate – ad una singolare ricerca sul delitto e le sue molteplici conseguenze, dialogando insieme a chi ne ha già commessi parecchi e chi ne ha subiti alcuni”.

Qui la lettera di invito.

Le candidature dovranno pervenire a info@lostrappo.net (oggetto: candidatura fratelli Karamazoventro e non oltre il 14 Gennaio 2024.

Gli incontri si svolgeranno all’interno del carcere di Bollate (ore 14.30-17.30) nei seguenti giorni:

giovedì 1, 8, 22 Febbraio 2024 / venerdì 1 e giovedì 7 Marzo 2024.

Maggiori informazioni anche sulla pagina Instagram de “Lo Strappo. Quattro chiacchiere sul crimine”.

PS: in ogni caso c’è anche un altro gesto utile per aiutarci in questa ricerca, considerato che tutti i protagonisti di questa rilettura collettiva parteciperanno a titolo gratuito: regalando una copia de “I fratelli Karamazov” alle persone detenute nel carcere di Bollate.

[anche con una dedica e/o un augurio di buona lettura, se ritieni. . Se non sai quale edizione scegliere ci permettiamo di consigliarti Einaudi, con la traduzione di Claudia Zonghetti. Indirizzo della spedizione/consegna a mani: Direzione Casa di reclusione di Bollate, via Belgioioso, 120, 20157 Milano. Ci faremo personalmente garanti della consegna dei libri alle persone detenute interessate]

PS2: abbiamo già in agenda una restituzione pubblica dei risultati della nostra ricerca sabato 9 marzo 2024, ore 20.00 – carcere di Bollate

I Conflitti della famiglia Karamazov

Cura o tradimento

Se potessi fare a meno di decidere
non sarei di certo così stanco

Ogni volta è una conquista riconoscere
quale sia la mia metà del campo

Guardo i fogli ancora bianchi sul mio tavolo
non ho idea di cosa farci e quindi sto

come un uomo che è davanti ad un citofono
e non ricorda più il cognome

[Nicolò Fabi, Tradizione e tradimento]

 

Il tratto di strada tra Malaga e Siviglia mi ha recentemente regalato due meravigliose sintesi visive in relazione alle tematiche con le quali ci stiamo confrontando durante gli incontri del Gruppo della Trasgressione, in questo ultimo anno così denso.

Nella ricerca del famoso dipinto di Goya nella Cappella dei Dolori della Cattedrale di Siviglia, mi sono imbattuto – quasi per caso – in questa raffigurazione della Negazione di San Pietro davvero significativa.

La négation de San Pedro, sec. XVII

Balza subito agli occhi, da un lato, la “citazione” ai movimenti dei personaggi che ritroviamo nella Vocazione di San Matteo di Caravaggio. Dall’altro, singolare è il distacco che l’anonimo autore francese vuole farne rispetto alla Negazione di San Pietro che lo stesso Caravaggio dipinse negli ultimi anni della sua vita: tanto “privata” la dinamica di quest’ultimo quadro (in quanto ristretta a tre attori: San Pietro che nega, la donna che lo accusa del contrario avendolo visto insieme a Gesù, il soldato alla quale la donna si rivolge per farlo catturare), quanto “pubblica” invece quella che il pittore francese, seguace di Caravaggio, ha inteso raffigurare.

Qui infatti, almeno da una mia prima impressione, sembra proprio che il soldato non si accontenti del racconto della donna e, per questo, “chieda conto” ad altre persone, sia pure in altre faccende affaccendate.

Ecco dunque l’immagine complessiva che questo dipinto, in maniera plastica, mi restituisce:  non solo “la chiamata a trarre il meglio da sé” ma anche il suo contrario, ossia il “tradimento di sé attraverso la negazione di quello che siamo (stati)”, è questione che non può essere circoscritta ad una dimensione strettamente personale.

Durante il nostro ultimo inverno nel sottosuolo di San Vittore lo abbiamo ripetuto molte volte: è la funzione che noi attribuiamo all’altro ciò che può fare la differenza nel diventare nutrimento profondo per la sua evoluzione.

Però rimaneva sempre nascosta, in questa nostra dialettica volta a far (ri)nascere il sole nelle esistenze di giovani adulti, l’altra faccia della medaglia. E precisamente: che dire invece di chi non vuole rispondere alla chiamata? Di chi non vuole dissotterrare il talento? Di chi non vuole togliere il bavaglio nel quale ha imprigionato la sua coscienza?

Nel pensare pertanto a questo lato oscuro della luna, un altro quadro mi è venuto in soccorso: anche qui sempre grazie ad una “rivoluzione copernicana” rispetto alle nostre corde emozionali che un mese fa avevano vibrato al suono dei violini del mare.

Ed infatti, se le barche che hanno trovato infine approdo al carcere di Opera avevano necessariamente richiamato a ciascuno di noi – per non rimanere indifferenti al male – l’azione riprovevole dei carnefici, questo dipinto di Picasso mi suggerisce l’esatto contrario.

Barque de naïades et faune blessé, 1937

E’ risaputo come il pittore spagnolo avesse tratto anche dalla cultura greca fonte di ispirazione per la sua Arte visiva, ma qui non è tanto il tema della potenza distruttiva del Minotauro (a lui così caro) ad essere presente quanto quello della cura rigeneratrice, incarnata nell’azione delle Ninfe dell’acqua che soccorrono il Fauno ferito.

In altre parole è il mito rovesciato, dove le Ninfe non hanno più motivo di temere chi – fino a quel momento – le aveva fatte oggetto della sua riprovevole caccia.

E non vi ormai più ombra di dubbio che le “nostre” Naiadi siano proprio i Familiari delle vittime: ad iniziare da Marisa Fiorani con quell’incontro nel carcere di Opera del 6 settembre 2016, fino ad arrivare a Paolo Setti Carraro con la sua lettera (quasi un bilancio interiore) dello scorso giugno.

Ma penso anche a Manlio Milani e Agnese Moro, Giorgio Bazzega e alle tante altre donne e uomini che in tutti questi anni hanno fatto una scelta precisa quanto alla propria metà del campo. Perché questo quadro di Picasso ha, per me, la stessa forza evocativa di quel racconto che mi aveva fatto sobbalzare lo stomaco, una sera al cinema:

Di questo racconto, con il passare degli anni, apprezzo non solo la conclusione (quella che più di quindici anni fa mi aveva folgorato) ma anche l’inizio: questi Familiari hanno fatto un percorso interiore strettamente personale, ma in questa loro immensa fatica non sono stati mai lasciati soli.

Perché un altro proverbio africano dice che “per educare un bambino ci vuole un intero villaggio”. Allo stesso modo per curare un essere umano – vittima o carnefice che sia – affinché possa ritrovare sé stesso, senza più tradire la sua più vera natura: orgoglioso di fare parte di questo villaggio, insieme a tutti voi del Gruppo della Trasgressione.

Percorsi della devianzaReparto LA CHIAMATA

Decisi a crescere

So let your hips do the talking”

[Kings of Convenience, I’d rather dance with you, 2004]

 

Una favorevole congiunzione astrale, dopo un indimenticabile 20 e il 21 marzo, ci regala oggi il 22 marzo 2023. Giusto giusto venti anni fa, un sabato pomeriggio, una trentina di giovani scout varcavano per la prima volta la soglia di San Vittore per incontrare il Gruppo della Trasgressione.

Voglio evocare, tra le tante cose che conservo preziose dentro di me, la “profezia” di Dino Duchini: “L’esperienza con i boyscout è alle nostre spalle, ma sento che gran parte del suo valore lo ritroveremo e lo spenderemo nel tempo che abbiamo davanti”.

Nello spegnere idealmente con voi queste venti candeline, esprimo sommessamente un desiderio – rivolto al nostro coach Juri Aparo e a tutti quelli che vorranno aiutarmi a realizzarlo – per i nostri prossimi progetti insieme con i giovani adulti: pezzi di Lego per pensare anche con le mani, un piccolo jukebox portatile per “lasciare che siano anche i nostri fianchi a parlare”.

 [A ballare sono negato ma ho a casa una piccola coach che mi potrebbe sicuramente aiutare…. nel mentre, vi regalo questo straordinario videoclip il cui messaggio vale molto più di altre mie parole strampalate]

Reparto La Chiamata

Milano e la Scala, le vittime e la mala

E’ possibile che uno psicoterapeuta ed un pubblico ministero ricerchino insieme, sia pure da traiettorie professionali e sguardi diversi, l’uomo dentro il criminale.

E’ possibile che giovani, alla ricerca di sé stessi pur senza commettere reati, entrino in carcere e ne escano migliori.

E’ possibile che Familiari delle vittime della criminalità organizzata decidano di provare a scongelare il loro dolore nell’incontro con l’altro, pur se origine dello strappo che ha lacerato le loro esistenze.

E’ possibile che persone detenute ad Opera decidano di chiedere un permesso e, invece di andare a trovare la loro famiglia, sentano il bisogno di cimentarsi nella più faticosa attività riparativa.

E’ possibile che, nel mentre viene scattata la foto che rende plasticamente evidente tutto questo, passi un altro bel pezzo di società con uno striscione arancione… e occorra rimettersi in cammino, con rinnovato impegno e passione civile.

Milano, 21 marzo 2023 – il nostro impegno in memoria delle vittime innocenti delle mafie, per ricucire gli strappi. E’ possibile.

 

Due fratelli

Penso alla domanda posta da Aparo giovedì scorso al reparto La Chiamata: Quando qualcuno si interessa del detenuto, sta tradendo i famigliari della vittima? La cura nei confronti di chi ha abusato sminuisce o tradisce la cura verso vittima o i suoi famigliari?

Personalmente, ad oggi rispondo: assolutamente NO!

Mi rendo conto che è frutto di un cammino di conoscenza di me e di vita giocata grazie alle provocazioni, sfide, contrasti, reazioni -espresse bene o male, non importa- di tanti ragazzi che mi hanno indotto (e mi inducono tutt’ora) a scavare dentro me stessa per trovare risposte che non siano ‘frasi fatte’, frasi scontate, ma la verità di me.

Mi fa riflettere sulla mia vita: Non ho passato una bella infanzia e adolescenza tranne che a scuola o con gli amici fuori casa. Sono nata rifiutata e non potevo capire -come tutti i bambini- i problemi degli adulti (i miei genitori). Incassavo e cercavo di proteggere la mia sorella gemella e un’altra sorella, ero molto molto timida e certamente insicura. Nella pre-adolescenza e adolescenza mi sentivo e credevo ‘un nulla’. Ci facevamo forza -come non so- io e la mia sorella gemella.

A 21 anni ho iniziato il cammino per diventare suora, Qualcuno inaspettatamente mi ha scelta: un nulla graziato.

A 34 (2001) anni ho perso mia sorella gemella, sposata da 5 anni, con tre figli piccolissimi (un mese e mezzo; due anni e mezzo e tre anni e mezzo) per un Tir pirata che le ha stretto la strada a senso unico e l’ha trascinata.

Ha salvato i tre figlioletti che erano in macchina e ha lottato tra la morte e la vita senza farcela. I becchini quando sono venuti ad aprire la camera mortuaria, trovandomi dentro da sola con lei, mi hanno detto: ma quell’autista del Tir riuscirà a dormire sapendo della morte prematura di una mamma che ha lasciato tre figli e il marito?

E io risposi loro spontaneamente: quell’uomo chissà quali problemi aveva per non essere lucido nella guida, avrà la sua responsabilità ma ne rimarrà segnato per tutta la vita, purtroppo. Invece il questore che, oltre ai 17 giorni di indagini, ha voluto attendere troppi giorni dopo la morte con la scusa di cercare ‘il colpevole’ che non ha mai cercato… lo sarà forse meno (la corruzione, abbiamo saputo poi, aveva avuto il sopravvento).

Ne ho viste e sentite tante sulla mia pelle e ho imparato tanto a forza di sbattere ‘la testa contro il muro’ e -come già accennavo- ho imparato a farmi domande e a cercare il confronto anche attraverso un percorso di conoscenza intrapreso a 24 anni. Questo mi ha aiutato a mettere in campo risorse che non sapevo di avere e ad acquisire qualche strumento per rileggermi … un percorso bellissimo! Mi ha dato le basi per la scelta di vita sempre in movimento e per continuare a camminare dentro gli eventi e le situazioni in divenire e non prive di tempeste.

Dal 2010 frequento il carcere e da suora sono stata a tempo pieno in periferie di Pavia, Roma e Milano, e questa palestra di umanità ha trasformato il mio sguardo, che ha iniziato a vedere prima di tutto e sopra tutto la persona, l’uomo che mi sta davanti sia nell’autore del reato, sia in chi lo subisce; anche perché queste due dimensioni sono presenti anche dentro di me: grano e zizzania.

Ho imparato a ri-conoscere i mostri e le miserie che sono in me assieme ai doni e a ri-conoscere quanto sia difficile metterli in dialogo perché dentro di me non facciano a pugni, ma possa prevalere la risorsa sul danno.

Per me è importante chiedermi quanto e come io sono capace -per es.- di riparare e ricucire una relazione fallita o rifiutata da me, come posso tenere ‘in equilibrio’ dei macigni ereditati o causati dalla mia storia personale assieme alle risorse e ai cambiamenti maturati in bene? Rimangono la lotta e l’impegno per farli interagire perché diventino ‘amici’. Impossibile? NO, frutto di un cammino che non finisce mai!

Se ogni persona è prima di tutto persona, conta la cura della vittima o dei familiari della vittima di reato tanto quanto la cura di chi lo ha commesso perché solo così si toglie potere al male che in ciascuno di noi abita assieme al bene.

Se non sono nessuno per ‘togliere’ la vita o anche solo la dignità ad una persona, sono forse qualcuno per toglierla a me stesso?

Più rivedo e riconosco le tempeste passate e presenti dentro di me assieme alla cura immeritata, gratuita, ricevuta e più credo che sia possibile, anzi necessaria, una cura per ogni persona sempre e comunque!

Inoltre penso ai due fratelli della parabola del Padre Misericordioso e proprio lì trovo la bellezza della giustizia riparativa che i due fratelli dovrebbero mettere in atto tra loro, uno apparentemente bravo e l’altro dissoluto, ma entrambi persi.

È il Padre che mette in atto e inizia la riparazione, aspettando a braccia aperte il figlio scappato di casa e facendo festa con lui, ma anche uscendo a supplicare l’altro che, sentendosi a posto, non vuole partecipare alla festa del fratello che non considera più tale e che definisce ‘tuo figlio’ rivolgendosi al Padre.

Questo mi dice che le nostre forze umane, se isolate, faticano tanto, ma Qualcuno non si stanca mai di raggiungerci perché guarda al cuore di ciascuno di noi -persi e ritrovati anche quando non lo riconosciamo- e non vuole che nessuno si perda. Da Padre, ci vuole figli e fratelli sempre!

Suor Anna Donelli

Reparto LA CHIAMATA – Incontri con i familiari delle vittime

L’inverno dentro

Un uomo che partecipa alla storia dei suoi figli con una passione che è tanto rispettosa, quanto autentica e profonda, è un Padre che rende liberi e vuole far partecipare tutti della festa” [Carlo Maria Martini, Ritorno al Padre di tutti – lettera pastorale 1998/99]

L’esercizio di lettura di uno tra i più noti quadri di Rembrandt è stata una delle mie prime affascinanti esperienze  durante la ventennale frequentazione del Gruppo della Trasgressione.

Ma, ai tempi, avevo di esso una sola visione “bidimensionale”: in quel dipinto mi ci vedevo dentro solo come figlio, non essendo ancora nato come padre.

Questa mattina invece – mentre ero seduto accanto a mio figlio – ho ascoltato una straordinaria rilettura domenicale della parabola del figliol prodigo, tale da motivarmi a uno sguardo “tridimensionale” sulle dinamiche tra i diversi interpreti della relazione. Complice di tale rilettura quanto avvenuto giovedì scorso a San Vittore quando il dott. Angelo Aparo ha iniziato i lavori al Reparto La Chiamata rendendo pubblici i miei commenti a caldo via WhatsApp relativamente ad una sua  “relazione” su un componente del Gruppo:

Una “relazione scritta”, in qualità di psicoterapeuta e coordinatore del Gruppo della Trasgressione, sicuramente importante (in una prima prospettiva soggettiva che però qui non è interesse né intenzione mia approfondire, essendoci peraltro un processo per omicidio in corso) non fosse altro perché diretta – nelle intenzioni di chi gliela aveva richiesta – ad un Giudice della Repubblica italiana.

Una relazione scritta  importante (anche in una prospettiva collettiva, sulla quale vorrei invece ancora soffermarmi) in quanto avente lo guardo diretto ad una persona che ha ucciso un’altra persona. Uno sguardo che io avvertivo essere non tanto quello dello psicoterapeuta quanto quello di un padre innamorato di uno dei (tanti) figli per i quali la vita gli ha richiesto di occuparsi.

E, nonostante tale innamoramento o forse proprio in virtù di tale innamoramento, una relazione scritta piena non solo di affermazioni certe ma anche di domande di senso, ugualmente importanti. Alle quali, dopo averci meditato per una buona ora, mi permettevo di aggiungere anche una mia.

Nel ricordare a tutti i presenti questo nostro scambio – tanto rapido quanto intenso – avvenuto il giorno prima, il nostro coach Juri chiudeva il suo intervento, al solito volutamente graffiante, con parole che più o meno suonavano così: “se io mi dedico a lui, questo equivale a trascurare la vittima?  Se cerco tra le sue dinamiche, le sue pene e i suoi conflitti, questo significa mettere in secondo piano la pena per la vittima? Il dolore, i sentimenti dei familiari della vittima? ”.

Che è poi – a ben vedere – il dilemma esistenziale in relazione al quale la parabola del figliol prodigo ci invita a riflettere come padri, prima che come cristiani. Da una parte il figlio più giovane che ha arrecato il danno e chiede di essere ritenuto nuovamente degno di ritornare a casa. Dall’altra il figlio meno giovane, che ha subito anche lui l’offesa dell’abbandono e che ancora ne risente gli echi lontani, mai del tutto riparati.

Ecco, pensando in Chiesa stamattina per un lunghissimo secondo a tutte queste cose, immaginavo come sarebbe stato bello avere ancora qui a Milano Carlo Maria Martini. Per chiedere, come ultima pecorella del suo gregge, alcuni minuti della sua infinita saggezza nel sottoporgli, in Arcivescovado, un quesito oggi sempre di più stretta attualità: è possibile – come io ritengo – “tenere insieme” il sostegno al carcere duro ex art. 41-bis e contemporaneamente praticare la speranza dei percorsi di giustizia riparativa nell’incontro tra reo-un-tempo-mafioso e vittima? Oppure l’una idea è ontologicamente incompatibile con l’altro agire?

Chissà se, anche semplicemente rileggendo alcune sue parole, ci arriverà mai una risposta sul punto o quantomeno un segno da lui inviato, prima che questa primavera abbia inizio …

Reparto LA CHIAMATA – Incontri con i familiari delle vittime